Antichavismo “in esilio” non cessa di cospirare contro il dialogo nazionale

Le reti sociali costituiscono, attualmente, uno dei principali strumenti usati per promuovere narrazioni che, in seguito, servano da giustificazione imperiale per l’applicazione di misure d’ingerenza nei paesi sovrani. Non c’è guerra che non contempli la linea psicologica e mediatica, poiché su quel piano è dove si prendono le decisioni offensive e difensive nel quadro di una guerra non convenzionale.

Da questo punto, l’opposizione venezuelana “in esilio” ha adottato una retorica aggressiva e stridente che proietta una visione parziale di ciò che sta accadendo in Venezuela al fine di cercare un maggiore interventismo da parte di attori esogeni al conflitto (“tutte le opzioni sono sul tavolo”). Ciò è dovuto, in primo luogo, al fatto che non hanno interessi nel paese che potrebbero essere compromessi in caso di un’escalation di violenza e maggiore miseria a causa del blocco e delle azioni insurrezionali provenienti da USA e Colombia.

Un rapporto del Crisis Group, un’organizzazione finalizzata alla risoluzione e alla prevenzione dei conflitti armati internazionali con  presenza in quattro continenti, rivela l’isteria del discorso dei cosiddetti “esiliati” e il suo effetto pregiudiziale per gli interessi della nazione al momento di cercare una via d’uscita della congiuntura.

Sono queste voci che dicono di rappresentare la dubbia cifra di oltre 5 milioni di venezuelani/e che “sono fuggiti” dalla crisi.

IN ESILIO?

“Questo ‘effetto esilio’ potrebbe essere un ostacolo ai colloqui di pace, che richiederanno che Maduro, l’opposizione e i loro sostenitori esterni s’impegnino. I paesi ospitanti devono assicurarsi che le voci degli esiliati non dominino le discussioni politiche a scapito di coloro che sono più aperti a un accordo politico negoziato”, afferma il rapporto dell’organizzazione finanziata dal magnate George Soros.

Crisis Group sostiene che chavismo è il responsabile della crisi, argomento che usa per giustificare gli attacchi alle istituzioni venezuelane come quello perpetrato contro la base aerea di La Carlota il 30 giugno 2019.

“Queste azioni non sono rimaste senza risposta. La repressione di Maduro ha spinto i suoi oppositori a intraprendere una campagna, guidata da Guaidó, per rovesciare il governo e spingere promuovere il ritorno alla democrazia”.

Successivamente, riconosce il fallimento della campagna di massima pressione e si riferisce alla vittoria del chavismo, nel dicembre 2020, come “il controllo di Maduro su quasi tutte le parti dello stato venezuelano”, quando in realtà solo il settore più belligerante dell’opposizione ha deciso di non partecipare alle elezioni costituzionali previste per la data in cui si sono svolte.

Questo boicottaggio arriva dopo che, con il sostegno dell’Unione Europea, hanno cercato un modo per sospendere le elezioni, sostenendo che si sarebbero dovute “migliorare le condizioni”. Vale la pena notare che sono state offerte tutte le garanzie e sono state concordate modifiche con tutti i partecipanti.

L’intera campagna di pressione contro il Venezuela, da parte USA, è giustificata dalle presunte voci dall’esilio che chiedono un intervento militare per porre fine alla presunta dittatura; gli stessi che sostengono la finta presidenza Guaidó.

Un esempio di questo può essere visto nelle interazioni che penosamente mantengono Juan Guaidó nell’arena pubblica. Coloro che ancora sostengono la figura del “governo ad interim” sono utenti che vivono fuori dal paese, principalmente negli USA. Sebbene all’inizio della sua comparsa avesse avuto una spinta, dato il sostegno USA e dei suoi paesi satelliti, nel giro di pochi mesi, a causa della mancanza di reale efficacia, si è andato sgonfiando.

Ma il tentativo di creare un governo parallelo non inizia con la scarna figura di Guaidó. Già nel 2017, la dirigente di estrema destra María Corina Machado e l’ex sindaco, latitante della giustizia venezuelana, Antonio Ledezma, hanno creato la piattaforma Soy Venezuela, che si sarebbe incaricata di raccogliere il dissenso al chavismo. La figura di Ledezma è uno dei referenti di coloro che compongono le “voci in esilio” che lottano per la libertà del Venezuela.

