Il terrore seminato a Las Tinajitas

Sessant’anni fa, fu assassinato Conrado Benitez Garcia, la prima vittima del terrorismo contro gli insegnanti, insieme all’agricoltore Eliodoro Rodriguez Linares, Erineo

“Prendere la strada senza luna è una follia” disse, con la paura ritratta sul volto, Cyril Fabero, un contadino di Pitajones, una comunità montana di Trinidad.

“Ascoltami, ragazzo. Questa montagna è diventata molto pericolosa, con così tanti banditi liberi su questi sentieri. Persino le bestie sentono la paura che lasciano al loro passaggio”, quasi supplica, guardandolo negli occhi affinché capisca.

Ma le parole non ebbero alcun effetto. Ci vollero solo pochi secondi perché il diciottenne prendesse la sua valigia con alcuni oggetti personali, libri e giocattoli. La notte profonda inghiottì la sagoma che si addentrò nel cuore dello storico Escambray.

Erano le ultime ore del 4 gennaio 1961. Conrado Benítez García, il maestro che aveva portato la luce alle montagne trinitarie, stava dicendo addio, per sempre, senza saperlo, a quella famiglia.

L’inizio di una storia d’orrore

Lo stesso giorno in cui spiegarono la necessità che studenti universitari e liceali si incorporassero come maestri volontari, il figlio di Diego ed Eleuteria, una coppia di Matanzas, accettò la sfida di far parte della gigantesca campagna che si stava preparando per il 1961.

Arrivò con grandi aspettative all’accampamento di Minas de Frío nella Sierra Maestra, e poi sino a El Meriño, dove in condizioni improvvisate, per vivere all’aperto, scoprì la magia d’insegnare ai propri simili.

Ricorda quei giorni con grande gioia, José Ramón Tápanes, un altro cittadino di Matanzas che mise radici, decenni fa, nella terza città di Cuba. Insieme a Benítez García e a molti altri giovani cubani, fu testimone di uno dei periodi più convulsi del nostro passato. “Eravamo una grande famiglia e nessuno si è arreso”, raccontò a questo giornale nel 2016.

Dopo più di mezzo secolo, non cessa di parlare con ammirazione di quel “giovane” capace di attraversare da Minas de Frío a El Meriño con un sacco di riso sulla schiena senza togliergli il fiato.

“Era molto disponibile”, dice, e torna alla sua memoria quando, con pochi cambi d’abito, Conrado si addentrò nella Sierra Reunion, una zona molto isolata dell’Escambray, dove già agivano le forze controrivoluzionarie guidate da Emilio Carretero e Osvaldo Ramirez.

Lì, con l’aiuto dei pochi contadini che vivevano nei dintorni, costruì una piccola tenda fatta di assi e un tetto di tegole, per servire da aula dove i bambini potessero alternare le loro lezioni, di giorno, con quelle degli adulti di notte; ed in mezzo a tutto quel trambusto, andare su e giù per i sentieri tortuosi per toccare le coscienze delle famiglie e far sì che non si rifiutassero di imparare, l’unico modo per abbandonare la disuguaglianza e lo sfruttamento di cui erano stati vittime per tanti anni.

Si trattava di un progetto fidelista che ostacolava gli interessi delle bande ribelli, che seguivano le istruzioni della Central Intelligence Agency (CIA), e come ogni altra espressione della Rivoluzione, doveva essere eliminato.

Pochi giorni dopo l’iniezione educativa nel paese della collina trinitaria, il gruppo giovanile conquistò l’affetto e l’ammirazione di gran parte dei montani. Tanto che, praticamente senza conoscerlo, gli aprirono molte delle primitive case , fatte di tavole di palma e tetti di guano.

Adela Sanchez, “La Negra”, fu una di quelle riconoscenti. Lavò molte volte i vestiti di Conrad. Non ebbe praticamente tempo di scoprirlo guardandolo negli occhi, ma sapeva che era uno dei “bravi”, come le diceva sempre suo marito Eliodoro Rodríguez Linares (Erineo).

