In cosa consiste il Piano Biden per il centroamerica?

CONTINUITÀ DELLE AMMINISTRAZIONI OBAMA E TRUMP

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Il saldo negativo lasciato dalla politica estera di Barack Obama per il Centro America, soprattutto per quanto riguarda la migrazione verso gli USA, ha avuto ripercussioni molto evidenti, la cui espressione più nitida si è indubbiamente cristallizzata con la cosiddetta Carovana Migrante, che ha avuto una risposta negativa da parte dell’amministrazione Trump.

Durante il mandato di Obama, ricordiamolo, il vicepresidente è stato lo stesso Joe Biden, già promotore dei macropiani regionali USA dal Senato, essendo uno dei principali promotori del Plan Colombia, che ha avuto conseguenze distruttive per il paese sudamericano, e la regione in generale, con l’aumento della produzione di cocaina e delle vittime della guerra fratricida, che viene sviluppandosi da più di mezzo secolo, oltre alle violazioni dei diritti umani, agli sfollamenti e all’ascesa dell’economia illegale in diversi settori.

Ora c’è una riedizione delle politiche di Obama per il Centro America con il cosiddetto Piano Biden, presentato alla fine dello scorso anno. Consiste in un finanziamento di 4 miliardi di dollari per la impoverita regione, insieme con gli investimenti delle imprese straniere, in cambio di aggressive riforme neoliberali di “libero mercato”, spiega il giornalista USA Ben Norton.

Così Norton descrive, in forma generale, il suddetto Piano Biden:

Secondo il programma dell’amministrazione Biden, i governi centroamericani dovranno tagliare le protezioni ai lavoratori, garantire che “le pratiche lavorative non danneggino la concorrenza”, rafforzare gli accordi di “libero scambio” con gli USA e “ridurre le barriere all’investimento del settore privato”, per consentire alle corporazioni USA un maggiore controllo sulla regione.

La maggior parte dei governi che, attualmente, presiedono gli Stati centroamericani, ad eccezione del Nicaragua, sono soggetti alle dinamiche imposte dagli USA.

DIALOGO INTERAMERICANO E ALLEANZA PER LA PROSPERITÀ: INIZIATIVE NEOLIBERALI

 

Sia Guatemala, Honduras ed El Salvador (il Triangolo del Nord) così come Belize, Costa Rica e Panama sperano di ricevere una fetta dei 4 miliardi di dollari che il nuovo inquilino della Casa Bianca promette, così lo avrebbero applaudito il 17 febbraio durante un incontro tra ministri degli esteri, operatori politici regionali e rappresentanti di Washington chiamato Dialogo Interamericano.

Norton afferma che “l’approccio dell’amministrazione Biden ha come obiettivo più immediato limitare l’immigrazione di rifugiati centroamericani negli USA”, il che è in contrasto con le promesse della campagna del Partito Democratico per l’incoraggiamento degli immigrati. Niente di nuovo se si tiene conto di quello che è successo con Barack Obama.

Per questo, ha il sostegno dei governi centroamericani docili ai disegni USA, alludendo che sarà “di reciproco vantaggio” e parte di una “visione condivisa con gli USA”, secondo le conclusioni del Dialogo Interamericano.

Inoltre, il fattore geopolitico continua ad apparire nel Piano Biden, che ritiene, insieme ai paesi satelliti, che Cina e Russia debbano essere “contenute” nella penetrazione della loro influenza nella regione, preziosa per gli interessi di Washington. Detto progetto è considerato, da questa prospettiva, come uno strumento della nuova guerra fredda che il declino anglo-egemone sta sviluppando sulle emergenti potenze eurasiatiche.

L’analisi di quanto emanato da quell’incontro, del 17 febbraio, è comprovare che gli USA non solo si propongono di gonfiare di dollari la regione centroamericana, bensì che intendono approfondire quanto già fatto dalle amministrazioni Obama e Trump: intronizzare la sinergia tra Il Pentagono e i settori militari degli Stati sussunti alla logica USA, popolare di ONG tutti quei paesi al fine di preservare i canali per le risorse e governabilità territoriale e circondare e attaccare il Nicaragua sandinista, in un nuovo ciclo di tentativi di “cambio di regime” contro il governo di Daniel Ortega.