Storicamente, si potrebbe pensare che la figura dell’esiliato sia quella persona che è costretta a fuggire dal proprio paese di origine per salvarsi la vita. Durante il secolo scorso si possono trovare molti di questi personaggi che da altre regioni si sono convertite nella voce che protestavano per le ingiustizie che avvenivano nel paese che avevano abbandonato.

Soggetti come Julio Borges, Antonio Ledezma, Leopoldo López, Carlos Vecchio, tra altri, sono ben lungi dall’essere una rappresentazione dell’esilio, almeno in termini politici. I loro privilegi e la vita agiata all’estero, la fuga dal paese per corruzione e  terrorismo, li allontanano dall’essere icone della vera lotta per la giustizia sociale.

COSPIRAZIONI CONTRO IL DIALOGO

 

Il rapporto del Crisis Group afferma che l’agenda del dialogo tra l’opposizione e il chavismo si è bloccata nel settembre 2019, dopo un anno turbolento caratterizzato dall’autoproclamazione, tentativi di entrare illegali nel paese sotto lo schermo di aiuti umanitari, sabotaggio al sistema elettrico, tentata presa di base aerea e l’espropriazione dei beni del paese all’estero.

Dopo quanto descritto – sottolinea – si è tentato di avviare trattative tra i due blocchi politici. Ovviamente l’unico appoggio all’opposizione era quello USA. Il chavismo ha deciso di smettere di partecipare alle riunioni dopo che è stato applicato un nuovo ciclo di “sanzioni” e subito dopo che l’opposizione ha dichiarato “esauriti” i tavoli delle trattative.

È necessario ricordare che di fronte a tutti gli scenari di destabilizzazione promossi dall’opposizione, comprese le guarimbas (rivolte di strada), del 2014 e 2017, oltre ai tentativi di colpo di stato del 2019 e 2020, il governo del presidente Nicolás Maduro ha cercato una via d’uscita attraverso il dialogo.

Di fronte a questi scenari, nell’ecosistema che compone l’opposizione venezuelana, ci sono posizioni concilianti che hanno cercato il modo di trovare una via d’uscita democratica alla crisi, senza che ciò rappresentasse essere d’accordo con il governo Maduro. “I membri più concilianti si sono anche separati dalla corrente principale dell’opposizione alla ricerca di un maggiore impegno nei confronti con il governo”, segnala il rapporto, e poi ricorda le elezioni presidenziali del 2018, alle quali ha partecipato Henri Falcón, dirigente del partito Avanzada Progresista nonostante il boicottaggio del defunto Tavolo d’Unità Democratica (MUD).

Il Tavolo di Dialogo Nazionale ha portato a termine le proprie trattative come un interlocutore che ha un pò più di autonomia ed è più ancorato agli interessi nazionali che ai progetti USA. La differenza è grande se paragonata al movimento Soy Venezuela, che “chiede apertamente un intervento sostenuto dall’estero per rovesciare Maduro, sostenendo la previa nomina di un governo in esilio”.

Questi disaccordi sono stati evidenti anche nelle elezioni parlamentari. Mentre Guaidó ha chiesto l’astensione, Henrique Capriles Radonski, due volte candidato alla presidenza, ha invitato l’opposizione a negoziare condizioni migliori per le elezioni per “non lasciare la società civile senza opzioni”.

Di fronte a questo dilemma, è facile riconoscere coloro che hanno scommesso su una via d’uscita alla crisi dagli stessi venezuelani e coloro che cercano di promuovere l’intervento militare. C’è una costante cospirazione contro il dialogo pacifico in Venezuela, e le dita puntano a questo settore “esiliato”.

RADICALIZZAZIONE DEL DISCORSO

 

Il rapporto di Crisis Group include un’indagine che rivela come varia il discorso di coloro che lasciano il paese, una narrazione che si è radicalizzata con l’aumentare della pressione. Esso “include l’analisi delle loro pubblicazioni nelle reti sociali in cui utilizza metodi quantitativi. Si basa anche su interviste con esponenti dell’opposizione all’interno e all’esterno del paese, diplomatici e altri osservatori consapevoli, nonché sugli scritti pubblicati da importanti esiliatii”.

