Ora è ufficiale: gli Usa hanno perso anche la guerra contro il Venezuela

Pino Arlacchi  www.lantidiplomatico.it

La vittoria del governo Maduro alle elezioni del Venezuela è una sconfitta secca e senza attenuanti della strategia adottata da Trump negli ultimi anni. La guerra contro il Venezuela ha fatto la stessa fine di quella contro l’Afghanistan, l’Irak, la Siria, la Libia e lo Yemen. Anche se in questo caso non si è bombardato ed invaso, ma si sono usate tutte le armi di una guerra non convenzionale, il fallimento è innegabile.

L’errore più grande commesso dagli americani è stato quello di credere che, rivolgendo le loro sanzioni assassine contro l’intera popolazione del Venezuela invece che contro i soli esponenti del governo, la crisi umanitaria conseguente avrebbe scatenato una ribellione popolare contro la “dittatura”. Senza capire che i 4-5 milioni di chavisti e la maggior parte dei venezuelani non sarebbero insorti contro Maduro ma contro di loro, gli Stati Uniti, considerandoli (giustamente) la vera minaccia alla loro libertà e alla loro sopravvivenza fisica.

È tempo che gli Stati Uniti, l’Unione Europea e il loro codazzo mediatico si rendano conto che in Venezuela non esiste alcuna “dittatura”, ma un largo consenso popolare a un esecutivo di sinistra radicale che dura da 20 anni, da Chavez a Maduro. Una formula di governo democratico che ha vinto 23 su 25 elezioni. Consultazioni che sono altrettanto se non più regolari di quelle che si svolgono negli Stati Uniti. Le votazioni venezuelane sono a prova di brogli perché basate su una doppia scheda, cartacea e digitale, e sono state definite tra le più oneste del mondo dal Centro di osservazione elettorale dell’ex Presidente Carter.

L’unico modo per invalidarle è quello di screditarle in via preventiva, sabotando la partecipazione al voto. Temendone il risultato, gli Stati Uniti e l’opposizione golpista di Guaidò hanno fatto di tutto per boicottare le elezioni, tentando di non far partecipare al voto l’opposizione costituzionale e gli elettori, e proibendo all’Unione Europea di inviare i suoi osservatori nonostante il pressante invito del governo.

Il risultato è consistito in 300 osservatori provenienti da 34 paesi, tra cui l’ex premier Zapatero e 3 ex Presidenti, che hanno certificato la regolarità delle elezioni parlamentari. Vinte dal governo in carica con due terzi dei voti.

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