Con tristezza, salutò nella collina, negli ultimi giorni del dicembre 1960, ai giovani che avevano “capovolto” la zona al ritmo di lettere e numeri. Meritavano di dire addio all’anno con i loro cari. Promisero di tornare, e lo fecero.

Conrado Benitez non voleva perdersi i volti dei suoi studenti più giovani quando trovarono i loro doni nel Giorno dei Re Magi. Da qui la sua fretta nella notte del 4 gennaio.

Ma fu colto dal più grande dei terrori, in quel contesto. Alcuni banditi lo portarono per chilometri nel cuore dell’Escambray, da La Sierrita a Las Tinajitas, a San Ambrosio. Lì lo aspettava Osvaldo Ramírez, che una settimana prima era stato approvato dalla CIA come capo delle bande in quelle colline.

L’ordine era chiaro: seminare il panico e frustrare tutti i tentativi di cambiamento economico e sociale. Di testa fu gettato in una gabbia rivestita di filo spinato, dove era già stato rinchiuso Erineo. Dall’altra parte, il capetto controrivoluzionario promise a Conrado di risparmiargli la vita se si fosse unito alla sua banda, cosa che il giovane rifiutò, sostenendo di essere un insegnante impegnato con i suoi studenti. Quello fu il momento esatto in cui vide la morte davanti a sé, scortata dall’odio e dal rancore.

Poche ore dopo, quando il sole aveva appena riscaldato la scia dell’alba umida, Cuba ebbe la sua prima vittima del terrorismo contro gli insegnanti.

Qualche tempo dopo, il bandito Mirio Pérez Venegas confessò: “Nell’accampamento sembrava che ci fosse una festa […] prima hanno tirato fuori Conrado Benítez, che con una corda al collo doveva camminare veloce per non essere trascinato, mentre tutti i presenti lo colpivano con dei bastoni e lo punzecchiavamo con i coltelli. Quando fu sotto un albero scelto per la sua esecuzione, si passò la corda sopra un ramo, gli occhi del brigatista si guardavano intorno come chiedendo se fossimo persone o animali.

“Le pietre e le punzecchiature non cessarono un attimo, finché Osvaldo non ci ordinò di tirare la corda. Il corpo fu sospeso ed abbassato più volte come se fosse un manichino, fino alla fine della sua vita, quando lo lasciammo su. Nonostante fosse già morto, Osvaldo ci ordinò di continuare ad punzecchiarlo e a bastonarlo”.

Erineo ebbe la stessa sorte. Giorni prima, erano andati a cercarlo nelle stesse terre che avevano accolto il Che. Era noto sia per la sua umiltà che per la sua partecipazione alla lotta insurrezionale contro la tirannia di Batista ed il suo sostegno alla Rivoluzione.

Adela Sanchez non dimentica la burrasca che avvertì nella sua testa quando suo fratello Ibrahim Sanchez, liberato dalla banda dei ribelli, le consegnò la scatola di sigarette con il messaggio che le diceva chi lo teneva: “Non ebbi più bisogno di sapere che non ci avrebbe più rivisto, me e nostro figlio Julio, di sette mesi”, dice ed il dolore è profondo.

Era così triste che non salì mai a Las Tinajitas, dove seppellirono, in un primo momento, i cadaveri dopo essere stati trovati da un gruppo di miliziani, e dove è stato eretto un obelisco in onore delle vittime.

Preferisce ricordarli in quei giorni in cui andavano su e giù per i sentieri della collina. Parla sempre dell’immediatezza con cui, guidati dallo stesso Fidel Castro, presero l’accampamento ed trovarono documenti che confermarono la partecipazione della CIA alla direzione ed al sostegno delle bande. E ringrazia per la formazione della brigata di alfabetizzazione, il 17 gennaio dello stesso anno, col nome di Conrado Benítez come omaggio al giovane educatore.

