Nicaragua e il giornalismo di guerra

José Steinsleger – https://nostramerica.wordpress.com

Quando mi guardo indietro, compaiono le immagini del Nicaragua che ho vissuto (il terremoto del 72, la vittoria rivoluzionaria del 79, la “cuccagna” sandinista del 90), mi dico: come eri bello e in tiro! Poi sospiro guardandomi ai fianchi e … naturalmente mi scontro con la realtà.

Non ho mai avuto l’onore di essere un guerrigliero. E non ho neanche mai avuto il desiderio di scrivere in Nicaragua un romanzo stile Hemingway o Malraux. Oppure dense analisi fatte per confondere chi, rosario in mano, la pensava come Debray o come Marta Harneker.

Ero semplicemente un giornalista angosciato con un editore che assomigliava a quello di Clark Kent nel Daily Planet: non inventare. Raccontaci la verità. E dunque, nella campagna presidenziale del 1990, l’ho raccontata dicendo che i sandinisti, dopo aver vinto la guerra contro il nemico esterno, erano finiti sconfitti dal nemico interno.

In qualche cronaca ci ho incluso un dialogo dal film La battaglia di Algeri (Pontecorvo, 1960) dove, parola più, parola meno, un giovane guerrigliero chiede a un capo veterano: Manca molto alla fine della rivoluzione? Il capo risponde: Cominciare una rivoluzione è difficile; persistere nella lotta è ancora più difficile; prendere il potere, una chimera. Ma se si prende il potere, allora cominciano le vere difficoltà.

Inevitabilmente, le rivoluzioni sociali del secolo scorso hanno dovuto affrontare le vere difficoltà. A cominciare dall’economia che, in realtà, detesta le teorie della rivoluzione. Proprio come Cuba nel suo momento, il Nicaragua ha fatto la rivoluzione e il giorno dopo la vittoria buona parte dei suoi imprenditori sono fuggiti a Miami. Un fenomeno che non si è verificato in Vietnam, un paese di 100 milioni di abitanti che si é liberato poco prima della vittoria del Frente Sandinista de Liberación Nacional e oggi è una potenza economica del sudest asiatico.

Se non ricordo male, ho aggiunto a quelle cronache un commento di Samora Machel (1933-1986), il padre dell’indipendenza del Mozambico: molti di quelli di noi che abbiamo condiviso le armi e il piombo siamo caduti nella trappola della corruzione.

La così detta “cuccagna” sandinista è stata acido nitrico per i comandanti che avevano vinto la guerra contro Somoza e le bande mercenarie della CIA. Però, i governi neoliberali di Violeta Chamorro, Arnoldo Alemán e Enrique Bolaños (1990-2007), hanno trasformato la cuccagna in rissa anche per i centesimi. Solo Alemán e la sua famiglia hanno accumulato una fortuna intorno ai 250 milioni di dollari.

In parte lo sbraco neoliberale spiega il trionfo democratico del FSLN nelle elezioni del 2007, 2012, 2017. Perché, proprio come il peronismo in Argentina, il sandinismo è l’identità politica maggioritaria del popolo del Nicaragua.

Disegniamo, a grandi tratti, l’immagine che i media egemonici proiettano del mio bel Nicaragua: “regime (attenzione: parola chiave) della narcodictadura-orteguista populista (attenzione: espressione chiave), alleata dell’asse Cuba-Venezuela-Bolivia più Russia e Cina), a cui presto si potrebbero unire Messico, Argentina, Perù e il Chapo Guzmán, che si è fidanzato con un agente dell’Iran e di Vladimir Putin.

Così funziona un certo giornalismo che si dà le arie di indipendente e che da tempo opera nel continente come rozza propaganda di guerra imperialista e punto. Insomma: un mondo psicotico che ci obbliga a chiederci, parafrasando un noto scrittore statunitense, di che parliamo quando parliamo di democrazia?

Daniel Ortega è impresentabile? E allora? Dirigenti poco presentabili come Felipe González e Benjamin Netanyau sono stati rieletti per 15/16 anni e i media non hanno detto una parola. Ortega è stato rieletto democraticamente per 15 anni e i media qualificano il suo governo come una dittatura (attenzione: altra parola chiave).

Ciliegina sulla torta. I demiurghi del mondo accademico-intellettuale tirano fuori quattro versioni del diritto-a-pensare-diverso: 1) quella che relativizza il gioco democratico quando lo scrutinio delude le loro aspettative; 2) quella che in frazioni di secondo trova un accordo con il vincitore; 3) quella che gioca con carte truccate, e 4) quella che fa la vittima con regole diverse e pensate secondo i propri interessi.

Fra questi ultimi, ex guerriglieri sandinisti e oppositori velatamente o apertamente finanziati da Washington e che nel Congresso statunitense (approfittando del know-how di parlamentari “cubano-americani”), hanno imposto le sanzioni economiche della Nica Act (Nicaraguan Investment Conditionality, 2018).

Oltre alla loro preoccupazione per le violazioni politico-legali in Nicaragua … sarebbe chiedere troppo ai governi del Messico e dell’Argentina e allo schizzinoso Gruppo di Puebla di includere nelle loro preoccupazioni anche l’infame Nica-Act?

Disgraziatamente, i progetti rivoluzionari sono sempre stati tentati di praticare un principio dalla complessa trama psico-emozionale: il potere non si consegna non si delega al nemico. L’ideale sarebbe avere buoni avversari. Perché transigere con l’avversario è negoziato ma farlo con il nemico è tradimento.

(La Jornada)

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