L’ideologia della Rivoluzione cubana

Félix Varela, José Martí, J. Antonio Mella, E. Che Guevara, Fidel Castro

Traduzione: G. Federico Jauch per www.cuba-si.ch/it

VIDEO (in fondo alla pagina): Isabel Monal – Conferenza: “Carlos Marx, a 200 anni dalla sua nascita”, 26 giugno 2018, La Habana, Cuba

Cos’è l’ideologia, cosa intendiamo per ideologia della Rivoluzione cubana, come si articola il pensiero di Martí, Marx, Lenin e Fidel nell’ideologia rivoluzionaria dei cubani? Va notato che nella Cuba odierna, il capitalismo globale sta conducendo un’intensa guerra per l’egemonia culturale – a volte utilizza le proprie risorse per la sua riproduzione ideologica, e a volte ancora ne costruisce anche altre, appositamente progettate per l’isola irredenta – , e per questo si appropria del linguaggio della sinistra. Per il capitalismo globale un requisito è indispensabile: de-ideologizzare (cioè re-ideologizzare in senso opposto), disossare, spogliare i simboli e i termini della Rivoluzione del loro contenuto rivoluzionario. Fidel avrebbe sempre insistito sull’importanza e la difesa dell’ideologia rivoluzionaria. “Le sconfitte dell’ideologia – affermava nel 1971 – si pagano con battute d’arresto durante il cammino delle rivoluzioni“, e nel 1988, di fronte all ‘”umiliazione” ideologica dei partiti comunisti dell’Europa dell’Est, aggiungeva: “È forse abbandonando i principi più elementari del marxismo-leninismo che il socialismo può essere perfezionato?” La situazione di Cuba nel contesto latinoamericano è peculiare; dopo 60 anni di rivoluzione vittoriosa, la battaglia si combatte sul terreno ideologico: i media transnazionali cercano di smantellare il consenso raggiunto, che è il pilastro dell’unità ideologica della Rivoluzione.

Varie voci e generazioni partecipano a questo dibattito, non sempre concordando: l’illustre filosofa, Dr.ssa Isabel Monal Rodríguez (Sagua la Grande, 1931), Premio Nazionale per le Scienze Sociali 1998, direttrice della rivista Marx Ahora; Dr. Pedro Pablo Rodríguez (L’Avana, 1946), storico, Premio Nazionale per le Scienze Sociali 2009, direttore dell’Edizione Critica delle Opere Complete di José Martí; Dr. Rubén Zardoya Loureda (L’Avana, 1960), filosofo, già Rettore dell’Università dell’Avana; Dr. Miguel Limia David (Baracoa, 1952), filosofo, membro dell’Accademia delle Scienze cubana, direttore del Programma tecnico-scientifico nazionale sulla società cubana contemporanea; Dr. Carlos Delgado Díaz (Bauta, 1959), filosofo, ex Preside della Facoltà di Filosofia, Sociologia e Storia dell’Università dell’Avana; e il Dr. Fabio Fernández Batista, storico, professore all’Università dell’Avana. Il dibattito è stato moderato dal direttore di questa pubblicazione, Enrique Ubieta Gómez.

IL DIBATTITO

Enrique Ubieta Gómez: I documenti del partito sottolineano che l’ideologia della rivoluzione cubana è marxista, leninista, martiana e fidelista. Come interpretare questa affermazione?

Isabel Monal: Per come lo interpreto io, il pensiero di Fidel è essenzialmente l’ideologia della rivoluzione cubana. È un pensiero che, fondamentalmente, si nutre di Marx, Lenin e Martí, nonché di tutte le grandi tradizioni rivoluzionarie di Cuba e del continente. Le matrici principali sono, quindi, Marx, Lenin, Martí e Fidel Castro; quest’ultimo, nella misura in cui racchiude quelle tradizioni e quei retaggi, che a loro volta costituiscono matrici.

Con il termine matrice voglio esprimere l’idea di una fonte di nutrimento. Il pensiero di Fidel si nutre delle suddette matrici, le sviluppa, ma non in modo eclettico, non nel senso che a volte si conferisce a questa parola qui a Cuba a partire da una espressione storica molto specifica del pensiero latinoamericano, ma nel suo senso generale, ampio, proveniente dall’antichità greca classica. Non si tratta di un minestrone eclettico dove le matrici, le forze nutritive, si diluiscono e perdono il loro profilo e la loro struttura. Questa unione, questo intreccio, o – se ci esprimiamo con una categoria molto precisa -, questa articolazione, non si verifica in modo eclettico, ma piuttosto le matrici mantengono i loro profili peculiari. Ognuna di esse è in grado di coprire terreni che l’altra forse non copre; oppure un terreno può essere coperto da entrambe le matrici, in modo che sia possibile nutrirsi di entrambe.

In un discorso paradigmatico tenuto all’Università Carolina di Praga, Fidel offre una serie di indizi che ritengo essenziali. In questo discorso, il peso del marxismo e del leninismo per l’analisi, la diagnosi, l’interpretazione e l’elaborazione delle esperienze di Cuba e dell’America Latina è evidenziato con chiarezza. È un marxismo creativo, capace di guidare con mano magistrale la tattica e la strategia della Rivoluzione Cubana. A partire dal marxismo in generale, e soprattutto da Stato e Rivoluzione di Lenin, Fidel è in grado di apprezzare il ruolo delle classi, il modo in cui ognuna di esse agisce. Ma non si ferma a Lenin, bensì usa il metodo per fare un’analisi diversa, – questo significa essere marxista –  a seconda delle condizioni specifiche del paese. La sua visione dell’imperialismo è un chiaro esempio della creatività di Fidel in relazione allo sviluppo delle possibilità rivoluzionarie in America Latina. E tenete presente che la Rivoluzione è l’anima del marxismo ed è l’anima, secondo me, del pensiero di Fidel. Non è possibile comprendere l’apporto della Rivoluzione cubana, cioè come fare la Rivoluzione in condizioni totalmente diverse da quelle di altri paesi e continenti, se non si assume come grande apporto quella apertura a interpretare le nuove condizioni, sempre in modo creativo, senza dogmatismi di alcun tipo.

L’idea dell’imperialismo si trova in Martí prima che in Lenin. Non mi riferisco alla teoria, ma proprio all’idea di imperialismo, compreso il suo fondamento economico. Ma è con Lenin che il pensiero rivoluzionario realizza, diciamo, una prima teoria strutturata sull’imperialismo che attraversa tutto il XX secolo, alla quale contribuiscono vari teorici e politici, anche latinoamericani. In questa teoria c’è stata un’evoluzione; le analisi sono ancora oggi in corso. Fidel è capace di percepire quell’evoluzione e di seguirla.

Nella teoria dell’imperialismo c’è una significativa sovrapposizione tra Martí e l’eredità marxista. Non parlo solo della prima elaborazione di Lenin, ma di tutta la tradizione che ha attraversato il XX secolo fino ad oggi. Uno dei miei disaccordi con la sinistra marxista latinoamericana è che a volte vuole applicare il marxismo (il pensiero di Gramsci, ad esempio, che oggi è di grande valore), senza tener conto che siamo in un continente dominato da un feroce imperialismo. Non vedo come si possa interpretare qualcosa nel mondo di oggi senza una concezione e una teoria dell’imperialismo.

Ricordiamoci di quella favolosa idea di José Martí: “È giunto il momento che l’America Latina raggiunga la sua seconda indipendenza“; legata, a mio avviso, a tutta la teoria della liberazione nazionale, della giustizia sociale e dell’antimperialismo. Sappiamo che quest’idea è anteriore a Martí, esiste fin dagli anni Trenta del XIX secolo. Ma è Martí che gli conferisce la sua grande dimensione rivoluzionaria. Non sembra possibile conquistare quella seconda indipendenza senza l’eredità dei padri che, all’inizio del XIX secolo, fondarono quella che oggi chiamiamo Patria Grande.

Con il solo marxismo non possiamo tracciare una strategia di ampio respiro. Una delle ultime idee rilevanti di Fidel è legata alla nozione di alternativa: non solo gli obiettivi possono essere alternativi, ma anche i processi. Questa è una dimensione assolutamente straordinaria. La vera dimensione di quell’idea, che è una chiave di lettura della teoria e della pratica della Rivoluzione in America Latina, è incomprensibile se in qualche modo non si uniscono, non si sovrappongono, o come l’ho chiamata io (insieme a Olivia Miranda), non si articolano marxismo e leninismo con la tradizione nazionale e rivoluzionaria, e innanzittutto, con il pensiero di José Martí.

Enrique Ubieta Gómez: Potremmo definire in poche parole cosa si intende per ideologia e per l’ideologia della Rivoluzione Cubana?

 Miguel Limia David: Partirò da una definizione dell’ideologia della Rivoluzione cubana. In primo luogo, è un programma o paradigma storico-culturale che è parte essenziale dell’identità collettiva del popolo cubano, storicamente configurato sulla base dei suoi sforzi per raggiungere l’indipendenza nazionale, l’emancipazione sociale e la dignità umana – sia individuale che collettiva, a livello nazionale e internazionale – lo sviluppo economico, sociale e culturale del Paese, sulla base della giustizia sociale, dell’equità e dell’inclusione, senza disuguaglianze e discriminazioni illegittime, la partecipazione democratica e la sostenibilità globale del modo di produzione e di vita. Di conseguenza, vedo l’ideologia della Rivoluzione cubana come un fondamento integrale o codice di condotta che guida la pratica rivoluzionaria e serve come base spirituale per la cooperazione sociale, per l’intreccio dell’individuo con la società, nel processo di sviluppo storico.

Il termine ideologia della Rivoluzione Cubana non si riferisce solo alla contemporaneità, ma anche alla realtà spirituale in via di sviluppo che essa designa, come possiamo già identificarla nella sua origine alla fine del XIX secolo, come un vero e proprio fenomeno sociologico, una componente della consapevolezza di sé, della sensibilità, della mentalità e del comportamento di massa; in un rapporto organico nelle sue origini con la psicologia mambí, con posizioni pratiche, con l’esercizio quotidiano delle classi, dei gruppi, delle persone concrete che compongono il nostro popolo e che hanno lottato per questi fini nel corso della loro storia. Per questo motivo ha un rapporto contraddittorio con altre proposte di piattaforme spirituali paradigmatiche che sono apparse nel cuore della società cubana senza rendere omaggio a questo stesso scopo rivoluzionario, e quindi non tipico di Cuba. In questa prospettiva, ci sono alcune tappe nello sviluppo di quella piattaforma storica, dove è possibile differenziare il contributo di Martí, Marx, Engels, Lenin e altri leader rivoluzionari e pensatori cubani, come Fidel e Raúl.

Concordo con quanto affermato dalla dottoressa Isabel Monal sul concetto di articolazione organica dell’eredità di Marti con quella marxista e leninista in divenire. Mostra come queste produzioni siano state collegate dialetticamente, fornendo nuovi elementi cognitivi, valutativi e pratico-organizzativi che contribuiscono a ogni momento storico, offrendo risposte alle domande chiave che il popolo cubano ha posto durante la lotta anticoloniale, anticapitalista, antimperialista, nella costruzione del socialismo, sotto i diversi scenari storici.

Vista in questo modo, l’ideologia della Rivoluzione cubana non è un magazzino o un deposito di conoscenze, valori, simboli e posizioni pratiche. È un processo dinamico di produzione, circolazione e riproduzione di conoscenze, simboli e valori, di posizioni pratiche che conducono al collettivo e servono alla cooperazione sociale per assumere i compiti di indipendenza nazionale, emancipazione sociale, dignità umana, sviluppo del nostro paese. In esso la componente politica ha svolto un ruolo di primo piano, come legame indivisibile con l’etica e l’estetica. Ha caratteristiche distintive essenziali in termini di modalità su come fondare e costruire il processo di cooperazione sociale nelle diverse fasi del processo storico come comunità. Se sarà pertinente, cercherò di specificare in seguito qual è il valore del contributo di Martí, Marx, Engels e Lenin.

Rubén Zardoya Loureda: Penso che la prima cosa che dobbiamo verificare quando si cerca di rispondere alle domande di Ubieta è il carattere apparentemente irrimediabilmente polisemico del termine ideologia, che è servito a designare le realtà più diverse, da una presunta “scienza delle idee” nell’opera di Destutt de Tracy e dei suoi seguaci, fino a “sistema di concezioni e idee” nei dizionari e manuali a nostra disposizione, passando per “falsa coscienza” in Marx ed Engels (specialmente in L’Ideologia tedesca), “teoria non scientifica” nei testi di Pareto, o “visione del mondo di un gruppo umano”, un’espressione coniata da Mannheim.

In considerazione del tempo che abbiamo a disposizione, propongo di scavalcare questo groviglio terminologico, questa molteplicità di significati e di concentrarci sul concetto di ideologia, cioè sulla comprensione dell’essenza della materia designata con quel termine. Propongo a questo punto di farlo sulla base della concezione materialistica della storia, nel cui quadro il problema dell’ideologia e, in generale, delle forme ideali dell’attività pratica umana, occupa un posto centrale. Penso, tra l’altro, che in larga misura il marxismo sia una critica delle ideologie ed è esso stesso un’ideologia. Vorrei solo precisare che non uso il termine in questione nello stesso senso in cui lo hanno usato Marx e Engels, ripeto, quello di falsa coscienza.

In generale possiamo dire che l’ideologia è un processo di fondazione (nel senso dialettico di porre le fondamenta) di certi ideali sociali. C’è ideologia là, e solo là, dove gli ideali sociali sono messi in gioco, dove gli ideali sociali sono prodotti, diffusi e consumati. Quando parliamo di ideologia, parliamo della genesi sociale e della realizzazione degli ideali, del confronto e della lotta degli ideali, o, ciò che è lo stesso, parliamo della realtà quando si esprime negli ideali, tende agli ideali o si allontana da essi, si contrappone ad essi. Il resto sono precisioni, specificazioni, concomitanze.

Cos’è un ideale sociale? È un’immagine in cui appaiono risolte le contraddizioni che appesantiscono l’attività degli esseri umani, le relazioni sociali, una data situazione socio-storica, piena di bisogni insoddisfatti. In quanto tale, questa immagine costituisce un fine capace di unificare e organizzare l’attività dell’uno o dell’altro gruppo, settore, classe sociale e comunità attorno al compito comune di portarla in vita.