*Le dichiarazioni di Mirio Pérez Venegas furono pubblicate da Pedro Carrazanas sulla rivista Moncada Magazine, con il titolo La confesión de un bandido, nel 1978.

Fonte: www.juventudrebelde.cu


El terror sembrado en Las Tinajitas

Hace 60 años fue asesinado Conrado Benítez García, la primera víctima del terrorismo contra el magisterio, junto al campesino Eliodoro Rodríguez Linares, Erineo

«Coger el camino sin luna es una locura», dijo con el miedo retratado en la cara Cirilo Fabero, un guajiro de Pitajones, comunidad montañosa de Trinidad.

«Hágame caso, muchacho. Este monte se ha vuelto muy peligroso con tantos bandidos sueltos por esos trillos. Hasta las bestias sienten el miedo que dejan a su paso», casi suplica, mirándole a los ojos para que entienda.

Mas, las palabras no tuvieron efecto. Bastaron unos segundos para que el joven de 18 años tomara su maleta con algunas pertenencias personales, libros y juguetes. La noche profunda se tragó la silueta que se adentró en el corazón del histórico Escambray.

Eran las últimas horas del 4 de enero de 1961. Conrado Benítez García, el maestro que había llevado la luz a las montañas trinitarias se despedía para siempre, sin saberlo, de aquella familia.

El inicio de una historia de horror

El mismo día que explicaron la necesidad de que estudiantes de las universidades y el bachillerato se incorporaran como maestros voluntarios, el hijo de Diego y Eleuteria, un matrimonio matancero, aceptó el reto de formar parte de la gigantesca campaña que se preparaba para 1961.

Llegó con grandes expectativas al campamento de Minas de Frío, en la Sierra Maestra, y luego hasta El Meriño, donde en condiciones improvisadas por vivir a la intemperie descubrió la magia de enseñar a sus semejantes.

Recuerda aquellos días con suma alegría, José Ramón Tápanes, otro matancero aplatanado hace décadas en la tercera villa de Cuba. Junto a Benítez García y otros muchos jóvenes cubanos fue testigo de una de las etapas más convulsas de nuestro pasado. «Fuimos una gran familia y nadie se rajó», contó a este diario en el año 2016.

Pasado más de medio siglo, no deja de hablar con admiración de aquel «muchachón» capaz de atravesar desde Minas de Frío hasta El Meriño con un saco de arroz en la espalda sin cortársele la respiración.

«Era muy dispuesto», dice, y vuelve a su memoria cuando, con escasas mudas de ropa, Conrado se adentró en Sierra Reunión, una zona muy aislada del Escambray, donde ya actuaban fuerzas contrarrevolucionarias dirigidas por Emilio Carretero y Osvaldo Ramírez.

Allí, con ayuda de los escasos campesinos que vivían en los alrededores, construyó una pequeña tienda de tablas y techo de tejas, a fin de que sirviera de aula donde alternar las clases de los niños y niñas por el día con las de los adultos por las noches; y en medio de toda aquella vorágine, subir y bajar por los serpentinados trillos para tocar las conciencias de las familias y lograr que no se negaran a aprender, único camino para abandonar la desigualdad y explotación de las que habían sido víctimas durante tantos años.

Ese era un proyecto fidelista que entorpecía los intereses de las bandas de alzados, las cuales cumplían instrucciones de la Agencia Central de Inteligencia (CIA), y como cualquier otra expresión de Revolución, debía eliminarse.

A los pocos días de la inyección educativa en el lomerío trinitario, el grupo juvenil se ganó el cariño y la admiración de gran parte de los montunos. Tanto así que, prácticamente sin conocerlo, le abrieron muchas de las primitivas casas, hechas de tablas de palma y techo de guano.

Adela Sánchez, «La Negra», fue una de esas agradecidas. Lavó muchas veces las ropas de Conrado. Prácticamente no tuvo tiempo para descubrirlo mirándole a los ojos, pero sabía que era de los «buenos», como su esposo Eliodoro Rodríguez Linares (Erineo) le decía siempre.

