I capi della destra centroamericana lodano il neoliberista “Piano Biden”

Ben Norton, The Gray Zone

I politici di destra centroamericani applaudono il Plan Biden, strategia USA che promette investimenti aziendali in cambio di riforme neoliberiste. Si impegnano a rimanere nella “sfera d’influenza” USA e isolare Cina e Russia, mentre chiedono il cambio di regime contro il governo di sinistra del Nicaragua.

L’amministrazione Biden dava priorità all’America Centrale nella politica estera, sviluppando un piano globale che promette 4 miliardi di dollari di finanziamenti per la regione impoverita, insieme agli investimenti da imprese straniere, in cambio di aggressive riforme neoliberiste del “mercato libero”. Secondo il programma dell’amministrazione Biden, i governi centroamericani saranno tenuti a tagliare le protezioni per i lavoratori, garantire “che le pratiche di lavoro non svantaggino la concorrenza”, rafforzare gli accordi di “libero scambio” con gli USA e “ridurre le barriere agli investimenti privati”, consentendo alle società statunitensi maggiore controllo sulla regione. Il piano è anche esplicitamente mirato a isolare Cina e Russia nel tentativo di consolidare il controllo di Washington sulla regione. I capi di destra in America centrale elogiano l’iniziativa mentre sollecitano l’amministrazione Biden ad andare oltre nel minare l’ultimo Stato di sinistra della regione, il governo sandinista del Nicaragua. Durante un evento del 17 febbraio presso un think tank finanziato dal governo degli Stati Uniti chiamato Inter-American Dialogue, ex-presidenti, vicepresidenti e ministri degli esteri delle nazioni centroamericane conservatori applaudivano la strategia, nota informalmente come il “Piano Biden” o “Plan Biden”. L’approccio dell’amministrazione Biden è immediatamente finalizzato a limitare l’immigrazione di rifugiati centroamericani negli Stati Uniti. Si guadagnava il soprannome di “Piano Biden” perché è modellato su un’altra politica che il presidente supervisionò al Senato. Il Plan Colombia, programma contro l’insurrezione imposto alla Colombia che alimentò violenze, provocando migliaia di morti e di rifugiati, esacerbando la povertà e la disuguaglianza nel Paese. Il redattore di Grayzone Max Blumenthal ha indagato sull’enorme danno che le politiche neoliberiste di Biden hanno già causato all’America centrale, quando era vicepresidente e uomo di punta per la regione dell’amministrazione Barack Obama. Ora che è presidente, Biden ripropone le politiche di Obama e ampliandole.

Dopo il Dialogo Interamericano, i politici centroamericani di destra che vi parteciparono dichiararono di essere “incoraggiati” dal Plan Biden, insistendo sul fatto che sarà “reciprocamente vantaggioso” e parte della “visione condivisa tra governi degli Stati e della regione centroamericana” che isolerà gli avversari di Washington. I capi conservatori alimentavano i timori dell’influenza cinese e russa, avvertendo che se gli Stati Uniti non avessero intensificato l’intervento nella regione, Pechino e Mosca avrebbero riempito il vuoto. Una figura dell’opposizione nicaraguense di destra persino chieseal governo degli Stati Uniti di trattare l’America centrale come procura neocoloniale, “come fatto in passato per le sfere di influenza”. In tal senso, Plan Biden fa parte della nuova guerra fredda di Washington, espressamente mirata a rafforzare l’influenza politica ed economica degli Stati Uniti sull’America Latina e a indebolire i crescenti legami delle nazioni centroamericane con Cina e Russia. Allo stesso modo, all’evento del 17 febbraio, i capi conservatori centroamericani invitavano l’amministrazione Biden ad alzare la pressione sul governo di sinistra democraticamente eletto del Nicaragua. Diversi politici si riferirono in modo scherzoso all’oligarca conservatrice Cristiana Chamorro, sostenuta dagli Stati Uniti, come “presidente” del Nicaragua, rifiutandosi di riconoscere la legittimità del Presidente Daniel Ortega, che denigravano come “dittatore”. Un ex-funzionario del dipartimento di Stato di Obama che ora lavora in un altro think tank finanziato dal governo degli Stati Uniti e che collabora coll’amministrazione Biden, utilizzò l’evento per sottolineare che il team di politica estera di Biden intende investire pesantemente nelle organizzazioni della “società civile” in America Latina al fine di usarle come ascari degli interessi degli Stati Uniti, spiegando che le ONG sono “interlocutori favoriti, dal punto di vista dell’amministrazione, nello sviluppo ed attuazione delle sue politiche nella regione”.

