2021, il risveglio dei popoli dell’America Latina. Sfide e prospettive

Geraldina Colotti

Per la rivoluzione bolivariana, l’anno politico si è aperto con l’assunzione del nuovo Parlamento, a maggioranza chavista, frutto delle elezioni del 6 di dicembre. Una vittoria della democrazia partecipata e protagonista, che continua a scommettere sulla coscienza e l’organizzazione popolare per affrontare le sfide a cui deve far fronte, sia all’interno che all’esterno del paese.

Basta confrontare le immagini convulse e grottesche diffuse dopo l’assalto trumpista al Campidoglio negli USA con quelle corali, sorridenti e piene di dignità dei 277 deputati e deputate della nuova legislatura in Venezuela, per rendersi conto della diversità dei due modelli, della prospettiva e degli effetti divergenti che producono.

Basta confrontare la levatura del discorso di Jorge Rodriguez, psichiatra e poeta, figlio di un rivoluzionario ucciso dalle democrazie camuffate della IV Repubblica, eletto a capo della giunta direttiva, con il semplicismo torvo e minaccioso di Trump e dei suoi accoliti, per capire quale sia la “minaccia inusuale e straordinaria” rappresentata dalla rivoluzione bolivariana per l’imperialismo.

Da una parte, i versi di Pablo Neruda, con i quali Rodriguez ha concluso il suo discorso, dall’altra le urla suprematiste dei continuatori del Ku Klux Klan. Da un lato, le proposte chiare e dirette, aperte al dialogo ma con rispetto, dei deputati chavisti, dall’altra un sistema in crisi conclamata, che affida i suoi piani all’aggressione aperta o a quella nascosta, ma che risulta comunque nefasto per il suo stesso popolo e per quelli che vorrebbe sottomettere.

Il primo segnale forte emerso dal Parlamento venezuelano, che l’opposizione golpista aveva trasformato in un “Pentagono in sedicesimo”, dopo la vittoria ottenuta alle legislative del 2015, è stato di resistenza e di speranza, di dialogo costruttivo nelle differenze. Si è discusso di sfide e prospettive, da affrontare sia a livello nazionale che sul piano internazionale.

A presiedere la seduta, è stato il deputato più anziano, Fernando Soto Roja, ex guerrigliero ai tempi della IV Repubblica. Per guidare i deputati di maggioranza, è stato nominato Diosdado Cabello, vicepresidente del PSUV. Altri dirigenti del partito, come Jesus Farias, Julio Chavez o Desirée Santos Amaral hanno enunciato i temi che animeranno il dibattito legislativo del 2021: “normalizzazione politica, recupero dell’economia, ricostruzione dell’apparato produttivo soffocato dalle sanzioni, rilancio della nazione nel contesto internazionale, costruzione del Parlamento comunale, che porterà alla confluenza di tutte le organizzazioni e le espressioni di lotta presenti nelle comunità.

Amaral, giornalista e deputata, ha poi messo in chiaro il tratto femminista dell’Assemblea Nazionale, evidenziata anche nelle nomine della segreteria, e ha promesso battaglia in caso vi siano rigurgiti maschilisti nell’emiciclo. Il precedente Parlamento, governato dalla destra, si era infatti caratterizzato per la virulenza degli attacchi maschilisti alle istituzioni venezuelane, governate, come il Consejo Nacional Electoral (CNE) da una maggioranza di donne.

Il Parlamento “deve costituire l’epicentro politico del paese”, ha affermato il presidente Maduro, che ha presentato i punti principali a cui metter mano nel corso dell’anno anche in un’intervista con il giornalista spagnolo Ignacio Ramonet. La sfida che ha di fronte il Venezuela è quella di passare da un’economia di guerra al recupero del potere d’acquisto dei lavoratori e delle lavoratrici, e alla qualità dei servizi pubblici mediante la Ley contra el bloqueo, che il Parlamento avrà il compito di articolare.