Secondo il sondaggio, la dinamica degli esiliati è sempre più o meno la stessa. I politici dell’opposizione rimangono spesso attivi nel tentativo di influenzare le politiche dei paesi ospitanti contro il governo di Maduro, soprattutto se appartengono al governo fittizio di Guaido e “dirigono ambasciate parallele in paesi che lo riconoscono come presidente ad interim”.

D’altra parte, la diaspora in generale tende riunirsi con questi dirigenti per organizzare manifestazioni e quindi far pressione affinché si applichino politiche più dure contro il governo del presidente Maduro.

Sebbene tendano a mantenere la stessa linea anti-Maduro, “c’è una percezione generalizzata che coloro che fuggono tendono ad adottare un atteggiamento più ostile dopo aver lasciato il paese”, e uno dei motivi, secondo l’ONG, è che l’esilio può essere destabilizzante sia psicologicamente che fisicamente a causa della divisione delle famiglie.

Un altro argomento è che l’esilio, presumibilmente, offre una maggiore libertà di espressione, che consente agli attivisti di scatenare l’antagonismo represso contro il chavismo, un argomento che cade fintanto ci sia libertà di espressione in Venezuela e le reti sociali siano un megafono per i dirigenti dell’opposizione all’interno del paese.

Ed è che tutto sembra indicare che si è naturalizzata la radicalizzazione del discorso anti-chavista degli “esiliati”. Pertanto, chiunque voglia essere simbolicamente parte di questa massa sociale deve seguire questa strada. Chi non lo fa o salta da questo estremo viene respinto. “Uscire con un’idea leggermente diversa, un poco più centrista, è quasi inaccettabile”, è l’opinione di un politico “esiliato” dopo aver espresso pubblicamente un’idea più centrista.

L’estremo è tale che coloro che hanno un’opinione contraria a quelle di quei dirigenti in esilio vengono classificati come traditori e chavisti. Ciò significa che a un certo punto gli “esiliati” si convertano in branchi contro i connazionali che non sono d’accordo con le idee estremiste o mettono in discussione qualsiasi comportamento di quei dirigenti.

Crisis Group ha confrontato l’attività delle figure dell’opposizione venezuelana in esilio con i dirigenti che sono ancora in Venezuela per verificare se gli esiliati assumono posizioni più intransigenti al di fuori del paese.

Il campione era composto da 357 membri dell’élite dell’opposizione con account Twitter attivi.

“Circa due terzi di loro sono politici, sindaci o membri dell’Assemblea Nazionale, mentre il resto sono attivisti non eletti, giornalisti e giudici. Un totale di 94 di questi 357 sono andati in esilio per un certo periodo tra gennaio 2013 e maggio 2020. Di questi 94, 86 sono andati dopo che Maduro è entrato in carica nell’aprile 2013. Lo studio ha esaminato l’analisi di oltre cinque milioni di tweet dei 357 oppositori dal 1 gennaio 2013 – poco prima che Maduro entrasse in carica – fino al 31 maggio 2020”.

Lo studio si è centrato su due categorie di tweet di “esiliati venezuelani” che dimostrano un cambiamento di tono e contenuto nel tempo sopra delineato.

La prima categoria comprende tweet che esprimono aspre critiche al presidente Maduro volte a delegittimare la sua figura. La seconda categoria comprendeva quei trilli che giustificano un’azione straniera aggressiva per stringere o spodestare il governo, che vanno dalle “sanzioni” economiche sino all’intervento militare.

Oltre all’estremismo del discorso degli “esiliati”, il piccolo campione mostra che i loro massimi picchi di interazione sono segnati da eventi che potrebbero avere un impatto su una decisione geopolitica degli USA: elezione dell’ex presidente Trump nel 2016, gli eventi insurrezionali del 2017 e l’autoproclamazione di Juan Guaidó nel 2019, per esempio.

IL NORD NON È VENEZUELA

 

Il Venezuela continua ad essere una priorità per coloro che si stabiliscono fuori dal paese? Secondo Crisis Group, “i dirigenti in esilio possono anche disconnettersi dalle priorità di chi resta a casa”. Possono persino avere un’interpretazione erratica fintanto che potrebbero non avere un reale apprezzamento di ciò che sta accadendo in questo territorio, specialmente se le fonti sono i media USA o le reti sociali.

