Álvaro Uribe Vélez, un criminale impunito

Maria Fernanda Barreto  https://misionverdad.com

La recente decisione della Procura colombiana di richiedere la preclusione delle indagini contro Álvaro Uribe Vélez, lo avvicina, nuovamente, alla totale impunità a cui è abituato.

Ma quell’impunità non è un suo privilegio, è una tradizione imposta nella presunta democrazia colombiana, dove i più grandi crimini rimangono impuniti, fintanto che siano commessi dalla classe politica o dai suoi capi del nord.

Impuniti sono, ad esempio, coloro che hanno ordinato il massacro dei lavoratori bananieri, nel 1928, inclusa, ovviamente, la United Fruit Company, ora Chiquita Brands International, che non ha mai perso l’abitudine di assassinare e persino di finanziare colpi di stato.

Nel 1929, il dirigente colombiano Jorge Eliecer Gaitán denunciò questo fatto davanti al Congresso e in un famoso discorso disse: “Dolorosamente sappiamo che in questo paese il governo ha la mitraglia omicida per i figli della patria e il ginocchio tremante a terra davanti all’oro americano”. Le sue parole, quasi 100 anni fa, posero a nudo l’oligarchia più violenta e transnazionalizzata del continente. Diciannove anni dopo, lo stesso Gaitán fu assassinato e, come era prevedibile, anche il suo assassinio continua impunito.

LA LEGITTIMAZIONE PUBBLICA DELL’IMPUNITÀ

Ma l’impunità in Colombia non si copre con un dito bensì con i conglomerati mediatici. Secondo l’ultima pubblicazione della classifica dei più ricchi sulla rivista Forbes, i proprietari, o soci di maggioranza, dei media più tradizionali e diffusi nel paese sono anche i quattro più ricchi della Colombia. Una coincidenza importante è che, almeno i due più ricchi, ottengono la loro ricchezza da grandi banche e società finanziarie.

In un paese in cui viene prodotta la più grande quantità di cocaina del mondo, non c’è possibilità di sapere quale sia il reale impatto di questo redditizio affare sull’economia nazionale, ma la logica indica che deve essere molto, e che una grande parte di quel denaro deve riciclarsi dentro la Colombia, per cui sono richieste banche e società tradizionalmente utilizzate per il riciclaggio di denaro, come le grandi società di costruzioni.

Per puro caso, entrambe sono le attività che hanno reso Luis Carlos Sarmiento Angulo l’uomo più ricco della Colombia e uno dei più ricchi al mondo. La sua famiglia ha acquistato, nel 2012, El Tiempo, il più grande e tradizionale giornale della Colombia.

Il secondo uomo della lista di Forbes è Jaime Gilinski, che, sorprendentemente, anche lui ha ammassato la sua fortuna nel settore finanziario. La famiglia Gilinski ha recentemente acquisito l’importante rivista politica Semana e l’ha celebrato facendo una vera purga interna di giornalisti e instaurando una linea editoriale totalmente alleata con l’attuale governo.

Il numero tre è Santo Domingo, che possiede nientemeno che El Espectador, Caracol Televisión e Blu Radio.

Da parte sua, Ardila Lülle, quarta nell’elenco di Forbes, possiede RCN, NTN24 e WIN, tra molti altri media.

Lo stesso fenomeno nazionale si riproduce su scala regionale, dove i mass media sono di proprietà delle famiglie che controllano economicamente e politicamente le regioni.

Questa visione generale permette capire molte cose su come viene manipolata l’opinione pubblica colombiana. Anche perché, ad esempio, nessuno di questi media sostiene le lotte popolari, perché attaccano la Rivoluzione Bolivariana e, in questo caso, perché sostengono l’impunità dell’oligarchia davanti all’opinione pubblica, combattono per difendere la subordinazione della politica colombiana a quella di Washington e sollevano scandali di notizie che salgono e scendono come schiuma, influenzando deliberatamente la memoria a lungo termine del loro pubblico.

IL CASO CONTRO URIBE VÉLEZ

 

A differenza di altri paesi dove i lawfare eseguiti contro governi progressisti latinoamericani hanno finito per rovesciare presidenze grazie a processi giudiziari truccati, in Colombia processare un ex presidente è qualcosa di impensabile, nemmeno quando, come nel caso di Álvaro Uribe Vélez, gran parte del suo ambiente politico è stato detenuto per legami con il narcotraffico, paramilitarismo e violazioni dei diritti umani.

Ciò contrasta anche con l'”efficacia” dello Stato colombiano nell’aprire indagini e processi giudiziari contro dirigenti sociali.