Si tratterà di disinnescare le manovre golpiste della destra manovrata dagli USA e dalla Colombia, da dove è partito un nuovo tentativo mercenario di bloccare l’assunzione del nuovo Parlamento.

Nel corso di questo anno, si dovrà insistere nel recupero dei beni sottratti illegalmente al Venezuela negli Stati Uniti e in Europa. Il rientro di quasi 30 miliardi di dollari, bloccati nelle banche Usa e europee sarebbe una grossa spinta per la ripresa economica. Il problema è che il blocco economico-finanziario impedisce il pagamento degli uffici legali all’estero, anche se non mancano gli avvocati coraggiosi pronti a mettersi dalla parte del diritto e non del sopruso.

Un grosso ostacolo è costituito dall’atteggiamento ostile dell’Unione Europea, che ha sostenuto tutte le politiche della destra golpista. Una postura che, per quanto incrinata dal fallimento delle strategie mercenarie dell’autoproclamato e del suo gruppo di ladroni litigiosi, non sembra prossima a finire.

Insieme al gruppo di governi neoliberisti che ha appoggiato le politiche di Trump per riportare l’America Latina a livello di cortile di casa statunitense, la UE non ha infatti riconosciuto le elezioni legislative in Venezuela. Ora, considerando la subalternità dei governi europei alla NATO e agli USA, si tratterà di vedere quale atteggiamento assumerà la nuova amministrazione Biden.

Visti i precedenti con Obama e la relativa coincidenza di visioni tra democratici e repubblicani sulla politica estera, non c’è da farsi illusioni, e la rivoluzione bolivariana lo sa bene. Inoltre, i golpisti di Leopoldo Lopez si sono già messi all’opera per acquisire due società di lobbying vicine al segretario di Stato nominato da Biden, Anthony Blinken. Due potenti strumenti di pressione per aumentare le sanzioni contro il Venezuela, in un sistema come quello USA, basato sul potere delle lobby.

Per favorire la sovversione in Venezuela e a Cuba, in modo soft o più rude, il Pentagono continuerà a stanziare fiumi di denaro, attraverso le sue agenzie e con il pretesto di nuovi “piani allo sviluppo” per far fronte alla crisi pandemica. Dopo il tentato golpe delle “truppe” suprematiste, negli USA, il segretario di Stato Mike Pompeo ha pubblicato un bilancio dei “successi” in politica estera nei quattro anni di gestione di Donald Trump. Uno di questi ha riguardato il sostegno alla “lotta democratica” in Venezuela, per la quale il governo statunitense si è mostrato come “il principale alleato” all’autoproclamato Juan Guaidó. Per questo, tra il 2017 e il 2020 – ha scritto Pompeo – sono stati erogati 1.200 milioni di dollari.

Cifre che si aggiungono a quelle passate direttamente o indirettamente alla banda di lestofanti che continua a chiedere l’invasione armata del proprio paese, e a quelle servite a oliare i meccanismi dei media egemonici. Le emanazioni della CIA, come la NED, finanziano lautamente centri studi e media “indipendenti” per favorire “il cambio di regime” nei paesi che, come Venezuela e Cuba, non sono graditi a Washington.

Il risultato di un’inchiesta, ripresa in Francia dal sito Les 2rives, mostra come, sullo stesso modello, la Gran Bretagna finanzi alcune piattaforme informative dell’opposizione in Venezuela, che sono le uniche fonti a cui attingono le agenzie stampa internazionali. Il ministero degli Esteri britannico ha ammesso che, tra il 2016 e il 2018, ha foraggiato in Venezuela la Fundación Efecto Cocuyo, e così pure l’Instituto Radiofónico Fe y Alegría e il Sindicato Nacional de Trabajadores de la Prensa. Con un altro programma, la Westminster Foundation for Democracy (WFD), un’organizzazione finanziata a maggioranza dal governo britannico, ha elargito, dal 2016, l’equivalente di oltre 830.000 euro per “rafforzare la democrazia” in Venezuela.