Mentre Biden si è impegnato a ribaltare le politiche di Donald Trump, i suoi piani per l’America centrale mostrano che il belluino interventismo di Washington rimarrà lo stesso, ma con maggiore enfasi sulle alleanze con la leadership regionale di destra. Dopotutto, fu l’amministrazione Obama-Biden a presiedere il golpe militare che rovesciò il governo eletto dell’Honduras nel 2009, insediando un governo corrotto accusato di brogli elettorali e pesantemente coinvolto nel traffico di droga. La discussione sul Plan Biden al Dialogo Interamericano dava un’indicazione abbastanza chiara che le politiche aggressive che definirono l’approccio di Obama e Trump all’America Centrale continueranno ora che Biden è presidente.

Il “Plan Biden” neoliberista promette 4 miliardi di dollari per l’America centrale, con vincoli aziendali collegati

 

Durante la campagna presidenziale del 2020, una delle uniche proposte di politica estera complete che Joe Biden presentò fu la promessa di investire 4 miliardi di dollari in America centrale per arginare l’emigrazione di massa. La sua campagna chiamò ciò “Il piano Biden per costruire sicurezza e prosperità in collaborazione col popolo dell’America centrale”. Il Piano Biden si concentra principalmente sui Paesi che compongono il Triangolo settentrionale della regione, Honduras, El Salvador e Guatemala, che costituiscono la maggior parte dell’immigrazione centroamericana negli Stati Uniti. La campagna di Biden spacciò la sua strategia per l’America centrale come mezzo per riaffermare il potere sulla regione, insistendo: “Una rinnovata leadership degli Stati Uniti è disperatamente necessaria e va integrata da investimenti privato, sostegno della comunità internazionale dei donatori e impegno dei governi a intraprendere riforme fondamentali”. Il “Plan Biden” tratta la violenza endemica e la corruzione in America Centrale non come problemi politici generati dai regimi di destra impopolari sostenuti da Washington, o come contraccolpo della guerra alla droga degli Stati Uniti che ha deportato decine di migliaia di criminali nella regione in cambio di aiuti, ma piuttosto come inconvenienti che possono essere gestiti con scorciatoie tecnocratiche che offrono stabilità sufficiente per farvi entrare le società nordamericane. Rafforzando le politiche economiche neoliberiste che hanno distrutto le economie locali nella regione, in particolare nelle aree rurali, è probabile che il Plan Biden, ironicamente, fornirà ulteriore impulso alle future generazioni di centroamericani impoveriti e disoccupati a migrare verso nord. L’iniziativa di Biden si basa sulla “Alliance for Prosperity”, lanciata dal l’ex-presidente Barack Obama. Il suo sito ufficiale della campagna elettorale si riferiva con orgoglio all’ex-vicepresidente come “la persona di riferimento per l’amministrazione Obama-Biden” sull’America centrale. Nell’ultimo anno del mandato di Obama, 2016, Biden garantì 750 milioni di dollari per il piano “Alliance for Prosperity”. Questo in aggiunta a 560 milioni nel 2015 e 305 milioni nel 2014. L’amministrazione Obama dichiarò senza mezzi termini che il denaro degli aiuti aveve un prezzo: secondo la Casa Bianca, attribuiva “responsabilità significativa ai governi del Triangolo del Nord nell’intraprendere le riforme necessarie per ricevere i fondi statunitensi a sostegno del Piano dell’Alleanza per la prosperità”. Le riforme imposero campagne di pressione pubblica per scoraggiare i cittadini dall’immigrare negli Stati Uniti, oltre a combattere corruzione e traffico di droga. Ma al centro dell’Alleanza per la prosperità c’era la richiesta che le nazioni centroamericane impongano politiche aggressive di aggiustamento strutturale.

