Uno sparo codardo alla frontiera 

Non è stata la prima e non sarebbe stata l’ultima vita che i crimini made in USA ci strappano (qualcuno). Questo marchio di odio ha posto in lutto 3478 famiglie cubane, ed è lo stesso che oggi si avvale di mostruosità mercenarie a basso costo, con il fermento virtuale che procura azioni violente.

 José LLamos Camejo www.granma.cu

Luis Ramírez López è visto oggi come si guarda agli eroi e lui si rivela un compagno ai nostri giorni. La sua sarebbe stata una vita segnata da più di sei decenni di fronte alle sfide, di quelle che lasciano segni al di là della pelle.

I suoi sogni sono stati troncati e si è fatto simbolo. Cosa sarebbe stato nella sua vita? Operaio d’avanguardia, capo militare, dirigente, scienziato, professionista importante …?

Chi potrebbe calcolare i limiti di un’esistenza che cercava la bussola guevariana: studio, lavoro e fucile? Le possibili risposte fanno male, perché Luis non ha raggiunto la metà della sua giovinezza. Non è potuto essere il padre orgoglioso, il nonno, il fondatore e l’asse di una famiglia che oggi lo venererebbe come il suo eroe.

Lo sparo ha attraversato il petto del 22enne; ha assassinato un uomo che sognava se stesso, forse immerso nelle future vicissitudini del suo paese, ma anche nella sua realizzazione personale. L’odio lasciò Cuba senza Luis, sabato 21 maggio 1966, davanti al recinto perimetrale dell’odierna Brigata di Frontiera a Guantánamo.

Da questo lato, in osservazione, Ramírez López; dall’altro, in usurpazione, gli marine yankee; la presenza illegale di questi ultimi e della base navale che gli USA mantengono illegalmente su un pezzo del nostro suolo, oltraggio alla sovranità nazionale.

Il proiettile ha rotto il silenzio all’inizio della notte; l’eroe è caduto. Giornalisti di 16 nazioni hanno verificato, in sito, che era stato assassinato al suo posto; la storia che il giovane aveva oltrepassato la linea di demarcazione non ha funzionato; una falsità così sordida come quella degli “attacchi sonori” al personale dell’ambasciata yankee all’Avana; meri pretesti per attaccarci.

Non è stata la prima e non sarebbe stata l’ultima vita che i crimini made in USA ci strappano (qualcuno). Questo marchio di odio ha posto in lutto 3478 famiglie cubane, ed è lo stesso che oggi si avvale di mostruosità mercenarie a basso costo, con il fermento virtuale che procura azioni violente.

Contro tali pretese annessioniste si ergano Ramirez López e la gioventù che lo ricorda.


Un disparo cobarde en la frontera

No fue la primera ni sería la última vida que los crímenes made in USA nos arrebatan. Esa marca de odio ha enlutado a 3 478 familias cubanas, y es la misma que hoy se vale de engendros mercenarios de bajo costo, con el fermento virtual que procura acciones violentas

Autor: José LLamos Camejo

A Luis Ramírez López se le mira hoy como se mira a los héroes, y él se revela compañero en nuestros días. Habría sido la suya una vida signada por más de seis décadas frente a desafíos, de esos que dejan marcas más allá de la piel.

Sus sueños quedaron truncos, y hecho símbolo él. ¿Qué hubiera sido en su vida? ¿Obrero de vanguardia, jefe militar, dirigente, científico, profesional relevante…?

¿Quién podría calcular los límites de una existencia que buscaba la brújula guevariana: estudio, trabajo y fusil? Las posibles respuestas duelen, porque Luis no llegó a la mitad de su juventud. No pudo ser el padre orgulloso, el abuelo, el fundador y eje de una familia que hoy lo veneraría como su héroe.    

El disparo atravesó el pecho de 22 años; asesinó a un hombre que se soñaba a sí mismo, tal vez inmerso en los avatares futuros de su país, pero también en su realización personal. El odio dejó a Cuba sin Luis, el sábado, 21 de mayo de 1966, frente a la cerca perimetral de la hoy Brigada de la Frontera en Guantánamo.

De este lado, en observación, Ramírez López; del otro, en usurpación, marines yanquis; presencia ilícita la de estos últimos y de la base naval que ilegalmente mantiene Estados Unidos en un pedazo de nuestro suelo, ultraje a la soberanía nacional. 

La bala rompió el silencio cuando empezaba la noche; el héroe cayó. Periodistas de 16 naciones comprobaron in situ que fue asesinado en su puesto; no funcionó el cuento de que el joven había traspasado la línea divisoria; una falacia tan sórdida como lo es la de los «ataques sónicos» a personal de la embajada yanqui en La Habana; meros pretextos para agredirnos.

No fue la primera ni sería la última vida que los crímenes made in USA nos arrebatan. Esa marca de odio ha enlutado a 3 478 familias cubanas, y es la misma que hoy se vale de engendros mercenarios de bajo costo, con el fermento virtual que procura acciones violentas.

Contra esa pretensión anexionista se yerguen Ramírez López y la juventud que lo recuerda.

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