Il giorno che segnò l’inizio della fine del capitalismo in Cuba

Presidio dell’Isola de Pinos. Sabato 24 luglio del 1954…

Ritorno allo stesso giorno del 1953… In compagnia di Pedro Miret e Abelardo Crespo ero andato a una festa familiare e per colpa di alcune bibite con rum che avevo bevuto, mi faceva molto male la testa e restai a letto sino a metà mattina. Era un venerdì.

Miret, che allora era mio compagno in una stanza all’angolo tra Neptuno e Aramburu, e ora anche con Crespo dato che siamo compagni di galera, uscì molto presto e quando ritornò a mezzogiorno e mi incontrò con il mal di testa ancora nella stanza, scese per strada e ritornò con un succo di mela, insistendo perché lo bevessi , «perché mi avrebbe immediatamente curato», e uscì nuovamente…

Nonostante, le sue parole e la serietà del suo viso mi fecero pensare che succedeva qualcosa di raro. Poco dopo ricevetti una telefonata di  José Luis Tasende, che mi disse di rimanere in casa e aspettassi un’altra sua chiamata  o che forse sarebbe venuto a trovarmi  e vedermi. Allora non mi restarono dubbi:  «l’ora zero», come dicevamo abitualmente si avvicinava rapidamente.

A metà pomeriggio ricevetti l’annunciata visita del compagno Tasende, che si presentò in una visita rapidissima identica a quella di Miret, abbandonando la mia stanza un istante dopo avermi dato alcune istruzioni e facendomi capire anche che avremmo agito presto, senza dare altri dati di nessun tipo.

In accordo con quella conversazione uscii e andai in una pelletteria che apparteneva a dei polacchi, in Belescoaín, e comprai un paio di scarpe beige. Tornai di nuovo a casa e mi sdraiai aspettando, dato che mi sentivo sempre male.

Alle otto di sera ricevetti l’ultima telefonata di Tasende, che mi segnalò di riunirmi con lui nel punto «L» (la casa di Léster Rodríguez, vicino all’Università), e mi avviai immediatamente verso il punto indicato, dove con Tasende raccolsi l’ultimo carico di armi, e andammo alla stazione ferroviaria, dove prendemmo il treno centrale per  Oriente.

Miret, Crespo e Léster avevano preso un’altra strada. Nella stazione ferroviaria ci riunimmo con altri 16 compagni, tutti subordinati al compagno Tasende.

DOMENICA 25 LUGLIO 1954

…1953. Non dormimmo per niente durante il viaggio e l’alba di quel sabato molto caldo si presentava con la tranquillità che precede i grandi avvenimenti.

(In realtà era un’alba come un’altra qualsiasi, ma io pensai che quella era differente.)

Nel vagone ristornante, i compagni del gruppo andarono a pranzare individualmente come se non si conoscessero, con eccezione di Tasende e mia dato che avevamo preso insieme il treno, e quindi andammo a mangiare qualche cosa insieme e lì lui m’informò dell’obiettivo…

…Mi si paralizza lo stomaco e mi scompare l’appetito. Io conoscevo la grandezza e la forza di questo obiettivo perchè avevo studiato a  Santiago di Cuba per diversi anni, e Tasende ridendo di me mi diceva: «Mangia  Raulillo, che domani non avrai tempo», ma io continuavo a bere solamente piccoli sorsi di birra.

Il treno avanzava già nella provincia d’Oriente e superato Cacocún e un tratto prima di arrivare all’incrocio di Alto Cedro, guardando a sinistra scorsi  lo Zuccherificio Marcané, e un po’ più a destra da quel punto si vedevano le falde delle montagne dove comincia la Sierra de Nipe, dove stavano i miei genitori, nello stesso luogo in cui erano nati tutti i loro figli.

Con lo sguardo fisso e il pensiero che andava agli anni dell’infanzia in questi punti, restai con la testa fuori dal finestrino, sino a che le ondulazioni del terreno li fecero sparire dalla mia vista.

Ad  Alto Cedro, durante la breve fermata del treno, dovetti coprirmi bene il volto con un fazzoletto e fingere di dormire per evitare d’essere visto da qualcuna delle molte persone che lì conoscevo.

Durante il viaggio guardavo tutto con la stessa avidità che risveglia il sentimento dell’ultima volta.

Mi piaceva infinitamente ritornare in questi posti che conoscevo, e soprattutto , sapere che il teatro degli avvenimenti sarebbe stato l’Oriente, la mia terra natale.