In effetti, “Plan Biden” continua esattamente da dove si era fermata l’Alleanza per la prosperità. Il sito della campagna Biden afferma chiaramente che “l’amministrazione sfrutterà gli investimenti del settore privato per promuovere stabilità economica e creazione di posti di lavoro in America centrale, riducendo le barriere agli investimenti del settore privato” e “migliorando la competitività del mercato del Triangolo settentrionale”. Ciò significa che le nazioni centroamericane dovranno porre fine alle restrizioni che hanno sulle società straniere che dominano industrie e mercati, rimuovendo eventuali tariffe o misure protezionistiche economiche, esattamente la politica che devastò le economie locali in America Latina, alimentando povertà, disoccupazione e quindi emigrazione di massa. “Massimizzare i nostri accordi commerciali genera anche maggiori opportunità economiche per imprese ed investitori statunitensi”, sottolinea il piano. La strategia propone “investimenti del settore privato, anche attraverso partenariati pubblico-privati, per integrare i fondi governativi”. Inoltre, il Piano Biden si impegna a dirigere “rappresentante del Commercio USA e dipartimento del Commercio per valutare se i Paesi dell’America Centrale rispettano i loro impegni col DR-CAFTA”, riferendosi all’accordo di libero scambio dell’America centrale negoziato dall’amministrazione Bush nel 2004. Il Piano Biden prevede di utilizzare i requisiti CAFTA per garantire “che le pratiche di lavoro non svantaggino la concorrenza”, in altre parole, costringono le nazioni centroamericane a tagliare le poche protezioni, salari e benefici che forniscono ai lavoratori.

Plan Biden chiede anche di lavorare con banche che impongono programmi di aggiustamento strutturale neoliberista, “come la Banca mondiale e la Banca interamericana di sviluppo (IDB), per sviluppare infrastrutture e promuovere investimenti stranieri impegnandosi col settore privato in modo competitivo”. Verranno utilizzati anche programmi di “microfinanza”, nell’ambito del Piano Biden. Tali iniziative sono spesso descritte come umanitarie dalla sinistra, ma fu dimostrato che intrappolano i lavoratori poveri nel Sud del mondo in debiti impagabili, portando a decine di migliaia di suicidi di agricoltori in India. Per dare al piano neoliberista una patina progressista superficiale, l’amministrazione Biden afferma di dare priorità “al ruolo centrale delle donne come potente forza di sviluppo”. Per integrare investimenti delle imprese straniere e partnership pubblico-private, Plan Biden propone le ONG come veicoli di influenza, impegnandosi a “investire principalmente nelle organizzazioni della società civile”. Secondo quanto riferito, i 4 miliardi di dollari di finanziamenti del governo degli Stati Uniti del Plan Biden proverranno dal dipartimento per la sicurezza interna. Anche il braccio del soft power del governo degli Stati Uniti, l’Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale (USAID), svolgerà un ruolo di primo piano nel Piano Biden. USAID è da tempo una facciata della CIA, finanziando gruppi di opposizione di destra nei Paesi presi di mira da Washington per il cambio di regime. Grayzone smascherò un piano USAID volto a rovesciare il governo nicaraguense, chiamato Responsive Assistance in Nicaragua (RAIN), volto a realizzare l’”economia di mercato” e l’epurazione dei sandinisti di sinistra. Sotto la guida del falco umanitario Samantha Power, USAID è quasi certo che giocherà un ruolo maggiore negli interventi degli Stati Uniti nella regione.

Nel think tank finanziato dal governo USA, i capi centroamericani di destra lodano il Plan Biden, chiedendo più riforme neoliberiste

 

Il 17 febbraio, il think tank finanziato dal governo degli Stati Uniti, Dialogo interamericano, ebbe l’evento intitolato “Piano di Biden per l’America centrale – Prospettive dalla regione”. La tavola rotonda video vide l’ex-presidente del Costa Rica, l’ex-vicepresidente e ministro degli Esteri di Panama, l’ex-vicepresidente e ministro degli esteri del Guatemala e l’ex-ministro degli esteri di El Salvador, tutti i al servizio di governi neoliberisti di destra e tutti ad elogiare il Plan Biden; e molti chiesero al presidente USA di ampliarlo ulteriormente. Con ingenti finanziamenti da governi, aziende e Organizzazione degli Stati americani (OSA) che sponsorizza colpi di Stato, il Dialogo Interamericano si affermò come uno dei think tank più influenti di Washington sulla politica latinoamericana. Come il governo USA che lo sponsorizza, il Dialogo promuove gli interessi degli oligarchi, crea riforme neoliberali e sostiene l’intervento più aggressivo degli USA in America Latina, mentre agisce come piattaforma della destra nella regione. Tra i donatori di alto profilo del think tank ci sono USAID di Washington, Inter-American Development Bank, Chevron, ExxonMobil, BP, Google, WalMart, Lockheed Martin e Open Society Foundations (OSF) del miliardario anticomunista George Soros, insieme a Ford Foundation, McKinsey e Chemonics. Dopo la conferenza virtuale, Dialogo Interamericano pubblicò una dichiarazione congiunta firmata dalla confraternita dei capi conservatori centroamericani. Il documento afferma che sono “fiduciosi” e “incoraggiati” dal Plan Biden, insistendo che sarà “reciprocamente vantaggioso” e “punto di partenza nella formulazione di una visione condivisa tra governo degli Stati Uniti e regione centroamericana”. La dichiarazione sottolinea che tali politici centroamericani di destra “hanno ideali e obiettivi condivisi” con “Unione europea e Giappone”. In breve, il loro intento era impegnarsi ad opporsi agli interessi cinesi e russi nella regione in cambio di maggiori investimenti aziendali dagli Stati Uniti. La loro unica critica sostanziale al piano era che isola le nazioni del Triangolo settentrionale (Guatemala, El Salvador e Honduras) dal resto dell’America centrale (Nicaragua, Costa Rica, Panama e Belize). La dichiarazione fa di tutto per individuare e attaccare il Nicaragua, proclamando “la deriva dittatoriale del Nicaragua è particolarmente grave e dovrebbe essere affrontata con urgenza, date le imminenti elezioni nel novembre 2021”, sostenendo che “rappresenta una seria minaccia non solo per la America ma per l’intero continente”.

