Il ritorno di Cuba nella lista degli sponsor del terrorismo

quali sono le opzioni di Biden?

Rafael González Mora  https://progresosemanal.us

L’ingiusta ed arbitraria reincorporazione di Cuba nella lista degli stati patrocinatori del terrorismo costituisce una decisione politica che è essenziale analizzare partendo da tre domande fondamentali: quali scopi persegue? Quali sono le sue implicazioni per la politica verso Cuba del prossimo governo USA? Quali opzioni avrebbe l’amministrazione Biden per gestire questa situazione?

Gli obiettivi di questa decisione sono strettamente legati agli interessi dei settori che hanno promosso, praticamente sin dal primo giorno dell’amministrazione Trump, riportare l’isola in quella lista. L’estrema destra cubano-americana e funzionari di alto livello di questa amministrazione hanno tenuto, permanentemente, in considerazione la valutazione di questo tema e hanno realizzato varie azioni di pressione. Le principali evidenze sono le seguenti:

Il 28 febbraio 2017, il congressista Mario Díaz Balart ha consegnato a Rick Scott, allora governatore della Florida, un memorandum di due pagine che includeva tra le proposte la designazione di Cuba come paese patrocinatore del terrorismo.

Il 3 marzo 2017 Scott, durante una visita di Trump a Tampa, ha tenuto uno scambio con il presidente a cui ha partecipato anche Marco Rubio e gli commenta il contenuto del documento. Si è convenuto che avrebbero elaborato una lettera e l’avrebbero inviata alla Casa Bianca, cosa che è stata fatta a metà dello stesso mese.

Il 29 settembre 2017, lo stesso giorno in cui è stata annunciata la riduzione del personale diplomatico USA all’Avana, sulla scorta dei presunti incidenti acustici, Marco Rubio ha sostenuto, in un comunicato ufficiale, la reincorporazione di Cuba nella lista.

Il 16 giugno 2018, l’organizzazione anti-cubana “Inspire America Foundation” il cui scopo principale è promuovere la politica di scontro contro Cuba, ha inviato una lettera a Trump sollecitandogli l’inclusione del paese nella suddetta lista. I membri di quel gruppo hanno partecipato, insieme al presidente, alla firma del “Memorandum Presidenziale per la Sicurezza Nazionale sul Rafforzamento della Politica USA verso Cuba” nel giugno 2017.

All’inizio di febbraio 2019, l’allora consigliere per la sicurezza nazionale, John Bolton, ha prospettato, in una riunione, la proposta di riportare Cuba nella lista come un passo per continuare l’incremento delle pressioni. Bolton stesso è colui che fa questa rivelazione nel suo libro “La stanza in cui è accaduto: Una memoria della Casa Bianca”. In quel momento, uno dei più entusiasti difensori di questa idea era Mauricio Claver-Carone.

In sostanza, il tema, per questo settore, si considerava come una sorta di “fiore all’occhiello” per tre ragioni fondamentali:

1) la decisione avrebbe provocato un sostanziale deterioramento del clima bilaterale e avrebbe immediatamente cancellato gli spazi di dialogo;

2) si sarebbe imposto un regime aggiuntivo di sanzioni economiche, commerciali e finanziarie che avrebbe colpito le società USA e di paesi terzi

3) si avrebbero create le condizioni ideali per la rottura delle relazioni diplomatiche.

Quindi, riportare Cuba nella lista era il passo necessario ed essenziale che faceva accelerare il raggiungimento dell’obiettivo più grande: mandare in pezzi l’eredità di Obama ed iniziare una spirale di azioni ostili senza limiti. Fortunatamente, su questo tema, alcune agenzie governative hanno eretto una linea rossa che questi settori non hanno potuto oltrepassare fino al 12 maggio 2020, quando il Dipartimento di Stato ha divulgato la sua certificazione che Cuba “non collaborava pienamente con la lotta antiterrorista”. Questa azione indicava che la resistenza burocratica era stata spezzata e costituiva un segno di ciò che stava per venire.

