Colombia: tra l’ansia di Biden e la perturbazione di Uribe

Sergio Rodriguez Gelfenstein  https://misionverdad.com

Il Dipartimento di Stato USA sta osservando con somma preoccupazione che in America Latina hanno iniziato a prodursi movimenti che sfuggono dal suo controllo e che potrebbero danneggiare il suo sistema di dominio regionale.

In alcuni dei principali bastioni in cui predominano l’antidemocrazia e il neoliberalismo, una somma di azioni motiva tale agitazione. In Cile, la Convenzione Costituzionale ha eletto una donna mapuche come presidentessa e un avvocato costituzionalista con chiaro spirito progressista come vicepresidente, segnando così il corso dei possibili dibattiti che potrebbero portare ad una Costituzione democratica dopo 48 anni di dittatura e post-dittatura. Allo stesso modo, di fronte alle elezioni presidenziali di fine anno, il candidato comunista Daniel Jadue guida tutti i sondaggi, mandando una chiara scia di “pericolo” per Washington.

In altri scenari, la vittoria elettorale di Pedro Castillo in Perù, e l’eventuale elezione di Lula alle future elezioni del prossimo anno in Brasile, indicano un corso indesiderato dagli USA per la regione, che entro la fine del prossimo anno potrebbe avere una correlazione di forze totalmente diversa da quella attuale.

Ma dove sembra concentrarsi il nervosismo del governo USA è in Colombia. Questo Paese, oltre alle condizioni anteriormente menzionate in quanto a sistema politico ed economico, aggiunge quello di essere l’unico nella regione che ostenta un’adesione alla NATO e in tal senso – come Israele in Asia occidentale – svolge il ruolo di portaerei per la presenza e l’intervento militare di Washington. Questi due paesi concentrano la somma dell’interesse della potenza settentrionale per l’evidente luogo che gli USA hanno indicato, all’uno e all’altro, nel mantenimento del proprio quadro strategico globale.

In questo senso, la pazienza degli USA con la Colombia sembra calare e con essa è cresciuta la preoccupazione. Una serie di eventi recenti ne sono l’espressione. A maggio, pochi giorni dopo aver assunto la carica di ministro degli esteri, la vicepresidente Marta Lucía Ramírez è stata costretta a recarsi a Washington per render conto sulla deplorevole situazione dei diritti umani nel paese. Dopo aver visitato la Commissione Interamericana per i Diritti Umani, lei stessa ha annunciato di aver informato il Segretario di Stato Antony Blinken dei risultati dell’incontro. A questo punto, neppure più si sforzano di nascondere la loro subordinazione a Washington.

Non è che agli USA preoccupi le molteplici stragi che si verificano quotidianamente in Colombia né gli omicidi di dirigenti sociali e difensori dei diritti umani, ma devono conservare le forme. Questo è ciò che ha fatto sapere il presidente Joe Biden nella telefonata che ha fatto al presidente Duque il 28 giugno. La Casa di Nariño ha nascosto questa parte della conversazione nel comunicato ufficiale in cui ha “informato” sulla telefonata, ma non ha fatto così la Casa Bianca, che ha smascherato Duque – in un evento non casuale – ovviamente finalizzato a generare pressioni su Bogotà. Benché non sia di suo gradimento, Biden si è visto costretto ad agire così, pressato dalla lobby progressista del Partito Democratico legata a Bernie Sanders senza la quale non avrebbe potuto conquistare la vittoria elettorale.

In precedenza, una serie di eventi generati a Bogotà hanno sconcertato Washington, che non riesce a decifrare i disegni dell’uribismo al potere. Il Dipartimento di Stato ha ritenuto inconcepibile che Duque abbia nominato Juan Carlos Pinzón Bueno come nuovo ambasciatore della Colombia negli USA. Pinzón è nipote di Jorge Eliécer Bueno Sierra, narcotrafficante colombiano condannato in quel paese all’ergastolo per narcotraffico, confermata in seconda ed ultima istanza. Tale nomina ha messo ‘spalle al muro’ l’ufficio di Blinken, che si è trovato nel dilemma di chiudere “un occhio” di fronte allo sproposito del suo alleato, o rifiutare la nomina, evidenziando l’ottusità di Duque.