In senso stretto, ideale e ideologia sono due modi per cogliere la stessa realtà. Nel caso dell’ideale, quella realtà si riflette staticamente, come prodotto, come risultato; nel caso dell’ideologia, si fissa dinamicamente, come movimento, come processo. Di quale realtà stiamo parlando? Della realtà della formazione della soggettività umana e della socializzazione degli individui. In sostanza, la funzione dell’ideologia è quella di formare le capacità attive degli esseri umani in corrispondenza degli schemi ideali che regolano il comportamento socialmente significativo di gruppi, settori, classi e comunità. Il suo scopo è quello di formare i soggetti sociali ad un’azione socialmente significativa, in corrispondenza con gli imperativi derivanti dall’uno o dall’altro ideale sociale o insieme di ideali sociali.

Gli ideali passano attraverso il setaccio della classe, e attraverso questo, del gruppo, del genere, dell’etnia, della comunità, di ogni discorso, del gusto estetico, della norma morale o giuridica, di ogni mitologia, di ogni filosofia, di ogni verità (o errore) scientifica; essi articolano la diversità delle forme di produzione spirituale in un’unica configurazione ideologica; essi si realizzano, o potenzialmente si realizzano, attraverso tutte queste forme. Da questo punto di vista, l’ideologia non è circoscritta in un ambito indipendente dalla produzione di idee, ma costituisce una determinazione sostanziale di tutti i modi di produzione spirituale esistenti nelle formazioni sociali antagoniste. In virtù di questa onnipresenza, l’ideologia è un potente mezzo per la configurazione dell’universo mentale degli individui, per la formazione dei loro schemi di pensiero, l’organizzazione della loro attività psichica secondo certi fini, l’impostazione dei limiti dell’esperienza e anche della percezione, l’assegnazione di significato alle nozioni di bene e di male, il bello e il brutto, il legale e l’illegale, il sacro e il profano. Allo stesso modo, costituisce un fattore determinante di tutte le forme di attività umana, di tutte le istituzioni sociali e di tutte le modalità di cultura; uno strumento immanente del processo di produzione sociale.

A questo si associa, credo, il carattere limitato delle concezioni che riducono l’ideologia a politica; anche se in quest’ultima convergono, in un modo o nell’altro, tutti i modi di produzione delle idee e tutte le costruzioni ideologiche. A mio parere, accanto all’ideologia espressamente politica, non ci sono modi meno efficaci per gettare le basi degli ideali sociali, e si può parlare propriamente di ideologie mitologiche, religiose, giuridiche, etiche, artistiche, filosofiche e scientifiche. Si tratta di ideologie fondate – o prevalentemente fondate – sul mito, la religione, il diritto, la morale, l’arte, la filosofia e la scienza. Apprezziamo, tanto per fare un esempio, il peso ideologico di questi versi: “Con i poveri della terra voglio gettare la mia sorte / Il ruscello dei monti mi compiace più del mare“. Porre qui le basi di un ideale sociale non significa in alcun modo operare secondo le regole della logica formale o della dialettica.

Dal punto di vista che abbiamo delineato, quando parliamo dell’ideologia della Rivoluzione cubana, parliamo soprattutto degli ideali sociali della nostra rivoluzione. Molti universi culturali hanno contribuito alla formazione e alla fondazione plurale di questi ideali fin dagli albori della nazione, non solo quelli citati – il pensiero di Marx, Lenin, Martí e Fidel – ma sono pienamente d’accordo con Isabel quando dice che queste sono le quattro matrici fondamentali.

Una repubblica con tutti e per il bene di tutti, la cui prima legge è il culto dei cubani alla piena dignità dell’uomo, dove il bene, la verità e la giustizia formano un unico insieme. In questo modo potremmo sintetizzare l’ideale sociale che emana dal pensiero e dall’opera di José Martí, la sintesi creativa, nel XIX secolo, del pensiero patriottico cubano e, in larga misura, latinoamericano e universale. Tutti i valori della Rivoluzione cubana -e della nazione- sono indissolubilmente legati ad essa, prima di tutto l’antimperialismo, l’indipendenza e la sovranità nazionale. Va rimarcato il carattere eminentemente etico di questo ideale, associato all’idea di educazione come fonte di cultura.

Fin dai primi decenni del XX secolo, questo ideale è stato alla base (come afferma Isabel) della concezione materialistica della storia e della teoria del plusvalore, secondo Engels, le due grandi scoperte scientifiche di Marx. E si articola anche una teoria politica sui generis, basata sulla nozione di contraddizione tra classi sociali (o lotta di classe, secondo l’espressione popolare). Quando il marxismo si integra con gli ideali della Rivoluzione cubana (iniziata nel 1868), l’antimperialismo diventa anticapitalismo, un rifiuto di ogni forma di sfruttamento, dominazione, feticismo e alienazione degli esseri umani.

Nel pensiero e nell’attività pratica di Lenin si accentua il momento della soggettività rivoluzionaria e della sua necessaria organizzazione per la lotta contro il capitalismo. Il leninismo – che ci piacciano o meno gli ismi – è soprattutto il marxismo rivoluzionario, che si confronta con ogni tipo di marxismo riformista o pseudo-marxismo. Il marxismo rivoluzionario nell’epoca dell’imperialismo, nelle condizioni di quello che oggi chiamiamo sottosviluppo, nella lotta contro un nemico infinitamente più potente. Un marxismo che guarda verso le colonie e le semicolonie, verso i popoli è l’analisi concreta della situazione concreta, o come si è detto, che entra in quello che poi si chiamerà il Terzo Mondo, armato di una solida teoria sull’imperialismo. Un marxismo che nella sua azione pratica ha come nodo centrale la nozione di un partito di tipo nuovo, che Eric Hobsbawm ha definito la più grande opera di ingegneria politica del XX secolo, e che vale la pena di studiare in relazione al partito che fondò Martí e al nostro stesso partito. In molti dei suoi elementi decisivi, quello che il leader bolscevico ha definito un partito di nuovo tipo rimane un ideale. Infine, non posso resistere alla tentazione di evidenziare nel grande oceano del pensiero di Lenin l’idea – così spesso citata – che il marxismo non è un dogma ma una guida all’azione, o come egli stesso ha detto nel suo articolo “La guerra di guerriglia”, è l’analisi concreta della situazione concreta.

Quest’ultimo elemento mi sembra decisivo nel pensiero di Fidel che, come diceva Isabel, costituisce una sintesi creativa di tutto ciò che abbiamo detto prima. Credo che sia proprio l’orientamento del suo pensiero, al di là di ogni “verità stabilita”, verso l’analisi concreta di ogni situazione concreta che gli permette di fare questa sintesi, di arricchirla con la nostra esperienza e di delineare una strategia di lotta adeguata alla singolarità storica della Rivoluzione cubana.

Carlos Delgado: Ci chiedete cosa intendiamo, e io risponderò ciò che intendo. In primo luogo, l’ideologia è un essere vivente, non dipende solo dalle sue fonti, ma anche dai contesti. Suppongo che dobbiamo anche rispondere alla domanda di come cambia l’ideologia nel suo tempo storico, che non è cronologicamente quello dell’orologio, ma quello della sua validità. Ora, le fonti di un’ideologia segnano il divenire, il corso di quel processo, ciò che si argomenta con quell’ideologia e soprattutto, più che argomentare (perché non credo che l’ideologia argomenti), ciò che chiede, ciò che mobilita. L’ideologia giunge attraverso formule che possono essere comprese anche dall’ultima persona, da chi ha un livello di istruzione più elementare, formule che possono mobilitarlo. Ciò significa che le idee ideologiche sono molto forti per la loro capacità di convocare le persone e, allo stesso tempo, sono molto deboli a causa delle loro argomentazioni.

Le argomentazioni delle ideologie le abbiamo nella dottrina. In questo senso, l’ideologia della Rivoluzione cubana ha dietro di sé una dottrina. Sono d’accordo con l’idea della centralità del pensiero di Fidel Castro come leader storico della Rivoluzione, ma anche come personalità con una geniale capacità di collegare aree lontane della vita sociale. Qualsiasi politico può collegare l’importanza della scienza al processo politico o l’importanza della scienza alla Rivoluzione cubana. Fidel Castro non solo lo fa, ma collega anche l’importanza della scienza con la vitalità di ogni singolo cittadino cubano che vuole un cambiamento sociale. E lo fa dal 1959, dall’inizio della Rivoluzione. Ecco perché lo trovate alla fine della sua vita a parlare del libro di Stephen Hawking, il che non sorprende nessuno. C’è un pensiero politico, una dottrina politica che serve come base per un’ideologia, che si discosta dal pensiero di Fidel, o dal pensiero di Martí o di qualsiasi altra persona, perché l’ideologia vive nelle persone. La gente prende la formula e la capisce a modo suo. E questo produce dei cambiamenti, alcuni dei quali molto positivi, quando una certa idea diventa carne e sangue della gente e la mobilita; per esempio, l’idea del volontariato del Che, che non arriva alla gente come teoria scientifica o dottrina politica, ma come richiamo ideologico per il tipo di società che si vuole costruire.

Qualsiasi ideologia, non solo nel caso dell’ideologia politica in quanto tale, ma anche quelle che hanno a che fare con l’estetica o la religione, può cadere in certe mani che producono una deviazione. Qui sta anche la vitalità delle ideologie. Per me, la menzione del marxismo, del leninismo, di Martí e di Fidel Castro, significa soprattutto evocare le fonti che collegano l’ideologia della Rivoluzione cubana con il passato storico di Cuba. Questo è estremamente importante.

Quando, nel 1978, sono arrivato in Unione Sovietica, sono rimasto sorpreso che la Rivoluzione Sovietica sembrasse essere iniziata dal genio di Marx e Engels, dall’opera di Lenin, dai bolscevichi e dalle circostanze del XVII secolo. Tutta la storia precedente della Russia, tranne quella dei democratici rivoluzionari russi, come Chernichevski e Dobroliuvov, tra gli altri, era storia morta, non ha contribuito a nulla.

Questo non è mai successo nella Rivoluzione cubana. La Rivoluzione cubana del 1959 è sempre stata legata alle radici storiche del popolo cubano e alla nazionalità cubana. C’è Martí come simbolo fondamentale. Il marxismo, naturalmente, è anche una fonte fondamentale, perché il marxismo è una teoria che fornisce solidi argomenti per pensare al cambiamento sociale. E lo stesso si può dire del leninismo, perché non esiste un’esperienza storica per il cambiamento, sostenuta nel tempo, che non sia quella del leninismo. Abbiamo la Comune di Parigi, ma questa è durata solo pochi istanti. La Rivoluzione si verifica in Russia e il cambiamento di costruzione di un nuovo stato che si produce in Russia inizia con Lenin. Quindi c’è una fonte della Rivoluzione reale, del marxismo fatto carne nel processo politico, da cui si attinge la Rivoluzione cubana.

Sono d’accordo con Isabel nel senso che la sintesi, l’articolazione – utilizzando il concetto che hanno elaborato, io non mi sono soffermato in profondità per acquisirlo o scartarlo -, non avviene nel pensiero di Marti, perché Marti non c’è più, non avviene nel pensiero di Lenin o di Marx, avviene nel pensiero di Fidel che è il leader della Rivoluzione. Da qui la centralità di Fidel, anche se non credo che l’ideologia della Rivoluzione cubana possa essere ridotta al suo pensiero.

Non credo che l’ideologia si manifesti a livello di dottrina. Ci sono tre grandi sistemi di idee: teoria scientifica, dottrina e ideologia. Le idee – anche se le persone possono pensare che esse si muovano liberamente nella loro testa – rientrano sempre in uno di quei sistemi di idee.

Una dottrina può essere di carattere politico, ma anche estetico o etico. È un insieme di idee argomentate. Non ha la forma delle teorie scientifiche, ma non ha nemmeno la forma semplificata dell’ideologia o del postulato ideologico. I postulati ideologici che evocano, per necessità, devono essere semplici.

È stato detto più volte nella teoria  che l’ideologia è una falsa coscienza. Questo ha avuto le sue giustificazioni, ma a mio parere, è sbagliato dire che l’ideologia è falsa, perché l’ideologia esprime una verità, è una verità che ha un’argomentazione storica nella dottrina politica. Dove la troviamo? In un trattato politico, nel discorso di un politico, nel pensiero, nell’epistolario di quel politico. In altre parole, la dottrina non deve essere costituita accademicamente come dottrina scientifica. Ma non funziona socialmente allo stesso modo dell’ideologia, perché molte persone non la capiscono. L’ideologia funziona socialmente in modo molto ampio. Un esempio molto semplice della Rivoluzione cubana è la famosa frase del Che: “La qualità è il rispetto per il pubblico”. Questo è quello che ha detto, ma ciò che socialmente ha funzionato e ha raggiunto la gente, è che la qualità è il rispetto per il popolo. Questa è la formula ideologica, quella che raggiunge tutti. Il popolo siamo tutti. Qualcuno ha riformulato l’idea, l’ha fatta arrivare al popolo ed è stata socialmente riconosciuta in quella forma ideologica.

Mi sembra che si sia parlato di ideologia mescolando l’elemento ideologico con quello dell’argomentazione dell’ideologia che si trova nella dottrina politica. Diciamo che in Il Capitale di Karl Marx non appare l’ideologia, bensì la dottrina politica e la teoria scientifica, insieme. Ora, in una dichiarazione politica come il Manifesto del Partito comunista, c’è un peso maggiore di verità di tipo ideologico che di tipo dottrinario. Questo, con rispetto alla prima domanda.

Ora, cosa apporta José Martí alla Rivoluzione Cubana? Egli apporta, a mio avviso, una poesia rivoluzionaria, altamente capace di evocare il sentimento,  rivoluzionaria nel senso che è legata alla vita. Quell’unione della vita politica con l’idea del miglioramento della società, con l’utopia, questo è un contributo del pensiero di Martí che s’insinua e rimane. È un contributo molto importante.

Ho affrontato il punto di ciò che si intende per ideologia. Per me è uno dei tre grandi sistemi di idee che hanno specifiche caratteristiche e che rispondono a bisogni molto profondi degli esseri umani. Quando parliamo di ideologia – che si tratti di ideologia politica o di ideologia religiosa – non parliamo di qualcosa di superfluo, di qualcosa che qualcuno ha inventato. L’ideologia della Rivoluzione cubana non è stata inventata per ingannare nessuno. Il popolo cubano aveva bisogno di cambiare sulla base di un insieme di idee che gli dessero una visione del futuro, ed è in questo contesto che un insieme di idee ben sviluppate, pensate a livello di dottrina con argomenti, con fondamenti scientifici, può arrivare a mobilitare questo popolo. La stessa cosa accade con le ideologie di tipo religioso, per esempio: c’è sempre un bisogno, non è un sistema di idee di cui possiamo liberarci in questa fase storica.