Tra il 2017 e l’inizio del 2020, è evidente che non c’era consenso all’interno dell’amministrazione Trump per adottare questa decisione, né erano create le condizioni per politicizzare la designazione di Cuba. Rappresentanti di organismi e strutture professionali legate ai temi della sicurezza nazionale che partecipano a questo processo di valutazione, si sono convertiti in un forte ostacolo per la realizzazione di questo proposito.

Risulta ovvio che la sua maggior preoccupazione fosse che un totale deragliamento delle già tese relazioni bilaterali generasse il verificarsi di incidenti e conclusioni con gravi implicazioni per la sicurezza nazionale di entrambi i paesi. Tuttavia, alla fine si è imposta l’irrazionalità politica, l’odio e la frustrazione del settore della linea dura approfittando delle circostanze senza precedenti di un governo che agiva senza freni e totalmente fuori controllo.

La sconfitta di Trump alle elezioni presidenziali e le prospettive che si aprivano per il miglioramento dei legami tra Cuba e USA, a partire dal 20 gennaio, con un nuovo governo democratico, costituiscono i fattori determinanti che spiegano perché adottare, ora, la decisione. Il contesto politico li ha costretti ad affrettare i loro piani e non hanno avuto altra scelta che usare questa manovra come strumento per ostacolare un eventuale smantellamento del suo principale risultato in questi quattro anni: imporre una politica ostile e conflittuale.

Il suo obiettivo strategico è limitare al massimo la capacità del governo Biden di avviare, in una prima fase, un processo di ricomposizione delle relazioni che implica eliminare il sistema di pretesti, sanzioni, misure e disposizioni esecutive che sono la base dell’attuale politica. Stanno puntando a che la nuova amministrazione inizi la politica verso Cuba in una posizione di partenza con le mani ed i piedi legati, portando sulle spalle i complessi ostacoli che avrà sul suo cammino dal primo giorno di governo.

Lo scenario bilaterale che erediterà il nuovo presidente USA, e la sua squadra, non può essere peggiore. In prima istanza dovrà confrontarsi ed adottare una posizione in relazione a quattro temi chiave che costituiscono il nucleo fondamentale dei pretesti che ha promosso l’amministrazione Trump:

la cosiddetta situazione dei diritti umani nell’isola;

il ruolo di Cuba in Venezuela;

il ruolo dei militari nell’economia; gli incidenti acustici

ed ora il reinserimento nella lista dei patrocinatori del terrorismo.

Ciascuno separatamente rappresenta un ostacolo al progresso nel miglioramento dei legami e sono obbligati a valutare il costo politico che avrà rompere definitivamente con tutti essi o riconoscerne alcuni. La decisione che adottino su come gestire ogni pretesto sarà vitale per la dinamica delle relazioni.

L’impatto che la recente inclusione nella lista avrebbe sull’orientamento della politica verso Cuba dell’Amministrazione Biden deve essere necessariamente esaminato in questo contesto. A partire dal 20 gennaio, questa decisione all’inizio potrebbe produrre le seguenti implicazioni:

Ritarderebbe qualsiasi tentativo di avanzare, immediatamente, nel creare un clima politico costruttivo su un piano di parità tra i due governi, essenziale per un’eventuale ricomposizione delle relazioni.

Prenderebbe più tempo riattivare i meccanismi di dialogo bilaterale creati, a diversi livelli, durante l’era Obama, che sono essenziali per affrontare questioni chiave nell’agenda tra i due paesi.

Influenzerebbe il ritmo ed i risultati che devono essere raggiunti, a breve termine, nei temi di interesse comune nelle loro diverse aree, compreso il contrasto alle pandemie, il cambio climatico ed i crimini transnazionali che costituiscono minacce condivise per la sicurezza nazionale di USA e Cuba.

