Human Rights Watch protegge gli amici boliviani degli USA

Alan Macleod, Orinoco Tribune

Fin dalla sua istituzione, HRW è stata costantemente criticata in quanto agente della politica estera USA, impiegando ex-funzionari del governo USA in posizioni chiave e mostrando pregiudizi contro i governi ostili agli USA.


Human Rights Watch (HRW) condannò l’amnistia generale per oltre mille boliviani perseguitati dalla dittatura di Jeanine Añez. Ieri, l’organizzazione per i diritti umani di Washington denunciava che il piano di ritirare le accuse alle persone che si opposero al governo “apre la porta all’impunità”. Il suo direttore per le Americhe, Jose Miguel Vivanco, affermava anche la nuova legge “mina l’accesso delle vittime alla giustizia e viola il principio fondamentale di uguaglianza davanti alla legge”. HRW sostiene che una manciata di manifestanti anti-golpe ha commesso crimini gravi, come incendi dolosi o rapimenti, mentre si opponeva al regime, rendendo così l’amnistia generale seriamente problematica. Il nuovo presidente Luis Arce otteneva una schiacciante vittoria elettorale a ottobre, dopo che la rivolta dei cittadini paralizzò il Paese e costrinse Añez a indire un’elezione. Human Rights Watch osserva con preoccupazione che questo nuovo decreto “suggerisce che chiunque sia perseguito dal governo di Áñez per azioni durante le proteste sociali ha subito violazioni dei propri diritti”, cosa che molti considerano ovvia e incontrovertibile. “Human Rights Watch critica il governo boliviano per aver revocato le accuse contro la sinistra perseguitata dall’ex regime golpista. Perciò i boliviani sospettano tali ONG statunitensi”, rispose il giornalista boliviano Ollie Vargas.

Posizione strana per un’organizzazione per i diritti umani
Un laico potrebbe aspettarsi che una delle organizzazioni per i diritti umani più conosciute al mondo celebri l’assoluzione di oltre un migliaio di persone innocenti accusate di “crimini” come denunciare i massacri dispiacendo il governo, i lavoratori ospedalieri che curarono le vittime del regime, o chiamare Añez “dittatore” su WhatsApp. Eppure HRW sostenne il colpo di Stato insistendo sul fatto che il Presidente Evo Morales si “dimetteva” di sua spontanea volontà, semplicemente “recando in Messico” piuttosto che fuggire sotto minacce. Il direttore esecutivo di HRW, Ken Roth, rilasciò una serie di dichiarazioni pubbliche sui social media esprimendo gioia che forze di sicurezza avverso preso il controllo di La Paz, massacrando civili e rovesciando il presidente democraticamente eletto. Roth descrisse il colpo di Stato approvandolo come “rivolta” e “momento di transizione” per la Bolivia, presentando Morales come un “dittatore” fuori dal comune. Per Roth, Morales fu “la vittima di una controrivoluzione volta a difendere la democrazia … contro le frodi elettorali e la sua candidatura illegale”, affermando falsamente che Morales avesse ordinato all’esercito di sparare sui manifestanti. Mentre Roth pronunciava ciò, Añez firmava una nuova legge che conferiva alle forze di sicurezza completa immunità nell’uccidere gli oppositori. HRW lo descrisse come “decreto problematico”, come se Añez avesse semplicemente usato un linguaggio insensibile. L’organizzazione tentò di nascondere gli autori dei massacri, dicendo ai lettori che “nove persone sono morte e 122 sono rimaste ferite” durante una manifestazione di Cochabamba, ma rifiutandosi di dire chi moriva e chi spariva. Anche nel rapporto di 2800 parole di ieri, pubblicato 16 mesi dopo l’incidente, la parola “colpo di Stato” era completamente assente. Invece, HRW affermò che Morales “fu costretto a dimettersi il 10 novembre 2019, dopo che i comandanti delle forze armate e della polizia gli chiesero di dimettersi”. Morales, tuttavia, chiarì che se ne sarebbe andato solo per evitare un bagno di sangue.
HRW continua a descrivere Añez come “presidente ad interim”, la sua propaganda sul suo ruolo, piuttosto che “dittatore”, e sostiene che l’elezione di Morales fu “controversa” a causa di “accuse di brogli”. Ciò nonostante il fatto che le accuse furono immediatamente smentite da statistici indipendenti. Il mese scorso, HRW chiese che Donald Trump sia perseguito perché promosse false teorie sulle “elezioni rubate” negli Stati Uniti. Tuttavia, in Bolivia, HRW fa esattamente la stessa cosa e sulla base di prove inconsistenti.