Il tema centrale della tavola rotonda del Dialogo era il rafforzamento della “partnership” tra Stati dell’America centrale e Stati Uniti. Le parole “partner” o “partnership” erano utilizzate 28 volte. Laura Chinchilla, l’ex-presidente di destra del Costa Rica e co-presidente del Dialogo interamericano, disse contenta: “Siamo incoraggiati dalla determinazione dell’amministrazione di Biden a rafforzare le nazioni centroamericane”. Chinchilla fu raggiunta da María Eugenia Brizuela de Avila, ex-ministro degli esteri del presidente di El Salvador Francisco Flores Pérez, del partito di estrema destra ARENA, stretto alleato di Washington accusato e condannato per aver rubato decine di milioni di dollari di aiuti inviati per la ricostruzione dopo disastrosi terremoti. Brizuela chiese una serie di riforme neoliberiste, insistendo sul fatto che l’unico modo con cui l’America centrale potrà svilupparsi è attraverso “investimenti privati”, “imprenditorialità” e “partenariati pubblico-privato”. Sottolineando che “il partenariato degli USA è essenziale”, mentre chiede migliori relazioni con Unione europea e anche Giappone, Brizuela sottolineava che la nuova guerra fredda di Washington contro Pechino è un’opportunità economica per l’America centrale. “C’è anche un’opportunità per la deviazione degli scambi causata dalla guerra commerciale Cina-USA, che incoraggia le aziende statunitensi a cercare di migliorare il valore della loro catena di approvvigionamento attraverso il vicinato”, affermava Brizuela. Un sito aziendale che compila rapporti di intelligence per le aziende amplificava l’argomento di Brizuela: “la guerra commerciale USA-Cina significa che l’America centrale ha l’opportunità di migliorare le catene di approvvigionamento nel vicinato e di agire come nodo logistico”. Un’altra oratrice, Isabel de Saint Malo, ex-vicepresidente di destra e ministro degli esteri di Panama, ripetutamente sottolineò “l’importanza del partenariato USA coll’America centrale”, sottolineando: “Questo l’apprezziamo”. De Saint Malo anche accennò al fatto che l’America centrale si schiererà fermamente con Washington contro Russia e Cina se le società statunitensi investono pesantemente nella regione. “Riguardo alla presenza di altri Paesi interessati alla regione, citava la Cina e altri, l’America centrale non può essere nella lotta geopolitica. Non c’è niente da guadagnarci”, aveva detto. “Abbiamo bisogno di partner per superare gli ostacoli che abbiamo di fronte”, continuava De Saint Malo, aggiungendo subito, “Vorrei cogliere l’occasione per invitare i privati statunitensi a venire nella regione, essere presente, portando possibilità finanziarie”. Mentre De Saint Malo parlava, sovrintendeva alla missione elettorale dell’OAS in Ecuador, dove, sotto la sua guida, l’organizzazione aiuta il governo di destra di Moreno a usurpare l’elezione del popolare candidato socialista Andrés Arauz.

