La verità su Batista

Fu una pedina che attuava le politiche per la regione, consigliate dai suoi mentori. I suoi padroni gli fornirono un solido supporto materiale e consigli militari.

Julio Martinez Molina

Mentire, mentire e mentire di più. Questa è la linea dei media anticubani del sud della Florida, nell’affrontare il tema dell’Isola, in termini di attualità, ma anche del passato.

Canali televisivi, radio, portali e giornali ivi installati hanno da anni, tra le loro direttrici discorsive -sebbene la matrice si sia notevolmente intensificata durante le ultime settimane-, la rivendicazione del sanguinario tiranno Fulgencio Batista.

Per tutto gennaio e febbraio 2022 si è registrata una congestione di articoli, commenti e interviste a parenti del dittatore o presunti esperti sulla sua “eredità”. Tutto ciò che è stato detto in tali spazi su questo personaggio terrificante della storia di Cuba è così assurdo e menzognero che rasenta il delirio.

Qualsiasi vita di santo sarebbe rimpicciolita da una tale valanga di falsità tendenti a nobilitare l’abietta figura. Ma per sapere veramente chi era Fulgencio Batista, non è nemmeno necessario andare alla “storia scritta dai comunisti”. La verità si trova anche nei media occidentali, nei libri e nelle dichiarazioni di alti funzionari di Washington.

Quel signore instaurò, nel 1952, la dittatura più sanguinosa e corrotta conosciuta a Cuba, solo con il precedente della satrapia di Gerardo Machado in relazione al prontuario criminale.

Conosciuto per il suo precedente lavoro alla guida del paese, sia per il suo passato golpista che per il suo fervore filo-Washington –dimostrati sin dalla sua alleanza con l’ambasciatore Sumner Welles, nel 1933–, il golpe del 1952 ebbe il pieno sostegno del governo USA.

Fu una pedina che attuava le politiche per la regione, consigliate dai suoi mentori. I suoi padroni gli fornirono un solido supporto materiale e consigli militari, in modo simile a come procedettero, anni dopo, con il malgoverno di Pinochet in Cile, dopo il golpe contro Salvador Allende.

Gli investimenti USA avrebbero raggiunto i miliardi di dollari a Cuba lungo il suo mandato. Le visite dell’allora vicepresidente, Richard Nixon, e quella di Allan Dulles, direttore della CIA, nel 1955, servirono a rafforzare i programmi economici e ideologici dell’impero sull’isola.

Dulles prospettò al tiranno la preoccupazione del suo governo per l’attività comunista a Cuba, davanti alla quale il dittatore inaugurò, in poche settimane, l’Ufficio per la Repressione delle Attività Comuniste (il temibile BRAC).

La “creatura”, insieme al non meno terrificante Servizio di Intelligence Militare (SIM), alla Polizia Nazionale e all’Esercito, fece del paese uno Stato di polizia, nel cui vortice le persone vivevano in un’ansia in permanente ansia e dove le disaffezioni politiche venivano punite con la morte, senza mezze misure.

Nel frattempo, la mafia USA faceva degli affari della notte e del gioco un altro impero a Cuba, chiamato “il bordello d’America”, argomento sul quale sono state pubblicate preziose ricerche.

Felici tutti nel nord, banditi compresi, Batista aveva mano libera qui. Così, generò grandi assassini nella storia dell’America Latina (Conrado Carratalá, Pilar García, i fratelli Salas Cañizares –Rafael, Juan e José María– e Esteban Ventura Novo) e coorti di criminali per difendere la sua sinistra struttura politica.

Erano “uomini di bassi istinti, criminali nati, bestie portatrici di tutti gli atavismi ancestrali rivestiti di forma umana”, per dirla con le parole di Fidel, che misero in crisi la nazione e, soprattutto, la sua gioventù, che morì con gli occhi cavati, senza unghie, i loro testicoli strappati o violata, in caserme, fossi, campi aperti, fiumi, mari.