Ostacolerebbe l’attuazione, tempestiva e rapida, dei 22 strumenti bilaterali adottati e vigente sui temi di interesse comune.

Aumenterebbe il controllo, sorveglianza e divieti alle operazioni finanziarie che coinvolgono Cuba con terzi, il che potrebbe implicare che determinate banche si astengano dal partecipare a transazioni per timore di essere sanzionate.

Contribuirebbe a promuovere un ambiente di disinteresse per il mercato cubano nella comunità imprenditoriale USA e incrementerebbe la percezione del rischio paese tra i potenziali investitori di altre nazioni.

La maggior parte delle sanzioni economiche, commerciali e finanziarie che derivano per un paese dall’appartenere a questa lista, sono già state applicate a Cuba da diversi anni nell’ambito della politica di blocco ed il governo Trump le sta attuando con il massimo rigore. Per questo motivo, le implicazioni più significative si concentrano nell’ambito politico e, soprattutto, nelle relazioni governo-governo.

Nonostante queste complessità che implicano serie sfide a fronte di una ricomposizione dei legami, Biden in qualità di presidente avrà i poteri esecutivi necessari non solo per allentare quei nodi che gli pretendono imporre bensì per spezzarli definitivamente per cui deve mostrare volontà politica e determinazione. Il fatto che Cuba sia sulla lista non è un impedimento affinché il nuovo governo adotti le seguenti misure che avrebbero un impatto positivo immediato:

Ristabilire i viaggi a Cuba nelle 12 categorie esistenti attraverso una licenza generale.

Ristabilire le licenze affinché le compagnie aeree, da crociera e le imbarcazioni da diporto operino in condizioni normali.

Eliminare la lista degli “alloggi proibiti” che limita dove possono soggiornare i viaggiatori quando visitano l’isola.

Ristabilire la licenza generale affinché i fornitori di rimesse dagli USA sottoscrivano contratti con la parte cubana ed eliminare il limite imposto all’invio delle rimesse.

Consentire alle istituzioni USA aprire e mantenere conti di corrispondenza in istituti finanziari di Cuba per facilitare l’elaborazione delle transazioni autorizzate.

Eliminare la lista di “entità limitate” del Dipartimento di Stato che proibisce la realizzazione di operazioni economiche, commerciali e finanziarie con determinate persone giuridiche cubane.

Sospendere l’applicazione del Titolo III della Legge Helms-Burton.

Riattivare i meccanismi di dialogo bilaterale su temi di interesse comune legati alla sicurezza nazionale di entrambi i paesi.

Questo gruppo di azioni genererebbero una dinamica bilaterale iniziale che contribuirebbe a limitare, in modo significativo, le implicazioni dell’inclusione di Cuba nella lista dei promotori del terrorismo e creerebbe un ambiente favorevole affinché il processo di eliminazione di tale elenco si realizzi più rapidamente. Su quest’ultimo aspetto, le leggi USA stabiliscono una procedura di uscita che può richiedere diversi mesi.

Dobbiamo ricordare che quando l’amministrazione Obama ha annunciato la sua intenzione di escludere Cuba dalla lista, il 17 dicembre 2014, fino alla sua esclusione, il 29 maggio 2015, sono passati cinque mesi e dodici giorni. Questo processo di esclusione prevede due passaggi essenziali:

  1. il Dipartimento di Stato dirige e coordina un processo di revisione sulla designazione e

  2. successivamente viene inviato un messaggio al Congresso attestante che il paese in questione ha ottemperato ai requisiti stabiliti dalle leggi USA.

Nel caso di Cuba, l’amministrazione Obama ha affermato che “il governo cubano non ha fornito alcun sostegno al terrorismo internazionale negli ultimi sei mesi” e che “ha fornito garanzie che non sosterrà atti di terrorismo internazionale in futuro”. Dopo che il Congresso riceve tale comunicazione, deve attendere 45 giorni a partire da quanto stabilito nelle leggi. Su questo tema c’è già un cammino percorso che Biden conosce, deve solo riprendere quella stessa strada ed escludere Cuba, il più rapidamente possibile, da un documento in cui non avrebbe mai dovuto essere. Dopo questo passaggio e superati gli altri ostacoli, senza dubbio, si potrebbe riprendere, con maggior forza ed intensità, il lungo e complesso processo verso la normalizzazione delle relazioni.