Pertanto, non avere coscienza della realtà venezuelana può renderli “meno coscienti dell’ampio malcontento che esiste in Venezuela nei confronti dei politici dell’opposizione legati a fatti di corruzione”. Un esempio di ciò può essere il sostegno incondizionato che ancora mostrano alla figura di Juan Guaidó, causando gravi danni al patrimonio della nazione.

La crescita della diaspora venezuelana negli USA può influenzare sulle politiche che si applichino contro questo paese perché, come quella cubana, può avere un impatto sui processi elettorali della nazione nordamericana e definire il governo regionale della Florida, così come i loro seggi al Congresso e al Senato a Washington.

Se si stabilisce un rapporto speculare con la diaspora cubana, bisogna tener conto del grande impatto di quest’ultima sulle politiche contro l’isola. Gli esiliati dalla linea dura hanno promosso politiche che danneggiano i cubani che vivono nel paese, un embargo decennale che è stato inefficace nel determinare il cambio di regime e che è responsabile degli alti livelli di povertà di Cuba.

Sebbene l’orientamento del rapporto sia apertamente anti-chavista, afferma che le posizioni più dure degli “esiliati” influenzano la politica locale esacerbando le divisioni tra i politici dell’opposizione, specialmente tra gli attivisti all’estero e in patria. Allo stesso modo, evidenzia il ruolo preponderante che hanno avuto politici come Carlos Vecchio, che cerca l’intervento militare straniero per il Venezuela e dirige l’ambasciata dell’opposizione negli USA, carica che gli aveva permesso di discutere la politica anti-venezuelana con l’ex vicepresidente Mike Pence.

Dall’altro menziona Antonio Ledezma come costante promotore dell ‘”intervento umanitario” (R2P) per il paese e partecipa attivamente al tentativo di definire le politiche verso il Venezuela in Spagna, dove si è acceso il dibattito politico sull’argomento.

La visione di Crisis Group continua ad essere interventista, ma fa appello al suggerimento di negoziati con mediazione internazionale tra il governo chavista e l’opposizione come speranza per uscire pacificamente dalla crisi. Come previsto, incolpa il governo del presidente Maduro come promotore della situazione attuale. Sostiene che tutti i partiti chiave – il governo, l’opposizione e gli attori esterni – dovranno impegnarsi nella ricerca di una soluzione negoziata.

Governo e opposizione politica mantengono le loro opinioni inconciliabili. Tuttavia, hanno messo avanti gli interessi nazionali per superare il blocco promosso dagli “attori esterni” che abbiamo menzionato in questo articolo, gli stessi che, senza vivere quanto sta accadendo in Venezuela, proiettano un’immagine abietta e tossica al di fuori del paese.


ANTICHAVISMO “EN EL EXILIO” NO CESA DE CONSPIRAR CONTRA EL DIÁLOGO NACIONAL

 

Las redes sociales actualmente constituyen una de las principales herramientas usadas para promover narrativas que posteriormente sirven de justificación imperial a la aplicación de medidas injerencistas en países soberanos. No hay guerra que no contemple la arista psicológica y mediática, pues en ese plano es donde se toman las decisiones ofensivas y defensas en el marco de una guerra no convencional.

 

Desde este punto, la oposición venezolana “en el exilio” ha adoptado una retórica agresiva y estridente que proyecta una visión sesgada de lo que ocurre en Venezuela para buscar una mayor intervención por parte de actores exógenos al conflicto (“todas las opciones están sobre la mesa”). Esto se debe, en primer término, a que no tienen intereses en el país que se puedan ver comprometidos en caso de una escalada de violencia y miseria mayores a causa del bloqueo y las acciones insurreccionales provenientes de Estados Unidos y Colombia.

 

Un informe de Crisis Group, una organización dirigida a la resolución y prevención de conflictos armados internacionales con presencia en cuatro continentes, revela la histerización del discurso de los llamados “exiliados” y su efecto perjudicial para los intereses de la nación a la hora de buscar una salida de la coyuntura.

 

Son estas voces las que dicen representar la dudosa cifra de más de 5 millones de venezolanos y venezolanas que “han huido” de la crisis.

 

¿EN EL EXILIO?

 

“Este ‘efecto exilio’ podría ser un impedimento para las conversaciones de paz, que requerirán que Maduro, la oposición y sus apoyos externos se comprometan. Los países anfitriones deben asegurarse de que las voces de los exiliados no dominen las discusiones políticas en detrimento de aquellas más abiertas a un acuerdo político negociado”, dice el informe de la organización financiada por el magnate George Soros.