 La Gran Bretagna organizza in Venezuela diversi programmi antigovernativi usando i Fondi per i conflitti, la stabilità e la sicurezza (Conflict, Stability and Security Fund-CSSF), previsti per “lottare contro l’instabilità e per prevenire i conflitti che minacciano gli interesse britannici”. Tra i suoi obiettivi, c’è la formazione di una “nuova piattaforma che rafforzi l’organizzazione dei media in tutta la regione”, e che ha come una delle sue basi la Colombia.

E in Gran Bretagna, dove continua la battaglia legale per il recupero dell’oro venezuelano sequestrato nelle banche, l’inviata di Guaidó ha cercato di scambiare il sostegno all’autoproclamato con la cessione di sovranità nel territorio dell’Essequibo, conteso con la Guyana.

La battaglia legale intorno all’Essequibo, zona ricchissima di petrolio e per questo al centro degli appetiti imperialisti, è un’altra importante questione da affrontare in questo 2021. L’AN ha rigettato la decisione della Corte Internazionale di Giustizia, che si è dichiarata competente a decidere in base al lodo arbitrale del 1899, quando non fu presente nessun rappresentante del Venezuela, e non all’Accordo di Ginevra del 1966, come chiede il governo bolivariano per ricominciare a discutere in modo amichevole con la Guyana.

 Il Parlamento ha nominato una apposita Commissione speciale. Al contempo, si è fatto appello al paese per convocare un dibattito ad ampio spettro con settori accademici e giuridici per la costruzione di un movimento nazionale in difesa dell’Essequibo. Maduro ha poi approvato un decreto con il quale si stabilisce la creazione di una zona strategica di sviluppo nazionale denominata Territorio per lo Sviluppo della Facciata Atlantica: “un nuovo territorio marittimo come parte della batteria di azioni legali, costituzionali, politiche, diplomatiche e di Stato per difendere i sacrosanti diritti della Repubblica che datano di 200 anni”, ha detto. Per questo, il presidente ha annunciato l’installazione in seduta permanente del Consiglio di Difesa della Nazione e dello Stato.

La questione assume un peso ancora maggiore in preparazione delle attività per i 200 anni dalla battaglia di Carabobo, che sancì l’indipendenza dalla Spagna. Non una battaglia, ma una campagna, guidata dal Libertador Simon Bolivar, che influenzò grandemente gli altri movimenti indipendentisti della regione.

Un evento storico particolarmente ricco di significato in questa fase del proceso bolivariano e della Patria Grande sognata da Bolivar, impegnata nel riprendere il cammino di una seconda indipendenza. Un percorso rallentato dal duro attacco imperialista che ha incrinato le alleanze solidali avviate all’inizio del secolo dall’asse Cuba-Venezuela. Ma, nella nuova ondata di protesta che ha ridato la voce ai movimenti popolari in diversi paesi del continente, e con il ritorno a sinistra di Messico e Argentina e del Mas in Bolivia, l’Alleanza Bolivariana per i popoli della Nostra America ha ripreso protagonismo e, da La Paz, si sta lavorando per rimettere in piedi la Unasur, da cui nascerà Runasur, l’organizzazione delle popolazioni indigene. Un organismo che consentirà di avere anche più peso nella denuncia della repressione dei popoli nativi, come sta accadendo in Cile contro i Mapuche dove, ieri, i carabineros hanno colpito anche una bambina di 7 anni, suscitando un’ondata di indignazione generale. L’incontro della Unasur è previsto per marzo in Bolivia.

Questo, sarà l’anno delle elezioni in Ecuador, dove la sinistra è data favorita, delle elezioni in Cile e in Perù, dove dalle proteste popolari emerge con forza la richiesta di un’Assemblea Nazionale Costituente. E il popolo colombiano, dove ieri è stato ammazzato un altro ex guerrigliero (sono 152 dalla firma degli accordi di pace del 2016) ha mostrato a più riprese di essere stanco di miseria e massacri.