Ora, è molto importante, a mio parere, non cadere in una sdolcinata visione dell’ideologia. Poiché il messaggio ideologico ha la possibilità di essere ricevuto da diversi settori sociali, con diverso accesso al processo decisionale, con diversi livelli di comprensione dell’ideologia, in una società possono verificarsi fenomeni di ogni tipo rispetto a un postulato ideologico: fraintendimenti, semplificazioni assolute. Poiché la postulazione ideologica sarà sempre semplificata in modo che tutti possano comprenderla, non può essere presentata sotto forma di teoria o di discorso astratto. Questo non solo mette l’ideologia in svantaggio (nel senso che è meno accurata di una teoria scientifica), ma le conferisce anche un enorme vantaggio. Dove c’è il difetto, c’è la virtù: l’ideologia, proprio perché è imprecisa e semplificata, può abbracciare, raggiungere la coscienza di milioni di persone. Ecco perché è così importante prendersene cura. Se l’ideologia viene trascurata, stiamo perdendo il veicolo di comunicazione con milioni di persone, che possono essere parte della causa e tuttavia esserne alienati, come conseguenza del mancato recapito del messaggio ideologico. Non c’è un lavoro di Lenin – che è uno dei primi a farne una questione politica – in cui la questione degli slogan non sia presente come questione cruciale, perché negli slogan va il messaggio ideologico che la gente comune può cogliere. La maggior parte delle persone non sono né accademici, né teorici, né funzionari pubblici; la maggior parte vive nel loro quotidiano e rappresenta la forza che muove il cambiamento. Ecco perché il lavoro ideologico è così importante: non si tratta solo di indottrinare, ma di rendere comprensibile la verità rivoluzionaria in modo che sia attraente e possa essere abbracciata nella trasformazione della società. Penso che questa sia una dignificazione dell’ideologia che dobbiamo sempre fare.

Il discorso che l’ideologia è falsa, che è una falsa coscienza, riemerge continuamente. Questo, nella scienza, può avere un’interpretazione, ma in realtà l’ideologia svolge funzioni sociali molto importanti, anche non rivoluzionarie; ecco perché dove non c’è la nostra ideologia, come diceva García Galló, non c’è il vuoto, ce n’è sempre un’altra.

L’ideologia della Rivoluzione cubana è l’insieme delle idee che esprimono il corpo base per la mobilitazione sociale, per l’azione di cambiamento che chiamiamo Rivoluzione cubana. Un corpo di base di idee mobilitanti.

Ora, l’ideologia non ha solo fonti. L’ideologia ha un contesto. Le fonti rimangono, i contesti cambiano. L’ideologia ha quindi una dialettica di stabilità e cambiamento molto complessa. L’ideologia che ha raggiunto milioni di persone tende a non voler cambiare, a diventare la verità ultima, e le esigenze della società tendono a richiedere cambiamenti anche nei postulati ideologici. Ecco perché a volte all’interno di un processo politico – credo che viviamo in quest’epoca – il momento di cambiamento dell’ideologia ha spesso bisogno di un lavoro molto sistematico per essere compreso dalla gente, perché non tutti vivono esistenzialmente le circostanze nel modo in cui possono essere comprese dalla politica o dalla scienza.

Questa dialettica del cambiamento e della stabilità dell’ideologia a volte ci mette in trappole mortali. Possiamo farci coinvolgere in questioni come l’aborto. Uno assiste a discussioni in altri paesi su questo tema e si chiede: “Di cosa stiamo parlando? Stanno discutendo con argomentazioni degli anni Venti del secolo scorso. È qui che entra in gioco la resistenza ideologica. La stessa cosa accade con l’appropriazione di una nuova idea politica. In tutto questo c’è una dinamica molto interessante e molto delicata all’interno dell’ideologia già consolidata.

Enrique Ubieta Gómez: L’ideologia della Rivoluzione (nel XX e XXI secolo) nasce, si alimenta e cresce in guerra contro l’ideologia del capitalismo, oggi egemone ed essenzialmente controrivoluzionaria, che conta per la sua riproduzione con i mezzi d’influenza transnazionali e l’industria dello spettacolo in tutte le sue varianti. Lo stesso televisore che trasmette un discorso di Fidel, un’ora dopo trasmette un film il cui contenuto ideologico, mascherato – e questo lo rende più pericoloso – conduce le emozioni, i desideri e le idee dello spettatore nella direzione opposta.

L’ideologia rivoluzionaria, anche quando è la vincitrice di una rivoluzione, vive in un combattimento permanente con l’ideologia controrivoluzionaria. Non arriva impacchettata come un regalo di compleanno: avanza tra i proiettili e le mine nemiche. E si evolve, perché deve costruire e distruggere il consenso, di quelli che favoriscono e di quelli che ostacolano il corso rivoluzionario. Il carattere socialista della Rivoluzione cubana non fu dichiarato nel 1959; si dovette aspettare fino al 1961, fino a quando non ci furono le condizioni necessarie per il consenso. Ma il consenso ideologico non si muove e non si costruisce da solo; quando i rivoluzionari, invece di costruire il proprio, si dedicano ad amministrare quelli che “spontaneamente” sorgono, perdono la Rivoluzione: non c’è un consenso spontaneo, che non solo è il risultato di realtà nuove o inesplorate; nella loro ricostruzione, le transnazionali della (dis)informazione lavorano incessantemente.

A volte l’offerta fa guadagnare terreno al “rivoluzionario”; a volte il “controrivoluzionario” riacquista posizioni. Questo è influenzato da molti fattori contestuali, endogeni o esogeni. Per vincere, è essenziale che la realtà rivoluzionaria – non gli elementi controrivoluzionari che sussistono o riemergono in quella stessa realtà – muova l’ideologia al suo ritmo. Ma attenzione, questi elementi ideologici non rivoluzionari presenteranno i rivoluzionari come ostacoli, come dogmi da superare. Quando si chiede l’abbandono di certi postulati ideologici in nome della Realtà, bisogna discernere se è la realtà che avanza o che regredisce. Non si tratta, è vero, della maggiore o minore comprensione della teoria scientifica che ogni individuo ha. Quando qualcuno assume l’ideologia della Rivoluzione, consciamente o inconsciamente, assume, non importa se da una conoscenza molto carente, l’eredità di Marx, Engels e Lenin e di altri pensatori e politici; quell’eredità è implicita nella comprensione rivoluzionaria del mondo di oggi, e negli obiettivi che ci poniamo. D’altra parte, quando Fidel ha parlato nella Plaza, ha fatto dottrina e teoria e ha praticato la pedagogia popolare, ha spiegato più volte, da differenti punti di vista, un’idea che si integrava nell’arsenale ideologico rivoluzionario del popolo. Dove possiamo trovare la dottrina politica fidelista se non nei suoi discorsi, nelle sue lezioni magistrali di ideologia rivoluzionaria?

Pedro Pablo Rodríguez: Credo che le ideologie siano soprattutto processi storici e sociali; e se le intendiamo come tali, in qualche modo dobbiamo ammettere ciò che Carlos ha detto alla fine: che non sono statiche, ma subiscono trasformazioni.

Nei processi sociali che chiamiamo ideologie, non entrano solo idee con un alto livello di elaborazione teorica, ma anche elementi importanti come simboli, valori e sentimenti. Quando entrano questi elementi essenziali per la trasmissione ideologica, siamo già nel campo delle individualità. Ogni persona vive le ideologie, o le esprime, secondo la sua leale conoscenza e comprensione, come si diceva nel XV secolo. Sono questioni che spesso vengono dimenticate quando si affronta l’argomento in questione.

Penso che l’ideologia della Rivoluzione cubana sia la stessa dal 1959 ad oggi, e tuttavia non è esattamente la stessa, perché ci sono stati momenti, se ci riferiamo alla questione iniziale di Ubieta, che si riferiva alle “sue fonti e alle sue parti integrali”, in cui alcune di queste hanno prevalso su altre. Nell’era dell’intimità con il campo socialista, ad esempio, il marxismo ha prevalso. Dovremmo chiederci se è stato il marxismo di Karl Marx. Era un periodo in cui sembrava che Martí venisse lasciato da parte, anche se Fidel Castro insisteva sempre sulla sua validità.

Come accade a noi oggi, ci sono persone che, senza parlare di marxismo, esprimono in qualche modo un’ideologia della Rivoluzione o cercano di esprimerla a modo loro. Non oserei dire che sono controrivoluzionari; direi piuttosto che sono compagni che sentono e vivono i simboli della Rivoluzione, ma non lo fanno a partire dalle idee di Marx. Quante persone, a volte ingenuamente – e non parlo di persone con una formazione teorica – tendono a dire, per esempio, quella maledetta frase che “c’è sempre stata e ci sarà sempre gente povera”, con la quale riflettono una realtà che abbiamo nel Paese, con tassi di povertà che non esistevano negli anni Ottanta. Molte delle parole del reggaeton, tra le altre, sono espressioni sociali di questi fenomeni.

Nel pensiero di Fidel – e qui sono d’accordo con quanto ha detto Isabel all’inizio – c’è la sintesi della Rivoluzione cubana dal punto di vista delle sue idee, e direi anche la sua teoria. Credo che in lui ci sia un pensiero teorico, espresso attraverso il linguaggio di un politico, la pratica sociale di un politico, di un uomo che è stato capace di parlare di un numero enorme di argomenti e di farlo da una posizione generalmente invariabile. Potrebbe cambiare qualche posizione sul piano dell’azione politica – come ogni politico è costretto a fare, a causa delle circostanze, dei contesti -, ma le linee di fondo del pensiero di Fidel rimangono le stesse, anche se ha maturato idee e accresciuto le sue conoscenze sul piano teorico e culturale. Sappiamo tutti che era un grande lettore, un uomo che aveva la capacità di assimilare un’enorme quantità di conoscenza, anche nelle cosiddette scienze pure.

Ciò ha contribuito in modo decisivo a stabilire queste fonti: Martí da un lato, e alcuni marxisti dall’altro, in particolare Marx, Engels e Lenin. Ma non c’è dubbio che Fidel è la persona che meglio riesce a sintetizzare tutto questo e a trasmetterlo comprensibilmente sul piano ideologico.

Ora, abbiamo sempre detto che il marxismo è un’opera ideologica e di teorica, che a mio parere sono inseparabili, a meno che non si intenda intraprendere un certo studio scientifico, ma nell’espressione sociale del movimento marxista, dei pensatori e dei politici marxisti, l’ideologico e il teorico sono inseparabili. Consapevolmente o inconsapevolmente, elementi ideologici sono usati nelle lotte politiche su tutti i fronti.

In Martí vi è anche un pensiero teorico, forse non sufficientemente approfondito; c’è una filosofia, non sufficientemente elaborata. So che l’edizione critica del suo lavoro non mi lascerà il tempo per approfondire questo, ma ho cercato per un po’ di tempo di notare, di dimostrare, che c’è un apparato concettuale in Martí, e di definire che cos’è quell’apparato concettuale. Non direi che quello che Martí conferisce sia una poetica della Rivoluzione, ma è necessario insistere sul fatto che Martí pensa in modo diverso da quello che il mondo moderno stabilisce. La razionalità di Martí non è quella che cerca di esprimere in modo chiaro, al di là ciò che accade sul piano pratico, come appropriarsi di quella realtà. Cerca di farlo dall’interno e con un linguaggio che, pur essendo poetico, esprime la volontà di non lasciarsi intrappolare dalla concettualizzazione propria del pensiero filosofico e anche scientifico del suo tempo. Da qui il suo rifiuto, da un lato, del positivismo e, dall’altro, il riconoscimento dell’enorme ruolo della scienza. Questo gli permette, a mio avviso, di stabilire un diverso apparato concettuale.

Quando, per esempio, parla di una “nuova repubblica”, ci dice che non è una repubblica come quelle dell’America Latina, o anche, diciamo, come quella francese di allora. Qualcosa di simile avviene con l’espressione “la nostra America”. Perché non dire America Latina o America Spagnola? “La nostra America” dice, ed abbiamo il saggio dove spiega esattamente il perché.

Credo quindi che le ideologie siano in qualche modo plasmate dall’appropriazione di elementi teorici, ma non necessariamente espresse a livello teorico. Dico non necessariamente, perché a volte è possibile che appaiano elementi teorici, ma subordinati ai meccanismi dei simboli, dei sentimenti, che sono fattori molto importanti per spiegare la vita pratica delle persone. Nessuno guida un autobus pensando in teoria. Nessuno pensa a livello teorico quando parla quotidianamente dei problemi del Paese.

La Rivoluzione cubana, fin dall’inizio, ha disposto delle fonti sopra citate perché c’era una volontà e una chiarezza in Fidel; e ha sempre avuto una portata continentale e universale. Gli anni Sessanta sembravano l’epoca della rivoluzione latinoamericana, che era anche un modo per provocare la rivoluzione mondiale, per porre fine al capitalismo. Chi lo ha espresso meglio è Che Guevara: “creare due, tre, molti Vietnam“. Il nostro modo di contribuire a ciò che i vietnamiti stavano facendo era quello di creare una rivoluzione su scala continentale. Questa linea è fallita in America Latina, per uno e mille motivi, ma non ha fatto perdere alla Rivoluzione cubana il suo senso continentale e, attraverso di essa, il suo senso universale. Tutto questo è dovuto a una compenetrazione di radici, scopi e successi. Le radici, in generale, sono state queste. Forse troveremo altri elementi nel XXI secolo; forse nel 1959 Fidel Castro non poteva ancora manifestarsi, come all’incontro di Rio, sui problemi ecologici. Questo dimostra che Fidel ha saputo capire, studiare e assimilare, dalle sue stesse fonti, l’ecologismo o ambientalismo, come vogliamo chiamarlo.

Potremmo anche parlare del riconoscimento della Teologia della Liberazione da parte di Fidel. Fidel assimilava continuamente modi di pensare che potevano essere incorporati nell’espressione stessa teorica e ideologica della Rivoluzione cubana.

Viviamo oggi in un’epoca in cui le circostanze sono diverse e la nostra ideologia deve assimilare queste nuove circostanze. Diverse generazioni in questo paese sono state educate in un’ideologia che si opponeva alla proprietà privata dei grandi e anche dei piccoli mezzi di produzione. Sono sopravvissute solo le cooperative contadine. Oggi scopriamo che lo Stato rivoluzionario e il Partito hanno aperto spazi non solo per la proprietà privata nel Paese, ma anche per la proprietà straniera, per far intervenire i grandi capitali a Cuba, perché ne abbiamo bisogno in quantità massicce. Questo ci costringe a fare alcuni aggiustamenti ideologici.

