Venezuela, “Il nostro socialismo, orgoglioso e differente”

Intervista esclusiva al ministro del Lavoro José Ramón Rivero

Geraldina Colotti

José Ramón Rivero, ministro del Lavoro venezuelano, risponde alle domande con la consueta amabilità, schermendosi con modestia quando gli si chiede del suo lavoro a capo del ministero, dove il presidente Maduro lo ha nominato a maggio del 2001: “è sempre complicato parlare di sé”, dice da rivoluzionario che proviene dalla classe operaia, per conto della quale ha rivestito vari incarichi politici e sindacali.

Che significa essere ministro del Lavoro in un paese bloccato dalle “sanzioni”, che per questo motivo deve subire una forte contrazione del potere d’acquisto delle lavoratrici e dei lavoratori? Qual è il bilancio del suo lavoro a quasi un anno dalla nomina?

Abbiamo impostato la nostra gestione in continuità con quella del precedente ministro, il compagno Piñate, eletto governatore nello Stato di Apure. Abbiamo sviluppato e rafforzato la pratica dei Consigli produttivi dei lavoratori e delle lavoratrici, i Cpt, portato avanti la relazione con i movimenti sindacali nel loro processo di rilegittimazione: sempre rispettando la loro autonomia, tutto ciò che riguarda la libertà sindacale, stabilita per costituzione e istituita per legge. Inoltre, stiamo lavorando in conformità con l’analisi di questa nuova tappa realizzata dal presidente e caratterizzata dalla presenza di una pandemia mondiale e per noi dalla persistenza di un bloqueo economico che ha particolarmente colpito i lavoratori. I Cpt costituiscono un movimento dei movimenti, che affianca quello sindacale con i quali ci impegniamo a rafforzare i delegati di prevenzione, e prestiamo il ministero per generare un poderoso movimento di giovani lavoratori e lavoratrici. Dico prestare perché non si tratta di una decisione burocratica, ma della presa d’atto che esistono le condizioni per generarlo questo movimento, ma poi dipende dai giovani dargli sostanza, e noi siamo qui come alleati. Già vi sono significative esperienze di donne organizzate, sindacalmente o nei movimenti e le stiamo appoggiando. Quanto all’essere ministro in un paese bloccato, è una prova che richiede grande impegno intellettuale e anche emotivo, perché questa drammatica situazione ci ha arrecato molta sofferenza, ha prodotto morti e gravi difficoltà alla popolazione. Ma solo chi non ci conosce può pensare che ci arrendiamo. Siamo eredi del Libertador Bolivar, che rispondendo al rappresentante degli Stati Uniti, scriveva: “per conquistare l’indipendenza, abbiamo perso la metà della popolazione, siamo disposti a sacrificare l’altra metà, se sarà necessario, di fronte a un’invasione”. Se c’è qualcosa che più di tutto il popolo ha dimostrato è di essere resiliente, per usare un termine che si sta usando per caratterizzare l’atteggiamento dei popoli che riescono a resistere e anche ad avanzare di fronte a una tragedia o a una calamità. Ci consideriamo vittoriosi perché, a dispetto delle “sanzioni” che permangono, producendo nel paese fino al 95 per cento dei prodotti di cui abbiamo bisogno, riusciamo a nutrirci come gli altri paesi del mondo, e anzi stiamo esportando alcuni prodotti eccedenti. È un percorso non facile, ma non sarà facile per nessuna rivoluzione finché il capitalismo oppressore e criminale continua a essere determinante nell’economia mondiale.

Tu sei un profondo conoscitore del mondo del lavoro negli Stati più importanti per la produzione. Come si stanno riorganizzando le fabbriche recuperate e autogestite che hanno sofferto duri colpi in questi anni di blocco economico?

