Il debordo virtuale del Dipartimento di Stato e del suo ufficio all’Avana

José Ramón Cabañas Rodríguez www.cubadebate.cu

Negli ultimi mesi, ha sorpreso sia i cibernauti cubani che i diplomatici stranieri residenti a Cuba la maniera straripante in cui sia il Dipartimento di Stato, da Washington, che la sua ambasciata all’Avana hanno incorporato nella loro routine quotidiana l’emissione di giudizi e opinioni sulla realtà interna cubana, che pubblicano e ribadiscono senza alcun pudore. Sebbene la pratica abbia compreso diverse piattaforme, è diventata più presente su Twitter, che si presume sia meno popolare di Facebook, ma dove in teoria sono più presenti funzionari governativi, accademici e decisori di vario tipo.

Questo esercizio digitale, che ora è più intenso che durante il disordine di Trump, ha iniziato a farsi più presente nella misura in cui i sognatori della fine della Rivoluzione cubana hanno sentito che le devastazioni della pandemia di COVID19, insieme al danno provocato dalle misure coercitive unilaterale (blocco), avrebbero provocato un’esplosione sociale a Cuba.

Il Dipartimento di Stato e la sua rappresentanza diplomatica all’Avana hanno lasciato ovunque le loro tracce negli eventi prima e dopo l’11 luglio, ma anche così hanno avuto un certo ritegno in quei giorni, per evitare di essere visti come i maneggiatori diretti dei “manifestanti”. Nella misura in cui i giorni trascorrevano e i “leader” di quegli eventi andavano acquistando biglietti aerei per stabilirsi all’estero e si squalificavano, pubblicamente, a vicenda, i burocrati USA dal Potomac si sono sentiti nella necessità di svolgere un maggiore protagonismo, che si è fatto traumatico mentre si avvicinava la data del 20 novembre (che poi è stata il 15).

Per quest’ultimo spettacolo avevano venduto biglietti ad alti prezzi e correvano il pericolo che non fosse messa in scena, come del resto è avvenuto. Si è verificato il fatto più temuto dai burattinai: cade la scenografia del burattino e il pubblico infantile vede finalmente che le marionette non hanno vita propria, ma sono maneggiate da altri.

Ad oggi non si sa se le principali scommesse sul probabile olocausto antillano siano state fatte dall’Avana, o a Washington. La verità è che dal Dipartimento di Stato sono state inviate previsioni all’Ufficio del Consigliere per la Sicurezza Nazionale e da lì alla Casa Bianca. Questo intenso scambio di promemoria e proposte ha portato come risultato all’apertura delle casse dell’USAID e, soprattutto dal settembre 2021, hanno iniziato a defluire più fondi per acquistare video, dichiarazioni, commenti in blog e qualsiasi altro intrigo fosse necessario per presentare al mondo, e all’opinione pubblica USA, uno stato di cose virtuale su Cuba.

Dopotutto, se un’alta percentuale della popolazione USA ritiene ancora che le elezioni presidenziali del 2020 siano state “rubate” sotto il naso, come non pensare che una percentuale simile prenda per vero il titolo che il popolo cubano si era ribellato e che coloro che non lo hanno fatto erano trattenuti dalla repressione.

Se per quattro anni il Dipartimento di Stato ha insistito sul fatto che suoni inesistenti abbiano creato malattie impossibili da diagnosticare nel suo personale diplomatico all’Avana, e molta gente lo ha creduto, allora come non assimilare che il governo cubano avrebbe attaccato il suo stesso popolo, con un po’ di reiterazione.

E in questa circostanza, le autorità USA hanno dimostrato, ancora una volta, che il quadro multilaterale che l’umanità ha costruito per poter sopravvivere gli risulta utile solo se sostiene l’esistenza di un unico polo di potere. Convenzione di Vienna? Rispettare gli affari interni degli altri paesi? Osservare i limiti della sovranità degli altri? Piccoli dettagli.

E così, a teatro vuoto, i funzionari del DOS hanno riprodotto su Twitter la colonna sonora che era scritta per terzi. La differenza con altre crisi costruite in diversi paesi è che in quelle la fanteria è stata locale e l’artiglieria ha agito da lontano. Ma in questo caso, i cospiratori sono rimasti quasi senza fanteria e loro stessi hanno dovuto assumere quel ruolo, anche se virtualmente.

