Bisogna apprezzare nel suo valore che di fronte alla scommessa di accentuare la tensione e la polarizzazione, il tatto politico, la moderazione e le risposte intelligenti che hanno garantito la sopravvivenza della Rivoluzione per più di 60 anni.
Il trionfo della Rivoluzione cubana è avvenuto sull’odio, la repressione e la criminalità. La sua vittoria fu contro una dittatura i cui scagnozzi si strapparono occhi e unghie, martirizzarono i giovani a morte, o li gettarono nei bassifondi come fanno le bestie selvagge con il bottino delle loro prede.
Chi sedimentava con il suo coraggio, il suo sangue o la sua vita l’apoteosi popolare del 1959 e il nuovo patto sociale, politico ed economico socialista che ne derivava, portava José Martí come standard morale, etico e giusto. Non è mai stato odio, ma amore il sentimento che, come il Che ha splendidamente definito, occupava il suo cuore.
È una verità alta come le palme di chi, in una scommessa rumorosa su reti e media controrivoluzionari, si è agitato per porre fine alla manifestazione dei giovani, soprattutto artisti, questo venerdì davanti alla sede del Ministero della Cultura nella capitale del Paese, in uno spettacolo repressivo.
Pensavano di aver trovato la scintilla per illuminare la prateria che si prosciugava con continue misure d’assedio ogni settimana, senza considerare, anche per pietà cristiana, le conseguenze che la grave crisi totale causata da COVID-19 stava già lasciando sull’economia e sulla società.
Per i suoi calcoli, è stato difficile per la maggioranza rivoluzionaria del Paese assistere impassibile allo spettacolo – del tutto inedito nell’era socialista – di più di un centinaio di giovani di fronte a un’istituzione governativa che avanzava richieste, collegate a quelle di un movimento dubbio, i cui leader offendono la dignità dei patrioti cubani con le loro azioni, le loro dichiarazioni e i loro gesti.
Speravano che lo shock dell’evento avrebbe finito per generare disperazione e una catena di errori di reazione, che avrebbero incoraggiato la violenza. Si strusciavano le mani nella possibilità della Bengasi cubana, che ci avrebbe fatto precipitare irrimediabilmente nella tribalizzazione degli interessi e delle passioni, nella barbarie a cui avevano già condannato altre nazioni.
Era impossibile per gli appassionati di un incidente violento, preferibilmente di sangue, gestire la variabile di una Rivoluzione che si era trincerata negli anni in scenari complessi e che, nonostante il potere offerto dal sostegno della maggioranza del popolo, la amministrava sempre con determinazione, ma con la prudenza e il tatto sufficienti per non essere travolti dalle provocazioni.
Bisogna apprezzare nel suo valore che di fronte alla scommessa di accentuare la tensione e la polarizzazione è stato scelto il tatto politico, la moderazione e le risposte intelligenti che hanno garantito la sopravvivenza della Rivoluzione per più di 60 anni, nonostante l’aggressione malaticcia di numerose amministrazioni politiche nordamericane.
Il nostro approccio deve favorire quei modi che mirano a facilitare e dimostrare che tutte le preoccupazioni e le giuste aspirazioni si inseriscono nel campo rivoluzionario.
Coloro che propagandano che la vocazione al dialogo per affrontare gli errori o le insoddisfazioni è stata inaugurata dalla Rivoluzione nella notte di questo 27 novembre e sotto pressione si sbagliano.
La storia della Rivoluzione non potrebbe essere raccontata senza quella parola. Il desiderio di dialogo, che nel caso degli artisti e degli intellettuali ha avuto la sua nascita inaugurale con le note e controverse Parole agli intellettuali, è germogliato in un rapporto e un legame peculiare con l’avanguardia creativa, che ha coinvolto soprattutto il leader della Rivoluzione, Fidel Castro, e ha trovato una particolare continuità nella leadership di Stato e di governo nata dalla nuova Costituzione della Repubblica.
Il generale dell’esercito Raúl Castro, alla guida del Partito comunista cubano e promotore dell’aggiornamento del modello socialista, ha rivendicato in numerosi interventi pubblici il dibattito e la critica, abbastanza demonizzata da segmenti della burocrazia.
Contro la volontà di coloro che cercano di estinguerli, di metterli a tacere, i non conformisti di tutti i tempi a Cuba sono stati collocati soprattutto all’interno dell’altare dell’onestà patriottica e della decenza negli interventi di Raúl al 7° Congresso della Federazione degli Studenti Universitari e alla sessione di fine anno del Parlamento nel 2006.
Da queste parole è chiaro che chi non è d’accordo con la verità “comoda” non sovverte la Rivoluzione, che può essere sovvertita solo dall’ipocrisia e dall’accomodamento del carattere, che finisce per non essere altro che la prostituzione dell’anima.
La Rivoluzione vive solo nella verità, nella franchezza, nell’onestà, nella purezza”, ha proclamato. E anche se alcuni non lo percepiscono, questo è uno dei migliori presagi per la Rivoluzione, perché va al miglior conto, al suo equilibrio spirituale.
Perché assumendo se stessa nella pienezza delle sue luci, e anche delle sue ombre, dà dignità al comando di Martí che l’essere umano non può essere imposto – o suggerito – a vivere contro la sua anima, perché offeso – o peggio ancora, deforme o degenerato.
Sia nel Congresso Universitario che nelle sessioni dell’Assemblea Nazionale del Potere Popolare di cui sopra, la “discrepanza” è stata dignitosa come formula per migliorare la Rivoluzione, come principio del suo funzionamento, come metodo di consenso, contro ogni tipo di paralisi e semplificazione dell’omogeneità.
Ciò acquista maggiore importanza nell’attuale scenario di comunicazione sensibile, poroso e frammentato, reso più complesso dalla situazione del Paese e dalle pressioni esterne, quando la formula migliore è quella dell’amore trionfante.
Fonte: www.juventudrebelde.cu
Traduzione: ASSOCIAZIONE NAZIONALE DI AMICIZIA ITALIA-CUBA