Né rose né lenzuola bianche in vendita

Pedro de la Hoz

Alla rosa bianca di José Martí, quella che illumina i Versi semplici, non c’è nessuno che possa macchiarla. È il fiore del più universale dei cubani, quello che tante volte è stato tinto del sangue dei buoni che hanno sollevato la nazione, l’hanno emancipata e anche delle 3400 vite strappate dagli atti terroristici negli ultimi sei decenni, forgiati o incoraggiati dagli stessi che ora cercano di appropriarsi di quel simbolo.

Non è la prima volta che si tenta di pervertire tale attributo. Sotto il mantello della rosa bianca sorse negli USA, appena tre settimane dopo il trionfo del gennaio 1959, un’organizzazione controrivoluzionaria guidata da noti sbirri e funzionari del regime di Batista. Il sogno ristoratore della dittatura non fu altro che un incubo passeggero, dissipato in pochi mesi dall’azione delle forze rivoluzionarie con Fidel a capo.

La rosa martiana canta all’unità, concordia, onestà, sincerità e trasparenza. Canta allì’amicizia, crescita spirituale e non lasciare che il risentimento divori l’anima. Il suo impegno etico non ha nulla a che vedere con simulazioni o rese.

Cintio Vitier, che come pochi è penetrato nell’ideologia del Maestro, ha offerto la seguente chiave, utile in questi tempi, per comprendere il legame tra etica e pratica rivoluzionaria: «Martí, non reagisce contro il nemico, bensì agisce contro [lui] e contro lui dalla sua libertà, che in principio può redimere anche il nemico, da qui la sua maggiore efficacia, questo è ciò che gli permette di liberarsi dall’odio, che è il segno della vera colonia. Il suo approccio radicalmente etico si basa su un’autoctonia dell’essere. Quella profonda originalità gli permette di dominare la situazione, non devolvere odio lucido per odio cieco, di non essere un risentito storico, una irrimediabile vittima intellettuale ed emotiva della colonia. Gli permette di essere un pensatore rivoluzionario…”.

È troppo chiedere che i profeti di sventura del cambio di sistema a Cuba leggano in modo profondo e istruttivo Martí, quando si sentono applauditi e sostenuti da coloro che hanno rubato il suo nome, nel 1985, per chiamare un servizio radiotelevisivo concepito dal governo USA come una piattaforma aggressiva e sovversiva contro la nostra Patria.

Non hanno neppure gli strumenti più minimali per comprendere la realtà del paese, la sua cultura, le sue tradizioni. La spuria manipolazione della rosa bianca è stata accompagnata da ridicole grida disperate per convertire il colore bianco come stendardi delle loro fallite pretese.

Le lenzuola bianche animeranno sempre la colonna sonora dell’autentica canzone cubana, nella voce del suo autore Gerardo Alfonso e tante altre voci. Trova e rumba, canzone di azione e amore che traduceva in musica il sentimento della città e quello dei suoi abitanti dedicati, in questi giorni principalmente, a trasformare la materia e lo spirito all’interno delle loro comunità, a lasciare dietro l’oblio e l’ozio, per onorare il destino della nazione e delle sue radici, come quando nell’agosto 2020 teli bianchi sono stati sventolati sui balconi per salutare Eusebio Leal.

I panni bianchi continueranno a cingere i corpi e a coronare le teste dei figli e delle figlie di Obbatalá, divinità del pantheon Yoruba che trasmette pace, calma, intelligenza, generosità e vocazione ad agire in favore degli altri. Tessuti che, inoltre, continueranno a vestire gli iniziati di uno dei più rappresentativi rami della religiosità popolare autenticamente cubana.

Quindi il colore bianco non è in vendita.

(Tratto da Granma)


Ni rosas ni sábanas blancas en venta

Por: Pedro de la Hoz

A la rosa blanca de José Martí, la que ilumina los Versos sencillos, no hay quien pueda mancillarla. Es la flor del más universal de los cubanos, la que tantas veces se tiñó con la sangre de los buenos que levantaron la nación, la emanciparon y también de las 3 400 vidas segadas por actos terroristas en las últimas seis décadas, fraguados o alentados por los mismos que ahora intentan apropiarse de ese símbolo.

No es la primera vez que se intenta pervertir ese atributo. Bajo el manto de la rosa blanca surgió en Estados Unidos, apenas tres semanas después del triunfo de enero de 1959, una organización contrarrevolucionaria liderada por connotados esbirros y oficiales del régimen batistiano. El sueño restaurador de la dictadura no fue más que una pesadilla pasajera, disipada en pocos meses por la acción de las fuerzas revolucionarias con Fidel al frente.

La rosa martiana canta a la unidad, la concordia, la honestidad, la sinceridad y la transparencia. Canta a la amistad, al crecimiento espiritual y a no dejar que el rencor devore el alma. Nada tiene que ver su apuesta ética con simulaciones ni rendiciones.

Cintio Vitier, quien como pocos penetró en el ideario del Maestro, ofreció la siguiente clave, útil en estos tiempos, para entender el vínculo entre ética y práctica revolucionaria: “Martí, no reacciona frente al enemigo, sino que actúa frente [a él] y contra él desde su libertad, que en principio puede redimir también al enemigo; de ahí su mayor eficacia; es esto lo que le permite liberarse del odio, que es el signo de la verdadera colonia. Su planteamiento, radicalmente ético, parte de una autoctonía del ser. Esa profunda originalidad le permite señorear la situación, no devolver odio lúcido por odio ciego, no ser un resentido histórico, una irremediable víctima intelectual y emocional de la colonia. Le permite ser un pensador revolucionario…”.

Demasiado pedir que los agoreros del cambio de sistema en Cuba lean profunda y aleccionadoramente a Martí, cuando se sienten aplaudidos y respaldados por los que robaron en 1985 su nombre para denominar un servicio radial y televisivo concebido por el gobierno de Estados Unidos como plataforma agresiva y subversiva contra nuestra Patria.

Ni siquiera poseen las más mínimas herramientas para entender la realidad del país, su cultura, sus tradiciones. La espuria manipulación de la rosa blanca se ha hecho acompañar de ridículos clamores desesperados para convertir el color blanco como estandarte de sus fallidas pretensiones.

Las sábanas blancas siempre animarán la banda sonora de la auténtica canción cubana, en la voz de su autor Gerardo Alfonso y de otras muchas voces. Trova y rumba, canción de gesta y amor que tradujo el sentimiento de la ciudad en música y de sus habitantes entregados, por estos días mayoritariamente, a transformar materia y espíritu en el seno de sus comunidades, a dejar atrás olvidos y desidias, a honrar el destino de la nación y de las raíces, como cuando en agosto de 2020 ondearon telas blancas en los balcones para despedir a Eusebio Leal.

Las telas blancas seguirán ciñendo los cuerpos y coronando las cabezas de los hijos y las hijas de Obbatalá, deidad del panteón yoruba que transmite paz, calma, inteligencia, generosidad y vocación de obrar a favor de los demás. Telas que, además,  continuarán arropando a los iniciados en una de las más representativas ramas de la religiosidad popular auténticamente cubana.

De modo que el color blanco no está en venta.

(Tomado de Granma)

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