Il treno giunse a Santiago di Cuba a metà pomeriggio e alla stazione ci aspettavano Abel Santamaría e Renato Guitart, che ci dissero d’attraversare la strada che avevamo davanti e andassimo  all’Hotel «Perla de Cuba», che era davanti alla stazione ferroviaria, dove avevano prenotato per noi  abitazioni separate.

Lì ci sistemammo nelle stanzette del primo piano e mentre alcuni aspettavano pazientemente il loro turno per lavarsi un poco, utilizzando l’unico lavabo che c’era al piano, altri ci eravamo sdraiati sui letti per riposare un poco.

Circa alle sette di sera andammo al ristorante dell’hotel, dove il diligente Abel Santamaría aveva ordinato di preparare un succulento riso con pollo. Lì tra bevande, risate e musica, alcuni santiagheri festeggiavano il carnevale.

Con i loro costumi fantasiosi alcuni gruppi passavano per la strada in forma di piccole comparse, a volte entravano nel ristorante dove stavamo mangiando, bevevano qualcosa e proseguivano per la festa.

I compagni mangiavano seduti a tavolini separati e i loro volti erano allegri, sereni e decisi. Si doveva essere buoni osservatori per vedere negli occhi la tensione del momento e indovini, per scoprire che quella allegria era totalmente estranea alle feste del carnevale.

Per fare apparire più normali le apparenza, Tasende, a piccoli intervalli poneva moneta nel jukebox, canzoni che non  sentivamo, perche erano molte le canzoni che avevano selezionato altri precedentemente, e appena terminata la cena raggiungemmo le nostre stanze aspettando che ci venissero a prendere.

Ogni piccola stanza aveva un solo letto e nella mia io mi sdraiai con i vestiti e le scarpe, e due mani dietro la testa, gli occhi fissi sull’alto soffitto del vecchio albergo e la testa piena di pensieri, aspettando che passassero i minuti più lunghi della mia vita.

Dato che le pareti che separavano le stanza giungevano solo alla metà dello spazio che separava il pavimento dal tetto, si percepiva con tutta la sua intensità il rumore dei tamburi dei piccoli in costume  che passavano per la strada, come i rumori del ristorante pieno di persone che bevevano e mangiavano, e il jukebox che continuava a strillare canzoni diverse ininterrottamente.

A tratti sentivo anche chiaramente la conversazione che avveniva nella stanza contigua  alla mia di uno spagnolo e una prostituta che facevano l’amore, e il cui dialogo cambiò di tono al finale, sostituendo le parole amorose con il tono commerciale esprimevano le parole dello spagnolo per l’alto prezzo dell’assunto.

Per un instante ho pensato che non era gusto che mentre alcuni ballavano e bevevano o facevano l’amore, tutti divertendosi a modo loro, noi stessimo lì aspettando d’essere chiamati da un momento all’altro per un’azione imminente.

Per quanti dei compagni che eravamo seduti poco prima nel ristorante, quella sarebbe stata l’ultima cena?

Dei 18 che formavamo quel gruppo, guidato dal compagno Tasende, credo che solo tre ritornammo vivi.

Mentre passavano le prime ore della notte, il carnevale di Santiago continuava a a trascorrere con maggiore intensità.

Il cuoio dei tamburi suonava ritmi frenetici, e quando era già quasi mezzanotte   apparve un compagno, vincolo con il  nostro improvvisato Quartiere Generale, situato nella strada tra Santiago e Siboney: Fidel ci mandava a prendere . Pochi minuti dopo c’incontrammo con lui e il resto del compagni, stava terminando quel sabato 25 luglio e in pochi minuti sarebbe iniziato un nuovo giorno del 1953.

Il resto della storia la conosciamo tutti.  Poche ore dopo i tamburi smisero di suonare e furono zittiti dal linguaggio dei primi spari con i quali iniziava una nuova tappa nel processo delle lotte del nostro popolo.

Smise di scorrere il rum per dare il passo al sangue inquieto dei primi  giovani che morivano davanti alle mura imponenti della Moncada. Con quel primo sangue versato, si diede per iniziato il metodo corretto e fondamentale della lotta del nostro popolo per distruggere l’impalcatura,definitivamente, del sistema economico-politico e sociale esistente nel nostro paese.

Quanto eravamo tutti lontani dall’immaginarci, in quei momenti, che durante quell’alba del 26 di luglio, sarebbe iniziata la fine del capitalismo a Cuba!

Nota: Pubblicato in Hoy, 26 luglio del 1964. 

Share Button

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.