A luglio, si svolgerà negli Stati Uniti il 9° vertice delle Americhe, la riunione dei 35 capi di stato dei paesi d’America che, dal 1994, si vedono per trattare temi di carattere diplomatico, commerciale a livello continentale. Nel 2018, il Perù che aveva la presidenza, ha ritirato l’invito a Maduro, lasciando la parola all’opposizione golpista e alle Ong gradite a Washington. Trump, notoriamente poco incline al multilateralismo, non aveva partecipato, così come non aveva fatto durante il passaggio di consegne virtuale a luglio scorso tra il Perù e la nuova presidenza Usa. Gli Stati uniti – avevano dichiarato i rappresentanti di Trump – lavoreranno con i loro soci nell’emisfero per promuovere la prosperità e la democrazia dei popoli nell’emisfero occidentale.

Lo stile di Biden, che dice di credere nel multilateralismo “democratico”, ovvero fare in modo che le aggressioni e le ingerenze siano coordinate con altri paesi, non cambierà la sostanza. Probabilmente toglierà dall’Organizzazione degli Stati Americani (il ministero delle colonie, come giustamente lo definì Fidel Castro), l’impresentabile Luis Almagro, denunciato anche alla Corte Penale Internazionale per il suo intervento nel golpe in Bolivia del 2019.

La crisi della sua gestione è conclamata. Nonostante la versione dei media egemoni, che l’hanno venduta come una grande vittoria della democrazia, la risoluzione approvata dall’Osa l’8 dicembre 2020, per disconoscere il risultato delle parlamentari in Venezuela, presentata da Stati Uniti, Brasile e Colombia, ha visto l’astensione di oltre un terzo dei paesi. Almagro è l’uomo meno adatto per contenere in questa linea i conflitti che si stanno scatenando nella regione, anche a seguito della crisi da coronavirus, un drammatico capitolo della crisi sistemica del capitalismo a livello mondiale.

Si prospettano, infatti, lacrime e sangue per le classi popolari, nei paesi che più hanno guadagnato dal loro sfruttamento in questi decenni di governi neoliberisti. Secondo la Cepal, il Pil dell’America Latina – un continente di grandi disuguaglianze sociali non compensate dai paesi che, come Cuba e Venezuela, mettono al centro gli interessi degli esseri umani e non quelli del mercato – cadrà di quasi il 10%, riportando il livello a quello di 15 anni fa.

La povertà estrema potrebbe riguardare fino a 45 milioni di persone. La lista degli uomini più ricchi del pianeta, pubblicata come ogni anno dalla rivista Forbes, indica chi abbia guadagnato anche dalla pandemia (i grandi gruppi che controllano il web e la vendita tramite internet, e che non pagano imposte nei paesi in cui fanno profitti), e perché, nei paesi capitalisti, non si riesca ad approvare una legge per tassare le grandi fortune, come invece ha appena fatto il governo boliviano.

 Uno studio realizzato dalla Red Latinoamericana por Justicia Económica y Social (Latindadd) in 20 paesi della regione, mostra come, durante il periodo di più stretta quarantena, nel 2020 gli stra-ricchi abbiano aumentato la loro fortuna di 48.200 milioni di dollari. Latindadd lamenta l’assenza trentennale di una riforma fiscale nel continente, che, non solo dovrebbe tassare le grandi fortune, ma anche aumentare le imposte a tutte le rendite da capitale, come per esempio i dividendi degli azionisti. Tassando le grandi fortune, si otterrebbero almeno 26.504 milioni di dollari, con i quali – dice lo studio – si arriverebbero a coprire sia il costo del trattamento anti-covid, che il vaccino, salvando fino a 2,5 milioni di vite.