Washington ha anche preso nota che il governo Duque è rifiutato da quasi l’80% dei colombiani, allo stesso tempo che circa il 75% dei cittadini sostiene lo sciopero nazionale che dura già da più di due mesi.

In questo contesto, e sebbene la principale preoccupazione dell’amministrazione Biden nei confronti dell’America Latina sia quella di frenare l’inarrestabile migrazione illegale verso il suo territorio, la situazione in Colombia sembra togliere il sonno al governo.

Un insolito “ponte aereo” tra Washington e Bogotà inaugurato il 22 giugno dall’ammiraglio Craig Faller, capo del Comando Sud e proseguito dal direttore della CIA, il 30 giugno, mostra i turbamenti imperiali per la situazione del suo alleato, ma hanno capito, con brillantezza maligna, che tali azioni potrebbero essere usate per la loro permanente aggressione contro il Venezuela.

Due fatti di dubbia paternità che non sono stati chiariti, che hanno anche motivato spiegazioni inesatte e che casualmente sono stati realizzati nelle vicinanze del confine con il Venezuela, sembrano indicare l’uso che gli USA vogliono dare all’instabilità in Colombia e l’incapacità del suo governo, al fine di creare le condizioni per eventuali operazioni armate, di qualsiasi tipo, contro il Venezuela. Sia l’esplosione di un’autobomba all’interno di una base militare situata a Cúcuta che ha lasciato 36 feriti, il ​​15 giugno, come l’attentato all’elicottero su cui viaggiava il presidente con due dei suoi ministri, il 26 giugno, nella stessa città, sono circondati dal più assoluto mistero, aumentando i dubbi sugli autori e le intenzioni che si potessero perseguire con tali fatti.

Gli USA appoggiano la disperazione terroristica dell’uribismo, ma credono che si debba porvi dei limiti per evitare che le cose vadano fuori controllo. Nel suo mirino ci sono le elezioni presidenziali del prossimo anno. Subito dopo il primo attentato ha deciso di prendere provvedimenti sulla vicenda, il viaggio di Faller era finalizzato a conoscere, sul campo, fino a che punto fosse l’incapacità del governo di controllare la situazione e i rischi che ciò comporta. Come se le autorità colombiane non potessero risolvere la questione, Faller ha riferito che l’FBI sarebbe stata l’istituzione che avrebbe indagato sull’attentato al fine di “chiarire i fatti e trovare i responsabili e garantire così che siano assicurati alla giustizia…”. Tale decisione si baserebbe sul fatto che nella caserma attaccata c’erano soldati USA che fanno parte delle forze di occupazione operanti in quel paese.

Pochi giorni dopo, il 30 giugno, l’ambasciatore colombiano a Washington, Francisco Santos, con la sua solita mancanza di senno e in un ruolo da protagonista che cerca disperatamente la sua salvezza politica dopo la sua prossima partenza dall’incarico, ha annunciato che il direttore della CIA William Burns si sarebbe recato nel suo paese per una missione “delicata” e evidentemente segreta. A nessuno può passare inosservato che, in poco più di una settimana, il principale capo militare USA dell’emisfero, il direttore della più importante agenzia di intelligence straniera, e lo stesso presidente Biden, con la sua telefonata a Duque, si siano interessati alla Colombia. Ciò porta a una situazione insolita per qualsiasi paese del mondo, a meno che in esso si verifichino eventi dalle imprevedibili conseguenze.

Il giorno dopo la visita di Burns, il panorama ha continuato ad oscurarsi con l’arrivo in Colombia, il 1 luglio, precisamente al Combat Air Command n° 5, situato a Rionegro, Antioquia, di sei aerei F-16 della Forza Aerea USA.

