Delinquenti negli USA, oppositori politici a Cuba

Arthur González https://heraldocubano.wordpress.com

Per gli USA, l’assalto al Campidoglio Nazionale, il 6 gennaio 2021, è stata un’insurrezione con atti violenti, realizzata da “delinquenti” classificati come “estremisti violenti”. Nessun media li chiama dissidenti o oppositori politici, nonostante che il movente che li ha portati all’assalto sia stata la continua campagna accusatoria del presidente Donald Trump, che ci siano stati brogli alle elezioni presidenziali, motivo che lo converte totalmente in un’azione politica.

Tuttavia, la stampa yankee ed europea, da 6 mesi, non cessa di ripetere che gli atti vandalici avvenuti a Cuba l’11 luglio scorso sono stati una “rivolta politica”, nascondendo i violenti attacchi contro le forze dell’ordine, le loro auto di pattuglia, il saccheggio di centri commerciali e persino il tentativo di assalto a una stazione di polizia con lancio di molotov, fatti per i quali ora sono processati e puniti.

La crociata comunicativa anticubana pretende vittimizzare puri delinquenti comuni, molti dei quali con precedenti penali, stimolati attraverso le reti sociali mediante algoritmi progettati a Miami, azioni verificate tecnicamente e denunciate dal ministro degli Esteri cubano, Bruno Rodríguez, con elementi probatori sufficienti per demolire tale crociata mediatica.

È così che gli USA pretendono gettare una cortina fumogena sulla critica situazione interna di cui soffrono, evitando a tutti i costi di permettere la formazione di un’opposizione politica interna, sia per la lotta alla discriminazione razziale, per la regolamentazione della vendita di armi da fuoco o da cambiamenti nel suo sistema elettorale così antidemocratico, evidenziato nella passata lotta per la presidenza del paese, e persino di fronte alla possibile proposta di elaborare una nuova costituzione che sostituisca quella attuale, che ha più di 200 anni.

Negli USA fatti con evidenti connotazioni politiche vengono subito definiti come atti criminali, come accaduto con le proteste per l’omicidio di George Floyd, dove ci sono ancora tre poliziotti coinvolti senza essere processati.

Prova del trattamento giuridico applicato dagli yankee è il processo recentemente svoltosi in Florida contro Robert Scott Palmer, definito “agitatore”, che il 6 gennaio durante l’assalto al Campidoglio ha aggredito la polizia con un estintore antincendio, una tavola di legno e un palo, faccenda per la quale ora è stato condannato a cinque anni di reclusione.

Per coloro che sporcano pagine intere sui giornali contro la Rivoluzione cubana, dovrebbero fermarsi a leggere cosa ha detto la giudice distrettuale, Tanya Chutkan, quando ha dettato la sentenza: “Ogni giorno ascoltiamo notizie di fazioni antidemocratiche e di persone che pianificano atti di violenza. A questi deve essere chiaro che coloro che aggrediscono le forze dell’ordine pubblico saranno castigati”.

I gruppuscoli controrivoluzionari e i loro legulei che li difendono devono anche essere sicuri che a Cuba esistono leggi simili a quelle USA e di altre nazioni, e coloro che le violano dovranno pagare per i loro atti criminali, quelli che ora, dal Nord, pretendono mascherarsi da politici.

Perché la stampa yankee non qualifica gli eventi del Campidoglio come atti di protesta politica, se quello che chiedevano era un cambio di sistema?

Una recente valutazione di quell’assalto, preparata dal Department of Homeland Security, dall’FBI, dalla polizia del National Capitol e da altre forze dell’ordine, riconosce che c’è stata una cospirazione per seminare nella cittadinanza la teoria di possibili brogli elettorali ma non qualificano i suoi promotori come attori politici, bensì come “estremisti violenti” che hanno istigato a commettere atti di violenza.

Ma coloro che hanno commesso atti violenti a Cuba, fomentati dall’estero, sono qualificati come “oppositori politici” che desiderano cambiare il sistema, nonostante che i video mostrati sulla TV cubana provino la natura delinquenziale di molti dei partecipanti, ora detenuti e processati.

L’assalto al Campidoglio di Washington è stato un fatto politico di connotazione internazionale e non delittuoso come vogliono simulare gli yankee, poiché lo scopo era quello di annullare i risultati delle elezioni presidenziali del 2020, in cui il democratico Joe Biden si è imposto sul repubblicano Donald Trump.

Negli USA ci sono più di un centinaio di incarcerati in attesa di giudizio, sono stati repressi con violenza e le condanne saranno pesanti, ma di questo le organizzazioni per i Diritti Umani, finanziate per attaccare Cuba, e il Parlamento Europeo non dicono una sola parola, poiché chi paga comanda e alla Rivoluzione socialista non si può perdonare la sua audacia nel resistere alla guerra più lunga e brutale conosciuta dall’umanità, che dura già da 63 anni, insistendo nell’uccidere per fame e malattie la sua popolazione; popolo che non si arrende, vive e vince.