Demonizzare il Nicaragua scherzando sul riconoscimento come presidente non eletto della figura dell’opposizione di destra

 

I commenti dei capi conservatori centroamericani all’evento virtuale del Dialogo interamericano erano la ripetizione standard della loro dichiarazione scritta. Ma un tema spiccava: il Nicaragua. Se guardassi l’evento e non sapessi nulla dell’America centrale, penseresti che il Paese sia una distopia infernale governata da un re pazzo. In realtà, il Nicaragua è il Paese più sicuro dell’America centrale, in netto contrasto coi governi di destra di Honduras ed El Salvador, sostenuti dagli Stati Uniti, che rappresentano due delle nazioni più violente della Terra. Il Nicaragua contribuisce meno all’immigrazione, mentre la maggior parte degli immigrati centroamericani negli Stati Uniti proviene dal Triangolo settentrionale. Non ci sono virtualmente cartelli attivi in Nicaragua e il traffico di droga è praticamente inesistente, mentre la criminalità organizzata dilaga in Honduras ed El Salvador. In effetti, il presidente di destra dell’Honduras, Juan Orlando Hernández, fu accusato da un tribunale federale degli Stati Uniti come parte di un importante traffico di droga. Cristiana Chamorro, figura dell’opposizione di destra di una famiglia oligarchica del Nicaragua, utilizzò il Dialogo interamericano per descrivere il governo eletto del suo Paese come “dittatura” e “regime”. “L’asse cubano, nicaraguense e venezuelano è al centro dell’instabilità nella regione, e va visto come tale, cogli stretti legami esistenti con Russia e Cina”, avvertiva Chamorro. Il regime nicaraguense “è una minaccia per il continente americano”, affermava. Cristiana è la figlia dell’ex-presidentessa neoliberista del Nicaragua Violeta de Barrios Chamorro, sostenuta dagli Stati Uniti. Cristiana fondò e dirige Violeta de Barrios Chamorro Foundation, strumento dell’influenza di Washington che finanzia e forma attivisti di destra in Nicaragua. Il braccio da soft-power del governo degli Stati Uniti, l’Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale (USAID), donò milioni di dollari alla Fondazione Chamorro, usandoli come mezzo per finanziare l’opposizione al Fronte socialista sandinista del Nicaragua. Leggendo una dichiarazione in inglese, riferendosi ai colleghi conservatori del dialogo come “amici”, Chamorro avvertì che il governo sandinista di sinistra del Nicaragua potrebbe minacciare il neoliberista Plan Biden. Chamorro chiese di collaborare coll’OAS per fare pressione sul governo nicaraguense ed elogiò l’amministrazione Biden per le dure dichiarazioni contro il governo sandinista . Dichiarò i piani del governo degli Stati Uniti d’imporre altre sanzioni al suo Paese d’origine come “buona notizia” e chiese ulteriori attacchi economici. Chamorro si riferiva persino all’America centrale come parte della “sfera di influenza” coloniale di Washington, suggerendo che “si potrebbe costruire un approccio geostrategico, come fatto in passato per le sfere d’influenza”. “Penso che se questa nuova era non trarrà vantaggio da questa situazione, da questo primo momento, Cina e Russia saranno nella regione e minacceranno America Centrale e America Latina”, ammoniva Chamorro in un inglese stentato.

Ricardo Zúñiga, ex-diplomatico del dipartimento di Stato dell’amministrazione Barack Obama che ora lavora presso il Woodrow Wilson Center finanziato dal governo statunitense, era così eccitato dai commenti di Chamorro che la dichiarava “presidente” del Nicaragua. L’ospite dell’evento virtuale, il presidente del dialogo interamericano Michael Shifter, rispose scherzando a Zúñiga: “Non ancora, non ancora!” Eduardo Stein, l’ex-vicepresidente di destra e ministro degli esteri del Guatemala, poi scherzosamente fece eco descrivendo Chamorro come “presidente” del Nicaragua. Infine Chinchilla, l’ex-presidentessa conservatrice del Costa Rica, aggiunse che riconoscerebbe volentieri Chamorro presidente del Nicaragua, dicendo: “Diamo sicuramente il benvenuto a qualsiasi capo democratico in quel Paese”. Oltre a riferirsi a Chamorro come presidente, Zúñiga parlò con sorprende sincerità del ruolo delle ONG sostenute dal governo degli Stati Uniti come agenti dei loro interessi. Le organizzazioni della società civile sono “gli interlocutori privilegiati, dal punto di vista dell’amministrazione, nello sviluppo e attuazione delle sue politiche nella regione”. Zúñiga aggiunse: “Ho già sentito dai colleghi che, mentre sviluppano i piani per la strategia del presidente Biden in America Centrale, intendono consultarsi molto ampiamente. Questo evento qui e le osservazioni qui condivise fanno parte di tale consultazione, ne sono sicuro”.

Traduzione di Alessandro Lattanzio

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