 

Crisis Group sostiene que el chavismo es el responsable de la crisis, argumento que usa para justificar los ataques a la institucionalidad venezolana como el perpetrado contra la base aérea de La Carlota el 30 de junio de 2019.

 

“Estas acciones no han quedado sin respuesta. La represión de Maduro impulsó a sus opositores a embarcarse en una campaña, liderada por Guaidó, para derrocar al gobierno e impulsar el retorno a la democracia”.

 

Más adelante reconoce el fracaso de la campaña de máxima presión y se refiere a la victoria del chavismo en diciembre de 2020 como “el control de Maduro sobre casi todas las partes del Estado venezolano”, cuando en realidad solo el sector más beligerante de la oposición decidió no participar en las elecciones constitucionales pautadas para la fecha en que se llevaron a cabo.

 

Este boicot se da luego de que, con el apoyo de la Unión Europea, buscaran la manera de suspender los comicios argumentando que se debían “mejorar las condiciones”. Vale acotar que todas las garantías fueron ofrecidas y hubo modificaciones consensuadas con todos los participantes.

 

Toda la campaña de presión contra Venezuela por parte de Estados Unidos es justificada por las supuestas voces desde el exilio que piden intervención militar para acabar con la supuesta dictadura, los mismos que sostienen la presidencia fake de Guaidó.

 

Un ejemplo de ello se puede notar en las interacciones que mantienen penosamente a Juan Guaidó en la palestra pública. Quienes aún sostienen la figura del “gobierno interino” son usuarios que viven fuera del país, principalmente en Estados Unidos. Si bien a principios de su aparición tuvo un impulso dado el apoyo de Estados Unidos y sus países satélites, a los pocos meses, por la falta de efectividad real, este se fue desinflando.

 

Pero el intento de crear un gobierno paralelo no empieza con la figura escueta de Guaidó. Ya en 2017 la dirigente de extrema derecha María Corina Machado y el exalcalde prófugo de la justicia venezolana, Antonio Ledezma, crearon la plataforma Soy Venezuela, que se encargaría de congregar la disidencia al chavismo. La figura de Ledezma es uno de los referentes de aquellos que conforman las “voces en el exilio” que luchan por la libertad de Venezuela.

 

Históricamente, se pudiera pensar que la figura del exiliado es aquella persona que se ve obligado a huir de su país de origen para salvar su vida. A lo largo del siglo pasado se pueden encontrar muchos de estos personajes que desde otras regiones se convirtieron en la voz que reclamaba por las injusticias que sucedían en el país que abandonaban.

 

Sujetos como Julio Borges, Antonio Ledezma, Leopoldo López, Carlos Vecchio, entre otros, están lejos de ser una representación del exiliado, al menos en términos políticos. Sus privilegios y vidas acomodadas en el exterior, la huida del país por corrupción y terrorismo, los distancian de ser íconos de verdadera lucha por la justicia social.

 

CONSPIRACIONES CONTRA EL DIÁLOGO

 

El informe de Crisis Group refiere que la agenda de diálogo entre la oposición y el chavismo se estancaron en septiembre de 2019, luego de un año convulso signado por la autoproclamación, intentos de ingresar ilegalmente al país bajo la mampara de la ayuda humanitaria, sabotaje al sistema eléctrico, intento de toma de base aérea y el despojo de activos del país en el exterior.

 

Después de lo descrito -señala- hubo un intento de establecer negociaciones entre ambos bloques políticos. Evidentemente, el único apoyo a la oposición era el de Estados Unidos. El chavismo decidió dejar de participar en las reuniones luego de que se aplicara una nueva ronda de “sanciones” y al poco tiempo la oposición declaró a las mesas de negociación de “agotadas”.

 

Es necesario recordar que ante todos los escenarios de desestabilización impulsados por la oposición, incluyendo las guarimbas de 2014 y 2017, además de los intentos de golpe de Estado en 2019 y 2020, el gobierno del presidente Nicolás Maduro ha buscado una salida a través del diálogo.