Nel suo regno di “sangue e saccheggio” –termini usati dal giornalista Enrique de la Osa–, la corruzione superò tutti gli standard storici di una nazione già a quel tempo esperta in materia. Batista, da solo, si aumentò lo stipendio presidenziale da 26400 a 144000 dollari, addirittura superiore a quello del presidente degli USA Truman, il cui importo era di circa 100000 dollari.

Tuttavia, gran parte della popolazione cubana era disoccupata, mentre la maggior parte dei contadini viveva in baracche con tetti di guano e pavimenti in terra battuta, prive di servizi igienici o acqua corrente. Nel frattempo, il 90% non aveva elettricità.

Come il professore francese Salim Lamrani raccoglie nel suo saggio 50 verità sulla dittatura di Fulgencio Batista a Cuba, l’economista inglese Dudley Seers afferma che la situazione, nel 1958, era intollerabile: “in campagna le condizioni sociali erano pessime. Quasi un terzo della nazione viveva nella sporcizia (…) abitava in baracche, di solito senza elettricità né latrine, vittima di malattie parassitarie e non fruiva di un servizio sanitario.

“Gli si negava l’istruzione (i loro figli  andavano a scuola al massimo un anno scolastico). Particolarmente difficile era la situazione dei precari, insediati in baracche temporanee su terreni collettivi (…). Anche una parte significativa della popolazione urbana era molto miserabile».

Arthur M. Schlesinger, Jr., consigliere personale del presidente John F. Kennedy, scrisse: “L’Avana mi piaceva e rimanevo sconvolto dal modo in cui questa adorabile città è stata infelicemente trasformata in un grande casinò e bordello per uomini d’affari americani (…). Ci si chiedeva come i cubani – vedendo questa realtà – potessero considerare gli Stati Uniti in un altro modo che con odio».

Questa era la Cuba della miseria, del sangue e del terrore imposta da Batista, il presidente “beatifico” che ora vogliono venderci dalla Florida. Il solo pensiero di un passato del genere raddoppia le forze nella lotta, per non retrocedere mai più verso uno scenario così desolato.


La verdad sobre Batista

 Fue un peón que instrumentó las políticas para la región, aconsejadas por sus mentores. Sus amos le brindaron sólido respaldo material y asesoría militar

Autor: Julio Martínez Molina

Mentir, mentir y mentir más. Esta es la línea de los medios de prensa anticubanos del sur de la Florida, al abordar el tema de la Isla, en cuanto a asuntos de la actualidad, pero también del pasado.

Cadenas de televisión, emisoras de radio, portales y periódicos instalados allí cuentan desde hace años, entre sus directrices discursivas –aunque la matriz se ha intensificado notablemente durante las últimas semanas–, la reivindicación del tirano sanguinario Fulgencio Batista.

A lo largo de enero y de febrero de 2022 se registró una congestión de artículos, comentarios y entrevistas con familiares del dictador o presuntos expertos en su «legado». Cuanto se ha dicho en tales espacios sobre este personaje terrorífico de la historia de Cuba es tan absurdo y mendaz, que roza el delirio.

Cualquier vida de santo empequeñecería ante tamaña avalancha de falsedades tendentes a ennoblecer la abyecta figura. Pero para saber realmente quién fue Fulgencio Batista ni siquiera se precisa acudir a «la historia escrita por los comunistas». La verdad se encuentra recogida, incluso, en los propios medios occidentales, libros y declaraciones de altos funcionarios de Washington.

Ese señor instauró en 1952 la dictadura más sangrienta y corrupta conocida en Cuba, solo con el precedente de la satrapía de Gerardo Machado en lo relativo al prontuario criminal.

Conocido por su anterior labor al frente del país, tanto en razón de su pasado golpista como de sus fervores pro Washington –demostrados desde su alianza con el embajador Sumner Welles en 1933–, la asonada de 1952 contó con el total respaldo del Gobierno de EE. UU.