Ancora, in assenza di evidenze, prove, registrazioni e foto, i tweet della divisione dell’emisfero occidentale del Dipartimento di Stato hanno colmato questa lacuna. Tra l’altro, la mancanza di foto a sostegno delle loro teorie è stata risolta in modo magistrale: utilizzare come proprie, per sostenere la tesi della ribellione, le foto che testimoniavano massicciamente il sostegno della maggioranza del popolo cubano alle proprie autorità. Per loro non è un furto, questo si chiama prestito all’insaputa del proprietario.

Ma quando qualcuno decide di dimenticare le regole a cui sono vincolati i servizi diplomatici di tutti i paesi, si trascura anche che in detto esercizio si pratica la reciprocità. Cosa sarebbe successo se qualche rappresentante ufficiale cubano, o semplicemente un cittadino di quella origine, fosse stato coinvolto nelle manifestazioni per l’assassinio di George Floyd? che commozione avrebbe causato che un cubano, agricoltore o artigiano, fosse stato presente alla retata della polizia del Parco Lafayette proprio davanti alla Casa Bianca, nel corso del 2020? A proposito, se ci fossero stati cittadini di origine cubana presenti agli eventi del 6 gennaio 2021, al Campidoglio, ma erano membri dell’organizzazione Proud Boys, che prima e dopo quei fatti si sono recati a mostrare la loro mascolinità davanti all’ambasciata cubana con oscenità e gesti rozzi.

In altre parole, con il loro comportamento irresponsabile sulle reti sociali, e soprattutto su Twitter, la cancelleria USA e i suoi impiegati hanno spalancato una porta affinché altri possano fare lo stesso riguardo ai loro problemi interni. Ma Cuba non ha sfruttato questa opportunità, né lo farà, per rispetto delle norme della convivenza internazionale e, ancor più, per rispetto di coloro che, da decenni, lottano per rivendicare i propri diritti in quel paese, genuinamente e senza la necessità che siano guidati o diretti dall’esterno.

Ma l’antecedente rimarrà riflesso per l’accademia, o per terzi che in futuro gli potranno dire: di cosa ti lamenti se hai fatto la stessa cosa ai cubani. Sono i rischi che si corrono quando l’arroganza trabocca.

Inoltre al verificarsi del fatto in sé, risulta interessante apprezzare la sua qualità. Quando, meccanicamente, si ripetono sostanzialmente gli stessi testi, quando il copia-incolla tra il Dipartimento di Stato e la sua ambasciata è così evidente, quando le contraddizioni tra cifre e presunte fonti quasi non c’è bisogno di essere spiegate, allora vale la pena chiedersi se chi incorre in tale gli errori lo faccia semplicemente per mancanza di capacità creativa, o per dimostrare che stanno “seguendo un’indicazione”. E di certo quel dubbio ci rimane.

L’altro è costruire una cosiddetta “linea temporale” per principianti, che di per sé screditerebbe le fonti dei menzionati bombardamenti digitali. La citata divisione degli affari dell’emisfero occidentale, che in teoria si occupa e si commuove per ciò che succede in più di 30 nazioni e territori, è rimasta più volte in silenzio in momenti in cui nella regione si sono verificati omicidi di massa, quando si è attaccato l’ordine costituzionale in diversi paesi, quando i cartelli della droga hanno scosso intere città, quando sono state scoperte fosse comuni o di fronte alle barbarie commesse dai trafficanti di esseri umani. Apparentemente quelle sono realtà inerenti al sistema democratico, che promuovono insieme ai propri servitori della segreteria dell’OSA, di cui non è necessario accorgersi perché non sono notizia. Ma per Cuba ci sono altre regole.

Tuttavia, coloro che conoscono le tecniche per capire cosa succede realmente nelle reti prestano attenzione ad altri dettagli interessanti. Quanti retweet hanno generato questi messaggi rozzi e irrispettosi contro Cuba, quanti likes (mi piace), quante impressioni (volte che un contenuto è stato visto), quante interazioni degli utenti di Internet. Tutti questi dati, presi nel loro insieme, dimostrerebbero che la mancanza di rispetto per la sovranità altrui è stata sterile, l’attenzione generata con la ripetizione goebbleliana dei contenuti è stata minima, se ci atteniamo ai totali della popolazione a Cuba, negli USA e mondiale, inclusa Hialeah.