Infine, vorrei dire quanto segue: un’ideologia che combatte contro un sistema non è la stessa ideologia che viene resa ufficiale dal sistema, che arriva al potere, tanto che il nostro partito si definisce marxista, leninista e martiano. Abbiamo un’ideologia che, secondo la Costituzione, è il centro del potere nel Paese, ed è quella che prevale, guidata dal Partito, dai media, dall’educazione. Sorge allora la domanda: come agisce come critica sociale? Questo è uno dei problemi dell’essere marxista in una società socialista. Forse questo era uno dei grandi problemi dell’Unione Sovietica. Come ottenere che il senso critico del marxismo e il senso critico di José Martí operino nella società (Martí è uno dei pochi pensatori e politici che hanno sempre dato priorità all’individuo, che non ha mai dimenticato l’individuo)? Come muoversi con un’ideologia che sia allo stesso tempo critica e solidale?

Fabio Fernández: In primo luogo, una domanda forse un po’ eretica: esiste una sola ideologia della Rivoluzione Cubana? Questa è una domanda che possiamo porre nel contesto attuale, ma possiamo anche riferirla agli anni ’60, o alla fine del XIX secolo. La storia ci dice che una risposta semplicistica a questa domanda è rischiosa. Faccio un esempio: Blas Roca e Raúl Roa hanno condiviso il loro sostegno al progetto rivoluzionario, ma condividevano la stessa ideologia? E si ricordi che entrambi si trovavano nell’universo del marxismo.

Enrique Ubieta Gómez: L’ideologia della Rivoluzione non proviene da nessuno dei suoi protagonisti, né è la somma di tutte queste, anche se alcuni portatori (di ideologie) sono riconoscibili più di altri. Essa possiede una nuova qualità che è stata raggiunta attraverso differenti vie. Ma l’origine ideologica viene relegata ad un secondo livello quando la linea concordata viene accettata, dal radicalismo più assoluto, dalla Rivoluzione, dalla leadership di Fidel e dal nuovo e unitario Partito comunista. In questo senso, anche se uno storico non dovrebbe ignorare le sfumature differenzianti, a mio parere, tutti condividevano la stessa ideologia.

Fabio Fernández: Interessante. Anche la stessa frase di Fidel che si riferisce a lui come a un ricamatore dell’unità, capace di costruire un insieme di consenso attorno a un gruppo di questioni al di sopra delle precedenti differenze ideologiche che, sebbene non così significative da implicare uno strappo, erano in vista.

Gli storici tendono a lavorare con concetti meno strutturati dei filosofi. Quando mi si parla dell’ideologia della Rivoluzione cubana, come storico mi pongo davanti al pensiero rivoluzionario cubano, termine che usiamo molto di più in Storia. E questo pensiero ha due linee centrali: da un lato, c’è il nazionalismo radicale cubano che si sviluppa nel processo di formazione della nazione e che porta all’antimperialismo. L’esempio di Martí è eloquente, anche se non è solo Martí, il cui sguardo è il più profondo, quello che ci permette di comprendere le idee che si collegano all’antimperialismo leninista. C’è un’altra linea di pensiero interessante nella tradizione del nazionalismo radicale cubano: quella anti-interventista. Anche gli anti-interventisti possono essere considerati precursori del pensiero antimperialista. Ora, è possibile trovare nella nostra storia figure di tendenza nazionalista, convinti anti-interventisti, che non hanno assunto una posizione radicale in relazione alle questioni sociali all’interno del Paese.

Enrique Ubieta Gómez: Definisci cosa intendi per nazionalismo radicale cubano…

Fabio Fernández: Il nazionalismo radicale è la scommessa sostenuta per la sovranità cubana contro i poteri esterni e per un progetto di trasformazione sociale a beneficio di chi sta in fondo. Martí è un simbolo di quel nazionalismo radicale che non accetta alcun tipo di compromesso con i poteri esterni ed è accompagnato da un progetto di trasformazione che sovverte le strutture a favore degli oppressi. Questa è una linea, una fonte della Rivoluzione. L’altra è la singolare appropriazione cubana, segnata da contesti storici, del pensiero marxista, fenomeno che inizia alla fine dell’Ottocento e avanza nel corso del Novecento in modo contraddittorio; che a volte entra in un dialogo creativo ma anche difficile con quella linea che deriva dal nazionalismo radicale. Qui ci sono figure come Mella, come Villena, essenziali se pensiamo all’ideologia rivoluzionaria. Credo che la chiave sia capire Fidel come sintesi di tutto questo pensiero.

Quando pensiamo all’ideologia, non possiamo perdere di vista una componente essenziale come il dibattito ideologico e quanto sia importante plasmare un’ideologia nel contesto della sua opposizione ai postulati di un’ideologia diversa. Penso, ad esempio, al dibattito ottocentesco tra indipendenza, riformismo, autonomia e annessionismo, un rapporto complesso poiché quasi tutti si muovevano sotto il grande ombrello del liberalismo. Oppure comprendere, ad esempio, quell’ideologia che nel XX secolo sta mescolando, integrando, il nazionalismo radicale che nasce dall’indipendenza con la tradizione marxista che dialoga, a sua volta, con il nazional riformismo. Quanto ha contribuito all’ideologia della Rivoluzione Cubana la predicazione di un movimento così complesso come l’Ortodossia, che non era marxista, che era per definizione anticomunista?

Dobbiamo stare molto attenti in questo tipo di riflessioni, perché possiamo facilmente cadere nella tentazione di costruire schemi semplicistici, che si allontanano dalla particolare configurazione che i dibattiti ideologici trovano nei tempi specifici in cui si sono svolti. E chiudo con un’altra domanda eretica, come quella dell’inizio: si può partecipare alla Rivoluzione Cubana, come progetto politico, solo a partire da un’ideologia? Sono convinto che ci sono ideologie che non si inseriscono nella Rivoluzione cubana, ma ce ne sono altre che lo fanno, e la pratica stessa di Fidel di unire volontà e forze attorno al progetto della Rivoluzione lo dimostra.

Enrique Ubieta Gómez: Per questo parliamo di varie fonti di partenza: Martí e la tradizione rivoluzionaria del pensiero cubano, il marxismo e il leninismo, compreso il fidelismo iniziale, che ha fatto entrare nel processo rivoluzionario milioni di cubani senza che avessero una coscienza definita. A tutto questo si potrebbe aggiungere la Teologia della Liberazione che attinge dal cristianesimo originale, e coloro che difendono la cultura nazionale e/o le tradizioni popolari. Da ognuno di loro è possibile accedere alla Rivoluzione. Nel pensiero e nell’azione di Fidel, queste fonti acquisiscono una nuova qualità. L’unità non fa sparire le fonti; alcuni rivoluzionari sono più legati ad alcune che ad altre, ma Fidel unisce le loro volontà attorno ad un progetto che non è più semplicemente quello originale.

Miguel Limia David: Riprenderò quanto detto da Carlos, su cui sono d’accordo: si tratta di una dottrina ideologica, un sistema di convinzioni, conoscenze, valori e pratiche realmente condivise. Questa è la chiave; stiamo parlando di principi, idee, valori, simboli e credenze che devono essere tradotti nella pratica del lavoro del Partito, del nostro Stato, delle nostre istituzioni statali, di massa e sociali, nelle politiche pubbliche, nel sistema di socializzazione e nel campo politico-ideologico. La dottrina ideologica ha bisogno di un’elaborazione teorica, concettuale e molto precisa. Si tratta di un compito solitamente svolto da professionisti che – in stretta e dinamica connessione con la vita delle persone – devono realizzare la generalizzazione della saggezza collettiva, producendo ed esprimendo in modo sintetico, essenziale e pertinente ad ogni momento storico, le conoscenze, i simboli, i principi e i valori chiave dell’attività rivoluzionaria, oltre a determinare, specificare e arricchire la memoria storica. Per questo è costruita come una biografia collettiva per la vita pratica, per una trasformazione rivoluzionaria.

Non si può dimenticare che l’ideologia, se seguiamo il pensiero di Marx nella sua concezione materialistica della storia, è il presupposto spirituale dell’attività pratica. Esprime interessi, è influenzata dalla natura socio-storica dei soggetti che la portano. Esprime e canalizza le esigenze di soggetti sociali diversi – non solo classisti – anche se gli interessi di classe sono molto importanti nella sua determinazione, e di norma acquisiscono un posto di priorità molto singolare. L’ideologia è quindi sempre una coscienza di parte, interessata, non indifferente. È un’immagine che valorizza la realtà, il che implica la possibilità di valutarla epistemologicamente in termini di veridicità e di posizionamento pratico e politico. Per natura è legata alle credenze sociali, alla convinzione che la realtà stessa è come postula, in quanto costituisce una consapevolezza delle condizioni di esistenza, dove le risorse della vita sono distribuite in modo eterogeneo, secondo reali rapporti di potere asimmetrici.

Il potere sulle condizioni di esistenza è costruito e distribuito in modo disuguale. L’ideologia si pronuncia su di esso, lo costruisce, o lo decostruisce, lo legittima o lo scredita. È una componente di questa relazione e istituzione sociale. Insisto sul fatto che, sia nell’aspetto dottrinale che quando prende forma nelle masse e si traduce in forza massiccia di azione collettiva, contiene immagini e proposte sulla realtà basate sull’esperienza di vita del soggetto storico, che esprimono sempre i suoi interessi, le sue aspirazioni e i suoi ideali sociali. Ma non è solo un ideale sociale, bensì anche un modo di percepire la realtà, di comprenderla – come chiede Fabio, con senso storico -, di costruirla esteticamente e di posizionarsi praticamente, perché si traduce in comportamenti e si esprime nel linguaggio, negli atteggiamenti, nel comportamento pratico delle persone. Le ideologie costituiscono piattaforme per convocare l’azione sociale, attraverso la cooperazione sociale intorno a diverse attività. La definizione di queste ultime dipende dal contenuto della fase storica e dalla congiuntura. Le attività e i compiti pratici priorizzati, suggellano, imprimono un tocco speciale alla struttura dell’ideologia come fenomeno sociale complesso.

L’ideologia propone una gamma di sensi della vita, non parla solo al collettivo, parla all’individuo, collega il progetto di vita personale con il collettivo. Il suo ruolo di fornitrice di significati di vita è cruciale per l’adolescenza e la gioventù, ma anche per ogni fase della vita in cui si sperimentano crisi esistenziali o quotidiane. L’ideologia, quindi, funziona come convinzione, come credo, come valutazioni profonde, che segnano la configurazione della personalità e diventano premesse di condotta pratica. Nella cultura cubana e nello sviluppo del pensiero rivoluzionario – un concetto che non è identico a quello ideologico – sono state fatte molteplici proposte su come configurare la nazione, il nostro popolo, di chi è “il nemico”, di chi sono “gli amici”, quali sono le tendenze significative che esistono nel mondo, quali sono le forze che devono essere prese in considerazione, come dobbiamo organizzarci. L’ideologia rivoluzionaria cubana si riferisce alle proposte delle avanguardie nel processo di formazione di Cuba – uso il termine nel senso dato da Fernando Ortiz – come convinzione e impegno per un processo indipendentista, di emancipazione sociale, non solo collettiva, ma anche personale.

Testimonio l’enfasi che Martí ha posto sull’individuo, che non è mai stato metodologicamente collettivista. Pur utilizzando i criteri dell’analisi di gruppo, e comprendendo appieno la psicologia collettiva e la necessità di sacrificare l’immediato interesse personale di fronte all’indipendenza collettiva, ha sempre distinto la natura e il ruolo dell’individuo, il carattere personale e dignificatore del processo rivoluzionario da lui condotto.

Vorrei anche aggiungere che, per le diverse fasi storiche della lotta, abbiamo condiviso piattaforme di convocazione ideologica differenziate nella loro unità. Per questo si parla di continuità paradigmatica. Da qui l’idea di questo intreccio, perché c’è stata una continuità e una coerenza, con rotture evidenti, anche da Martí in relazione a Maceo, ma Martí segue Maceo in aspetti chiave, come il non cessare la lotta fino al pieno grado di indipendenza e di emancipazione. Cosa voglio sottolineare? Abbiamo costruito diverse proposte paradigmatiche che esprimono una capacità di avvicinare le persone sulla base di un rapporto molto particolare di unità tra l’individuo e la società, la nozione di sacrificio non come fine ma come mezzo per raggiungere l’emancipazione sociale, la dignità personale e una vita pletorica sostenibile.

C’è una continuità in questo paradigma. Il marxismo ha dato un enorme contributo: ha innalzato qualitativamente la nostra ideologia nella sua comprensione della realtà sociale, delle forze, dei modi e dei metodi per trasformarla, e degli obiettivi rivoluzionari. Isabel Monal vi ha fatto riferimento. Vorrei riprendere l’argomento, non solo per quanto riguarda la nozione di imperialismo, ma anche l’ideale sociale da costruire, le forze capaci e i modi per costruire quella società. Fidel riformula questo problema e lo esprime da una cultura storica martiana, latinoamericana e storico-universale, e offre una nuova soluzione strategica e tattica, dando anche un’altra visione del partito. In questo è presente la continuità con Lenin, ma anche una rottura con il modo in cui il leader bolscevico ha organizzato il partito e definito la nozione di leader come un professionista. Fidel insiste su un’altra dimensione e punto di riferimento: quella del leader come servitore pubblico; il leader come il migliore dal punto di vista morale, testimoniato dal popolo, e come quadro al servizio del popolo. Né un caudillo, né un leader bonapartista che usa le masse popolari per fare carriera. Questa è la nozione martiana del leader. Il partito legato alla base e al servizio della stessa. L’ideologia costruita sul dialogo, in modo persuasivo, è la nozione che abbiamo ereditato dal giornale Patria.

Qui c’è creatività. Fidel ci pone un problema a cui la nostra ideologia non aveva pensato, che non faceva parte della saggezza e dell’identità collettiva di questo popolo: la questione ambientale, la necessità che il progetto storico sia sostenibile, non solo dal punto di vista economico e sociale, ma anche ambientale, per essere una proposta ecologicamente valida per l’umanità. Un altro esempio è la spinta di Fidel alla nozione di internazionalismo, che ci porta, per esempio, ad adempiere al nostro ancestrale obbligo morale verso l’Africa, che noi cubani abbiamo. Quell’enorme sacrificio che abbiamo fatto lì per contribuire alla liberazione, all’emancipazione dei popoli africani, esprime che condividiamo la vita con chi ne ha bisogno, non quello che abbiamo in eccesso, ma quello che abbiamo. È un concetto da prendere in considerazione, il che spiega molto perché la nostra ideologia sia oggi così fidelista.