Con tristeza se dijo adiós en el lomerío, en los últimos días del mes de diciembre de 1960, a los jóvenes que pusieron «patas arriba» la zona, a ritmo de letras y números. Merecían despedir el año junto a sus seres queridos. Prometieron regresar, y lo hicieron.

Conrado Benítez no quería perderse el rostro de sus alumnos más pequeños cuando el Día de Reyes encontraran sus regalos. De ahí su apuro la noche del 4 de enero.

Mas, lo atrapó el mayor de los terrores en ese contexto. Unos alzados lo llevaron kilómetros adentro en el corazón del Escambray, desde La Sierrita hasta Las Tinajitas, en San Ambrosio. Allí lo esperaba Osvaldo Ramírez, quien una semana antes había sido aprobado por la CIA como jefe de las bandas de ese lomerío.

La orden era clara: sembrar el pánico y frustrar todo intento de cambio económico y social. De cabeza lo lanzaron al interior de una jaula forrada con una malla de alambre, donde ya habían encerrado a Erineo. Desde el otro lado, el cabecilla contrarrevolucionario prometió a Conrado perdonarle la vida si se unía a su banda, a lo que el joven se negó, afirmando que él era un maestro comprometido con sus alumnos. Fue ese el momento exacto en que vio de frente a la muerte, escoltada por el odio y el rencor.

Pocas horas más tarde, cuando el sol apenas había calentado la huella de la húmeda madrugada, Cuba tuvo su primera víctima del terrorismo contra el magisterio.

Tiempo después, el bandido Mirio Pérez Venegas confesó: «En el campamento parecía que había una fiesta […] primero sacaron a Con­rado Benítez, que con una soga al cuello tenía que caminar aprisa para no ser arrastrado, a la vez que todos los allí presentes le dábamos con palos y le pasábamos los cuchillos. Cuan­do estuvo debajo de la mata escogida para su ejecución, la soga se pasó por un gajo, los ojos del brigadista miraban a su alrededor como preguntando si nosotros éramos personas o animales.

«Las piedras y los pinchazos no cesaron un momento, hasta que Osvaldo dispuso que haláramos la soga. El cuerpo fue suspendido y bajado en varias ocasiones como si fuera un muñeco, hasta el final de su vida, en que lo dejamos arriba. No obstante estar bien muerto, Osvaldo ordenó que lo siguiéramos pinchando y apaleando».

Erineo tuvo igual suerte. Días antes lo habían ido a buscar a las mismas tierras que recibió por el Che. Era tan conocido por su humildad como por su participación en la lucha insurreccional contra la tiranía batistiana y su apoyo a la Revolución.

Adela Sánchez no olvida el vendaval que sintió su cabeza cuando su hermano Ibrahim Sánchez, liberado por la banda de alzados, le entregó la caja de cigarros con el mensaje que le decía quiénes lo tenían: «No necesité más para saber que no nos volvería a ver a mí y a nuestro hijo Julio, de siete meses de vida», cuenta, y el dolor se clava hondo.

Fue tanta la tristeza que jamás subió a Las Tinajitas, donde sepultaron en un primer momento los cadáveres, tras ser encontrados por un grupo de milicianos, y donde se erigió un obelisco en honor a las víctimas.

Prefiere recordarlos en aquellos días en que subían y bajaban los trillos del lomerío. Habla siempre de la inmediatez con que, dirigidos por el propio Fidel Castro, to­maron el campamento y encontraron documentos que confirmaron la participación de la CIA en la dirección y apoyo de las bandas. Y agradece la constitución de la brigada de alfabetizadores, el 17 de enero del propio año, con el nombre de Conrado Benítez en tributo al joven educador.

*Las declaraciones de Mirio Pérez Venegas fueron publicadas por Pedro Carrazanas en la Revista Moncada, bajo el título La confesión de un bandido, en 1978.

Share Button

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.