Non si può evitare che il subconscio confronti questo esercizio con quanto accaduto mesi dopo la sconfitta USA a Playa Girón (Baia dei Porci – Bay of Pigs). La CIA (e non abbiamo parlato dell’agenzia in questo testo) aveva installato, mesi prima, una stazione radio sull’isola di Swan (non bisogna aggiungere illegalmente), che avrebbe dovuto garantire con la sua propaganda che il popolo aggredito di Cuba ricevesse, a braccia aperte, i membri della Brigata 2506, popolarmente conosciuti come mercenari. Il fatto è che già sconfitti questi e sotto la custodia delle autorità cubane, Radio Swan ha continuato a lanciare appelli a “bruciare i campi di canna” ed “avanzare verso la capitale”. È difficile non ricordare l’antecedente.

L’altra cosa è che la burocrazia USA in media non è ben pagata rispetto agli stipendi del mondo non ufficiale. Ci sono funzionari, a volte alla fine della loro carriera, che si preoccupano del loro pensionamento e della vita futura, motivo per cui a volte mettono enfasi nelle loro azioni, al di là di quanto spiega la razionalità comune. Ed è che in quello di essere molto enfatico negli attacchi contro Cuba, con una gioia specifica e al di là delle istruzioni, mi viene in mente anche il caso di James Cason, ex capo dell’ufficio di interessi all’Avana, che all’inizio di questo secolo si caratterizzava per il suo stridore, che lo ha emarginato persino rispetto al resto dei diplomatici residenti all’Avana.

In ripetute occasioni funzionari stranieri e visitatori si chiedevano il motivo delle sue azioni, soprattutto quando sapevano che non aveva la minima possibilità di promozione nella ranking-classifica dei diplomatici USA. E la spiegazione è arrivata dopo la sua partenza: Cason aspirava ed è stato eletto sindaco di Coral Gables, Florida, emporio dei resti della rancida borghesia cubana e di altri che non lo sono stati ma vi aspiravano.

E per favore, non considerare che questo caso sia unico o sporadico. Diversi anni prima di Cason, il Sig. Dennis Hayes, che era stato niente meno che Coordinatore dell’Ufficio  Cuba presso il Dipartimento di Stato, era stato assunto dalla Fondazione Nazionale Cubano Americana come capo del suo ufficio a Washington.

In altre parole, quando si tratta della “causa” contro Cuba, spesso si attraversano i confini della decenza, non si seguono (se esistono) i codici etici, ed è difficile sapere chi paga chi e dire, in definitiva, chi è il boss (capo).


El desborde virtual del Departamento de Estado y su oficina en La Habana

 Por: José Ramón Cabañas Rodríguez

En los últimos meses ha sorprendido tanto a los cibernautas cubanos, como a los diplomáticos extranjeros residentes en Cuba, la manera desembozada en que tanto el Departamento de Estado desde Washington, como su embajada en La Habana, han incorporado a su rutina diaria al emisión de juicios y opiniones sobre la realidad interna cubana, que publican y reiteran sin ningún pudor. Aunque la práctica ha abarcado a varias plataformas, se ha hecho más presente en Twitter, la que se supone que es menos popular que Facebook, pero donde teóricamente están más presentes funcionarios de gobierno, académicos y decisores de diversa índole.

Este ejercicio digital, que ahora tiene más intensidad que durante el desorden de Trump, empezó a hacerse más presente en la misma medida en que los soñadores del fin de la Revolución Cubana sintieron que los estragos de la pandemia de la COVID19, de conjunto con el daño provocado por las medidas coercitivas unilaterales (bloqueo), causarían un estallido social en Cuba.

El Departamento de Estado y su representación diplomática en La Habana dejaron sus huellas por todas partes en los sucesos anteriores y posteriores al 11 de julio, pero aún así tuvieron cierto recato en aquellos días, para impedir ser vistos como los manejadores directos de los “manifestantes”. En la medida en que los días fueron pasando y los “líderes” de aquellos eventos fueron comprando boletos de avión para radicarse al exterior y se descalificaron de forma pública entre ellos, los burócratas estadounidenses desde el Potomac se sintieron en la necesidad de consumar un mayor protagonismo, lo cual se hizo traumático mientras se acercaba la fecha del 20 de noviembre (que después fue 15).