Il crimine per il quale Álvaro Uribe Vélez è attualmente indagato deriva da una denuncia da lui stesso presentata nel 2014 contro il senatore Iván Cepeda, accusandolo di manomissione di testimoni e offrire benefici ai paramilitari incarcerati affinché lo vincolassero a detti gruppi armati, poiché Cepeda aveva presentato davanti al Congresso la registrazione di un testimone che assicurava che il gruppo paramilitare a cui apparteneva si era addestrato in una fattoria della famiglia Uribe.

Sei anni dopo, quando Uribe iniziò a diventare scomodo per la classe politica nazionale e internazionale, il tribunale colombiano rigirò il caso rilevando che durante le indagini non si trovò alcun elemento che collegasse il senatore Cepeda a quelle pratiche, ma sì invece all’originario querelante, per cui iniziò un processo per i reati di corruzione e frode procedurale nei confronti dell’allora senatore Uribe, che terminò, addirittura, con l’emissione di un provvedimento assicurativo, cioè gli fu ordinato di permanere nella sua immensa tenuta agricola.

Di fronte a questa situazione, il senatore solito essere chiamato Presidente e ad agire in totale impunità,  decise di rinunciare al suo incarico in Senato per uscire dal raggio d’azione della Corte e passare alla Procura Generale della Nazione, istituzione assolutamente subordinata alla presidenza del paese dove, come era prevedibile, il caso si è andato sviluppando a suo favore sino al punto di richiederne la chiusura.

Ma Uribe è anche una patata bollente per gli USA, perché i suoi legami con il narcotraffico e il suo evidente vincolo con terribili violazioni dei diritti umani causano rumore in alcuni settori della politica USA.

A sua volta, quest’uomo che è stato, direttamente o indirettamente, al potere negli ultimi 20 anni in Colombia, ha reso grandi servizi al gigante nordamericano, ad esempio, concedendo più che impunità, immunità, in un accordo firmato con gli USA, nel 2003, affinché le truppe yankee agissero in Colombia senza che i crimini contro l’umanità che possano commettere siano indagati né presentati alla Corte Penale Internazionale, a meno che lo stesso governo USA non lo autorizzi.

Questa immensa concessione della sovranità colombiana ha rappresentato grandi vantaggi per gli USA nel convertire il paese in un’enclave militare da cui assicurarsi la spoliazione della Colombia e il controllo del narcotraffico, mentre attacca il Venezuela e rilancia i suoi piani imperialisti sull’intera regione.

Realisticamente, anche se questo causa contro Uribe dovesse prosperare e, alla fine, fosse condannato per i crimini di cui è accusato, i suoi crimini più gravi rimarrebbero nell’impunità.

Ad esempio, secondo una recente pubblicazione della Giurisdizione Speciale per la Pace, nel periodo tra il 2002 e il 2008 (tra la sua prima e la sua seconda presidenza), circa 6402 persone sono state assassinate per essere presentate come vittime di combattimento (“falsi positivi”), in tutto il territorio nazionale, dalla Forza Pubblica colombiana.

A questo andrebbero aggiunti i massacri commessi durante il suo passaggio al governatorato di Antioquia e per il Palazzo Nariño, i crimini contro l’umanità commessi dal suo governo nell’Operazione Orion nella Comunità 13 di Medellín, il bombardamento dell’Ecuador (Operazione Fénix), l’invasione paramilitare del Venezuela e molti altri gravi crimini che riempiono il fascicolo di Uribe Vélez e che hanno finito per minare la sua grande popolarità e stanno per seppellire politicamente coloro che seguono la sua dottrina.

Nonostante ciò, rompere quell’impunità, farlo sentire vulnerabili a chi possiede tali pretese come modello, sarebbe un buon passo per la Colombia e probabilmente avvicinerebbe la possibilità di dimostrare legalmente i suoi legami con il progetto paramilitare che ha contribuito a costruire e successivamente a legalizzare.

LA PERPETUAZIONE DELL’ INGIUSTIZIA

 

Impuniti rimangono, anche il genocidio contro l’Unione Patriottica avvenuto negli anni ’80, così come il recente genocidio di dirigenti sociali ed ex combattenti delle FARC-EP, gli innumerevoli massacri commessi negli ultimi cinquant’anni da militari e paramilitari, il massacro di cinque bambini a Cali lo scorso anno, i bombardamenti di presunti accampamenti dove si trovavano bambini/e ed adolescenti avvenuti lo scorso anno a Caquetá e la scorsa settimana a Guaviare. E così via.