Dopo un periodo complicato in cui si sono date diverse esperienze e durante il quale senz’altro abbiamo potuto scontare errori e ingenuità, stiamo avanzando con molta forza. Siamo in pieno processo di sostituzione delle importazioni a favore della produzione interna, riparazione in loco di macchinari, ristrutturazione delle imprese dirette dai lavoratori e dalle lavoratrici. Andiamo verso un modello di gestione in cui la partecipazione diretta dei lavoratori e delle lavoratrici sarà fondamentale nella pianificazione, esecuzione e controllo di tutto il processo produttivo, non solo in ambito esecutivo, ma anche in quello amministrativo, della gestione.

La classe operaia va a congresso a partire dal 2 marzo e fino a novembre. Come si sta preparando il Ministero del Lavoro a questo appuntamento? Quali sono le proposte e le aspettative?

Il Ministero del Lavoro rispetta la libertà e l’autonomia sindacale. In Venezuela vi sono diverse centrali sindacali, una sostiene una posizione critica con il governo, contraria al governo. Alcune persino fanno parte dei gruppi che hanno richiesto un intervento internazionale nel nostro paese. Noi le rispettiamo, non ci mettiamo nei loro affari interni. Il congresso lo sta organizzando la Centrale socialista dei lavoratori e delle lavoratrici, della campagna e della pesca. È una loro attività, a cui siamo stati invitati a partecipare, per dare il nostro contributo, e ci andremo. Noi, però, riceviamo tutte le componenti e ci comportiamo con ognuna secondo gli accordi sottoscritti a livello internazionale con l’Organizzazione Internazionale del Lavoro.

Qual è il ruolo dei Cpt in questa nuova tappa e nel contesto delle “3R.net” (resistenza di fronte alle aggressioni rinascita della patria e rivoluzione permanente), lanciate dal presidente Maduro?

Ad agosto del 2016, il presidente ci ha proposto di formare i Cpt. Qualche mese prima, erano stati istituiti i Comitati locali di rifornimento e produzione, i Clap. Due strumenti per dare soluzione ai nostri problemi, il primo in ambito produttivo, i Cpt, il secondo in quello distibutivo, i Clap. Misure di protezione e resistenza con le quali il nostro presidente si è mostrato lungimirante perché sono stati fondamentali nel recupero dell’economia e continueranno a esserlo. In questa congiuntura, per quanto attiene alla Resistenza, i Cpt hanno dimostrato una resistenza che è resiliente. Sono stati capaci di fare qualcosa con niente e molto con poco. Hanno avanzato nella sostituzione delle importazioni, nella riparazione dei macchinari rotti, nell’allargare la vita utile delle catene di montaggio, nell’ottimizzare forniture e materie prime, migliorando l’intero processo produttivo e consentendoci di procedere verso una maggiore autonomia tecnologica. Un processo di resistenza. Quanto alla R di rinascita, ci avviamo verso un percorso di rilegittimazione degli esponenti dei Cpt in tutto il paese, che è già in corso. I Cpt, la classe operaia organizzata e rivoluzionaria del paese, in quanto l’aggressione che subiamo ha pregiudicato fortemente la produzione, sono – siamo – la prima linea di difesa della patria in ambito produttivo e nella rivoluzione: perché il nostro obiettivo è avanzare nella costruzione del socialismo. Assumiamo con forza il proposito del presidente di arrivare al 2030 avendo reso irreversibile il processo bolivariano e la costruzione del socialismo venezuelano. Sappiano i popoli del mondo che nelle vigorose mani della classe operaia, non si perderà la patria.

Tutti gli indicatori mostrano che l’economia sta uscendo dall’iper-inflazione e che si prevede una crescita. La classe operaia, che ha dato molto per questo recupero, quando potrà vedere i risultati in termini di salario e di recupero del potere d’acquisto?