Ma oggi (Pedro Pablo ha toccato l’argomento), più che mai il marxismo e il leninismo, nella loro espressione fidelista, devono arricchirsi di fronte alla situazione che il Paese si trova ad affrontare: l’aggiornamento del modello economico e sociale di sviluppo socialista, il rinnovamento dell’immagine del mondo esterno e del mondo interno. Sono passati sessant’anni di costruzione del socialismo, la debacle è avvenuta in Unione Sovietica e nell’Europa centrale e orientale, ci sono esperienze di successo in Cina e Vietnam, stanno emergendo nuove potenze, l’egemonia americana è profondamente contestata, il capitalismo sta entrando in una crisi sempre più profonda, anche se è ancora gestibile. In queste circostanze, vengono presentate nuove alternative di sviluppo socialista per il nostro Paese. Siamo chiamati a superare in modo definitivo il sottosviluppo in queste nuove condizioni storiche. Questo costringe il marxismo a offrire risposte – dalla sua piattaforma teorico-concettuale, arricchita dall’esperienza storica accumulata dal nostro popolo – alle domande che l’aggiornamento del modello ha posto, nel campo dell’economia politica, della scienza politica, della filosofia. Non significa rinunciare in alcun modo al ruolo centrale che corrisponde alla filosofia marxista e leninista nell’ordinamento della nostra cosmovisione, della nostra vita pubblica, ma di arricchirla, di aggiornarla, perché è uno degli elementi essenziali di questo cambiamento qualitativo che la nostra ideologia ha subito, a partire dall’inclusione del marxismo come parte delle conquiste che la Rivoluzione d’Ottobre ha portato.

Unità ideologica non significa monolitismo, pieno accordo in tutto e per tutti, unanimità. C’è ed è stata una pluralità di approcci, di metodi di costruzione, di alternative di politica pubblica all’interno di un progetto dello stesso segno; proprio qui è diventata evidente una pluralità di visioni che, quando ci inseriamo nell’ideologia della Rivoluzione cubana, hanno contribuito ai principi condivisi. Quindi ritengo che la nozione di principi rivoluzionari sia fondamentale. Sono legati non solo alla conoscenza, ma anche ai simboli, agli atteggiamenti, alle sensibilità, che dobbiamo saper difendere in un momento in cui, oltre alle complessità a cui ho fatto riferimento, ci troviamo di fronte a un nuovo modo di produrre spiritualità, di fronte a nuove forme di comunicazione sociale, basate sulle nuove tecnologie dell’informazione, sui social network. Ci troviamo di fronte a un nuovo modo di esprimere la verità, di plasmare le sensibilità e le mentalità collettive, soprattutto nelle nuove generazioni nelle nuove generazioni native digitali, che entrano in un dialogo molto più complicato quando si tratta di definire le loro identità e di optare per progetti di vita, per significati della vita, nel nostro processo rivoluzionario. Questa è una delle domande più importanti alle quali dobbiamo rispondere, e che costringe il pensiero marxista a Cuba ad essere molto sollecitato e chiamato oggi a dare soluzioni positive, a fornire le vie d’uscita affinché si possa costruire in questo paese una società socialista di successo, indipendente, sovrana, democratica, prospera e sostenibile, all’interno della complessità del mondo in cui viviamo, con un soggetto storico differenziato, molto diverso da quello che avevamo negli anni sessanta o settanta, non solo nella sua struttura generazionale e socio-classista, ma anche nella sua struttura personologica.

Isabel Monal: Concordo con la maggior parte delle idee che sono state fin qui espresse: e mi sembra corretto, dal punto di vista dell’ordinamento mentale, specificare, o sapere – se ci è concesso di saperlo – cos’è l’ideologia. È perfettamente logico. Ma anche gli interventi coerenti mostrano quanto sia complicato. Il problema è che si tratta di un concetto teorico con un’evoluzione storica molto complessa.

Marx e Engels non hanno fatto quasi alcun riferimento all’ideologia. Io sono una dei marxisti che usa il termine, perché è una necessità; non vedo come intraprendere una serie di analisi senza fare riferimento all’ideologia. Ma loro l’hanno accuratamente evitato, perché intorno agli anni 45 e 46 anni lo consideravano una falsa coscienza. Nel loro momento storico, gli diedero quell’interpretazione. Ma noi, come marxisti, abbiamo bisogno di questo concetto. Perché già questo ci porta alla coscienza, alle idee nel senso più ampio, che include valutazioni, conoscenze, sia scientifiche che ideologiche, cioè legate ai gruppi sociali, prima di tutto alle classi. La dimensione politica è essenziale, ma non è l’unica.

Cosa diceva Engels della grandezza di Marx? (Quando parliamo di marxismo, intendiamo Marx ed Engels, è chiaro, perché c’è un’elaborazione congiunta). ) Che è stato in grado di svelare e identificare ciò che c’era sotto il sottobosco di questo insieme di idee che oggi chiamiamo ideologia. E che parola ha usato per riferirsi a questo quadro che oggi chiamiamo ideologia? sottobosco! Guarda quell’immagine, che penso sia fantastica, perché dà un’idea di quanto fosse ingarbugliato quell’insieme di idee. Quell’intricato sottobosco di idee, come è il caso dei dibattiti che si stavano svolgendo in Germania in quel periodo, compreso il peso della religione, a cui i primi testi di Marx fanno spesso riferimento.

Tuttavia, il marxismo e il leninismo sono presenti nell’ideologia della Rivoluzione cubana, nella visione del mondo e nell’interpretazione della storia e della società e di tutto ciò che questo comporta. La teoria della Rivoluzione è inseparabile dalla concezione materialistica della storia.

È evidente che ogni pensiero, sia esso di un grande genio filosofico o di uno qualsiasi di noi, ha una sua evoluzione. Sono quindi pienamente d’accordo con l’idea della mobilità delle ideologie. Il materialismo storico è uno strumento per spiegarci la mobilità delle ideologie, cioè la mobilità delle idee, siano esse ideologiche o meno! Ma questa mobilità non implica la perdita di identità. E qui troviamo un problema che la filosofia non è riuscita a risolvere: a che punto un’identità, nella sua mobilità, cessa di essere se stessa?

Marx ed Engels hanno lasciato un’opera incompiuta; e parto da un’idea che di solito ripeto: il marxismo è permanentemente incompiuto, e non può essere altrimenti. Tutta l’eredità del marxismo – compresi i contributi di Lenin, Rosa Luxemburg, Gramsci, Fidel e molti altri – è incompiuta, perché è nella sua natura di esserlo. A differenza di altre filosofie, non presuppone che comprenda tutto in una volta sola. Allora, la perdita di identità diventerebbe già un problema, perché è nella loro identità cambiare. E cambia di fronte a nuove condizioni. Ad esempio, ci sono contributi significativi alla teoria della rivoluzione di Lenin e Mao. Anche le esperienze rivoluzionarie fallite danno un certo contributo. Fidel stesso contribuisce a questa teoria, anche se, insieme ad altri compagni dell’America Latina, si rende conto che le condizioni sono cambiate. Tuttavia, la sua ideologia non è cambiata, perché è inerente ad essa, cioè al suo marxismo e leninismo, tenendo conto delle nuove condizioni, e in corrispondenza con queste, a partire dalle quali verranno tracciate le strategia e tattica corrispondenti.

I compagni hanno messo sul tavolo un problema molto importante: la questione dell’unità. Si tratta dell’unità della diversità. L’ideologia non è il centomila modi diversi di pensare, ma è costituita da un insieme di obiettivi concreti che fanno camminare insieme tutte le forze che coincidono su una serie di punti essenziali. Non è un’esclusiva delle rivoluzioni socialiste. Abbiamo quindi questa dimensione del socialismo – e sono contenta che finalmente si parli di socialismo – basata sull’idea di Marx, Engels, Lenin e dell’eredità che ne deriva, soprattutto in America Latina (che è essenziale per i nuovi elementi che porta), che la realtà coinvolge sempre situazioni impreviste che devono essere incluse nell’analisi. In questo senso, c’è mobilità senza perdita di identità. È marxismo ed è leninismo. Fin dall’inizio della Rivoluzione Cubana, i gruppi primitivi che si incontrano, lavorano sempre – dice Fidel – con Marx, Lenin, José Martí e la nostra tradizione. Noi oggi, con una visione latinoamericana, parliamo sempre di più delle essenze di Bolivar.

È molto positivo che la parola coscienza sia apparsa nel dibattito. Perché le ideologie possono essere una falsa coscienza? E qui potrei limitarmi: ci sono forme ideologiche che sono false coscienze. La prima cosa che sento è una grande insicurezza quando si ha a che fare con le ideologie.

Ora, se non c’è coscienza, non può esserci nemmeno un’azione per la trasformazione del mondo. Questa è un’idea che mi sembra centrale, ed è un’idea di Marx, un’idea che emana da tutta la tradizione marxista, che è una concezione del mondo e, in particolare, della società in cui viviamo, per trasformarla. Ma trasformarla in termini tali da significare una pietra miliare. Nessun grande filosofo politico-sociale ci aveva mai pensato, e dobbiamo tener presente che la filosofia politica è nata con Platone, con enormi contributi di cui ancora oggi discutiamo.

Il socialismo si trova in un processo di costruzione primigenia; noi facciamo parte delle prime esperienze. Quante volte il capitalismo non è stato costretto a fare delle modifiche! O è che il capitalismo della metà del XX secolo nei paesi più sviluppati è lo stesso di quello della metà del XIX secolo?

Marx e Engels parlarono molto poco del socialismo, perché non sapevano. Se non lo so, non dico nulla, non comincio a inventare, non comincio a funzionare con ideali inventati in astratto che non hanno nulla a che fare con la realtà; e Marx e Engels erano strenui nemici dell’immaginare l’evoluzione sociale in modo astratto o al di fuori della realtà. La Rivoluzione cubana, e le altre, stanno portando avanti un insieme di esperienze storiche, di modifiche radicali, alcune delle quali propongono il socialismo (oggi non si parla quasi più di comunismo, ma con una lunga prospettiva strategica, nessuno conosce i tempi, è qualcosa a cui non si è rinunciato), ed è questo che mi rivela l’essenza di quell’ideologia. Naturalmente ci sono dei cambiamenti. Quello che non abbiamo risolto è stato il problema di come affrontare le forme di proprietà dei mezzi di produzione. Nel caso di Cuba, le modifiche introdotte non implicano un cambiamento di ideologia. Ma non c’è dubbio che ci sia una mobilità.

Vorrei ricordare una frase di Marx che qui è stata usata rispetto all’ideologia, ma che Marx in realtà la usa rispetto alla teoria: “la teoria prende il sopravvento sulle masse”. Osservate bene: Marx non dice ideologia, dice teoria, cioè il campo delle spiegazioni. Non è solo un insieme di idee; queste idee implicano spiegazioni cognitive, in modo che l’ideologia non possa essere separata dalla conoscenza. Questo ci porta alle idee di Marx e Engels sul socialismo scientifico e sulla scienza della società e della storia, usando la parola scienza in tedesco (‘Wissenschaften’, ndt), che è molto più aperta della parola scienza in spagnolo, inglese o francese (o italiano, ndt). Anche se non risponde pienamente alla domanda posta, dobbiamo pensare a cosa intendevano Marx e Engels. Quando parlavano dell’interpretazione o della scienza della società e della storia, non lo facevano in senso positivista.

Io non ho le risposte – il più delle volte non le ho – ho le complicazioni. È chiaro che ci sono una varietà di compagni che fanno parte del processo rivoluzionario cubano, anche religiosi, che non sono marxisti e sono martiani. Anche loro sono in linea con l’ideologia della Rivoluzione cubana, indipendentemente dalla complicazione che emana il termine ideologia. Vorrei sottolineare la dimensione cognitiva. Perché c’è un’interpretazione alla quale possiamo estrapolare in seguito una serie di altre idee; credo che le idee di valore, e quelle etiche siano necessarie perché sono dinamiche e perché l’essere umano ha dei valori e ha un’etica alla quale non rinuncerà. La maggior parte delle volte s’imbocca la strada rivoluzionaria indignati per le ingiustizie. È come la prima sensazione: non sai da dove viene, né da dove giunge, non conosci l’origine e non sai come spiegarla; è dopo che si comincia a studiare, a leggere e a cercare di capire.

L’ideologia della Rivoluzione cubana, quindi, deve essere alimentata da nuove esperienze. Non credo in un cambiamento di ideologia. Credo che il pensiero di Fidel sia essenziale nell’ideologia della Rivoluzione cubana. E credo che l’ideologia della Rivoluzione cubana sia marxista, leninista e martiana. Fidel ha sintetizzato tutti questi valori. Per me il fidelismo implica entrambe le cose allo stesso tempo, e non c’è contraddizione: quella sintesi di matrici, e l’apertura a un movimento continuo, anch’esso incompiuto. L’eredità è incompiuta e deve essere arricchita. Il movimento non scardina l’identità, perché nella sua concezione la mobilità dell’ideologia è implicita; naturalmente, senza abbandonare i principi.

Rubén Zardoya Loureda: Vorrei aggiungere qualcosa sulla visione dell’ideologia come falsa coscienza, che, secondo quanto è stato detto qui, può confondere un lettore inesperto. Il termine ideologia emerge nella Francia napoleonica; alle sue spalle c’è un gruppo di filosofi volgari che speculano sulla natura delle idee e delle sensazioni. Anche Napoleone li ha presi in giro. In origine, ideologia significava scienza delle idee. E lì c’era tutto tranne la scienza. Parlo del termine: è necessario distinguere tra questioni terminologiche e concettuali. Il termine è caduto in totale discredito. Sorse infangato da quella volgare forma di filosofia. Stiamo parlando dell’Europa…

Fabio Fernández: In Félix Varela il termine ideologia è molto importante.