Fue un peón que instrumentó las políticas para la región, aconsejadas por sus mentores. Sus amos le brindaron sólido respaldo material y asesoría militar, similar a como procedieron, años después, con el desgobierno de Pinochet, en Chile, tras el golpe a Salvador Allende.

Las inversiones de EE. UU. alcanzarían los mil millones de dólares en Cuba a lo largo de su mandato. Las visitas del entonces vicepresidente, Richard Nixon, y la de Allan Dulles, director de la CIA, en 1955, sirvieron para fortalecer los programas económicos e ideológicos del imperio en la Isla.

Dulles le planteó al tirano la inquietud de su Gobierno con la actividad comunista en Cuba, ante lo cual el dictador inauguró, en pocas semanas, el Buró de Represión de Actividades Comunistas (el temible BRAC).

La «criatura», de conjunto con el no menos pavoroso Servicio de Inteligencia Militar (SIM), la Policía Nacional y el Ejército, hizo del país un estado policial, en cuyo vórtice las personas vivían en permanente zozobra y donde las desafecciones políticas se castigaban con la muerte, sin medias tintas.

Mientras tanto, la mafia estadounidense hacía del negocio de la noche y del juego otro imperio en Cuba, llamada «el prostíbulo de América», tema sobre el cual han sido publicadas valiosas investigaciones.

Contentos todos en el norte, bandidos incluidos, Batista tenía barra libre aquí. Así, prohijó a grandes asesinos de la historia de América Latina (Conrado Carratalá, Pilar García, los hermanos Salas Cañizares –Rafael, Juan y José María– y Esteban Ventura Novo) y a cohortes de criminales para defender su siniestra estructura política.

Eran «hombres de bajos instintos, criminales natos, bestias portadoras de todos los atavismos ancestrales revestidas de forma humana», para decirlo con palabras de Fidel, quienes pusieron en vilo a la nación y, especialmente, a su juventud, la cual murió con los ojos sacados, sin uñas, reventados sus testículos o violada, en cuarteles, cunetas, descampados, ríos, mares.

En su reino de «sangre y pillaje» –términos empleados por el periodista Enrique de la Osa–, la corrupción sobrepasó todos los estándares históricos de una nación ya entonces experta en el tema. Batista, por sí mismo, se subió el sueldo presidencial de 26 400 a 144 000 dólares, por arriba incluso que el del presidente de EE. UU., Truman, cuyo monto rondaba los 100 000.

Sin embargo, gran parte de la población cubana estaba desempleada, al tiempo que la mayoría de los campesinos vivía en barracones con techo de guano y piso de tierra, desprovistos de servicios sanitarios o de agua corriente. En tanto, el 90 % no disponía de electricidad.

Como recoge el profesor francés Salim Lamrani en su ensayo 50 verdades sobre la dictadura de Fulgencio Batista en Cuba, el economista inglés Dudley Seers afirma que la situación en 1958 era intolerable: «en el campo, las condiciones sociales eran malísimas. Cerca de un tercio de la nación vivía en la suciedad (…) viviendo en barracones, normalmente sin electricidad ni letrinas, víctima de enfermedades parasitarias y no se beneficiaba de un servicio de salud.

«Se le negaba la instrucción (sus hijos iban a la escuela un año como máximo). La situación de los precarios, instalados en barracas provisionales en las tierras colectivas, era particularmente difícil (…). Una importante proporción de la población urbana también era muy miserable».

Arthur M. Schlesinger, Jr., asesor personal del presidente John F. Kennedy, escribió: «Me encantaba La Habana y me horrorizó la manera en que esta adorable ciudad se transformó desgraciadamente en un gran casino y prostíbulo para los hombres de negocios norteamericanos (…). Uno se preguntaba cómo los cubanos –viendo esta realidad– podían considerar a EE. UU. de otro modo que con odio».

Esta fue la Cuba de miseria, sangre y terror impuesta por Batista, el presidente «beatífico» que ahora nos quieren vender desde la Florida. Solo pensar en pasado semejante redobla las fuerzas en la lucha, para no retroceder jamás hacia tan desolador escenario.

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