L’iperinflazione è stata superata, lo dimostrano gli ultimi tre mesi dell’anno scorso, e la crescita economica dell’ultimo quadrimestre che si è avuta per la prima volta, indica che ci sarà un impatto positivo durante tutto quest’anno. Possiamo dire che, attualmente, in Venezuela esistono tre tipologie di salario: quello proveniente dal settore privato, che impiega la maggior parte dei lavoratori, e in cui questi compagni e compagne percepiscono una entrata che consente di provvedere alle necessità.  Vi sono poi salari che provengono dalle imprese strategiche dello Stato, come quella basica di Guayana, Pequiven o la Corporazione socialista del cemento che mantengono un potere acquisitivo non ottimale come vorremmo, ma che consente di coprire le necessità. Infine, c’è l’amministrazione pubblica, un settore che richiede maggiori sforzi e un intervento macro-economico che finora non abbiamo potuto fare per via del bloqueo. Tuttavia, per esempio in ambito educativo, universitario o sanitario, con il rinnovo dei contratti collettivi le cose sono migliorate e con l’erogazione di bonus compensativi che arrivano direttamente al lavoratore mediante il Sistema Patria, si è migliorato il potere acquisitivo. E quest’anno abbiamo maggiori aspettative. Abbiano, però, i lavoratori, la piena fiducia del fatto che per noi questo è un tema vitale.

Una certa sinistra che si dice più chavista di Chávez dice que la svolta economica della rivoluzione bolivariana che dà spazio all’investimento privato e favorisce le Zone Economiche Speciali, implica l’abbandono del socialismo. È così? E da cosa riconoscere il socialismo bolivariano dal punto di vista marxista, rispetto al conflitto tra capitale e lavoro?

Noi prendiamo atto delle critiche provenienti da chi si definisce di sinistra, ma dobbiamo anche dire che più che fornire soluzioni, forniscono argomenti alla destra per attaccarci. D’altro canto, a ben vedere, chi le formula non ha costruito in questi anni nulla di solido, anche nei comuni dove ha governato, e ora non ha più alcun peso, neanche statistico, sulla politica venezuelana. È un peccato, perché per noi è importante la presenza di tutte le componenti di sinistra nel processo bolivariano. Quanto alle Zone Economiche Speciali, attenzione. Fermo restando la considerazione che viviamo una situazione di guerra e che in uno scenario simile occorre fare tutto il possibile per non subire una sconfitta strategica, in Venezuela non ce ne sono. C’è un forte dibattito molto acceso, vi sono diverse proposte, diversi scenari possibili, ma non ci sono Zes. Nel passato, avevamo ereditato alcune zone in cui vigeva una certa flessibilità rispetto alle imposte, ma non ne sono state create di nuove. Il socialismo è l’impegno che stiamo assumendo. Chiaro, parliamo di socialismo alla venezuelana, in base ai classici del marxismo che ritenevano risposte adeguate alle diverse circostanze storico-concrete. Noi stiamo costruendo il socialismo nelle circostanze che ci è toccato vivere, nelle condizioni attuali del Venezuela. Un socialismo che si va costruendo in base alla teoria dello sviluppo combinato e diseguale. Avanziamo nel sociale, nell’economico fin dove possiamo, mentre cerchiamo di rafforzarci come Stato per sviluppare le condizioni soggettive che consentano di dare il salto fino alla irreversibilità delle condizioni socialiste. Il salto più importante è determinato dal fatto che i lavoratori assumano con moltissima determinazione il tema della conduzione del processo e della gestione diretta dell’apparato produttivo. Questo processo, che è di carattere soggettivo, pedagogico, costruttivo, esperienziale, però, non si decreta, non si sviluppa dalla sera alla mattina. Vale sempre il pensiero di Gramsci a proposito del vecchio che non termina di morire e del nuovo che non finisce di nascere. Il nostro processo è come un molteplice processo di sepoltura e di nascita. Vi sono nascite che arrivano prima di altre e anche sepolture che arrivano prima di altre. In questa dinamica ci troviamo e abbiamo diritto a essere ottimisti. Quest’anno avremo una crescita economica importante.  C’è un salto qualitativo nella costruzione dei movimenti sociali in generale e del movimento dei lavoratori in particolare e, senza alcun dubbio, stiamo assestando colpi all’imperialismo, al suo bloqueo criminale e alle sue “sanzioni” inumane.

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