Rubén Zardoya Loureda: La questione di come i termini – e anche i concetti – siano percepiti e incorporati in diversi contesti storici e circostanze è molto interessante. A metà del XIX secolo in Europa, in particolare in Germania, la parola ideologia aveva accumulato una forte carica peggiorativa, e con tale carica viene assunta da Marx e Engels. In ciò che è noto come il primo capitolo de L’ideologia tedesca (che è in realtà un’ulteriore costruzione da parte dei redattori sulla base, ovviamente, del testo originale) troviamo la definizione di ideologia come falsa coscienza, una coscienza del tipo di quella degli “ideologi” francesi a cui abbiamo fatto riferimento, che opera con concetti, categorie, schemi, modi di pensare, percezioni, rappresentazioni che non hanno alcuna correlazione oggettiva. Credo sia importante ricordarlo, per non cadere in ginocchio davanti agli “idoli della piazza” (o del foro), come direbbe Francis Bacon, in particolare quelli che derivano da termini confusi o mal definiti che, tuttavia, designano cose che in realtà esistono.

Molte volte si ha voluto contrapporre la concezione dell’ideologia di Lenin e di altri pensatori marxisti (Lukács, per esempio) a quella di Marx e Engels. Ritengo che questa opposizione sia artificiale e che obbedisca soprattutto a una sgradevole indistinzione tra il termine e il concetto. Una cosa mi è chiara: in entrambi i casi (Marx e Engels da un lato; Lenin e Lukács dall’altro), il termine è usato con accezioni dissimili. Per ragioni storiche non analizzabili in questa sede, questo termine si è evoluto nel corso del XIX secolo e arriva a Lenin con una connotazione diversa da quella di falsa coscienza, che comprende anche la possibilità di una ideologia scientifica. Lenin non conosceva L’ideologia tedesca, perché quel testo fu pubblicato per la prima volta nel 1932. Bisognava vedere quale sarebbe stato il suo atteggiamento nei confronti di questo modo esclusivamente peggiorativo di usare il termine. Ma la storia non può essere scritta nel congiuntivo, come gli storici sanno bene.

Quando gli autori de L’ideologia tedesca usano la parola ideologia, designano con essa una realtà diversa da quella che viene designata quando viene usata dai nostri contemporanei, indipendentemente dalle loro posizioni teoriche. Lo stesso accade, ad esempio, con il significato che gli antichi greci attribuivano al termine matema o al termine epistema, tradotto in generale con la parola scienza -tra gli altri-, che porta l’impronta e il senso di quella che oggi chiamiamo scienza moderna, emersa agli albori della civiltà capitalista con una determinazione qualitativa molto diversa. Ancora oggi, il Theos aristotelico viene solitamente tradotto con la parola Dio.

L’idea che Marx e Engels intendessero per ideologia “falsa coscienza” è un risultato inevitabile del tentativo di arrivare al concetto a partire dal termine. A mio parere, questo tentativo porta a un’inevitabile confusione.

Le cose appaiono molto diverse quando la parola in questione viene messa da parte e il pensiero si concentra sul concetto di una realtà sui generis che può essere – ed è stata – designata da vari termini, tra cui l’ideologia: la realtà della formazione della soggettività umana e la socializzazione degli individui secondo certi ideali sociali. In questo caso, per arrivare al concetto, non si procede dal termine, ma dalla realtà delle relazioni sociali -intersoggettive- antagoniste.

Mi riferirò ora alla questione sollevata, se ci sono una o molte ideologie della Rivoluzione cubana. Penso che per dare una risposta adeguata a questa domanda, dobbiamo allontanarci dall’idea che un’ideologia costituisce necessariamente un sistema di idee, per non parlare di un sistema chiuso e unico; e supporre che si tratti di un processo esteso nel tempo, diverso, plurale, aperto, al quale partecipano o possono partecipare molte persone, gruppi, strati e classi sociali. Alcune e le stesse idee fondamentali (diciamo l’antimperialismo, la sovranità nazionale e l’indipendenza, la solidarietà tra gli esseri umani, l’identità del bene, della verità e della giustizia…) acquisiscono molteplici forme di espressione, alcune più raffinate, altre meno; a volte si presentano in modo frammentario, poco integrato, inorganico, altre raggiungono una raffinatezza filosofica, scientifica, teologica o poetica. Un’ideologia viva è un animale con mille teste, con molte lettere di presentazione, abiti e percorsi diversi. È evidente, per esempio, che ognuno degli ospiti di questo dibattito ha una propria linea di pensiero, un proprio modo di interiorizzare -e proiettare- l’ideologia della Rivoluzione cubana. Nessuno di noi assomiglia all’altro, eppure tutti noi condividiamo questa ideologia, siamo educati in essa e in qualche modo partecipiamo alla sua costruzione e ricostruzione collettiva.

A proposito, non credo, in generale, che l’ideologia costituisca una sorta di sistema di idee, la cui specificità consiste nella sua semplicità, nella sua capacità di raggiungere le masse; un sistema che può essere considerato accanto, sopra o sotto altri tipi più complessi o elaborati. In questo caso l’ideologia si identificherebbe con la sua forma di espressione più lusinghiera, che non credo guadagneremmo molto a chiarirne l’essenza e le funzioni sociali. C’è l’ideologia per gli operai e gli intellettuali, per i mistici e i laici, per le bambine e le donne. Leggete, per esempio, la poesia di José Lezama Lima, e troverete in essa un’ideologia estetica molto difficile da comprendere per le grandi masse, che non toglie in alcun modo la sua capacità di confrontarsi con certi ideali sociali e di basarne altri sulla coscienza e la sensibilità di chi riesce a decifrarli. Non c’è dottrina o teoria: c’è un’ideologia (estetica) al lavoro: un’attività che crea immagini che sono alla base di un ideale estetico della vita. Naturalmente, questa ideologia non è una proprietà privata di Lezama, per così dire, ma un’entità collettiva nella cui costruzione ha avuto un ruolo importante, ma a cui hanno partecipato molti intellettuali, in particolare quelli che hanno costituito ciò che è diventato noto come Grupo Orígenes. L’ideologia – vorrei insistere su questo – non è un tipo di sistema di idee, ma una determinazione essenziale di tutte le forme della soggettività umana: dalle forme della coscienza a quelle della percezione sensoriale, dalle dottrine politiche alle più rigorose teorie scientifiche, dallo sport all’attività finalizzata al raggiungimento del nirvana o dell’atarassia. In definitiva, la sua pietra di paragone è la capacità di diventare un trampolino di lancio ideale per l’attività pratica.

Un elemento molto importante che non abbiamo trattato e che distingue l’ideologia, è che essa presenta (in modo legittimo o illegittimo) i valori e gli interessi di classe, di gruppo, di genere, ecc. come valori e interessi universali, assoluti, validi per tutta la società, per tutta l’umanità. Ci sono ideologie in cui prevalgono ideali sociali che si presentano come gli unici legittimi e validi, come quelli che corrispondono alla “condizione umana”. Un ideologo non dirà mai: “Questa forma di organizzare le relazioni politiche o economiche è quella che si addice al mio gruppo sociale o alla mia classe”. Al contrario, egli dirà: “Questa è l’unica via che corrisponde alla natura umana, l’unica via che può liberare l’umanità da una crisi irreversibile”. Se siete umani, dovete conformarvi all’unica visione del mondo che garantisca l’equilibrio sociale o la convivenza civile. Non c’è bisogno di dimostrare che sotto il manto dell’universalità, l’ideologia costituisce sempre l’affermazione del noi e l’esclusione degli altri (di loro). Accanto al momento affermativo (la legittimazione di un ideale sociale che comprende l’omissione o la giustificazione delle sue sfaccettature negative), ogni ideologia porta in sé il momento della negazione: la distruzione delle cosmovisioni del e degli ideali sociali opposti.

Così, quando parliamo dell’ideologia della Rivoluzione cubana, non possiamo dimenticare che essa si presenta (a mio parere, legittimamente) come un’ideologia che risponde ai valori e agli interessi genuini di tutto il popolo cubano, in contrapposizione, soprattutto, alle pretese imperialiste di dominio. Per questo il nostro partito, che esprime gli ideali della classe operaia, si presenta contemporaneamente come Partito della nazione cubana. La sua ideologia antimperialista non è solo espressione dei valori e degli interessi del proletariato, ma anche dell’intera nazione.

Penso che sia molto importante ciò che si diceva sulla mobilità delle ideologie. La stessa cosa che si è detto di Fidel si può dire di Lenin. È stato dichiarato che ci sono due Lenin: uno prima dell’attuazione della NEP (nuova politica economica) e uno dopo la NEP. Penso che questo sia inesatto. Ci sono mille Lenin, se volete, ognuno di loro si trova ad affrontare nuove circostanze, tra cui l’imprevedibile novità. Ma forse è più esatto dire che c’è un solo Lenin il cui pensiero, sempre legato alla storia vivente, si muove in corrispondenza della mobilità di questa storia. Questo vale per tutti i grandi pensatori rivoluzionari. Si pensi, ad esempio, a Mao e Ho Chi Minh, altri due giganti del pensiero rivoluzionario del XX secolo, che hanno condotto una lunga lotta contro forze nemiche succedutesi, molto diverse l’una dall’altra.

In ogni caso, sarà sempre necessario insistere sul fatto che i pensieri di Marx e Lenin sono elementi costitutivi dell’ideologia della nostra Rivoluzione, con una legittimità pari a quella di Félix Varela, Céspedes e Agramonte, Maceo e Martí; così come quella di Baliño e Mella, così come quella di tutta la pleiade di pensatori che si sono riconosciuti marxisti-leninisti per tutto il XX secolo cubano e latinoamericano, che hanno assunto gli apporti di Marx e Lenin.

Non solo la mobilità, ma anche la pluralità di influenze è un dato di fatto. Fidel, per esempio, ha studiato El hombre mediocre di José Ingenieros, e ha divorato ogni libro di García Márquez che gli è capitato tra le mani (Pedro Pablo si riferiva già al suo status di lettore vorace di molti generi letterari). Ma non possiamo perderci nel sottobosco di cui parlava Isabel. Dobbiamo identificare le chiavi. Qual era il libro fondamentale di Fidel all’inizio della Rivoluzione, secondo le sue parole? Stato e Rivoluzione di Lenin: quali libri i suoi carcerieri volevano togliergli dopo l’assalto alla Caserma Moncada? Quale testo, secondo Mario Mencia, ha studiato a fondo durante la sua “fertile prigione”? Il Capitale di Marx, che, tra l’altro, gli è sembrato molto semplice dopo aver letto la Critica della Ragione Pura di Kant. Non è qualcosa che è apparso in seguito in modo opportunistico; non è che, alleati dell’Unione Sovietica di fronte all’aggressività dell’imperialismo, siamo stati costretti a “comprare” il marxismo-leninismo come parte di un “pacchetto” politico e ideologico. Niente potrebbe essere più falso o più dannoso per l’ideologia della Rivoluzione cubana. Il pensiero di Marx e Lenin si era a lungo intrecciato come elemento costitutivo ed essenziale dell’ideologia della Rivoluzione cubana. Grazie alla loro saggezza e allo studio di Martí non solo si è formato il pensiero di Fidel, ma anche quello del Che e di Raúl.

Naturalmente non è il marxismo-leninismo dei manuali dell’Accademia delle Scienze dell’URSS o dell’Università di Lomonosov, ma il pensiero vivo di Marx e Lenin. A proposito, anche se questo è irrilevante per me, va notato che negli ultimi anni il termine marxismo-leninismo è stato sostituito dal marxismo e dal leninismo, con l’espresso scopo di evitare qualsiasi associazione con la forma dominante del marxismo (non l’unica!) in Unione Sovietica e talvolta anche con lo stalinismo. Perché si è arrivati a dire che è stato Stalin a inventare il termine, il che non mi sembra esatto. Nell’Opera completa del primo segretario generale del partito fondato da Lenin, questo termine compare per la prima volta nel 1928. Tranne che nel Manuale di Storia del PCUS, che non ha scritto lui, anche se ha partecipato assieme ad altri autori, nei restanti volumi non troverete il termine marxismo-leninismo nemmeno una dozzina di volte. Anche i titoli delle sue opere fondamentali alludono solo al leninismo: Questioni di leninismo, Fondazioni del leninismo, Trostskismo e leninismo, ecc. Il termine marxismo-leninismo era una costruzione collettiva! Più tardi, una formula fu santificata, ma il modo in cui Fidel, per esempio, comprese quel termine non aveva nulla a che fare con quella volgarizzazione; e ricordo, se la memoria non mi inganna, che quando i corpi dei nostri combattenti caduti in Angola tornarono, invece di dire Patria o Morte, per l’unica volta (in seguito sostituì questa formula con Socialismo o Morte), disse: “Marxismo-Leninismo o Morte! Si riferiva allo stalinismo quando lo diceva? Sono certo che non è così.

Infine, sono d’accordo con l’idea che il tema dell’individuo sia fondamentale nel pensiero di Martí, e vorrei aggiungere che è fondamentale anche in quello di Marx e Engels. Se si dovesse scegliere la formulazione più sintetica e più completa dell’ideale comunista che si trova nella sua opera, estrapolerei dal Manifesto una frase: “un’associazione in cui il libero sviluppo di ciascuno sarà la condizione per il libero sviluppo di tutti“. Ognuno: l’individuo, tutti: il collettivo. La definizione dell’ideale di società per il quale noi comunisti ci battiamo non si basa su considerazioni astratte collettiviste, ma su una sottile dialettica tra individuo e collettivo.

Carlos Delgado: Credo che l’ideologia non sia capace di essere critica nei confronti di se stessa. Ci sono abbastanza prove nel corso della storia che l’ideologia come costruzione tende ad essere rigida, non perché sia un difetto di questa o quella ideologia, ma perché è una caratteristica di quel tipo di sistema di idee. Poiché è un sistema di idee, così come penso, che è stato semplificato in modo da raggiungere maggioranze gigantesche, non ha altra scelta se non quella di essere rigido.

Come dicono i buddisti, le idee non sono fluttuanti. Le idee sono organizzate in sistemi: la teoria scientifica, una sorta di sistema di idee che ha un apparato critico interno, le dottrine sociali in generale, che sono molto ampie, che servono come base per l’ideologia. Per questo distinguo tra la dottrina politica e il pensiero politico rivoluzionario, tra Fidel Castro in particolare, il marxismo e il pensiero di Marti, come fonti dell’ideologia della Rivoluzione cubana, e l’ideologia della Rivoluzione cubana stessa. Poiché l’ideologia come tipo di costruzione non appartiene a una persona, non posso ritenere responsabile una persona, posso solo dire che è una fonte, perché ciò che si fa con l’ideologia nella società, che è il funzionamento ideologico, sfugge completamente dalle mani delle persone che hanno partecipato alla formazione delle idee. Ed è per questo che nessuna ideologia è perfetta. Hanno tutte dei difetti.