Tuttavia, ciò che entrambi i governi stanno nascondendo è che la preoccupazione degli USA, in realtà, viene data dall’incremento della produzione ed esportazione di cocaina dalla Colombia. A marzo, la Casa Bianca ha certificato la Colombia per i suoi risultati nella lotta alla droga nel 2020. Nel documento, gli USA ricordano che il governo di Iván Duque si è impegnato a ridurre le colture del 50% entro la fine del 2023. Cioè, ottenere che gli ettari seminati non superino i 100000 e che la produzione di cocaina sia inferiore alle 450 tonnellate metriche.

Tuttavia, e paradossalmente solo tre mesi dopo, il 25 giugno, tre giorni dopo la visita di Faller e cinque prima di quella di Burns, l’Office of National Drug Control Policy (ONDCP) della Casa Bianca ha pubblicato il suo rapporto annuale sulla coltivazione della coca e sulla produzione potenziale di cocaina nella regione andina. Il rapporto ha determinato un aumento storico, in Colombia, vicino al 15% nell’ultimo anno. In questo senso, si evidenzia che la Colombia ha battuto i record nelle colture illecite e nella produzione potenziale di cocaina, raggiungendo i livelli più alti dell’ultimo decennio. Hanno avuto un aumento vicino al 15% nel 2020, rispetto all’anno precedente.

Il rapporto segnala che, nell’ultimo anno, il paese ha raggiunto una cifra massima di 245mila ettari di piantagioni di foglie di coca, dopo aver registrato 212mila ettari nel 2019. Allo stesso modo, si è passati da 936 a 1010 tonnellate di potenziale produzione di cocaina, molto lontana dalle cifre per cui Duque si era impegnato.

In questo contesto, la “delicata” missione di Burns aveva lo scopo di discutere la questione con il governo colombiano e molto probabilmente consegnare liste con nomi e cognomi di generali, parlamentari, ministri e magistrati coinvolti nel narcotraffico, che ha superato la governabilità del paese, mettendo sotto scacco il suo sistema politico, di fronte all’evidente turbamento di Washington.

Sia la Colombia che gli USA devono sostenere il traffico di droga. Per la Colombia significa occupazione per centinaia di migliaia di contadini, che altrimenti andrebbero ad aggiungersi al vasto numero di emarginazione e povertà del paese, aumentandone la situazione di instabilità e crisi. Quindi, serve per iniettare risorse nella sua economia con mezzi legali (Plan Colombia) e illegali attraverso il commercio parallelo che genera questo affare.

Nel caso degli USA, la DEA agisce come l’ente regolatore che controlla la quantità di droga che può circolare sul mercato. Se si riduce tale quantità, aumenta la violenza interna a causa degli squilibri prodotti dalla diminuzione dell’offerta, i prezzi salgono, generando grande malessere, ansia e violenza tra i milioni di consumatori del paese del nord. Al contrario, se l’offerta aumenta, il mercato viene inondato, aumentando il numero di consumatori e con esso la criminalità e le spese sanitarie per la travagliata economia USA.

Nel 1979, la DEA ha sviluppato l’Operazione Greenback con l’obiettivo di investigare e controllare le rotte attraverso le quali le grandi quantità di denaro prodotte da questo affare illegale, tuttavia, tale operazione è stata sospesa e dimenticata senza spiegazioni quando si sono iniziati a controllare i conti delle più importanti istituzioni finanziarie e borsistiche USA. Vale la pena dire che questa operazione è stata diretta dall’allora vicepresidente e zar antidroga George Bush, che sarebbe poi diventato presidente. Da allora e fino ad oggi, mancano informazioni affidabili sui miliardi di dollari che circolano nel sistema finanziario degli USA e che “aiutano” a sostenere l’american way of live senza che i successivi governi abbiano fatto nulla per evitarlo, semplicemente perché il paese andrebbe nel caos.

Così, gli USA agiscono per necessità per sostenere la stabilità interna, da un lato, e per i suoi interessi egemonici nella regione, dall’altro, e usa il governo colombiano, sfruttando il dossier criminale che conserva di alcuni dei suoi più recenti presidenti. Questa è la vera preoccupazione degli USA. Per evitare contrattempi farà qualsiasi cosa dal preparare un ricambio favorevole che recuperi la governabilità del paese nelle elezioni del prossimo anno, ‘facendo finta di non vedere’ la violazione dei diritti umani, sui continui omicidi e sui massacri quotidiani nel paese, sino ad utilizzare il territorio colombiano per azioni armate, tentativi di assassinio e operazioni segrete contro il Venezuela.