Il tragico del Piano Biden è che le conseguenze delle politiche USA sulla regione in termini di immigrazione, narcotraffico e violenza irregolare sembrano essere risolte con scorciatoie tecnocratiche ed iniezioni  di denaro tipiche del neoliberalismo (tagli ai bilanci sociali degli Stati, tra le altre riforme che proiettano in alto la disuguaglianza), come Norton ben relaziona:

Rafforzando le politiche economiche neoliberali che hanno distrutto le economie locali in tutta la regione, in particolare nelle aree rurali, è probabile che il Piano Biden, ironicamente, offra più impulso affinché le future generazioni di centroamericani impoveriti e disoccupati migrino verso nord.

In modo tale che si prevede che l’Amministrazione Biden, tramite la cosiddetta Alleanza per la Prosperità, che, anteriormente, è stata finanziata con centinaia di milioni di dollari a governi passati, oggi possa agire come Fondo Monetario Internazionale in cambio di denaro per i governi centroamericani. Sono previste riforme strutturali in politica economica, aggressive nei confronti delle popolazioni autoctone, soprattutto nel Triangolo del Nord, pianificate dagli USA e che renderanno più dolorosa la tragedia sociale con cui è stata punita l’America Centrale.

Il settore privato in Centro America sarebbe uno dei principali beneficiari del Piano Biden al fine di “aumentare l’occupazione”, “ridurre le barriere agli investimenti privati” e “migliorare la competitività del mercato”, quindi, come dice il giornalista nordamericano, per raggiungere questi obiettivi, “le nazioni centroamericane dovranno porre fine alle restrizioni che impongono alle società straniere che dominano le loro industrie e mercati, eliminando tariffe doganali o misure economiche protezionistiche, esattamente il tipo di politiche che hanno devastato le economie locali in America Latina, alimentando la povertà, la disoccupazione e, quindi, migrazione di massa”.

Con meccanismi diversi, lo stesso piano tenderebbe a “costringere le nazioni centroamericane a tagliare le poche protezioni, salari e benefici che forniscono ai lavoratori”. E “per integrare gli investimenti delle imprese straniere e le associazioni pubblico-private, il Piano Biden propone le ONG come veicoli di influenza, impegnandosi a ‘investire principalmente nelle organizzazioni della società civile'”, scrive Norton.

INTERVENTO ALLA CARTA

 

Va notato che il denaro per il Piano Biden proverrà dal Dipartimento per la Sicurezza Nazionale e dall’USAID, quest’ultima istituzione che ha già accumulato esperienza nel finanziamento di strategie di “cambio di regime” in Nicaragua, come anteriormente riferito da The Greyzone. Persino, dice Norton, “sotto la guida del falco umanitario Samantha Power, l’USAID svolgerà, quasi certamente, un ruolo più importante negli interventi USA in tutta la regione”.

Di fatto tra i donatori di alto profilo del gruppo di esperti presenti all’evento di Dialogo Inter-Americano, c’erano USAID, il Banco Inter-Americano di Sviluppo, Chevron, ExxonMobil, BP, Google, WalMart, Lockheed Martin e Open Society Foundations del famoso miliardario anticomunista George Soros, insieme alla Fondazione Ford, McKinsey e Chemonics.

Quella costellazione corporativa è quella che fissa chiaramente i suoi occhi sul Piano Biden, i principali beneficiari delle sue politiche: quelli che già stanno contando il denaro a spese del sudore e del sangue centroamericano, in questo caso.

Sul coinvolgimento del Dipartimento della Sicurezza Nazionale nel piano centroamericano, colpisce che un’istituzione, nata dalle conseguenze della Legge Patriottica del 2001 che si dedica alle politiche attinenti agli USA, si  dipani nella regione senza scrupoli. Sebbene questo dipartimento sia responsabile delle azioni anti-immigranti nell’Unione, la sua circoscrizione comprende, legalmente, i confini del suo paese.