Ma la direzione scelta dagli Stati Uniti, dall’Europa e dai paesi capitalisti che affidano allo sviluppo del complesso militare-industriale la finzione di applicare così una economia espansiva, è quella di aumentare le spese militari, quelle per il controllo sociale e per le imprese della sicurezza privata. La via imboccata da Biden per l’Organizzazione degli Stati Americani potrebbe essere quella proposta dal “socialdemocratico” Ricardo Lagos, l’ex presidente cileno che fu il primo presidente al mondo ad appoggiare il golpe contro Chavez nel 2002.

Per Lagos, l’organismo ha un’architettura un po’ antiquata e dovrebbe convertirsi in una sorta di Nato per poter applicare il defunto Trattato Interamericano di Assistenza reciproca, riesumato dal vecchio parlamento governato dalla destra in Venezuela.

In ogni caso, a Biden non interessano gli organismi latinoamericani e caraibici nei quali non possa intervenire direttamente o usare quella che il suo nuovo segretario di Stato, Anthony Blinken, ha definito “diplomazia coercitiva”. Una politica che, però, deve vedersela con un’America Latina che non è più quella di prima. Si sta svegliando di nuovo.


Venezuela. L’ironia del capitano contro i fossili della democrazia borghese

Geraldina Colotti

Il programma di Diosdado Cabello, Con el Mazo Dando, da anni consente un’immersione in diretta nella realtà venezuelana. Chiunque abbia avuto occasione di vivere l’esperienza dal vivo, non può che convenirne. Lo hanno constatato gli invitati internazionali, le centinaia di organizzazioni, collettivi, singole e singoli che ogni mercoledì hanno partecipato al programma nei diversi punti della capitale o del paese dov’è stato girato.

Informazione, storia, analisi della congiuntura, vengono intrecciate dal capitano con acume e ironia. La squadra che lo accompagna coniuga efficacemente le leve della comunicazione rendendo accattivante il prodotto sia ai nati nel secolo scorso, sia alle giovani generazioni. A loro, Diosdado dedica sempre un’attenzione speciale, ricevendone in cambio affetto e riconoscimento, evidentissimi nei giorni in cui venne colpito dal covid e il popolo venezuelano ha riempito la rete di messaggi beneauguranti.

Autentico e diretto, il capitano affronta le questioni a viso aperto, e anche i nemici della rivoluzione glielo riconoscono, visto che seguono puntigliosamente il suo programma. Ogni volta, i detrattori cercano appigli per denigrarlo, ma i loro argomenti si trasformano regolarmente in un boomerang. La parte più graffiante del Mazo, è infatti quella nella quale, attraverso video e citazioni, Diosdado si burla delle diatribe interne della destra, mostrandone le vere motivazioni e i veri interessi.

Una ricerca tematica dei discorsi di Hugo Chavez, serve poi a supportare gli argomenti affrontati in ogni puntata, consentendo una retrospettiva coerente, ancorché complessa, del cammino compiuto dalla rivoluzione bolivariana. E c’è una differenza abissale con i programmi pretesi popolari, che si vedono sugli schermi dei paesi capitalisti, il cui compito è quello di intorpidire il senso critico e non di stimolarlo.

Con Diosdado si ride, si canta, e si riflette. Si celebrano le date storiche che hanno punteggiato la lotta di classe nei vari paesi, e che i vincitori vorrebbero cancellare o addomesticare. Un format che aveva come punto forte la partecipazione massiccia al programma dei vari settori della società venezuelana, e l’interazione con il pubblico, e che mostrava così la cifra principale della rivoluzione bolivariana.

L’insorgere della pandemia ha evidentemente obbligato a un cambio di marcia che ha richiesto progressivi aggiustamenti. Tuttavia, seguendo la prima puntata del 2021, la N. 325, e confrontandola con quella dell’anno prima, il 6 gennaio del 2020, l’unico rimpianto è quello di non vedere le bandiere rosse, i visi sorridenti, la Forza Armata Nazionale Bolivariana “antioligarchica e antimperialista” che saluta a pugno chiuso. Per il resto, questa puntata dedicata all’assunzione d’incarico del nuovo Parlamento venezuelano, ha tenuto sempre alta l’attenzione dei telespettatori, commentando gli avvenimenti interni e quelli di carattere internazionale.