El retorno de Cuba a la lista de patrocinadores del terrorismo: ¿Cuáles son las opciones de Biden?

Por Rafael González Mora

La injusta y arbitraria reincorporación de Cuba a la lista de estados patrocinadores del terrorismo constituye una decisión política que resulta imprescindible analizar partiendo de tres preguntas fundamentales: ¿Qué propósitos persigue? ¿Cuáles son sus implicaciones para la política hacia Cuba del próximo gobierno estadounidense? ¿Qué opciones tendría la Administración Biden para manejar esta situación?

Los objetivos de esta decisión están estrechamente vinculados a los intereses de los sectores que promovieron prácticamente desde el primer día del gobierno de Trump retornar a la Isla a esa lista. La extrema derecha cubanoamericana y funcionarios de alto nivel de esta Administración mantuvieron permanentemente bajo consideración la evaluación de este tema y realizaron varias acciones de presión. Las principales evidencias son las siguientes:

El 28 de febrero del 2017, el congresista Mario Díaz Balart le entregó a Rick Scott, entonces gobernador de la Florida, un memorando de dos páginas incluyendo entre las propuestas la designación de Cuba como país patrocinador del terrorismo.

El 3 de marzo del 2017, Scott durante una visita de Trump a Tampa sostiene un intercambio con el mandatario en el que participa también Marco Rubio y le comenta el contenido del documento. Se acordó que elaboraran una carta y la enviaran a la Casa Blanca, lo que se efectuó a mediados de ese propio mes.

El 29 de septiembre del 2017, el mismo día que se anunció la reducción del personal diplomático estadounidense en La Habana bajo el argumento de los supuestos incidentes acústicos, Marco Rubio abogó en un comunicado oficial por la reincorporación de Cuba a la lista.

El 16 de junio del 2018, la organización anticubana “Inspire America Foundation” que tiene como propósito fundamental promover la política de confrontación contra Cuba, le envió una carta a Trump solicitándole la inclusión del país en el mencionado listado. Los miembros de esa agrupación participaron junto al mandatario en la firma del «Memorando Presidencial de Seguridad Nacional sobre el Fortalecimiento de la Política de Estados Unidos hacia Cuba» en junio del 2017.

A principios de febrero del 2019, el entonces asesor de seguridad nacional, John Bolton, planteó en una reunión la propuesta de retornar a Cuba a la lista como un paso para continuar el incremento de presiones. El propio Bolton es quien realiza esta revelación en su libro “La habitación donde sucedió: Una memoria de la Casa Blanca”. En ese momento, uno de los más entusiastas defendiendo esta idea fue Mauricio Claver – Carone.

En esencia, el tema para este sector se consideraba como una especie de “joya de la corona” por tres razones fundamentales:

1) la decisión provocaría un deterioro sustancial del clima bilateral y cancelaba de inmediato los espacios de diálogo;

2) se impondría un régimen adicional de sanciones económicas, comerciales y financieras que afectarían a compañías estadounidenses y de terceros países

3) se crearían las condiciones ideales para el rompimiento de las relaciones diplomáticas.

Por lo tanto, retornar a Cuba a la lista era el paso necesario e imprescindible que hacía expedito el cumplimiento del objetivo mayor: volar en pedazos el legado de Obama y comenzar un espiral de acciones hostiles sin límites. Afortunadamente, sobre este tema determinadas agencias gubernamentales erigieron una línea roja que no le fue posible cruzar a estos sectores hasta el 12 mayo del 2020 cuando el Departamento de Estado divulgó su certificación de que Cuba “no cooperaba plenamente con la lucha antiterrorista”. Esta acción indicaba que la resistencia burocrática había sido quebrantada y constituía una señal de lo que estaba por venir.