Mi ha colpito molto il fatto che ogni volta che si è parlato dell’ideologia della Rivoluzione cubana lo si è fatto in modo positivo. Tutte le ideologie hanno un momento di oppressione, perché hanno bisogno di quel momento per raggiungere l’universalità di cui si è parlato qui. Devo “mettere i piedi in testa” ideologicamente parlando a certi settori della popolazione e, in questo senso, genero oppressione. Ma poiché anche noi funzioniamo in modo eterogeneo nella società, e il discorso ideologico arriva in modo diverso e viene accolto in modo diverso dai diversi gruppi sociali, per esempio le persone che hanno responsabilità di leadership, un orientamento di tipo dottrinale ben strutturato che diventa un presupposto ideologico può essere compreso da un settore, da un gruppo, o in un dato momento, in un modo che provoca un enorme danno sociale.

Non possiamo biasimare il funzionario pubblico, che in casa sua capisce le cose in un certo modo e agisce in nome dell’ideologia in modo chiuso, perché non è responsabilità della teoria, non è responsabilità della dottrina, è il funzionamento dell’ideologia stessa. E in questo senso, l’ideologia cambia, ma ciò che la fa cambiare non è interno ad essa. Può essere interno alla teoria scientifica, può essere interno alla dottrina politica; per esempio, quando Fidel disse al popolo cubano: “potrebbe esserci un giorno in cui l’Unione Sovietica non ci sarà“, tradusse la sua comprensione politica della questione, difficilissima, in una struttura che potesse raggiungere l’ultimo cubano, senza bisogno che lui conoscesse la teoria politica o avesse conoscenze universitarie, che ideologicamente dovremmo smettere di pensare che avremmo avuto l’Unione Sovietica dalla nostra parte. C’è quindi una traduzione e quel messaggio raggiunge la maggioranza in modo accessibile.

Così si può cambiare l’ideologia, ma non dall’interno dell’ideologia. Anche la società produce cambiamenti d’ideologia, perché le interpretazioni producono fenomeni sociali che possono essere di gruppo, che possono riguardare collettività, popolazioni di città, o di un intero paese in un dato momento, che fanno cambiare l’ideologia.

Le fonti del cambiamento ideologico sono sempre al di fuori della costruzione ideologica. Ecco perché i presupposti ideologici non vengono modificati internamente; ogni piccola modifica di un presupposto ideologico è un cambiamento radicale nel tipo di presupposto. Ciò non significa che si stia cambiando la propria ideologia. Non credo che a Cuba si debba parlare di un cambiamento d’ideologia, ma di un cambiamento ideologico. La stessa teoria politica, la stessa pratica sociale, la stessa pratica del processo rivoluzionario, la stessa pratica della vita sociale, rende necessari cambiamenti a livello ideologico, e questi vengono introdotti a poco a poco a livello dell’ideologia della Rivoluzione. Continua ad essere un’ideologia della Rivoluzione, perché i suoi orientamenti di fondo non sono cambiati, la sua direzione di fondo non è cambiata, ma ci sono cambiamenti sostanziali, per esempio, quello che è stato menzionato rispetto alle forme di proprietà e anche quello dell’identità di genere. Ci sono cambiamenti nell’ideologia, anche se ciò non significa un cambiamento radicale di tipo ideologico come è avvenuto in altre società.

Ci sono studi sull’ideologia, basati su strane teorie, che sono stati fatti a partire dagli anni Settanta, per esempio, che a questo punto dovrebbero richiamare maggiormente la nostra attenzione. Mi riferisco agli studi effettuati negli Stati Uniti sul fenomeno del cambiamento ideologico, basati sulla teoria delle catastrofi di René Thom. È molto interessante, perché dieci anni prima della caduta del campo socialista, Christopher Zeeman osò dire, sulla base di un modello matematico, che in una società un cambiamento ideologico poteva avvenire da un giorno all’altro, che le persone di sinistra si sarebbero improvvisamente spostate a destra. Tutti dicevano che era una sciocchezza e lui lo spiegava con un modello matematico delle catastrofi, che afferma che la previsione a questo punto cade, e la maggioranza assume il punto di vista opposto. Qualcosa di simile a quanto è accaduto in seguito nei paesi socialisti d’Europa. Vale a dire che non c’è stata una transizione ideologica a poco a poco, che ha convinto tutti, ma una congiuntura di cambiamento politico ha prodotto un cambiamento di atteggiamento in un popolo che ha improvvisamente accettato un potere che prima non accettava. Posso spiegarlo dalla teoria politica senza invocare l’ideologia, attraverso la crisi della governabilità. Questa è una spiegazione valida, ma il modello matematico di Zimmermann dà una spiegazione del fenomeno ideologico, al quale non siamo abituati.

In questo senso dobbiamo mettere un po’ si più i piedi per terra per capire il modo in cui Marx intendeva l’ideologia come falsa coscienza. Non nel senso volgare di superflua, ma nel senso che, dato che si tratta di ideologia e non di teoria, di ideologia e non di ritratto, non di fotografia, porta caratteristiche essenziali che la muovono verso un tipo di rigidità sociale, che esige da chi lavora e vive in una società, un tipo di vigilanza. Ecco perché dobbiamo stare attenti, molto attenti, alla manipolazione dell’ideologia, perché l’ideologia è un ferro praticamente a temperatura di fusione, che brucia la mano di chi si pronuncia su di essa. È una questione molto delicata: non funziona sulla base della convinzione o dell’indottrinamento; questi sono i metodi della politica. Convinzione potrebbe essere una buona parola; Fidel la usava spesso (“quando si raggiunge una certa convinzione”, diceva). È un atto in cui il soggetto accetta un certo sistema di idee e lo incorpora nel suo modo di essere, e dal momento in cui lo incorpora, dal suo livello, chiunque esso sia, comincia a interpretare il mondo in quel modo e che genera tutta una serie di “meraviglie”, debolezze, problemi in un processo sociale, insomma, fa parte dell’eterogeneità sociale. Per questo insisto affinché non si guardi l’ideologia della Rivoluzione cubana attraverso un prisma di perfezione, che ci fa dimenticare che è un’ideologia e che, poiché lo è, ha alcune caratteristiche che richiedono una vigilanza sociale, politica, culturale e di ogni tipo.

Infine, mi riferirò a quanto detto da Zardoya a proposito del trattino tra  marxismo e leninismo. Penso che valga la pena di fare uno studio approfondito, per vedere quando il termine marxismo-leninismo è stato usato per la prima volta, chi l’ha usato e qual è il significato del suo uso, perché non è mai stato usato da Lenin, e qual è il corso degli eventi di quello che è stato il marxismo-leninismo nella storia dell’Unione Sovietica nel quadro dell’ascesa di una nuova ideologia che Stalin chiamò inizialmente leninismo, ma arrivò un momento in cui il termine gli risultava insufficiente, e quindi lo ampliò a marxismo-leninismo. Credo che questo meriti un’analisi storica dettagliata, perché c’è molta spazzatura dietro quel termine, non è una forma volgare uniforme di teoria. Credo sia stato Bárzaga a tradurre il Manuale di Bukharin in spagnolo, quello che critica Gramsci come “Manuale popolare di sociologia”, e Cuba è stato uno dei luoghi dove quel manuale è stato usato per la prima volta. C’è un misto di quell’economocismo di Bukharin e di tutta una costruzione di un tipo di potere che non ha nulla a che fare con Lenin. Ricordiamo la famosa frase di Lenin del giorno dopo la costituzione dell’URSS: “dovevamo fare un passo indietro“. Perché i processi sono iniziati in quella direzione deviata.

Pedro Pablo Rodríguez: Voglio ripercorrere qualcosa che Carlos ha detto nel seguente senso: anch’io mi preoccupo della formazione ideologica, per usare un linguaggio abituale. José Martí è nel profondo del cuore dei cubani. Già prima della Rivoluzione, Martí era un simbolo della nazione cubana, faceva parte della sua cultura in senso lato, era preso come misura di valore, e i cubani più o meno sapevano molto o qualcosa di José Martí.

Mi chiedo cosa stia succedendo, quale formazione, quale conoscenza del marxismo, del pensiero di Karl Marx, di Friedrich Engels, di Vladimir Lenin – e di altri, ma cominciamo da questi tre – i giovani intellettuali cubani hanno oggi. Mi preoccupa di sapere fino a che punto una gioventù intellettuale oggi, non tanto quanto sia marxista, ma se ha un’idea di cosa sia il marxismo. Quella stessa gioventù che, in qualche modo, ha un’idea su José Martí, magari un po’ confusa, in alcuni casi, ma per lo meno, lo ‘tengono dentro’, come succede con la bandiera, lo stemma, l’inno. Ma non hanno le idee, i pensieri di Marx, Engels e Lenin e di molti altri. Quindi, lì vedo un problema serio, perché l’ideologia può essere una falsa coscienza o meno, ma ciò che è chiaro è che l’ideologia si basa su una certa conoscenza.

Sarò onesto: non vedo questo tipo di conoscenza nella Cuba di oggi. Il marxismo di stampo sovietico è stato improvvisamente eliminato, per così dire, e all’improvviso cosa ci rimane? Una buona parte della gioventù intellettuale cubana si trascina dietro il discredito che la teoria marxista ha subito, a causa della fine del campo socialista in Europa, e quello che ha in testa è il postmoderno, quello che ottiene dal mercato delle idee del capitalismo, dal mercato teorico del capitalismo, che è forte. Non è che io sia contrario a che noi studiamo questa o altre correnti di pensiero anticapitalista: ma è necessario aspirare a che quell’intellighenzia si formi con ampie conoscenze teoriche, che si sappia cosa si pensa oggi nel mondo, ma bisogna anche aspirare a che sia oggetto di critiche.

Naturalmente, in una certa misura era logico che ciò accadesse. Anche se nel mondo di oggi si nota che il marxismo si sta riprendendo, che appaiono persone interessate al mondo del capitalismo. Gli eccessi del capitalismo generano questo, molti cercano risposte, e c’è chi le trova nel pensiero di Marx, nel pensiero di Lenin, nel pensiero dei rivoluzionari marxisti e in altre correnti critiche contemporanee che, di fatto, non rifiutano il marxismo.

Fabio Fernández: Voglio rimandarvi all’ultima parte del discorso del professor Carlos, perché solleva un problema reale, e cioè che c’è ancora molto da fare nello studio della cronologia del processo di formazione dell’ideologia della Rivoluzione cubana. E a volte ci soffermiamo in schemi molto generali, e in schemi spesso troppo compiacenti. E credo che il professor Carlos ci stia incitando a non accontentarci delle analisi e a comprendere le dinamiche delle forze che hanno interagito in questi anni sull’isola e che fanno parte di quel dibattito ideologico che ha dato vita a ciò che possiamo intendere per ideologia della Rivoluzione cubana. Dobbiamo anche capire i contesti, le appropriazioni del pensiero marxista nei diversi scenari attraverso i quali è passata la Rivoluzione cubana. Questo è un punto essenziale per capire perché il marxismo-leninismo, con o senza trattino, deve essere collegato a dinamiche oggettive che si sono verificate nella realtà cubana e a un insieme di formulazioni che rispondevano a una logica di interazione politica che trovava una correlazione nelle formulazioni assunte e proiettate come ideologiche. Ogni parola che Fidel ha pronunciato durante la sua carriera di leader politico gioca con le regole della politica. E i discorsi di Fidel sono pensati per il popolo cubano con cui ha interagito, ma sono anche discorsi che si inseriscono in una dinamica molto complessa della scena internazionale. La stessa dinamica delle relazioni molto complesse tra Cuba e l’Unione Sovietica, che è purtroppo poco chiarita. Ci sono alcuni flash, ma questa storia dei rapporti con l’Unione Sovietica, che ha molto a che fare con gli alti e bassi delle definizioni ideologiche, di questo o dell’altro percorso, sono questioni che devono essere spiegate e discusse, per contribuire allo sviluppo del pensiero critico che è essenziale per la transizione socialista.

Miguel Limia David: Mi riferirò ad altri aspetti. In primo luogo, sono contrario all’uso odierno del trattino che collega i termini marxismo e leninismo. I termini sono storici, hanno il loro ruolo nella comunicazione, cambiano sfumature e significati a seconda dei contesti socio-storici in cui vengono utilizzati e diffusi. Ritengo che attualmente la percezione o l’interpretazione generalizzata delle matrici globali d’informazione che esistono di questo binomio a trattino non siano favorevoli, non rendono omaggio al significato attribuito a quel concetto nel pensiero del Comandante in Capo e di altri comunisti cubani, che hanno persino dato la vita sotto quella bandiera. Le condizioni storiche sono cambiate e il termine ha acquisito altre connotazioni, per molteplici ragioni; e questo mi fa pensare che si faccia chiarezza separandole con un ‘e’. Così differenziamo la vera eredità di Marx e Lenin che abbiamo ratificato, siamo coerenti con Lenin e lasciamo la successiva eredità sovietica sotto analisi. In questo modo, dobbiamo ratificare i principi rivoluzionari che i classici hanno stabilito e che noi continuiamo, evitando che il senso di questa continuità venga manipolato e deformato. Preferisco non andare oltre quanto è stato detto, anche se ho studiato le fonti russe dove il termine ha cominciato ad essere usato.

Un’altra questione è quella della “falsa coscienza”. Dobbiamo chiarire che la borghesia è riuscita ad accreditare la sua ideologia come la verità sulla realtà sociale esistente, attraverso la sua egemonia mediatica e istituzionale, l’ha identificata con la realtà stessa, che ha espresso teoricamente; così ha spacciato le sue istituzioni per valori universali. A mio parere, questo è il nucleo dell’ideologia borghese come falsa coscienza, così come la determinano i classici, sia Marx e Engels che Lenin. L’ideologia rivoluzionaria, invece, non deve ricorrere all’occultamento dell’oggettività e al suo carattere classista, interessato, di parte, né al procedimento dell’alienazione, perché è un’ideologia rivoluzionaria, contraria ai sistemi di dominio, oppressione ed esclusione, ed è finalizzata all’emancipazione e al disimpegno umano. Non può quindi essere imbarazzante quando fonda la legittimità del potere politico dei lavoratori, del popolo rivoluzionario, ma deve conservare la sua capacità critica dell’esercizio del potere, perché non deve diventare essa stessa, adulterandosi, una falsa coscienza. Non deve diventare un ostacolo e non deve essere dogmatica, non può chiudersi alla realtà. Credo che questa sia una delle prime lezioni che dobbiamo ratificare, non solo dal marxismo, ma anche da José Martí. Questo è un principio del nostro pensiero politico e della nostra coscienza ideologica rivoluzionaria fin dalle origini dell’etnòs cubano.

