Piano Condor 2.0: Alex Saab viene estradato negli USA

Geraldina Colotti

Ingiustizia è fatta. Il diplomatico venezuelano Alex Saab è stato estradato negli Stati Uniti, con la complicità del governo di Capo Verde. Saab era stato sequestrato illegalmente sull’isola durante un rifornimento di carburante, a giugno de 2020, mentre era in transito per l’Iran. La Cia ha agito allora di concerto con i servizi segreti colombiani e con quelli locali per arrestare l’imprenditore di origine colombiana, accusato di violare le “sanzioni” nordamericane imposte al Venezuela, procurando alimenti al paese bolivariano.

Un “crimine” di lesa illegalità, dunque, considerando la natura e le conseguenze delle misure coercitive unilaterali illegali imposte dal gendarme del mondo e dai suoi subalterni in spregio alle norme internazionali. In questo caso, come ha denunciato il governo bolivariano, oltre alle leggi capoverdiane è stata violata la Convenzione di Vienna, in quanto Saab era protetto dall’immunità diplomatica, essendo inviato speciale del Venezuela per le relazioni con Russia e Iran e ambasciatore dell’Unione Africana.

Inoltre, il diplomatico era anche stato nominato rappresentante permanente del Venezuela ai negoziati con le opposizioni, che si stanno svolgendo in Messico dal mese di agosto. Domenica 17 ottobre avrebbe dovuto aver luogo un nuovo incontro, ma la delegazione venezuelana, guidata dal presidente della Camera, Jorge Rodriguez, ha deciso di sospenderlo, denunciando il nuovo tentativo di pressione sui negoziati. “Riteniamo responsabili le autorità di Capo Verde e il governo del presidente Biden per la vita e l’integrità di Alex Saab e, in quanto nazione sovrana, ci riserviamo di agire di conseguenza”, recita il comunicato del governo bolivariano.

La stampa di Miami ha immediatamente fatto notare che sei quadri dell’impresa petrolifera venezuelana Pdvsa in possesso di doppia cittadinanza, venezuelana-statunitense, e accusati di deviazione di fondi a favore degli Usa, sono tornati in carcere mentre erano stati posti agli arresti domiciliari presumibilmente a seguito di negoziati con l’amministrazione Usa. Nelle carceri venezuelane si trovano anche altri nordamericani (in tutto sono 9), arrestati mentre organizzavano attentati alle istallazioni petrolifere o invasioni mercenarie.

L’ex governatore del Nuovo Messico, Bill Richardson, che si è recato in Venezuela per trattare la liberazione degli statunitensi, così si è espresso in un comunicato: “È una svolta assai deludente, ora quei detenuti verranno usati come pedine politiche”. La portavoce del Dipartimento di giustizia nordamericano, Nicole Navas Oxman, ha detto che Saab comparirà già lunedì 18 davanti a una corte di Miami, e ha espresso gratitudine e ammirazione al governo capoverdiano “per la sua professionalità e perseveranza in questo complesso caso”. Altre fonti del governo Biden hanno invece cercato di minimizzare l’importanza dell’operazione, segnalando che l’imprenditore avrà l’occasione di difendersi davanti ai tribunali statunitensi e che il suo caso non inciderà sui negoziati in Messico. È ben noto, infatti, che le corti di Miami siano campioni di “imparzialità”…

Gli Usa avevano da anni nel mirino l’attività di Saab, a cui credono di poter estorcere confessioni sul sistema di difesa economico-finanziario messo in atto dal Venezuela per allentare la morsa delle “sanzioni”. Trump, che lo aveva già sanzionato individualmente nel 2019, se n’era fatto un’ossessione, al punto che, dopo il suo sequestro a Capo Verde, aveva inviato una nave da guerra della Marina per sorvegliare il diplomatico sull’arcipelago africano.

I falchi del Pentagono e le loro lobby di Miami ora gongolano per bocca dei golpisti venezuelani e del governo colombiano, che lodano “l’indipendenza” delle autorità capoverdiane. Un twitter del presidente colombiano Iván Duque definisce l’estradizione di Saab come “un trionfo nella lotta contro il narcotraffico, al riciclaggio e alla corruzione propiziata dalla dittatura di Nicolás Maduro”, e reitera il suo appoggio alle politiche statunitensi.

Qualche giorno fa, dopo l’assassinio di due adolescenti venezuelani in territorio colombiano, il governo bolivariano ha denunciato Duque per incitazione all’odio e alla xenofobia contro i migranti venezuelani, e questo mentre Duque intasca fior di finanziamenti per “aiutare i migranti venezuelani”. Ora, dopo l’estradizione di Saab, la vicepresidente venezuelana, Delcy Rodriguez, ha fatto notare il pulpito da cui viene la predica, visto che la Colombia è il più grande produttore di droga del mondo, mentre Saab è “un diplomatico innocente che ha aiutato il nostro paese contro il criminale bloqueo subendo gravi violazioni ai suoi diritti umani”.

Per il governo di Nicolas Maduro, l’estradizione di Saab è il “disperato tentativo” di Duque e dell’estrema destra venezuelana di far saltare le mega-elezioni del 21 novembre, un attacco alla stabilità del paese e al prosieguo dei negoziati. Il mese scorso, dopo la conferma dell’estradizione, la delegazione venezuelana aveva esibito in Messico cartelli con la foto di Saab chiedendone la liberazione. Jorge Rodriguez aveva letto una lettera nel quale il diplomatico di 49 anni, gravemente malato, denunciava di essere stato torturato. In cambio di una sospensione dei rifornimenti alimentari al Venezuela di “almeno 50 giorni”, i suoi aguzzini avrebbero ammorbidito il trattamento. “Ma come posso rendermi complice del genocidio verso il popolo venezuelano?” aveva risposto Saab.

Quello del diplomatico si è configurato fin da subito come un sequestro in pieno stile “reddition”, la detenzione illegale imposta dagli Stati Uniti ai cosiddetti “combattenti nemici” dopo gli attentati dell’11 settembre. Una pratica realizzata con la complicità di governi subalterni agli Usa, che hanno messo a disposizione tutta la logistica per i rapimenti senza leggi né frontiere di sospettati che, dopo torture inenarrabili, se non scomparivano, finivano a Guantanamo. A vent’anni dall’11 settembre 2021, a volte qualche libro ricorda che sull’isola – sottratta illegalmente al governo Cubano e trasformata in uno dei peggiori lager -, languono ancora prigionieri senza diritti e senza processi, finiti lì anche per casi di omonimia.

Un metodo simile a quello del Piano Condor in America Latina, quando i dittatori al soldo della Cia si scambiavano i “favori”, sequestrando gli oppositori ovunque si trovassero, anche in Europa. Il governo bolivariano ha annunciato che porterà il caso in tutte le istanze internazionali deputate alla difesa dei diritti umani, considerandolo un pericoloso precedente. Un grave attacco al Diritto internazionale.

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