Venezuela. La voce di Chávez a 8 anni dalla sua scomparsa Geraldina Colotti

Geraldina Colotti

A 8 anni dalla sua scomparsa, il 5 marzo del 2013, Hugo Chávez resta impresso nella memoria dei popoli: ben oltre la frontiera del Venezuela, dove ha governato dal 6 dicembre del 1998 e fino alla sua partenza per Cuba, l’8 dicembre del 2012, quando il tumore che gli era stato diagnosticato l’anno prima, aveva reso necessario un nuovo intervento.

In quell’occasione, in una ultima, commossa e memorabile apparizione in pubblico, aveva dichiarato: “La mia opinione chiara, piena come la luna piena, irrevocabile, assoluta e totale è che nell’eventualità che si rendesse necessario convocare elezioni presidenziali, voi eleggiate Nicolas Maduro come presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela”.

Un pronunciamento che risuonerà tante volte nelle piazze, e di cui sia il Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV), sia il popolo venezuelano terranno conto, eleggendo e rieleggendo Maduro, e difendendolo dai crescenti attacchi dall’imperialismo a livello internazionale. Per ricordare la figura di Chávez e l’attualità del suo pensiero della vita politica venezuelana, oggi il PSUV celebra il suo congresso in questo nuovo anno di elezioni (regionali e comunali), e di nuove sanzioni da parte dell’imperialismo USA e dell’Unione europea.

Con l’approvazione di 34 leggi, il nuovo parlamento venezuelano, a maggioranza chavista, sta dando prova della grande vitalità politica seguita ai 5 anni di destabilizzazione dell’estrema destra, che ha usato il potere legislativo, uno dei cinque di cui si compone l’istituito venezuelano, come grimaldello per distruggere la democrazia partecipativa e protagonista, e riportare indietro l’orologio della storia. Un ritorno indietro auspicato e promosso dagli USA e la UE, che continuano a sostenere quel parlamento archiviato, nel quale venne eletto anche l’autoproclamato “presidente a interim” Juan Guaidó. Una delle 34 leggi approvate in questi giorni dall’Assemblea Nazionale, dove sono stati eletti anche deputati della destra non golpista, riguarda il parlamento comunale, le Comunas, e le oltre 200 città comunali in costruzione.

“Comuna o nada!”, aveva gridato Chavez nel 2012. Un’esortazione strategica ripresa da Maduro e raccolta dalle istanze del potere popolare in quanto “utopia concreta”, nel senso che dà Marx all’idea del comunismo. Un’indicazione particolarmente forte in questo Bicentenario di indipendenza, e a 150 anni dalla Comune di Parigi (18 marzo-28 maggio 1871), la prima grande esperienza di autogoverno della storia contemporanea.

In Venezuela, è la Legge organica del sistema economico e comunale a regolare le forme di organizzazione socio-produttive previste nella Comuna: l’impresa di proprietà sociale diretta, quella di proprietà sociale indiretta, l’unità produttiva famigliare, i gruppi di interscambio solidali. La moneta comunale viene considerata uno strumento alternativo a quella ufficiale, onde permettere un interscambio di saperi, conoscenze, beni e servizi negli spazi del Sistema di Interscambio Solidale, mediante la cooperazione, la solidarietà e la complementarietà, in contrapposizione all’accumulazione individuale.

Si crea anche la Rete del commercio giusto e somministrazione socialista, integrata dalle comunità che agiscono in questo modo sul territorio nazionale. Dalle Comunas, intese come embrioni di nuove relazioni produttive e sociali in uno spazio diverso dall’economia di mercato, è emerso in questi anni anche un concreto messaggio di resistenza alla guerra economica scatenata dall’imperialismo e dai suoi terminali locali.

Insieme ai Consigli comunali, le Comunas hanno contribuito, infatti, alla produzione, e alla distribuzione casa per casa dei Clap, i Comité Locales de Abastecimiento y Producción la cui rivista reca il significativo titolo di Todo el Poder a los CLAPS (Tutto il potere ai CLAPS), richiamando così la famosa consegna di Lenin a proposito dei soviet, nel 1917.

Le oltre 3.250 Comunas, che nei progetti del governo bolivariano dovranno dar luogo a oltre 200 città comunali, sono luoghi di produzione e riproduzione sociale sul cammino della transizione al socialismo, nelle quali le donne – in quanto soggetti situati allo snodo tra produzione e riproduzione della vita – partecipano a tutti i livelli dell’organizzazione del potere popolare, soprattutto nei progetti produttivi.

Progetti rivolti a donne che, prima della rivoluzione, non avrebbero avuto alcuno strumento di emancipazione attraverso il lavoro politico, essendo confinate in casa a svolgere compiti domestici. La costituzione bolivariana, invece, all’articolo 88 dice che il lavoro domestico produce “valore aggiunto, ricchezza e benessere”. E Chávez, dando seguito a questa norma costituzionale, a protezione delle escluse dai diritti economici e sociali, ha creato la Misión Madres del Barrio, con un decreto presidenziale del marzo 2006.

Da allora, le casalinghe in stato di necessità, percepiscono una rendita tra il 60 e l’80% del salario minimo. Con la creazione del Ministero della Donna e l’uguaglianza di genere, nell’aprile del 2009, su proposta di Maria Leon, Chávez ha permesso il dispiegarsi delle politiche di inclusione per combattere la femminilizzazione della povertà (così evidente nelle società capitaliste e soprattutto in questi tempi di pandemia), attraverso il sostegno all’economia popolare. Uno di questi strumenti è costituito dalla Banca della Donna, BANMUJER, un’istituzione di micro-finanza pubblica che facilita il lavoro socio-produttivo nelle comunità alle donne in situazione di povertà estrema, incrementando così la coscienza politica e il lavoro comunitario.

Una vitalità testimoniata nelle numerose fiere della Venezuela produttiva, organizzate prima della pandemia, nella quale risultava evidente il fortunato e proficuo incrocio realizzato dall’incontro tra Chávez e la lotta delle donne, che lo porterà ad affermare: “non c’è socialismo senza femminismo”. Insieme al ricordo del Comandante, questo 5 di marzo, è presente anche quello di un’altra indimenticabile ribelle, Lina Ron, dirigente del partito UPV, scomparsa lo stesso giorno, ma dieci anni fa.

Lina fu un simbolo di emancipazione degli esclusi, di quella marginalità che, nei periodi di grande cambiamento, sceglie di prendere coscienza e di decidere da quale parte della barricata intende stare.

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