José Martí fu nel giusto quando affermò: “La verità continua indenne la sua marcia per la terra”.


Delincuentes en Estados Unidos, opositores políticos en Cuba

Arthur González

Para Estados Unidos el asalto al Capitolio Nacional, el 6 de enero del 2021, fue una insurrección con hechos violentos, ejecutada por “delincuentes” calificados como “extremistas violentos”. Ningún medio de comunicación los denomina disidentes u opositores políticos, a pesar de que el móvil que los llevó al asalto haya sido la campaña acusatoria continuada del presidente Donald Trump, de que hubo fraude en las elecciones presidenciales, razón que lo convierte totalmente en una acción política.

Sin embargo, la prensa yanqui y la europea desde hace 6 meses no deja de repetir que los actos vandálicos acontecidos en Cuba el pasado 11 de julio, fueron una “revuelta política”, ocultando los ataques violentos contra agentes del orden, sus autos patrulleros, el saqueo de centros comerciales e incluso el conato de asalto a una estación de la policía lanzando cocteles molotov, hechos por los que ahora son juzgados y sancionados.

La cruzada comunicacional anticubana pretende victimizar a puros delincuentes comunes, muchos de ellos con antecedentes penales, estimulados a través de las redes sociales mediante algoritmos diseñados en Miami, acciones comprobadas técnicamente y denunciadas por el canciller de Cuba, Bruno Rodríguez, con elementos probatorios suficientes para desmoronar esa cruzada mediática.

Es así como Estados Unidos pretende establecer una cortina de humo sobre la crítica situación interna que padecen, evitando a toda costa permitir que se conforme una oposición política interna, bien sea por la lucha contra la discriminación racial,  la regulación de la venta de armas de fuego o por cambios en su sistema electoral tan antidemocrático, evidenciado en la pasada contienda por la presidencia del país, e incluso ante la posible propuesta de elaborar una nueva constitución que sustituya a la vigente, con más de 200 años.

En Estados Unidos hechos con evidente matiz político son denominados de inmediato como actos delictivos, tal como sucedió con las protestas por el asesinato a George Floyd, donde aún hay tres policías implicados sin ser juzgados.

Prueba del tratamiento jurídico que aplican los yanquis, es el juicio celebrado recientemente en Florida contra Robert Scott Palmer, calificado de “agitador”, quien el 6 de enero durante el asalto al Capitolio atacó a la policía con un extintor contra incendio, una tabla de madera y un poste, hecho por lo ahora fue condenado a cinco años de prisión.

Para esos que emborronan páginas enteras en los diarios contra la Revolución cubana, deberían detenerse a leer lo que dijo la jueza del distrito, Tanya Chutkan, al dictar la sentencia: “Todos los días escuchamos informes de facciones antidemocráticas, y de personas que planean actos de violencia. A esos debe quedarles claro que quienes agredan a las fuerzas del orden público serán castigados”.

Los grupúsculos contrarrevolucionarios y sus leguleyos que los defienden, también deben estar seguros que en Cuba existen leyes similares a las de Estados Unidos y otras naciones, y quienes las violen deberán pagar por sus actos delictivos, esos que ahora desde el Norte pretender disfrazar de políticos.

¿Por qué la prensa yanqui no califica los hechos del Capitolio como actos de protestas políticas, si lo que pedían era un cambio de sistema?

Una reciente evaluación de ese asalto, elaborada por el Departamento de Seguridad Nacional, el FBI, la policía del Capitolio Nacional y otras agencias policiales, reconoce que existió una conspiración para sembrar en la ciudadanía la teoría del posible fraude electoral, pero no califican a sus promotores como actores políticos, sino como “extremistas violentos” que instigaron a cometer actos de violencia.

Pero los que cometieron actos violentos en Cuba, soliviantados desde el exterior, son calificados de “opositores políticos” que desean cambiar el sistema, a pesar de que los videos mostrados en la TV cubana prueban el carácter delincuencial de muchos de los participantes, ahora detenidos y juzgados.

El asalto al Capitolio de Washington fue un hecho político de connotación internacional y no delictivo como quieren aparentar los yanquis, pues el propósito era anular los resultados de las elecciones presidenciales de 2020, en las que el demócrata Joe Biden se impuso sobre el republicano Donald Trump.

En Estados Unidos hay más de un centenar de encarcelados a la espera de un juicio, fueron reprimidos con violencia y las condenas serán fuertes, pero de eso las organizaciones de Derechos Humanos financiadas para atacar a Cuba y el Parlamento Europeo no dicen una sola palabra, porque el que paga manda y a la Revolución socialista no se le puede perdonar su osadía de resistir la guerra más larga y brutal que conozca la humanidad, que ya dura 63 años insistiendo en matar por hambre y enfermedades a su población, pueblo que no se rinde, vive y vence.

Exacto fue José Martí cuando afirmó: “La verdad continúa incólume su marcha por la tierra”

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