 

Ante estos escenarios, en el ecosistema que conforma a la oposición venezolana, hay posiciones conciliadoras que han buscado la manera encontrar una salida democrática a la crisis, sin que esto represente estar de acuerdo con el gobierno de Maduro. “Los miembros más conciliadores también se separaron de la corriente principal de la oposición en busca de un mayor compromiso con el gobierno”, señala el informe, y luego recuerda las elecciones presidenciales de 2018, en las que participó Henri Falcón, líder del partido Avanzada Progresista, pese al boicot de la extinta Mesa de Unidad Democrática (MUD).

 

La Mesa de Diálogo Nacional ha llevado a cabo sus propias negociaciones como un interlocutor que tiene un poco más de autonomía y está más anclado a los intereses nacionales que a los designios de Estados Unidos. La diferencia es grande si se compara con el movimiento Soy Venezuela, que “abiertamente llama una intervención respaldada por el extranjero para derrocar a Maduro, abogando por el nombramiento previo de un gobierno en el exilio”.

 

Estos desacuerdos también se evidenciaron en las elecciones parlamentarias. Mientras Guaidó exhortó a la abstención, Henrique Capriles Radonski, candidato a la presidencia en dos oportunidades, llamó a la oposición a negociar mejores condiciones para las elecciones para “no dejar a la sociedad civil sin opciones”.

 

Ante esta disyuntiva es fácil reconocer quiénes apuestan a una salida de la crisis por los propios venezolanos y los que buscan promover la intervención militar. Existe una constante conspiración contra el diálogo pacífico en Venezuela, y los dedos apuntan a este sector “exiliado”.

 

RADICALIZACIÓN DEL DISCURSO

 

El informe de Crisis Group incluye un sondeo que revela cómo varía el discurso de los que salen del país, narrativa que se ha radicalizado conforme aumenta la presión. El mismo “incluye el análisis de sus publicaciones en las redes sociales en el que usa métodos cuantitativos. También se basa en entrevistas con figuras de la oposición dentro y fuera del país, diplomáticos y otros observadores conocedores, así como en los escritos publicados de exiliados prominentes”.

 

Según la encuesta, la dinámica de los exiliados siempre es más o menos la misma. Los políticos de oposición suelen permanecer activos tratando de influir en las políticas de sus países de acogida contra el gobierno de Maduro, sobre todo si pertenecen al gabinete ficticio de Guaidó y “dirigen embajadas paralelas en los países que lo reconocen como presidente interino”.

 

Por otra parte, la diáspora en general suele reunirse con estos líderes para organizar concentraciones y con ello presionar para que se apliquen políticas más duras contra el gobierno del presidente Maduro.

 

Si bien suelen mantener la misma línea anti-Maduro, “existe una percepción generalizada de que los que huyen suelen adoptar una postura más hostil después de salir del país”, y una de las razones, según la ONG, es que el exilio puede ser desestabilizador tanto psicológica como físicamente debido a división de familias.

 

Otro argumento es que supuestamente el exilio ofrece una mayor libertad de expresión, lo que permite a los activistas dar rienda suelta al antagonismo reprimido contra el chavismo, argumento que se cae en tanto que en Venezuela hay libertad de expresión y las redes sociales son un parlante para los líderes de oposición dentro del país.

 

Y es que todo parece indicar que se naturalizó la radicalización del discurso antichavista de los “exiliados”. Por tanto, todo aquel que quiera formar parte simbólicamente de esta masa social debe seguir esta ruta. Quien no lo haga o salta de este extremo es rechazado. “Salir con una idea un poco diferente, un poco más centrista, es casi inaceptable”, es la opinión de un político “exiliado” tras expresar públicamente una idea más centrista.

 

Es tal el extremo que quienes tienen una opinión contraria a los de esos líderes en el exilio son catalogados como traidores y chavistas. Esto hace que en algún punto los “exiliados” se conviertan en jaurías contra los paisanos que discrepen de las ideas extremistas o cuestionen alguna conducta de esos líderes.

 

Crisis Group comparó la actividad de figuras de la oposición venezolana en el exilio con los líderes de aún están en Venezuela para probar si los exiliados adoptan posiciones más intransigentes fuera del país.

 

La muestra fue de 357 miembros de la élite opositora con cuentas activas en Twitter.