Finché l’impunità per i crimini contro il popolo continuerà a essere la norma in Colombia, continuerà ad avanzare il tentativo di pacificazione popolare  attraverso l’omicidio, la smobilitazione e la paura, ma la pace sarà sempre più lontana.


ÁLVARO URIBE VÉLEZ, UN CRIMINAL IMPUNE

María Fernanda Barreto

La reciente decisión de la Fiscalía de Colombia de solicitar la preclusión de las investigaciones contra Álvaro Uribe Vélez, lo acerca de nuevo a la impunidad total a la que está acostumbrado.

Pero esa impunidad no es su privilegio, es una tradición impuesta en la supuesta democracia colombiana, donde quedan impunes los más grandes crímenes, siempre que los cometan la clase política o sus jefes del norte.

Impunes están, por ejemplo, quienes ordenaron la masacre de las bananeras en 1928, incluyendo, por supuesto, a la United Fruit Company, hoy Chiquita Brands International, que nunca perdió la costumbre de asesinar y hasta financiar golpes de Estado.

En 1929 el líder colombiano Jorge Eliecer Gaitán denunció este hecho ante el Congreso y en un famoso discurso dijo: “Dolorosamente sabemos que en este país el gobierno tiene la metralla homicida para los hijos de la patria y la temblorosa rodilla en tierra ante el oro americano”. Sus palabras, de hace casi 100 años, desnudaron a la oligarquía más violenta y transnacionalizada del continente. Diecinueve años después asesinaron al propio Gaitán y, como era de esperarse, también su asesinato continúa impune.

LA LEGITIMACIÓN PÚBLICA DE LA IMPUNIDAD

Pero la impunidad en Colombia no se tapa con un dedo sino con los conglomerados mediáticos. Según la última publicación del ránking de los más ricos de la revista Forbes, los dueños, o socios mayoritarios, de los medios más tradicionales y difundidos del país son también los cuatro más ricos de Colombia. Una coincidencia importante es que, al menos los dos más ricos, obtienen su riqueza de grandes bancos y empresas financieras.

En un país donde se produce la mayor cantidad de cocaína del mundo, no hay posibilidad de saber cuál es el impacto real de ese lucrativo negocio para la economía nacional, pero la lógica indica que debe ser mucho, y que gran parte de ese dinero debe lavarse dentro de Colombia, para lo que se requieren bancos y negocios tradicionalmente usados para el lavado de dinero, como las grandes empresas constructoras.

Por pura casualidad, ambos son los negocios que han hecho a Luis Carlos Sarmiento Angulo el hombre más rico de Colombia y uno de los más ricos del mundo. Su familia compró en 2012 El Tiempo, el más grande y tradicional periódico de Colombia.

El segundo hombre de la lista Forbes es Jaime Gilinski quien sorpresivamente también ha amasado su fortuna en el sector financiero. Recientemente la familia Gilinski adquirió la importante revista política Semana y lo celebró haciendo una verdadera purga interna de periodistas y estableciendo una línea editorial totalmente aliada con el gobierno actual.

El número tres es Santo Domingo, quien posee nada menos que El Espectador, Caracol Televisión y Blu Radio.

Por su parte, Ardila Lülle, cuarto en la lista Forbes, es dueño de RCN, NTN24 y WIN, entre otros muchos medios.

El mismo fenómeno nacional se reproduce a escala regional, donde los medios de comunicación más grandes son propiedad de las familias que controlan económica y políticamente las regiones.

Esta visión general permite entender muchas cosas sobre cómo se manipula a la opinión pública colombiana. También por qué, por ejemplo, ninguno de esos medios acompaña las luchas populares, por qué atacan a la Revolución Bolivariana y, en este caso, por qué sostienen la impunidad de la oligarquía ante la opinión pública, se pelean para defender la subordinación de la política colombiana a los designios de Washington y levantan escándalos noticiosos que suben y bajan como la espuma, afectando premeditadamente la memoria a largo plazo de su público.

EL CASO CONTRA URIBE VÉLEZ

En contraste con otros países donde los lawfare ejecutados contra gobiernos progresistas latinoamericanos que han terminado por tumbar presidencias gracias a procesos judiciales amañados, en Colombia juzgar a un expresidente es algo impensable, ni siquiera cuando, como en el caso de Álvaro Uribe Vélez, ya gran parte de su entorno político ha sido detenido por vinculaciones con el narcotráfico, el paramilitarismo y las violaciones de derechos humanos.

Esto también contrasta con la “eficacia” del Estado colombiano para abrir investigaciones y procesos judiciales contra líderes y lideresas sociales.