COLOMBIA: ENTRE LA ANSIEDAD DE BIDEN Y LA PERTURBACIÓN DE URIBE

Sergio Rodríguez Gelfenstein

El Departamento de Estado de Estados Unidos está observando con suma intranquilidad que en América Latina se han comenzado a producir movimientos que salen de su control y que podrían afectar su sistema de dominación regional.

En algunos de los principales bastiones en los que predomina la antidemocracia y el neoliberalismo, una suma de acciones motiva tal desasosiego. En Chile, la Convención Constitucional ha elegido a una mujer mapuche como su presidenta y a un abogado constitucionalista de claro talante progresista como vicepresidente, señalando con ello el curso de los posibles debates que podrían concluir en una Constitución democrática después de 48 años de dictadura y posdictadura. De la misma manera, de cara a las elecciones presidenciales de fin de año, el candidato comunista Daniel Jadue puntea todas las encuestas, enviando una clara estela de “peligro” para Washington.

En otros escenarios, la victoria electoral de Pedro Castillo en Perú, y la eventual elección de Lula en los venideros comicios del próximo año en Brasil, señalan un curso no deseado por Estados Unidos para la región, que a finales del próximo año podría tener una correlación de fuerzas totalmente distinta a la actual.

Pero donde pareciera concentrarse el nerviosismo del gobierno de Estados Unidos es en Colombia. Este país, además de las condiciones anteriormente mencionadas en cuanto a su sistema político y económico, suma el de ser el único de la región que ostenta una membrecía en la OTAN y en esa medida -al igual que Israel en Asia Occidental- juega el papel de portaaviones para la presencia y la intervención militar de Washington. Estos dos países concentran el summum del interés de la potencia del norte por el evidente lugar que Estados Unidos le ha señalado a uno y otro en el sostenimiento de su entramado estratégico global.

En este sentido, la paciencia de Estados Unidos con Colombia pareciera estar mermando y con ello ha ido creciendo su preocupación. Una serie de hechos recientemente acaecidos son expresión de ello. En mayo, solo días después de asumir como canciller, la vicepresidenta Marta Lucía Ramírez se vio obligada a viajar a Washington a rendir cuentas sobre la deplorable situación de derechos humanos en el país. Tras visitar la Comisión Interamericana de Derechos Humanos, ella misma dio a conocer que le había informado al secretario de Estado Antony Blinken de los resultados de la reunión. A estas alturas, ya ni siquiera se esfuerzan por ocultar su subordinación a Washington.

No es que a Estados Unidos le preocupen las múltiples matanzas ocurridas cotidianamente en Colombia ni los asesinatos de líderes sociales y defensores de derechos humanos, pero necesitan guardar las formas. Así se lo hizo saber el presidente Joe Biden en la llamada telefónica que le hiciera el pasado 28 de junio al presidente Duque. La Casa de Nariño ocultó esta parte de la conversación en el comunicado oficial en el que “informó” sobre la misma, pero no lo hizo así la Casa Blanca quien puso en evidencia a Duque -en un hecho no casual- encaminado de forma obvia a generar presión sobre Bogotá. Aunque no es de su agrado, Biden se ve obligado a actuar de esa manera, presionado por el lobby progresista del Partido Demócrata vinculado a Bernie Sanders sin el cual no podría haber obtenido la victoria electoral.

Previamente, una serie de hechos generados en Bogotá han desconcertado a Washington que no puede descifrar los designios del uribismo en el poder. El Departamento de Estado ha considerado inconcebible que Duque haya designado a Juan Carlos Pinzón Bueno como nuevo embajador de Colombia en Estados Unidos. Pinzón es sobrino de Jorge Eliécer Bueno Sierra, narcotraficante colombiano sobre el que pesa en ese país una condena de cadena perpetua por narcotráfico, confirmada en segunda y última instancia. Tal nombramiento ha dejado “contra la pared” a la oficina de Blinken, que se ha visto en la disyuntiva de hacerse de la “vista gorda” ante el desatino de su aliado, o rechazar el nombramiento, evidenciando la torpeza de Duque.