L’interventismo USA, in questo modo, viene sovraccaricato e con le extra limitazioni dell’apparato di sicurezza e di intelligence USA che filtra attraverso l’economia politica verso il Centro America. Due o persino tre piccioni con una fava.

Ma forse la cosa più sorprendente dei dialoghi che hanno avuto luogo nel Dialogo Interamericano è la politica aggressiva che verrà attuata sul Nicaragua. Ben Norton esamina parte di ciò che i relatori hanno detto sui sandinisti:

Leggendo una dichiarazione, preparata in inglese, e riferendosi ai dirigenti conservatori nel seminario come ai suoi “amici”, [Cristina] Chamorro ha avvertito che il governo sandinista di sinistra del Nicaragua potrebbe minacciare il neoliberale Piano Biden.

Chamorro ha chiesto di lavorare con l’OSA per fare pressione sul governo nicaraguense e ha elogiato il governo Biden per le sue dure dichiarazioni contro il governo sandinista.

Ha dichiarato che i piani del governo USA d’imporre ancora più sanzioni al suo paese d’origine sono “buone notizie” e ha chiesto ulteriori attacchi economici.

Chamorro , persino, si è riferita all’America Centrale come parte della “sfera di influenza” coloniale di Washington, suggerendo che “si potrebbe costruire un approccio più geostrategico, come è stato fatto in passato per le sfere di influenza”.

“Credo che se questa nuova era non tragga vantaggio da questa situazione, da questo primo momento, Cina e Russia sostituiranno gli USA nella regione, e minacceranno ancor più America Centrale e l’America Latina in generale”, ha avvertito Chamorro in inglese stentato.

Ricardo Zúñiga, un ex diplomatico del Dipartimento di Stato dell’amministrazione Obama che ora lavora presso il Centro Woodrow Wilson, finanziato dal governo USA, era così commosso dai commenti di Chamorro che l’ha dichiarata “presidente” del Nicaragua.

L’anfitrione dell’evento virtuale, il presidente del Dialogo Interamericano, Michael Shifter, ha risposto scherzosamente a Zúñiga: “Non ancora, non ancora!”

Eduardo Stein, ex vice presidente di destra e ministro degli esteri del Guatemala, ha scherzosamente fatto eco alla descrizione di Chamorro come “presidentessa” del Nicaragua.

Infine, Chinchilla, l’ex presidentessa conservatrice del Costa Rica, ha aggiunto che riconoscerebbe volentieri Chamorro come presidente del Nicaragua, dicendo: “Diamo certamente il benvenuto a qualsiasi dirigente democratico in quel paese”.

Oltre a riferirsi a Chamorro come presidentessa, Zúñiga ha parlato, con sorprendente franchezza, del ruolo delle ONG sostenute dal governo USA come rappresentanti dei suoi interessi.

Le organizzazioni della società civile sono “gli interlocutori privilegiati, a giudizio dell’amministrazione, nello sviluppo e nell’attuazione delle sue politiche nella regione”.

Zúñiga ha aggiunto: “Ho già sentito dai colleghi che mentre stanno sviluppando i loro piani per la strategia del presidente Biden in America centrale, intendono condurre consultazioni molto ampie. Questo evento qui, e i commenti condivisi qui, fanno parte di quella consultazione, sono sicuro”.

A conferma di quanto da tempo pubblicato su questa piattaforma: le ONG sono cinghie di trasmissione delle prerogative imperiali. Lì dove non arrivino gli stati-nazione ad attuare le riforme che vuole il nord per il sud, saranno le organizzazioni non governative a farle rispettare sul territorio, in situ.

Allo stesso modo fa l’esercito USA quando un paese sovrano non gli obbedisce. Ci sarà, forse, un comportamento diverso rispetto al Centro America? Data la politica del bastone e della carota che il nord ha implementato su quello che considera come il suo “cortile” diretto, non ci sarà molta differenza nelle politiche tra le amministrazioni subito dopo Biden. Persistono la violenza, la migrazione forzata e il privilegio umano di coloro che promuovono la disuguaglianza.


