Pedro Castillo affronta la crisi prima di assumere la presidenza

Mision Verdad, 

L’esito del secondo turno delle elezioni presidenziali peruviane si svolge nella crisi istituzionale trasversale e con gravi disturbi interni ed esteri. Il 10 giugno fu annunciata l’elaborazione del 100% delle schede elettorali rivelando un risultato favorevole a Pedro Castillo, secondo i dati presentati dall’Ufficio nazionale dei processi elettorali (ONPE). Col 100% dei voti esaminati, l’insegnante rurale ha una percentuale di voti del 50,17% rispetto al 49,83% di Keiko Fujimori.

Tuttavia, c’era un residuo iniziale di verbali contestati non conteggiati, ma i cui voti non potevano ribaltare il risultato. Successivamente, la gente di Fujimori contestava in maniera massiccia il verbale, interrogando i seggi elettorali, che rappresentano circa 200mila voti, cercando di trasferire la disputa alle giurie elettorali. Tuttavia, la maggior parte di tali sfide fu registrata dopo il 9 alle 21, momento in cui, secondo il regolamento elettorale, scadeva il termine per le organizzazioni politiche. Secondo le leggi del Perù, l’ONPE non è incaricato di risolvere tali controversie. Ciò spetta a un altro organismo autonomo, la Giuria Nazionale delle Elezioni (JNE) del Perù, organo collegiale composto da membri della massima corte nazionale, università e Ordine degli avvocati di Lima. Questo ente l’11 annunciava a sorpresa la proroga del termine (altre 48 ore) per presentare richieste di annullamento del voto, provvedimento che favoriva Fujimori, adottandone le contestazioni fino alla notte dello stesso giorno. L’ente agivo fuori tempo, alterando in modo irregolare le lacune. Secondo l’avvocato peruviano Renzo Cavani, “se una norma fissa un termine di tre giorni ed è scaduta, giuridicamente non c’è modo che una norma poi possa modificarla (ad esempio ampliandola). Questa si chiama retroattività ed è vietata dalla Costituzione”, osservava.

Il giornalista Harold Moreno Luna, in merito al provvedimento JNE, notava che tale istanza era contraria alla legge. Indicava che “i ricorsi di annullamento vengono presentati fino a tre giorni dopo le elezioni, come prevede l’articolo 367 della Legge organica sulle elezioni (LEG n. 26859), del 1997”. Tuttavia, dopo lo choc generato, la plenaria del JNE revocò la sua decisione poche ore dopo a causa del netto rifiuto dei peruviani e della protesta del partito di Castillo, che riteneva il provvedimento “incostituzionale”, “consumata frode” e “colpo di Stato”.

La crisi trasversale del Perù

 

Il 100% dell’elaborazione dei voti spinse Castillo a dichiararsi vincitore delle elezioni. Tuttavia, lla destra internazionale si mise in fila a respingere il messaggio dei voti. Sedici ex-presidenti di destra, tra cui Álvaro Uribe e Andrés Pastrana dalla Colombia, Óscar Arias dal Costa Rica e José María Aznar dalla Spagna, tutti noti per le interferenze in Venezuela e altri Paesi su influenza statunitense, interferivano nelle elezioni e il 10 chiesero alle istituzioni peruviane di non dichiarare vincitore nessuno dei candidati fin quando le autorità elettorali peruviane non avranno risolto “obiezioni e osservazioni” nel verbale. Tale dichiarazione fu rilasciata da Fujimori, utilizzandola per sostenere la giudiziarizzazione delle elezioni. Emerse pure che il presidente peruviano Francisco Sagasti aveva chiamato Mario Vargas Llosa, scrittore peruviano-spagnolo e attivista neoliberista, che sostiene apertamente Keiko Fujimori, per convincerlo a mediare colla candidata al fine di desistere dalle sfide ed evitare così un grave crisi. Il presidente confermò quel dialogo, spiegando di averlo fatto per chiedere che si attendesse con calma i risultati delle elezioni. Reazioni si ebbero da vari fronti della politica peruviana, in particolare da Fujimori, denunciando Sagasti di aver interferito nelle elezioni e per questo che alcuni parlamentari ne proponevano le dimissioni. L’azione del parlamento potrebbe essere parte della rappresaglia contro Sagasti, dato che denunciò la camera legislativa di agire in modo pericoloso. Questo perché il parlamento decise di prolungare la propria legislatura e quindi accelerava una serie di riforme della Costituzione, di fatto a vantaggio dei deputati e addirittura creando un Congresso bicamerale.

Sagasti dichiarò “preoccupazione” per le azioni del parlamento, che definiva “precipitose”. “In 28 anni furono approvate 24 riforme costituzionali. Ora, in pochi giorni, si prevede di approvare più di una dozzina di riforme, senza rispettare lo spirito dell’articolo 206 della Costituzione, che implica un dibattito profondo e ampio del suo contenuto”, dichiarava Sagasti. Il legame tra le azioni del parlamento che chiude è evidente, proprio quando Pedro Castillo propose di convocare un’Assemblea costituente per cambiare la Magna Carta. In tale trama, Keiko Fujimori non era assente. La candidata sconfitta tentava di capovolgere il risultato per evitare l’incarcerazione. Fujimori fu arrestata nel 2018 e nel 2020, ma sfuggì al carcere coll’habeas corpus, pagando una cauzione, e venendo archiviata. Godendo dei diritti politici, si candidava alla presidenza, ma non ottenendo l’incarico e l’immunità, e potrebbe essere nuovamente incarcerata per il suo legame col caso Lava Jato in Perù. Questo 0, un pubblico ministero chiese la carcerazione preventiva di Fujimori, accusandola di aver violato i termini del regime di comparizione. La complessità politica e istituzionale del Perù è l’anello in cui corruzione e legalizzazione della politica sono estremamente gravi, generando instabilità e malgoverno.

La terza vittoria online di Castello

 

Pedro Castillo, che manteneva la sua militanza mobilitata a Lima, la invitava a calmarsi, ma assumendo una posizione di leadership di fronte ai rischi che l’istituzionalità peruviana corre con le consuete pressioni e lobbying su giurie e organi giudiziari, come di consueto usata dal clan Fujimori, definito dall’opinione pubblica come “Jakuza”, nella politica del Paese. Dopo aver trionfato al primo turno, e ora virtualmente vincitore elettorale, Castillo affronta la sua prima crisi politica senza essersi ancora insediato. Le preoccupazioni in vari settori della società peruviana e della classe politica tradizionale su una risposta dai seguaci di Peru Libre risiedono nella seria possibilità che frode scaglionata dalle istituzioni peruviane si traduca in scontro, se il risultato venisse stravolto dall’ONPE. In questo complotto, il partito di Pedro Castillo, Peru Libre, manovra con la JNE per procedere alla proclamazione definitiva del presidente eletto, impiegando avvocati e contestando i verbali alla JNE. La stragrande maggioranza delle istanze di annullamento delle schede elettorali presentate dal partito Fuerza Popolare (804) sarebbe illegale secondo le leggi vigenti. Ora, con il ritiro del JNE, solo circa 175 voti andrebbero rivisti e questi non potranno ribaltare il risultato.

Traduzione di Alessandro Lattanzio

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