Entre el 2017 y principios del 2020, es evidente que no existía consenso dentro del gobierno de Trump para adoptar esta decisión ni estaban creadas las condiciones para politizar la designación de Cuba. Representantes de instancias y estructuras profesionales vinculadas a los temas de seguridad nacional que participan en este proceso de evaluación, se convirtieron en un fuerte obstáculo para que se concretara este propósito.

Resulta obvio que su mayor preocupación era que un descarrilamiento total de las ya tensas relaciones bilaterales generara la ocurrencia de incidentes y desenlaces con serias implicaciones para la seguridad nacional de ambos países. No obstante, finalmente se impuso la irracionalidad política, el odio y la frustración del sector de línea dura aprovechando las circunstancias inéditas de un gobierno que actuaba desenfrenado y totalmente fuera de control.

La derrota de Trump en las elecciones presidenciales y las perspectivas que se abrían para el mejoramiento de los vínculos entre Cuba y Estados Unidos a partir del 20 de enero con un nuevo gobierno demócrata, constituyen los factores determinantes que explican por qué adoptar la decisión ahora. El contexto político los obligó a precipitar sus planes y no les ha quedado más remedio que emplear esta maniobra como un instrumento para obstaculizar un eventual desmontaje de su principal logro en estos cuatro años: imponer una política hostil y confrontacional.

Su objetivo estratégico es limitar al máximo la capacidad del gobierno de Biden para iniciar en una primera etapa un proceso de recomposición de las relaciones que implica eliminar el sistema de pretextos, sanciones, medidas y disposiciones ejecutivas que sustentan la política actual. Están apostando a que la nueva Administración inicie la política hacia Cuba en una posición de arrancada con las manos y pies atados cargando sobre su espalda los complejos obstáculos que tendrá en su camino desde el primer día de gobierno.

El escenario bilateral que heredará el nuevo mandatario estadounidense y su equipo no puede ser peor. En primera instancia, tendrá que lidiar y adoptar una posición con relación a cuatro temas claves que constituyen el núcleo fundamental de los pretextos que ha promovido el gobierno de Trump: la denominada situación de los derechos humanos en la Isla; el rol de Cuba en Venezuela; el papel de los militares en la economía; los incidentes acústicos y ahora la reincorporación en la lista de patrocinadores del terrorismo.

Cada uno por separado representa un obstáculo para avanzar en el mejoramiento de los vínculos y están obligados a evaluar el costo político que tendría romper definitivamente con todos ellos o reconocer algunos. La decisión que adopten sobre cómo manejar cada pretexto resultará vital para la dinámica que tomen las relaciones.

El impacto que tendría la reciente inclusión en la lista en la orientación de la política hacia Cuba de la Administración Biden hay que examinarlo necesariamente teniendo en cuenta este contexto. A partir del 20 de enero, esta decisión en principio podría producir las siguientes implicaciones:

Retardaría cualquier pretensión de avanzar con inmediatez en crear un clima político constructivo en un plano de igualdad entre ambos gobiernos que resulta imprescindible para una eventual recomposición de las relaciones.

Tomaría más tiempo reactivar los mecanismos de diálogo bilateral creados a diferentes niveles durante la etapa de Obama, los que son esenciales para abordar temas claves de la agenda entre ambos países.

Afectaría el ritmo y los resultados que requieren alcanzarse en el corto plazo en los temas de interés común en sus diferentes áreas incluyendo el enfrentamiento a pandemias, el cambio climático y los delitos transnacionales que constituyen amenazas compartidas a la seguridad nacional de Estados Unidos y Cuba.

Obstaculizaría la implementación con oportunidad y celeridad de los 22 instrumentos bilaterales adoptados y vigentes sobre los temas de interés común.