CONTINUIDAD DE LAS ADMINISTRACIONES OBAMA Y TRUMP

 ¿EN QUÉ CONSISTE EL PLAN BIDEN PARA CENTROAMÉRICA?

El saldo negativo que dejó la política exterior de Barack Obama para Centroamérica, sobre todo con lo relacionado a la migración hacia Estados Unidos, tuvo repercusiones clarísimas cuya expresión más nítida sin duda se cristalizó con la así llamada Caravana Migrante, que tuvo una respuesta negativa por parte de la Administración Trump.

Durante el mandato de Obama, recordemos, el vicepresidente fue el mismo Joe Biden, quien ya había sido un propulsor de macroplanes regionales estadounidenses desde el Senado, siendo uno de los principales promotores del Plan Colombia, que tuvo consecuencias destructivas para el país sudamericano y la región en general con el aumento en la producción de cocaína y de las víctimas de la guerra fratricida que viene desarrollándose por más de medio siglo, además de violaciones de derechos humanos, desplazamientos y el auge de la economía ilegal en diferentes sectores.

Ahora, viene una reedición de las políticas de Obama para Centroamérica con el llamado Plan Biden, presentado a finales del año pasado. Consta de un financiamiento de 4 mil millones de dólares para la empobrecida región, junto con inversión corporativa extranjera, a cambio de agresivas reformas neoliberales de “libre mercado”, explica el periodista estadounidense Ben Norton.

Así describe de manera general Norton al susodicho Plan Biden:

Según el programa de la administración Biden, los gobiernos centroamericanos deberán recortar las protecciones para los trabajadores, garantizar que “las prácticas laborales no perjudiquen a la competencia”, reforzar los acuerdos de “libre comercio” con Estados Unidos y “reducir las barreras a la inversión del sector privado”, para permitir a las corporaciones estadounidenses un mayor control sobre la región.

La mayoría de los gobiernos que en este momento presiden los Estados centroamericanos, a excepción de Nicaragua, está sujeta a la dinámica impuesta por los Estados Unidos.

DIÁLOGO INTERAMERICANO Y ALIANZA PARA LA PROSPERIDAD: INICIATIVAS NEOLIBERALES

Tanto Guatemala, Honduras y El Salvador (el Triángulo Norte) como Belice, Costa Rica y Panamá esperan recibir una tajada de los 4 mil millones de dólares que promete el nuevo inquilino de la Casa Blanca, así lo habrían aplaudido el 17 de febrero pasado durante una reunión entre cancilleres, operadores políticos regionales y representantes de Washington denominada Diálogo Interamericano.

Norton afirma que “el enfoque de la administración Biden tiene como objetivo más inmediato limitar la inmigración de refugiados centroamericanos a los Estados Unidos”, lo que genera un contrasentido respecto a las promesas de campaña del Partido Demócrata para el estímulo inmigrante. Nada nuevo si tomamos en cuenta lo que sucedió con Barack Obama.

Para ello, cuenta con el apoyo de los gobiernos centroamericanos dóciles a los designios estadounidenses, aludiendo que será “de beneficio mutuo” y parte de una “visión compartida con los Estados Unidos”, según las conclusiones del Diálogo Interamericano.

Además, el factor geopolítico no deja de asomarse al Plan Biden, que considera junto a los países satélite que China y Rusia deben ser “contenidas” de penetrar su influencia en la región, preciada a los intereses de Washington. Dicho proyecto es considerado, desde esta perspectiva, como una herramienta de la nueva guerra fría que el anglohegemón en decadencia ha estado desarrollando sobre los poderes euroasiáticos emergentes.