Para este último espectáculo habían vendido entradas a altos precios y enfrentaban el peligro de que no hubiera puesta en escena, como en efecto sucedió. Ocurrió el hecho más temido por los titiriteros: se cae la escenografía del guiñol y el público infantil ve finalmente que las marionetas no tienen vida propia, sino que son manejadas por otros.

Hasta hoy no se conoce si las principales apuestas sobre el probable holocausto antillano se hicieron desde La Habana, o en Washington. Lo cierto que desde el Departamento de Estado se enviaron pronósticos a la Oficina del Consejero de Seguridad Nacional y de ahí a la Casa Blanca. Este intercambio intenso de memos y propuestas, trajo como resultado la apertura de las arcas de la USAID y, sobre todo a partir de septiembre del 2021, empezaron a fluir más fondos para comprar videos, declaraciones, comentarios en blogs y cuanta otra tramoya fuera necesaria para presentar al mundo y a la opinión pública estadounidense un estado de cosas virtual sobre Cuba.

Después de todo, si un alto por ciento de la población estadounidense aún considera que las elecciones presidenciales del 2020 fueron “robadas” delante de sus narices, cómo no pensar que un por ciento similar tomara como verdad el cintillo de que el pueblo cubano se había sublevado y que los que no lo hicieron fueron contenidos por la represión.

Si durante cuatro años el Departamento de Estado insistió en que sonidos inexistentes crearon enfermedades imposibles de diagnosticar en su personal diplomático en La Habana, y mucha gente lo creyó, entonces cómo no asimilar que el gobierno cubano atacaría a su propia gente, con un poquito de reiteración.

Y en esta circunstancia las autoridades estadounidenses dieron muestras, una vez más, que el entramado multilateral que ha construido la humanidad para poder sobrevivir les resulta útil, sólo si avala la existencia de un único polo de poder. ¿Convención de Viena?, ¿respetar los asuntos internos de otros países?, ¿observar los límites de la soberanía de otros?, pequeños detalles.

Y así, a teatro vacío, los funcionarios del DOS (por sus siglas en inglés) se han quedado tocando en Twitter la partitura que estaba escrita para terceros. La diferencia con otras crisis construídas en varios países es que en aquellas la infantería ha sido local y la artillería ha actuado desde lo lejos. Pero en este caso, los conspiradores se quedaron casi sin infantería y han tenido ellos mismos que asumir ese papel, aunque sea de forma virtual.

De nuevo, a falta de evidencias, pruebas, grabaciones y fotos, los tuits de la división del hemisferio occidental del Departamento de Estado han llenado ese espacio. Por cierto, la escasez de fotos que sustentaran sus teorías fue resuelta de una manera magistral: usar como suyas, para apoyar la tesis de la rebelión, las fotos que testificaron masivamente el apoyo de la mayoría del pueblo cubano a sus autoridades. Para ellos no es robo, eso se llama tomar prestado sin conocimiento del dueño.

Pero cuando alguien decide olvidar las normas a las que se obligan los servicios diplomáticos de todos los países, se pasa por alto  también que en dicho ejercicio se practica todos   la reciprocidad. ¿Qué habría sucedido si algún representante oficial cubano, o simplemente un ciudadano de ese origen se hubiera involucrado en las manifestaciones por el asesinado de George Floyd?, ¿qué conmoción habría causado que un cubano, fuera agricultor o artesano, hubiera estado presente en la barrida policial del parque Lafayette justo frente a la Casa Blanca, durante el 2020?. Por cierto, si hubo ciudadanos de origen cubano presentes en los hechos del 6 enero del 2021 en el Capitolio, pero eran miembros de la organización Proud Boys, quienes antes y después de aquellos hechos fueron a mostrar su masculinidad ante la embajada cubana con obscenidades y gestos abrasivos.

Es decir, con su actuación irresponsable en las redes sociales, y en especial en Twitter, la cancillería estadounidense y sus empleados han abierto de par en par una puerta para que otros puedan hacer lo mismo respecto a sus problemas internos. Pero Cuba no ha hecho uso de esa oportunidad, ni lo hará, por respeto a las normas de convivencia internacional y, más aún, por respeto a aquellos que han luchado por la reivindicación de sus derechos en aquel país durante décadas, de manera genuina y sin necesidad de los guíen o dirijan desde el exterior.

Pero el antecedente quedará reflejado para la academia, o para terceros que en el futuro les podrán decir: de qué te quejas si le hiciste lo mismo a los cubanos. Son los riesgos que se corren cuando la arrogancia se deborda.