 

“Alrededor de dos tercios de ellos son políticos, ya sea alcaldes o miembros de la Asamblea Nacional, mientras que el resto son activistas no electos, periodistas y jueces. Un total de 94 de estos 357 se exiliaron durante algún periodo entre enero de 2013 y mayo de 2020. De esos 94, 86 se fueron después de que Maduro asumiera el cargo en abril de 2013. El estudio examinó el análisis de más de cinco millones de tuits de los 357 opositores desde el 1 de enero de 2013 -poco antes de que Maduro asumiera el cargo- hasta el 31 de mayo de 2020”.

 

El estudio se centró en dos categorías de tuits de “exiliados venezolanos” que demuestran un cambio en el tono y el contenido a lo largo del tiempo señalado anteriormente.

 

La primera categoría incluye tuits que transmiten críticas mordaces contra el presidente Maduro dirigidas a deslegitimar su figura. La segunda categoría incluyó aquellos trinos que justifican una acción extranjera agresiva para apretar o desbancar al gobierno, que va desde las “sanciones” económicas hasta la intervención militar.

 

Además del extremismo del discurso de los “exiliados”, la pequeña muestra recoge que sus picos más altos de interacción están signados por eventos que pudieran tener impacto en una decisión geopolítica de Estados Unidos: elección del expresidente Trump en 2016, los hechos insurreccionales de 2017 y la autoproclamación de Juan Guaidó en 2019, por ejemplo.

 

EL NORTE NO ES VENEZUELA

 

¿Venezuela sigue siendo prioridad para los que se instalan fuera del país? Según Crisis Group, “los líderes exiliados también pueden desconectarse de las prioridades de los que permanecen en casa”. Incluso pueden tener una interpretación errática en tanto pudieran no tener una apreciación real de lo que sucede en este territorio, sobre todo si las fuentes son medios de comunicación estadounidenses o las redes sociales.

 

Por tanto, no tener una conciencia de la realidad venezolana puede hacerlos “menos conscientes del amplio descontento que existe en Venezuela con los políticos de oposición vinculados a hechos de corrupción”. Un ejemplo de ello puede ser el apoyo incondicional que aún muestran a la figura de Juan Guaidó, causante de un gran daño al patrimonio de la nación.

 

El crecimiento de la diáspora venezolana en Estados Unidos puede influir en las políticas que se apliquen contra este país debido a que, al igual que la cubana, puede tener una incidencia en los procesos electorales de la nación norteamericana y definir el gobierno regional de Florida, así como sus curules ante el Congreso y el Senado en Washington.

 

Si se establece una relación especular con la diáspora cubana, se debe tomar en cuenta el gran impacto de ésta en las políticas contra la isla. Los exiliados de línea dura han promovido políticas que perjudicaron a los cubanos que viven en el país, embargo de décadas que ha sido ineficaz para lograr un cambio de régimen y que es el responsable de los altos niveles de pobreza de Cuba.

 

Pese a que la orientación del informe es abiertamente antichavista, refiere que las posturas más duras de los “exiliados” afectan a la política local al exacerbar las divisiones entre los políticos de la oposición, sobre todo entre los activistas en el extranjero y en el país. Asimismo, destaca el papel preponderante que han tenido políticos como Carlos Vecchio, quien busca la intervención militar extranjera para Venezuela y dirige la embajada de la oposición en Estados Unidos, cargo que le había permitido discutir la política anti-venezolana con el exvicepresidente Mike Pence.

 

Por otra parte, menciona a Antonio Ledezma como promotor constante de la “intervención humanitaria” (R2P) para el país y participa activamente en el intento de definir las políticas hacia Venezuela en España, donde el debate político sobre el tema ha estado encendido.

 

La visión de Crisis Group sigue siendo intervencionista, pero apela a la sugerencia de negociaciones con mediación internacional entre el gobierno chavista y la oposición como esperanza para salir de la crisis pacíficamente. Como era de esperarse, culpa al gobierno del presidente Maduro como promotor de la actual situación. Plantea que todas las partes clave -el gobierno, la oposición y los actores externos- tendrán que comprometerse en la búsqueda de una salida negociada.

Gobierno y oposición política conservan sus visiones irreconciliables. Sin embargo, han puesto por delante los intereses nacionales para superar el bloqueo impulsado por los “actores externos” que hemos mencionado a lo largo de esta nota, los mismos que sin vivir lo que sucede en Venezuela proyectan una imagen abyecta y tóxica fuera del país.

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