El análisis de lo emanado en aquella reunión del 17 de febrero lo que hace es comprobar que Estados Unidos plantea no solo hinchar de dólares a la región centroamericana, sino que piensa profundizar lo que ya venía haciendo las administraciones de Obama y Trump: entronizar la sinergia militar entre el Pentágono y los sectores castrenses de los Estados subsumidos a la lógica estadounidense, poblar de ONG a todos esos países con el fin de preservar los canales de recurso y gobernabilidad territorial y cercar y atacar a la Nicaragua sandinista, en un nuevo ciclo de intentos de “cambio de régimen” contra el gobierno de Daniel Ortega.

Lo trágico del Plan Biden es que las consecuencias de las políticas estadounidense sobre la región en materia de inmigración, narcotráfico y violencia irregular parecen quererse solucionar con atajos tecnocráticos e inyección dineraria típicos del neoliberalismo (recorte de presupuestos sociales de los Estados, entre otras reformas que proyectan la desigualdad al cielo), como bien lo relaciona Norton:

Al reforzar las políticas económicas neoliberales que han destruido las economías locales en toda la región, particularmente en las áreas rurales, es probable que el Plan Biden, irónicamente, proporcione más ímpetu para que las futuras generaciones de centroamericanos empobrecidos y desempleados emigren al norte.

De tal forma que se espera que la Administración Biden, a través de la llamada Alianza para la Prosperidad, que ha sido financiado antiormente con centenas de millones de dólares en gobiernos pasados, hoy pueda ejercer de Fondo Monetario Internacional a cambio de dinero para los gobiernos centroamericanos. Se esperan reformas estructurales en política económica, agresivas contra las poblaciones autóctonas, sobre todo en el Triángulo Norte, planificas desde Estados Unidos y que harán más quejumbrosa la tragedia social con la que ha sido penada Centroamérica.

El sector privado en Centroamérica sería uno de los principales beneficiarios del Plan Biden con el fin de “aumentar el empleo”, “reducir las barreras de inversión privada” y “mejorar la competitividad del mercado”, siendo así, como dice el periodista norteamericano, para lograr esos objetivos, “las naciones centroamericanas tendrán que poner fin a las restricciones que imponen a las corporaciones extranjeras que dominan sus industrias y mercados, eliminando aranceles o medidas económicas proteccionistas, exactamente el tipo de políticas que han devastado las economías locales en América Latina, alimentando la pobreza, el desempleo y, por lo tanto, migración en masa”.

Por diferentes mecanismos, el mismo plan tendería a “obligar a las naciones centroamericanas a recortar las pocas protecciones, salarios y beneficios que brindan a los trabajadores”. Y “para complementar la inversión corporativa extranjera y las asociaciones público-privadas, Plan Biden propone a las ONG como vehículos de influencia, comprometiéndose a ‘invertir principalmente en organizaciones de la sociedad civil'”, escribe Norton.

INTERVENCIÓN A LA CARTA

Cabe destacar que el dinero para el Plan Biden provendrá del Departamento de Seguridad Nacional y de la USAID, esta última institución que ya ha acumulado experiencia en financiamiento a estrategias de “cambio de régimen” sobre Nicaragua como The Grayzone ha reportado anteriormente. Incluso, comenta Norton, “bajo el liderazgo del halcón humanitario Samantha Power, es casi seguro que USAID desempeñará un papel más importante en las intervenciones estadounidenses en toda la región”.

De hecho, entre los donantes de alto perfil del grupo de expertos que estuvieron presentes en el evento de Diálogo Interamericano se encuentraron la USAID, el Banco Interamericano de Desarrollo, Chevron, ExxonMobil, BP, Google, WalMart, Lockheed Martin y Open Society Foundations del reconocido multimillonario anticomunista George Soros, junto con la Fundación Ford, McKinsey y Chemonics.

Esa constelación corporativa es que la fija sus ojos claramente sobre el Plan Biden, los principales beneficiarios de sus políticas: los que ya están contando el dinero a costa del sudor y la sangre centroamericanas, en este caso.

Sobre el involucramiento del Departamento de Seguridad Nacional en el plan centroamericano, llama la atención que una institución nacida de las consecuencias de la Ley Patriota de 2001 que se dedica a las políticas pertinentes a Estados Unidos se desenvuelva en la región sin escrúpulos. Si bien dicho departamento se encarga de las acciones antiinmigrantes en la Unión, su circunscripción abarca legalmente los límites de su país.