Además de la ocurrencia del hecho en sí, resulta interesante apreciar su calidad. Cuando de manera mecánica se reiteran básicamente los mismos textos, cuando el copia y pega entre el Departamento de Estado y su embajada es tan evidente, cuando las contradicciones entre cifras y supuestas fuentes casi no hay que explicarlas, entonces cabe preguntar si el que incurre en tales errores lo hace simplemente por falta de capacidad creativa, o para demostrar que están “cumpliendo una indicación”. Y ciertamente esa duda nos queda.

Lo otro es construir una llamada “línea del tiempo” para principiantes, la cual en si misma desacreditaría a las fuentes de los mencionados bombardeos digitales. La citada división de asuntos del hemisferio occidental, que teóricamente atiende y se conmueve por lo que sucede en más de 30 naciones y territorios, ha enmudecido de manera reiterada en momentos en que se han producido asesinatos masivos en la región, cuando se ha atacado el orden constitucional en varios países, cuando carteles de narcotraficantes han estremecido ciudades enteras, cuando se han descubierto tumbas masivas, o ante las barbaridades cometidas por traficantes de personas. Al parecer esas son realidades inherentes del sistema democrático que promueven junto a sus servidores de la secretaría de la OEA, en los que no es necesario reparar porque no son noticia. Pero para Cuba hay otras normas.

Sin embargo, los que dominan las técnicas para comprender qué sucede realmente en las redes se fijan en otros detalles interesantes. Cuántos retuits han generado estos mensajes abrasivos e irrespetuosos contra Cuba, cuántos likes (o me gusta), cuantas impresiones (veces que un contenido se ha visto), cuántas interacciones de los internautas. Todos estos datos, tomados en su conjunto, demostrarían que el irrespeto por la soberanía de otros ha sido estéril, la atención generada con la repetición goebbleliana de los contenidos ha sido mínima, si nos atenemos a los totales de la población en Cuba, en EE UU y mundial, incluso de Hialeah.

No se puede evitar que el subconsciente compare este ejercicio con lo sucedido meses después de la derrota estadounidense en Playa Girón (Bay of Pigs para ellos). La CIA (y no hemos hablado de la agencia en este texto) había instalado meses ante en la Isla de Swan una emisora de radio (no hay que agregar que ilegalmente), la cual debía garantizar con su propaganda que el pueblo agredido de Cuba recibiera con los brazos abiertos a los miembros de la Brigada 2506, popularmente conocidos como mercenarios. El caso es que ya derrotados estos y bajo custodia de las autoridades cubanas, Radio Swan seguía emitiendo llamados a “quemas los cañaverales” y a “avanzar sobre la capital”. Es difícil  no recordar el antecedente.

Lo otro es que la burocracia estadounidense como promedio no está bien pagada en comparación con los salarios del mundo no oficial. Hay funcionarios, a veces al final de sus carreras, que se preocupan por su jubilación y vida futura, razón por la que a veces ponen un énfasis en sus actuaciones, más allá de lo que explica la racionalidad  común. Y es que en eso de ser muy enfático en los ataques contra Cuba, con un gozo específico y más allá de las instrucciones, también viene a la memoria el caso de James Cason, un ex jefe de oficina de intereses en La Habana, quien a inicios de este siglo se caracterizaba por su estridencia, que lo marginó incluso respecto al resto de los diplomáticos residentes en La Habana.

En reiteradas ocasiones funcionarios extranjeros y visitantes se preguntaban la razón de su actuación, más cuando sabían que no tenía la más mínima posibilidad de ascenso en el ranking diplomático estadounidense. Y la explicación vino después de su partida: Cason aspiró y fue electo al cargo de alcalde Coral Gables, Florida, emporio de los remanentes de la rancia burguesía cubana y otros que no lo fueron pero aspiraban.

Y por favor, no considerar que este caso es único ni esporádico. Varios años antes de Cason, el Sr Dennis Hayes, que había sido nada más y nada menos que Coordinador del Buró Cuba en el Departamento de Estado, fue contratado por la Fundación Nacional Cubano Americana como jefe de su oficina en Washington.

Dicho de otra manera, cuando se trata de la “causa” contra Cuba, con frecuencia las líneas de la decencia se cruzan, los códigos de ética (de existir) no se cumplen, y es difícil saber quién le paga el salario a quién y decir  en definitiva quién es el boss (jefe).

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