Golpe boliviano: né perdono, né oblio, né riconciliazione

Revista Crisis, Internationalist 360°,

Il 12 marzo, l’ex-dittatore boliviana Jeanine Áñez fu arrestata a casa a Trinidad. L’arresto è avvenuto in risposta a un processo giudiziario avviato dall’ufficio del procuratore generale per il ruolo nell’ultimo episodio antidemocratico nella regione. Oltre alle stragi seguite al colpo di Stato. l’ex- dittatore deve affrontare accuse di sedizione e terrorismo, che porterebbero a una condanna totale a 30 anni di carcere.

Solo 4 giorni prima, la Corte Suprema brasiliana assolse l’ex-Presidente Luis Ignacio Lula da Silva. Nel contesto attuale, il dibattito sulla democrazia borghese in America Latina, denota evidente doppio standard dai movimenti sociali cooptati dalla destra, in collusione con le élite locali e l’ambasciata nordamericana. Con bibbia e fucile in mano, in Bolivia si consolidò il colpo di Stato civile-clerico-militare: “la Bibbia è entrata di nuovo nel palazzo e Pachamama non tornerà mai più”, gridò euforico Camacho. Il colpo di Stato fu orchestrato da oligarchia di Santa Cruz, capi di polizia e militari ultra-conservatorismo cristiano e, naturalmente, sostegno diretto dell’OSA e dell’ambasciata USA. Secondo l’ufficio del difensore civico boliviano, ci furono almeno 32 morti e centinaia di feriti. Allo stesso modo, IACHR, che visitò la Bolivia il 22-25 novembre 2019, avvertì oltre 500 detenzioni arbitrarie ed extragiudiziali. Successivamente, la persecuzione dei militanti del MAS e degli oppositori della dittatura peggiorò.

Nel Paese e nel resto dell’America Latina, le voci che all’epoca celebravano e legittimavano il golpe giudiziario contro Dilma Rousseff e la condanna di Lula da Silva in Brasile, nonché contro Evo Morales in Bolivia, subito si alzava in difesa di Áñez. In vista dell’arresto di Añez, diversi settori cercano di posizionare la dittatore come vittima di persecuzione politica. Affermano che questa è una strategia legale contro di lei, insinuando persino che sia una “leader sociale”. In Ecuador prenderà forma un discorso che insinua possibile parallelismo del termine “persecuzione” contro gli anti-correisti che l’attuale classe politica dominante, la destra oligarchica. In tale equazione, questi settori, inavvertitamente, si paragono ideologicamente con la dittatura boliviana.

È indiscutibile che gli eventi golpisti in Bolivia presuppongono una netta rottura dell’ordine costituzionale, con attori politici che si autoproclamavano governo con la forza coll’approvazione dell’oligarchia locale e dell’imperialismo continentale. Quello che si legge tra le righe nell’attuale scenario elettorale, è che attori e settori che perpetrarono il colpo di Stato in Bolivia, svolsero gli stessi ruoli di chi ora denuncia la presunta persecuzione contro una dittatore. Sia Añez che i settori che la difendono nel Paese e nella regione rappresentano gli stessi interessi geopolitici, hanno gli stessi legami con organizzazioni dai finanziamenti esteri e godono della stessa accettazione tra i circoli reazionari nei movimenti sociali.

Una delle preoccupazioni dopo il colpo di Stato in Bolivia, il 10 novembre 2019, era che tale scenario poteva essere consacrato come grande laboratorio sociale, con la possibilità che la stessa trama sia replicata altrove nell’America Latina. Contemporaneamente a questi avvertimenti e allarmi lanciati dalla sinistra, un settore dei movimenti sociali anti-progressisti minimizzò la gravità del colpo di Stato, addirittura negandolo. Come sempre, tale settore dei movimenti sociali relativizzò l’ordine democratico e lo stato di diritto, con la loro etica storica e politica misera, minimizzando l’impatto che la dittatura aveva sul popolo boliviano e la politica della regione. Con la detenzione preventiva di Áñez e molti suoi accoliti, viene stabilito un precedente legale, che ha come bandiera che i crimini contro il popolo non rimarranno impuniti. Lungi dall’essere “legalismo” o persecuzione politica, come affermano destra e movimenti sociali anti-rivoluzionari, il processo a Áñez e compagnia è l’inizio della costruzione della giustizia e della riparazione per il popolo boliviano.

Il messaggio è chiaro:

1. né perdono né oblio per chi attacca il popolo,

2. tolleranza zero per i colpi di Stato,

3. rispetto e sostegno per i processi democratici e lo stato di diritto,

4. ripudio assoluto dell’ingerenza dell’impero yankee nella regione e

5. inammissibilità dell’unità per chi ha negoziato col sangue del popolo.

Il cinismo di chi ha celebrato il colpo di Stato in Bolivia non conosce limiti. Ora sono estremamente preoccupati per il giusto processo nel caso dell’ex-dittatore Añez e dei suoi sacrestani. Non lasciamoci confondere.

Ovviamente ci deve essere trasparenza nel processo contro gli autori del colpo di Stato. Ma è inaccettabile che sia la destra che certi movimenti sociali controrivoluzionari cerchino di distorcere il legittimo senso di tale processo per la giustizia del popolo boliviano, a fini elettorali politici.

Ancora una volta i due settori stringono un’alleanza, tradendo memoria e dignità del popolo. Nella realizzazione di meta-narrazioni contro il progressismo latinoamericano, troviamo anche il caso in cui il discorso fu usato per mascherare i processi da golpe giudiziario contro Dilma Rousseff e la condanna dell’ex presidente Lula da Silva da parte del regime bolsonarista. Dopo che non furono trovate prove contro di lui, Lula fu assolto da tutte le condanne, consentendogli di essere possibile candidato alla presidenza nel 2022.

Nell’attuale panorama geopolitico, quale sarà la prossima commedia “democratica”?

Le richieste di intervento militare saranno considerate democratiche? In Bolivia, pochi giorni prima del colpo di Stato, Camacho invocò i militari nel processo elettorale. Ci sono paralleli in Ecuador? Il monito del laboratorio boliviano è ancora presente: l’America Latina è un territorio conteso, tra imperialismo e possibile ricostituzione del blocco progressista nella regione. La lotta di classe si sviluppa simultaneamente in tutte le sfere politiche. In Ecuador come nel resto dell’America Latina, questi antagonismi sembrano coinvolti in dinamiche inedite: relativizzazione della democrazia borghese da parte degli stessi settori che pretendono di “difenderla”. Ancora una volta, la borghesia e i suoi alleati dimostrano di essere la forza più antidemocratica nella democrazia borghese. Di fronte alle dittature a cui abbiamo resistito in America Latina, lo slogan deciso è sempre stato: “né perdono, né oblio, né riconciliazione. Verità e giustizia ”. Il caso della dittatura in Bolivia nel 2019-2020 non deve essere un’eccezione.

Traduzione di Alessandro Lattanzio
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