Incrementaría el escrutinio, vigilancia y prohibiciones a las operaciones financieras que involucren a Cuba con terceros, lo que podría implicar que determinados bancos se abstengan de participar en transacciones por temor a ser sancionados.

Contribuiría a promover un ambiente de desinterés por el mercado cubano en la comunidad empresarial estadounidense e incrementaría la percepción de riesgo país entre potenciales inversionistas de otras naciones.

La mayoría de las sanciones económicas, comerciales y financieras que se derivan para un país al pertenecer a este listado, ya venían siendo aplicadas a Cuba desde hace varios años como parte de la política de bloqueo y el gobierno de Trump las está implementado con máximo rigor. Por esta razón, las implicaciones de mayor significación están enfocadas en el ámbito político y, en especial, en las relaciones gobierno-gobierno.

A pesar de estas complejidades que implican serios desafíos de cara a una recomposición de los vínculos, Biden como presidente tendrá las facultades ejecutivas necesarias no solo para aflojar esos nudos que le pretenden imponer sino para romperlos definitivamente para lo que debe mostrar voluntad política y determinación. El hecho que Cuba esté en la lista, no es un impedimento para que el nuevo gobierno adopte las siguientes medidas que tendrían un impacto positivo de inmediato:

Restablecer los viajes a Cuba en las 12 categorías existentes mediante licencia general.

Restablecer las licencias para que las aerolíneas, cruceros y embarcaciones de recreo operen en condiciones normales.

Eliminar la lista de “alojamientos prohibidos” que limita donde pueden hospedarse los viajeros cuando visitan la Isla.

Restablecer la licencia general para que los proveedores de remesas desde Estados Unidos suscriban contratos con la parte cubana y eliminar el límite impuesto al envío de remesas.

Permitir a las instituciones estadounidenses abrir y mantener cuentas de corresponsalía en entidades financieras de Cuba para facilitar el procesamiento de las transacciones autorizadas.

Eliminar la lista de “entidades restringidas” del Departamento de Estado que prohíbe la realización de operaciones económicas, comerciales y financieras con determinadas personas jurídicas cubanas.

Suspender la aplicación del Titulo III de la Ley Helms – Burton.

Reactivar los mecanismos de diálogo bilateral en temas de interés común vinculados a la seguridad nacional de ambos países.

Este grupo de acciones generarían una dinámica bilateral inicial que contribuiría a limitar de manera significativa las implicaciones de la inclusión de Cuba en la lista de promotores del terrorismo y crearía un ambiente favorable para que el proceso de eliminación de ese listado se realice con mayor rapidez. Sobre este último aspecto, las leyes estadounidenses establecen un procedimiento de salida que puede tardar varios meses.

Debemos recordar que cuando la administración Obama anunció la intención de excluir a Cuba de la lista, el 17 de diciembre de 2014, hasta su exclusión, 29 de mayo de 2015, pasaron cinco meses y doce días. Este proceso de exclusión implica dos pasos esenciales:

1. el Departamento de Estado dirige y coordina un proceso de revisión sobre la designación y

2. posteriormente se envía un mensaje al Congreso certificando que el país en cuestión ha cumplido con los requisitos establecidos por las leyes estadounidenses.

En el caso de Cuba, el gobierno de Obama afirmó que “el gobierno cubano no ha brindado ningún apoyo al terrorismo internacional en los últimos seis meses” y que “ha brindado garantías de que no apoyará actos de terrorismo internacional en el futuro”. Después que el Congreso recibe dicha comunicación, debe esperarse 45 días a partir de lo establecido en las leyes. Sobre este tema ya existe un camino recorrido que Biden conoce, solo le queda retomar ese mismo sendero y excluir a Cuba lo más rápido posible de un documento en el que nunca debió estar. Después de este paso y habiendo despejado los otros obstáculos, sin lugar a dudas, se podría retomar con mayor fuerza e intensidad el largo y complejo proceso hacia la normalización de las relaciones.

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