El intervencionismo estadounidense, de esta manera, viene recargado y con extralimitaciones del aparato de seguridad e inteligencia de Estados Unidos filtrándose a través de la economía política hacia Centroamérica. Dos y hasta tres pájaros de un tiro.

Pero quizás lo más llamativo de los diálogos que se produjeron en el Diálogo Interamericano es la política agresiva que se implementará sobre Nicaragua. Ben Norton reseña parte de lo que dijeron los panelistas respecto a los sandinistas:

Leyendo una declaración preparada en inglés y refiriéndose a los líderes conservadores en el panel como sus “amigos”, [Cristina] Chamorro advirtió que el gobierno izquierdista sandinista de Nicaragua podría amenazar al neoliberal Plan Biden.

Chamorro pidió trabajar con la OEA para presionar al gobierno de Nicaragua y elogió al gobierno de Biden por sus duras declaraciones contra el gobierno sandinista.

Declaró que los planes del gobierno de Estados Unidos de imponer aún más sanciones a su país de origen son “buenas noticias” y pidió más ataques económicos.

Chamorro incluso se refirió a Centroamérica como parte de la “esfera de influencia” colonial de Washington, sugiriendo que “se podría construir un enfoque más geoestratégico, como se hizo en el pasado para las esferas de influencia”.

“Creo que si esta nueva era no se aprovecha de esta situación, de este primer momento, China y Rusia reemplazará a Estados Unidos en la región, y amenazarán más a Centroamérica y Latinoamérica en general”, advirtió Chamorro en inglés entrecortado.

Ricardo Zúñiga, un exdiplomático del Departamento de Estado de la administración Obama que ahora trabaja en el Centro Woodrow Wilson financiado por el gobierno de Estados Unidos, estaba tan emocionado por los comentarios de Chamorro que la declaró la “presidenta” de Nicaragua.

El anfitrión del evento virtual, el presidente del Diálogo Interamericano, Michael Shifter, respondió a Zúñiga bromeando: “¡Todavía no, todavía no!”.

Eduardo Stein, ex vicepresidente de derecha y ministro de Relaciones Exteriores de Guatemala, se hizo eco en broma de la descripción de Chamorro como “presidenta” de Nicaragua.

Finalmente, Chinchilla, la expresidenta conservadora de Costa Rica, agregó que con mucho gusto reconocería a Chamorro como presidente de Nicaragua, diciendo: “Ciertamente damos la bienvenida a cualquier líder democrático en ese país”.

Además de referirse a Chamorro como presidenta, Zúñiga habló con sorprendentemente franqueza sobre el papel de las ONG respaldadas por el gobierno de Estados Unidos como representantes de sus intereses.

Las organizaciones de la sociedad civil son los “interlocutores privilegiados, a juicio de la administración, en el desarrollo e implementación de sus políticas en la región”.

Zúñiga agregó: “Ya escuché de colegas que, mientras están desarrollando sus planes para la estrategia del presidente Biden en Centroamérica, tienen la intención de realizar consultas muy amplias. Este evento aquí, y los comentarios compartidos aquí, son parte de esa consulta, estoy seguro”.

Confirmando lo que ya se venía publicando desde hace tiempo en esta tribuna: las ONG son correas de transmisión de las prerrogativas imperiales. Allí donde no lleguen los Estados-nación a implementar las reformas que quiere el norte para el sur, estarán las organizaciones no gubernamentales para hacerlas cumplir en el territorio, in situ.

De igual forma hace el ejército de Estados Unidos cuando un país soberano no le obedece. ¿Acaso habrá un comportamiento diferente respecto a Centroamérica? Por la política de zanahoria y garrote que ha estado implementando el norte sobre lo que considera su directo “patio trasero”, no será mucha la diferencia en las políticas entre las administraciones inmediatamente posteriores a Biden. Persisten la violencia, la migración forzada y el privilegio humano de quienes promueven la desigualdad.

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