Washington también ha tomado nota de que el gobierno de Duque es rechazado por casi el 80% de los colombianos, al mismo tiempo que alrededor del 75% de los ciudadanos apoyan el paro nacional que ya alcanza más de dos meses de duración.

En este contexto, y aunque la principal preocupación de la administración Biden respecto de América Latina es frenar la imparable migración indocumentada hacia su territorio, la situación en Colombia pareciera quitarle el sueño al gobierno.

Un inusitado “puente aéreo” entre Washington y Bogotá inaugurado el 22 de junio por el almirante Craig Faller, jefe del Comando Sur y continuado por el director de la CIA el 30 de junio, da cuenta de la turbación imperial por la situación de su aliado, pero han entendido con brillantez maligna que tales acciones podrían ser usadas para su agresión permanente contra Venezuela.

Dos hechos de dudosa autoría que no han sido esclarecidos, que han motivado también inexactas explicaciones y que casualmente fueron realizados en la cercanía de la frontera con Venezuela, parecieran señalar el uso que Estados Unidos quiere darle a la inestabilidad en Colombia y la incapacidad de su gobierno, a fin de generar condiciones para eventuales operaciones armadas de cualquier tipo contra Venezuela. Tanto la explosión de un carro bomba dentro de una base militar ubicada en Cúcuta que dejó 36 heridos el 15 de junio como el atentado contra el helicóptero en el que viajaba el primer mandatario junto a dos de sus ministros el 26 de junio en la misma ciudad, están rodeados del más absoluto misterio, aumentando las dudas sobre los autores y las intenciones que pudieran perseguirse con tales hechos.

Estados Unidos avala la desesperación terrorista del uribismo, pero cree que le debe poner algunos límites para evitar que las cosas se salgan de control. En su mira, están las elecciones presidenciales del próximo año. De inmediato, tras el primer atentado, decidió tomar cartas en el asunto, el viaje de Faller estuvo orientado a conocer en el terreno el alcance que pudiera tener la incapacidad del gobierno para controlar la situación y los riesgos que ello entraña. Como si las autoridades colombianas no pudieran resolver el asunto, Faller informó que sería el FBI la institución que investigaría el atentado a fin de “esclarecer los hechos y hallar los responsables y así garantizar que estos sean llevados ante la justicia…”. Tal decisión se sustentaría en el hecho de que en el cuartel atacado había soldados estadounidenses que forman parte de la fuerza de ocupación que opera en ese país.

Tan solo unos días después, el 30 de junio, el embajador colombiano en Washington, Francisco Santos, con su habitual falta de tino y en un afán protagónico que busca desesperadamente su salvación política tras su próxima salida del cargo, anunció que el director de la CIA William Burns viajaría a su país en una misión “delicada” y evidentemente secreta. Para nadie puede pasar desapercibido que en un poco más de una semana, el principal jefe militar estadounidense en el hemisferio, el director de la más importante agencia de inteligencia exterior y el propio presidente Biden con su llamada telefónica a Duque se hayan interesado en Colombia. Esto encadena una situación insólita para cualquier país del mundo, salvo que en él estén ocurriendo hechos de impredecibles consecuencias.

Al día siguiente de la visita de Burns, el panorama se siguió oscureciendo con la llegada el 1° de julio a Colombia, específicamente al Comando Aéreo de Combate No. 5, ubicado en Rionegro, Antioquia, de seis aviones F-16 de la Fuerza Aérea de Estados Unidos.

Sin embargo, lo que ambos gobiernos están ocultando es que la preocupación de Estados Unidos en realidad viene dada por el incremento en la producción y exportación de cocaína de Colombia. En marzo, la Casa Blanca certificó a Colombia por sus resultados en la lucha contra las drogas en 2020. En el documento, Estados Unidos recuerda que el gobierno de Iván Duque se comprometió a reducir los cultivos en un 50% antes de finales del 2023. Es decir, lograr que las hectáreas sembradas no pasaran de 100 mil y que la producción de cocaína esté por debajo de las 450 toneladas métricas.