Voglio fare riferimento alla questione dell’eversione politica e ideologica organizzata e finanziata dall’imperialismo statunitense e dai suoi alleati, contro l’unità politica e ideologica del nostro popolo, contro il Partito, contro il governo rivoluzionario e le nostre organizzazioni di massa e sociali, che fa parte della realtà che il Paese oggi si trova ad affrontare. Esso di obbliga a sapere come procedere nel lavoro politico-ideologico nella situazione attuale, che Carlos ha caratterizzato nei suoi interventi.

La quarta idea che voglio trasmettere è che l’ideologia si sviluppa e si arricchisce a partire dalle esigenze della pratica rivoluzionaria; non è un serpente che si morde la coda, ma un principio spirituale di attività pratica. Nella pratica vi è la fonte del suo sviluppo, e non può essere provinciale, ma ecumenica, come ci ha insegnato José Martí, non solo dal punto di vista cognitivo, ma anche dal punto di vista estetico, della sensibilità, del valore in generale. Esso esige che l’ideologia rivoluzionaria risignifichi – voglio sottolineare – molti dei suoi riferimenti e valori concettuali, dal punto di vista dei principi rivoluzionari (ritorno alla nozione di principio rivoluzionario, che considero fondamentale); che arricchisca il suo arsenale concettuale in modo da poter svolgere il suo ruolo socializzante, sulla base della formazione e della persuasione dialogica, per le condizioni di vita contemporanea del nostro popolo. Questo è essenziale, perché poiché l’ideologia è la premessa e il risultato di un’attività pratica rivoluzionaria, i suoi contenuti e le sue carenze sono determinati dal suo stesso sviluppo storico.

Infine, c’è la questione delle fonti teoriche immediate che oggi sono fondamentali per l’ulteriore sviluppo della nostra ideologia, in termini di conoscenza, di valore e di contenuti pratico-attitudinali. Abbiamo tre documenti fondamentali che contengono nella loro base immediata il pensiero e il concetto di Rivoluzione che il Comandante in Capo espresse il 1° maggio 2000, così come le idee del suo discorso del novembre 2005 agli studenti dell’Università dell’Avana. Mi riferisco alla concettualizzazione del modello economico e sociale cubano di sviluppo socialista, alle basi del Piano di sviluppo economico e sociale e alle linee guida aggiornate per la politica economica e sociale del Partito e della Rivoluzione. Questi documenti, che implicano una trasformazione dello scenario pubblico cubano, obbligano, dal punto di vista della domanda pratica, la nostra ideologia a dare risposte, non solo critiche, ma anche – e soprattutto – proposte concrete, al popolo cubano, ai giovani, per assumere quella trasformazione ed essere una forza protagonista ascendente nel processo di aggiornamento del modello economico e sociale che fin dall’inizio si assume come un ringiovanimento, un rinnovamento, della costruzione del socialismo.

Rubén Zardoya Loureda: A proposito della discussione sul trattino, la virgola o la ‘e’, penso che gli extraterrestri, se fosse vero che ci stanno guardando, riderebbero di noi; e che gli scolastici medievali direbbero: “Questi sono i nostri fratelli”. Presumo che non sia una questione di principio. Di regola scrivo e dico solo marxismo, non penso alla necessità di aggiungere altro; e come ho detto, assumo come qualcosa di elementare l’idea del carattere storico di tutta la terminologia e la necessità di stare attenti ai cambiamenti di significato e alle modifiche nella percezione collettiva del significato delle parole. Penso che sia tanto dannoso aggrapparsi all’uno o all’altro termine senza smettere di riflettere su come viene percepito, così come pretendere sostituire i dibattiti concettuali con dibattiti terminologici, per non parlare del fatto di occultare allontanamenti ideologici non dichiarati, con dispute apparentemente terminologiche.

È vero che, nella coscienza collettiva di alcuni intellettuali e attori politici, a Cuba e nel mondo, il suddetto trattino intermedio è associato, soprattutto dopo la disintegrazione dell’Unione Sovietica, a interpretazioni di parte e a mali di ogni tipo, comprese epurazioni e repressioni di massa. Siamo obbligati a fare attenzione nell’uso dei termini. Ricordo di aver sentito il Comandante in capo dire che concorda pienamente con il concetto di dittatura del proletariato, ma, data la connotazione che la parola dittatura (che significa dominio di classe) ha acquisito, soprattutto in America Latina, ha trovato controproducente continuare ad usarla. È possibile che ci troviamo di fronte a una situazione simile. Vale quindi la pena di pensare se sia opportuno o meno far sparire il trattino o sostituirlo con una lettera, anche se i marziani ridono di noi… A proposito, mi pare di capire che la Real Academia de la Lengua raccomanda di rimuovere tutti i trattini tra due parole, perché non sono necessari. Che siano spazzati via!

Così possiamo eliminare il trattino. Non credo che questo sia rilevante. Quello che invece mi sembra importare è rifiutare l’identificazione dei termini marxismo-leninismo, marxismo sovietico, marxismo ufficiale, marxismo volgare, manualismo e stalinismo che ho trovato nei miei viaggi in questi mari di Dio; un’identificazione che sorprende per la sua leggerezza, il suo scadere, la sua antistoria e il milione di paralogismi o sofismi che comporta. È qui che vedo l’essenza dell’argomento in termini concettuali.

Non tutto il marxismo sovietico è stalinista, volgare o manualistico. – tutt’altro! -Pensate a pensatori come Évald Iliénkov, Alexéi Lósiev…

Carlos Delgado: Lósiev non accettava di essere mar­xista.

Rubén Zardoya Loureda: Beh, aveva una forte influenza di Marx e non ha perso l’occasione di citarlo. Inoltre, lo ha detto più tardi, già ai tempi della perestroika, in un’intervista che ho letto anch’io.

 Carlos Delgado: Non lo poteva dire prima…

Rubén Zardoya Loureda: Questa è una lettura. Altra cosa è che lo diceva quando non era più di moda essere marxista, quando non era più di “buon gusto” o non apriva più le porte del mondo accademico o delle case editrici. Comunque sia, i miei rispetti all’opera di Lozev, senza dubbio l’opera più importante nella Storia della Filosofia Antica dell’Unione Sovietica.

Ilienkov si considerava un marxista-leninista, e il suo lavoro non ha nulla a che fare con i manuali o con la forma volgare della teoria, così come la caratterizzò Marx. Lo stesso si può dire di Mikhail Lifshits, Boris Porshniev e Konstantin Megrielidze, per citare solo alcuni esempi. Non tutto il marxismo sovietico era ufficiale, come dimostra la sorte di Ilyenkov, Lösiev e Megrielidze. Per quanto riguarda i manuali del marxismo-leninismo, in termini relativi, essi rappresentavano una piccolissima produzione, anche se hanno raggiunto tirature di massa. La maggior parte dei testi sul marxismo pubblicati in URSS erano monografici. A proposito, esistono manuali utili, capaci di esporre i fondamenti o le idee centrali dell’uno o dell’altro ramo della filosofia o della scienza senza volgarizzarli, senza grandi costi di produzione. Una di queste non è altro che l’Enciclopedia delle Scienze Filosofiche di Hegel, dove ha cercato, con relativo successo, di portare costruzioni di enorme significato filosofico alla comprensione dei suoi studenti.

Ma ciò che mi sembra più importante è rifiutare l’idea che tutto il marxismo-leninismo sia necessariamente stalinista. La teoria stalinista è una forma, solo una forma volgare, del marxismo-leninismo, dominante per decenni.

Isabel Monal: La mia formazione filosofica si basa sul dubbio e sul bisturi della scuola analitica anglosassone. Mi sembra che nei primi interventi ci fossero sfumature differenzianti rispetto a ciò che ognuno di noi sembrava comprendere per ideologia. Dopo il secondo intervento di Carlos, devo dire che ho grandi discrepanze, con affermazioni che sento sono molto assolute, per qualsiasi ideologia, per qualsiasi tempo – che si tratta di un sistema semplificato – così come altre affermazioni. È difficile per me vedere il mondo in questo modo. La mia conoscenza della storia della filosofia, basata sullo studio dell’evoluzione delle idee, mi insegna il contrario. Le sue parole indicano che egli intende per ideologia qualcosa di diverso da quello che intendo io. Credo che ci siano ideologie che possono essere trasformate in sistemi semplificati, e ci sono altre che non possono. Si tratta di un problema storico, che ha a che fare con molte condizioni, non solo con le teorie e le concezioni che le ideologie propongono, ma con il contesto in cui si sviluppano in seguito. A volte diventano addirittura il loro opposto.

Non credo, neppure remotamente, che tutte le ideologie causino, inevitabilmente, come elemento o caratteristica fissa, un momento di oppressione. Tutte, tuttavia, cercano di essere egemoniche e persino dominanti. Differenzio, seguendo Gramsci, dominazione da egemonica, ma “oppressione?”, questo sì, è tutt’altra cosa. Ci sono ideologie che si convertono in forme di oppressione, e cercano addirittura per loro stessa natura l’esercizio dell’oppressione; forse nasce la necessità storica dell’oppressione, come nel caso del nazifascismo, cioè la necessità nel senso che il fenomeno stesso implicava l’oppressione e anche di più. Qui entra in gioco la storia: non posso in alcun modo accettare un assoluto che sia valido per tutti i tempi, per tutte le circostanze o per tutti i tipi o forme di ideologia. Questo sarebbe proprio il caso dell’ideologia della Rivoluzione cubana. Non credo che ci sia nulla di falso o scorretto nel riferirsi ad essa in termini positivi, essere positivo non significa essere perfetto, e ancor meno se si tratta di modi di pensare. Né il positivo ideologico implica l’immobilità, e la mobilità necessaria non è in contraddizione con la valutazione positiva. L’ideologia della Rivoluzione Cubana si modifica e si arricchisce sia dalle esperienze, dalle nuove conoscenze sia dalle mutevoli circostanze mondiali, regionali e nazionali. L’essenziale è che in nessun momento cessi di essere un’ideologia di giustizia sociale e di emancipazione, un’ideologia di cambiamento rivoluzionario.

Non bisogna nemmeno dimenticare che l’ideologia, come ogni forma di pensiero, come ogni insieme di idee, non ha un’evoluzione autonoma dalle condizioni materiali. In questo senso, non ha una storia che possa essere considerata strettamente propria o indipendente. Né è possibile – e questo, anche se è già stato sottolineato in precedenza, va sottolineato – comprenderlo al di fuori delle lotte di classe. Oggi, anche se il carattere di classe rimane quello essenziale, occorre tener conto di altre forme di divisione dei gruppi sociali come il genere, l’etnia, ecc. È proprio il significato di queste varietà che è stato arricchito e la comprensione del loro ruolo nella società ha acquisito maggior comprensione. Così l’emancipazione integrale di cui parlava il Manifesto è oggi inimmaginabile senza tutta una serie di componenti sociali che non erano state pienamente apprezzate.

Non è possibile, quindi, comprendere appieno l’ideologia se non è all’interno dell’evoluzione della formazione economico-sociale in cui è inserita e di cui fa parte. Marx ed Engels non parlavano, in questo senso, di ideologia perché, come ho già sottolineato prima, non è la terminologia che troviamo lungo l’insieme delle loro produzioni teoriche. Non la chiamavano quindi specificamente ideologia (per i motivi indicati), ma rimaneva sempre unita ai cambiamenti dei modi di produzione e a un concetto (uno dei più lucidi e solidi di Marx), quello già citato della formazione economico-sociale, che presenta la società come totalità. Da lì, ci viene detto, le idee (l’ideologia ha a che fare proprio con le idee) non hanno né indipendenza né autonomia. Se sono marxista, riconosco per definizione che non è un processo puramente interno e che ha a che fare con il divenire storico e con le conseguenze storiche. E non posso separare la mia comprensione dell’ideologia da questa visione marxista, dalla concezione del materialismo storico, perché è fondamentale. In questo senso è comprensibile che l’ideologia non si trasformi autonomamente, ma ciò non significa né implica che non lo faccia dall’interno. Credo, sì, che non sempre funziona sulla base della conoscenza. Perché anche se osserviamo la storia della filosofia e la storia delle scienze, in certi periodi della storia dell’umanità dove ci sono una serie di dominazioni e oppressioni, anche la conoscenza pura poté essere utilizzata per queste forme che si ideologizzarono. Ma l’ideologia che emana e si inserisce nell’eredità marxista e leninista non può funzionare, né può rinunciare alla sua base nella conoscenza, nella corretta interpretazione, nella teoria, in definitiva.

Credo sia imperativo che io esprima il mio disaccordo con l’affermazione che l’ideologia in Unione Sovietica è cambiata dalla notte al mattino o da un giorno all’altro. Per molti anni prima di allora, molte persone vedevano i segnali – anche ideologici – che le fondamenta di quella società stavano cadendo a pezzi, in particolare gli storici e i politologi o gli studiosi di politica in generale. I segnali c’erano. Non succede niente nel corso della storia da un giorno all’altro, senza segnali di alcun tipo, forse qualcuno non li ha visti, non li ha saputi interpretare adeguatamente. Le modifiche e i cambiamenti si accumulano e maturano, e ad un certo momento si verificano cambiamenti radicali e assoluti, ma non si verificano come cambiamenti radicali da un giorno all’altro dal nulla, e questo è particolarmente vero per quanto riguarda le idee, la coscienza e le forme ideologiche. C’è, naturalmente, una generalità, ma ogni processo non sarà esattamente uguale ad altri. D’altro canto, le conoscenze e il sapere si espandono e arricchiscono. Il marxismo in quanto tale, così come l’ideologia della Rivoluzione cubana, devono marciare al ritmo delle nuove conoscenze, come hanno dimostrato Marx ed Engels, ma questo apprendimento e questa assimilazione non può avvenire in modo acritico, e ancor meno se ciò che viene proposto o il punto di partenza include falsi elementi empirici ben noti sia intenzionalmente, per negligenza scientifica, sia per un’errata comprensione del marxismo.

In questo contesto è opportuno tenere presente le parole di Gramsci quando riteneva che la filosofia della prassi (come lui chiamava il marxismo) disponesse dei mezzi per rettificarsi.

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