Un breve e brutale intermezzo fascista
Eletto nel 2005, Morales fu il primo leader nella storia del Paese a provenire dalla maggioranza indigena. Nei suoi 14 anni in carica, la sua amministrazione ridusse la povertà del 42% e la povertà estrema del 60%, dimezzando la disoccupazione e aumentando del 50% il PIL reale pro capite. Portando il Paese su un percorso socialista, promosse legami coi Paesi vicini che la pensano allo stesso modo come Ecuador, Nicaragua, Cuba e Venezuela, e fu fortemente critico nei confronti delle azioni statunitensi all’estero. Nell’ottobre 2019, ebbe il quarto mandato con inediti e controversi oltre 10 punti. Tuttavia, settori della destra boliviana sostenuta dagli Stati Uniti gridarono allo scandalo, accusando brogli e militari e polizia che usarono il caos seguito per giustificarne il rovesciamento. I militari scelsero successore di Morales, Añez, oscura senatrice di un partito di estrema destra che ebbe il 4% dei voti. Cristiana fondamentalista, Añez accese le polemiche dichiarando “satanica” la maggioranza indigena del Paese e sostenendo che non gli va permesso di vivere nelle città. Immediatamente iniziò a reprimere il dissenso, uccidendo seguaci di Morales, media e osservatori dei diritti umani . Añez iniziò anche a privatizzare l’economia e riorientò la politica estera del Paese via dal percorso indipendente verso gli Stati Uniti. Nonostante si definisse “presidentessa ad interim”, ripetutamente annullò le elezioni, portando molti a credere che tentasse di rimanere al potere per sempre coll’aiuto dei militari, che governarono direttamente il Paese per gran parte del 20° secolo. Tuttavia, lno sciopero generale nazionale ad agosto chiuse il Paese, costringendola ad accettare le elezioni di ottobre. Morales fu bandito dalle elezioni. Ma Luis Arce, suo ex-ministro dell’economia, fu eletto con una valanga di voti, ottenendo il doppio dei voti dello sfidante più vicino.

Visione del mondo reazionaria
Sfortunatamente, tale comportamento di Human Rights Watch è tutt’altro che insolito. Con sede a New York, e una filiale sulla Pennsylvania Avenue di DC, l’organizzazione fu fondata nel 1978 come Helsinki Watch, gruppo dedito a denunciare i Paesi del blocco orientale e monitorarne la conformità agli accordi di Helsinki. Il suo fondatore, Aryeh Neier, è un fondamentalista libertario che equipara l’idea dei diritti economici o del lavoro coll’oppressione, scrivendo che sono “profondamente antidemocratici”. “Il potere autoritario è probabilmente un prerequisito per dare significato ai diritti economici e sociali”, aggiunse. Pertanto, secondo tale interpretazione dei diritti, le azioni dell’amministrazione Morales nel ridurre povertà, fame ed insicurezza sul lavoro non sono dei risultati, ma segnali oscuri contro di essa. Fin dall’istituzione, HRW fu costantemente criticata quale agente della politica estera degli Stati Uniti, impiegando ex-funzionari del governo statunitense in posizioni chiave e mostrando pregiudizi contro i governi di sinistra ostili agli Stati Uniti. Lo stesso Vivanco scrisse un rapporto assai deriso sui diritti umani in Venezuela che, in una lettera aperta, oltre 100 esperti latinoamericani affermarono “non soddisfare nemmeno gli standard minimi per una borsa di studio su imparzialità, accuratezza e credibilità”. E pur descrivendo costantemente il leader venezuelano Nicolas Maduro come “dittatore”, a maggio Vivanco definì la Bolivia del governo Añez una democrazia. HRW fece di tutto per legittimare il colpo di Stato appoggiato da Stati Uniti, Gran Bretagna e Brasile. Con tale nuovo rapporto, sembra che ancora cerchi di riportare indietro l’orologio, dimostrando che troppo spesso pone gli interessi imperiali occidentali sopra la libertà dei popoli oppressi.

Traduzione di Alessandro Lattanzio

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