L’hashtag #briza bolivariana 2021, ha riassunto i contenuti della puntata, dedicata al risveglio dei popoli, tema con il quale Diosdado, che ora guida il blocco chavista nella AN, ha aperto il suo intervento nell’emiciclo. Le immagini provenienti dagli Stati Uniti, relative all’assalto al Congresso dei fan di Trump, hanno fatto da contraltare e da filo conduttore al ragionamento: “Ecco a che punto avrebbero voluto portare il nostro paese – ha detto Diosdado – riferendosi alle politiche golpiste dei burattini dell’imperialismo in Venezuela”.

Poi, ricordando le affermazioni di quanti, come Marco Rubio, hanno commentato l’assalto definendolo “da Terzo Mondo”, ha puntualizzato: “No, signori, i nostri popoli non sono violenti, i popoli poveri non sono violenti, la violenza la porta l’imperialismo. Il Terzo Mondo sta nel vostro cervello, se ne avete uno”.

Una vera chicca, è stata presentare il video con il discorso del trumpista con le corna che si rivolge ai venezuelani, esortandoli a liberarsi dal chavismo e dal comunismo che la setta QAnon considera responsabili di tutti i mali… Non ci stupiremmo, ha detto sarcastico Diosdado, se accusassero Maduro, come altre volte in passato, di finanziare l’attacco alla “democrazia” USA: “un sistema malato, che per sostenersi deve rubare ai più piccoli, che continua a sottostimare i popoli, e produce simili reazioni suprematiste, da parte di chi si crede superiore per il colore della pelle”.

La cura per il suprematismo? Potrebbe essere un buon libro, ha detto il capitano, ma purtroppo le buone letture non si possono iniettare con una siringa… E quando l’ottusità si sposa con interessi criminali, come nel caso del governo di Ivan Duque, in Colombia, si arriva al punto di escludere dal vaccino i migranti venezuelani perché sono in situazione irregolare.

Il governo colombiano è responsabile di massacri e ruberie. Eppure, il golpista Leopoldo Lopez si fa ospitare nel programma del presidente colombiano per tesserne le lodi, e per lanciare altre accuse contro la rivoluzione bolivariana. Il loro intento è quello di spillare sempre più denaro, ha denunciato Diosdado, presentando le dichiarazioni di Duque e di Lopez su ulteriori richieste di aiuti all’Unione Europea. E poi ha chiesto: qualcuno degli oppositori ha mai visto il denaro che, sulla carta avrebbe dovuto essergli destinato?

Da qui esilaranti video nei quali le varie componenti dell’opposizione si scambiano accuse virulente a proposito del bottino, e della loro inconcludenza, chiamandosi “fossili” oppure “monconi congelati di gorilla”. Da qui, puntuali smascheramenti del discorso di “Juanito Alimaña”, che farfuglia di democrazia e rispetto della costituzione, quando tutti i suoi atti – dall’autoproclamazione, al tentato golpe del 30 aprile, alla richiesta di invasione armata del paese – sono andati in senso opposto.

#Brisa Bolivariana 2021. Nei 200 anni dalla battaglia di Carabobo. Dal lato chavista, ci si prepara alle sedute e agli obiettivi del nuovo Parlamento. La maggioranza degli eletti del PSUV è composta da giovani sotto i quarant’anni, alla loro prima esperienza parlamentare. Per quasi la metà si tratta di donne. Diosdado ha richiamato l’intervento della deputata e giornalista Desirée Santos Amaral, che ha messo in guardia sul pericolo di un ritorno del machismo. Poi, la voce di Chavez risuona. Risuonano i suoi discorsi davanti al Parlamento o all’apertura dell’anno giudiziario, chiarissimi circa il percorso intrapreso dalla rivoluzione bolivariana.

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