El delito por el que actualmente se investiga a Álvaro Uribe Vélez parte de una denuncia hecha por él mismo en el año 2014 contra el senador Iván Cepeda, acusándolo de manipular testigos y ofrecer beneficios a paramilitares presos para que lo vincularan con dichos grupos armados, ya que Cepeda había presentado ante el Congreso la grabación de un testigo que asegura que el grupo paramilitar al que pertenecía se había formado en una finca de la familia Uribe.

Seis años después, cuando Uribe comenzó a volverse incómodo para la clase política nacional e internacional, la Corte colombiana dio un giro al caso señalando que durante la investigación no se encontró ningún elemento que vinculara al senador Cepeda a esas prácticas, pero sí en cambio al originalmente demandante, por lo que inicia un proceso por los delitos de soborno y fraude procesal al entonces senador Uribe, al que incluso terminó por dictar medida de aseguramiento, es decir, que se le ordenó permanecer en su inmensa finca.

Ante esta situación, el senador acostumbrado a ser llamado Presidente y a actuar con toda impunidad, decidió renunciar a su puesto en el Senado para salir del radar de la Corte y pasar a la Fiscalía General de la Nación, institución absolutamente subordinada a la presidencia del país, donde, como era de esperarse, el caso se ha ido desarrollando a su favor hasta el punto de solicitar el cierre del mismo.

Pero Uribe es una papa caliente también para los Estados Unidos, porque sus vínculos con el narcotráfico y su evidente vinculación a terribles violaciones de derechos humanos causan ruido en algunos sectores de la política estadounidense.

A su vez este hombre, que ha estado directa o indirectamente en el poder durante los últimos 20 años en Colombia, ha prestado grandes servicios al gigante norteamericano, por ejemplo, otorgando más que impunidad, inmunidad, en convenio firmado con los Estados Unidos en 2003 para que las tropas estadounidenses actuasen en Colombia sin que los delitos de lesa humanidad que cometan puedan ser investigados ni presentados ante la Corte Penal Internacional, a no ser que el propio gobierno estadounidense lo autorizace.

Esta inmensa concesión de la soberanía colombiana ha representado grandes ventajas a Estados Unidos para convertir al país en un enclave militar desde el que asegura el despojo de Colombia y el control del narcotráfico, mientras ataca a Venezuela y relanza sus planes imperialistas sobre toda la región.

Siendo realistas, aún si esta causa contra Uribe prosperara y finalmente fuera condenado por los delitos que se le imputan, continuarían en la impunidad sus más grandes crímenes.

Por ejemplo, según una publicación reciente de la Jurisdicción Especial para la Paz, en el período comprendido entre los años 2002 y 2008 (entre su primera y su segunda presidencia), aproximadamente 6 mil 402 personas fueron asesinadas para ser presentadas como bajas en combate (“falsos positivos”) en todo el territorio nacional por la Fuerza Pública colombiana.

A esto habría que sumar las masacres que se cometieron durante su paso por la gobernación de Antioquia y por el Palacio de Nariño, los crímenes de lesa humanidad cometidos por su gobierno en la Operación Orión en la Comuna 13 de Medellín, el bombardeo a Ecuador (Operación Fénix), la invasión paramilitar a Venezuela, y muchos otros graves crímenes que engrosan el prontuario de Uribe Vélez y que han terminado por socavar su otrora grande popularidad y están a punto de enterrar políticamente a quienes siguen su doctrina.

A pesar de eso, romper con esa impunidad, hacerle sentir vulnerable a quien posee tales ínfulas de patrón, sería un buen paso para Colombia y probablemente acercaría la posibilidad de demostrar legalmente sus vínculos con el proyecto paramilitar que ayudó a construir y luego a legalizar.

LA PERPETUACIÓN DE LA INJUSTICIA

Impunes continúan, también, el genocidio contra la Unión Patriótica ocurrido en la década de 1980, así como el reciente genocidio de líderes y lideresas sociales y excombatientes de las FARC-EP, las innumerables masacres cometidas en las últimas cinco décadas por parte de militares y paramilitares, la masacre de cinco niños en Cali el año pasado, los bombardeos a presuntos campamentos donde se encontraban niños, niñas y adolescentes ocurridos el año pasado en Caquetá y la semana pasada en el Guaviare. Etcétera.

Mientras la impunidad de los crímenes contra el pueblo siga siendo la norma en Colombia, seguirá avanzando el intento de pacificación popular mediante el asesinato, la desmovilización y el miedo, pero la paz estará cada vez más lejana.

Share Button

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.