No obstante, y de forma paradójica solo tres meses más tarde, el 25 de junio, tres días después de la visita de Faller y cinco antes de la de Burns, la Oficina de Política Nacional de Control de Drogas de la Casa Blanca (ONDCP) emitió su informe anual sobre el cultivo de coca y la producción potencial de cocaína en la región andina. El reporte determinó un aumento histórico en Colombia cercano al 15% en el último año. En este sentido se destaca que Colombia batió récords en cultivos ilícitos y producción potencial para cocaína, llegando a los niveles más altos de la última década. Tuvieron un aumento cercano al 15% en 2020, con relación al año anterior.

El informe señala que durante el último año, el país alcanzó una cifra máxima de 245 mil hectáreas de plantación de hoja de coca, después de haber registrado 212 mil hectáreas en 2019. Asimismo, pasó de 936 a 1 mil 10 toneladas de producción potencial de cocaína, muy lejos de las cifras a las que se había comprometido Duque.

En este marco, la “delicada” misión de Burns estuvo encaminada a discutir este asunto con el gobierno colombiano y muy probablemente entregar listas con nombre y apellido de generales, parlamentarios, ministros y magistrados involucrados en el negocio del narcotráfico, lo cual ha desbordado la gobernabilidad del país, poniendo en jaque su sistema político, ante la evidente perturbación de Washington.

Tanto Colombia como Estados Unidos necesitan sostener el tráfico de drogas. A Colombia le significa empleo para cientos de miles de campesinos, que en caso contrario irían a engrosar las amplias cifras de marginación y pobreza del país, aumentando su situación de inestabilidad y crisis. Así, le sirve para inyectar recursos a su economía por vía lícita (Plan Colombia) e ilícita por vía del comercio paralelo que genera este negocio.

En el caso de Estados Unidos, la DEA actúa como el ente regulador que controla la cantidad de droga que puede circular en el mercado. Si esa cuantía se reduce, aumenta la violencia interna por los desajustes que produce la disminución de la oferta, los precios se elevan generando gran malestar, ansiedad y violencia entre los millones de consumidores del país del norte. Por el contrario, si la oferta aumenta, se inunda el mercado, aumentando la cantidad de consumidores y con ello el delito y los gastos en salud para la atribulada economía de Estados Unidos.

En 1979, la DEA desarrolló la Operación Greenback con el objetivo de investigar y controlar las vías por las que fluyen las grandes cantidades de dinero que produce este ilegal negocio, sin embargo, tal operación fue suspendida y olvidada sin explicaciones cuando se comenzaron a auditar las cuentas de las más importantes instituciones financieras y bursátiles estadounidenses. Vale decir que esta operación fue dirigida por el entonces vicepresidente y zar antidrogas George Bush, que después llegaría a ser presidente. Desde entonces y hasta ahora se carece de información fidedigna acerca de los miles de millones de dólares que circulan por el sistema financiero de Estados Unidos y que “ayudan” a soportar el american way of life sin que los sucesivos gobiernos hayan hecho nada por evitarlo, sencillamente porque el país entraría en caos.

Así, Estados Unidos actúa por necesidad de sostener la estabilidad interna por una parte y sus intereses hegemónicos en la región por otra, y usa al gobierno colombiano, aprovechando el expediente criminal que conserva de algunos de sus presidentes más recientes. He ahí la verdadera inquietud de Estados Unidos. Para evitar contratiempos hará cualquier cosa desde preparar un recambio favorable que recupere la gobernabilidad del país en las elecciones del próximo año, hacerse de la “vista gorda” ante la violación de los derechos humanos, los asesinatos continuos y las matanzas cotidianas en el país, hasta utilizar el territorio colombiano para acciones armadas, intentos de asesinato y operaciones encubiertas contra Venezuela.

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