Céspedes, oltre il suo ultimo sparo

Il 27 febbraio del 1874, tutta Cuba perdeva un figlio vitale, le cui lezioni di patriottismo e umiltà lo resero immortale al di là del suo ultimo sparo contro il nemico.

Mailenys Oliva Ferrales


Anche le pietre dovevano «tremare di dolore» di fronte a quello sparo a bruciapelo che privò un’intera nazione del Padre più grande, quello del sacrificio e della dedizione senza pari, dell’impeto e dell’audacia, quello della prima impronta … il Padre di tutti i cubani.

Era il 27 febbraio del 1874. Giorno funesto per la Patria.

In piena Sierra Maestra, in un luogo impervio, conosciuto come San Lorenzo, la terra si era tinta di un rosso sacro. Era morto in combattimento disuguale contro gli spagnoli Carlos Manuel de Céspedes, l’iniziatore.

Aveva solo 55 anni.

La rivoluzione in armi perdeva così il simbolo mortale d’una generazione eroica che con la sua guida era riuscita a rompere i silenzi di fronte a secoli di dominio, per conquistare con il filo del machete il diritto genuino di un popolo d’essere libero.

Il 27 febbraio del 1874, tutta Cuba perdeva un figlio vitale, le cui lezioni di patriottismo e umiltà lo resero immortale al di là del suo ultimo sparo contro il nemico.

Céspedes lasciava anche un valoroso legato a San Lorenzo, dove la sua breve, ma feconda presenza, divenne un’altra pagina gloriosa della sua epica esistenza.

Il patrizio di Bayamo era giunto in questo luogo vicino al fiume Contramaestre dopo la sua deposizione da parte della Camera dei Rappresentanti dal suo incarico di Presidente della Repubblica in Armi.

Privato di ogni protezione e accompagnato solo dal figlio maggiore, il Padre della Patria ebbe come ultima resistenza una piccola casa di foglie di palma,con un’amaca come letto e un ruscello come bagno.

Camminava lì con delle scarpe cucite con filo di ferro e si appoggiava a un ramo per poter camminare e nonostante fosse quasi cieco insegnava a leggere e scrivere a due bambini.

Visse amori con una giovane dalla quale ebbe un figlio che non conobbe, giocava a scacchi e riceveva l’affetto dei contadini del luogo che lo chiamavano con rispetto «il vecchio presidente».

Senza dubbio la tensione più forte dell’uomo del 10 ottobre fu sempre l’Isola amata.

Per questo non stupisce che come presagio del suo destino scrisse nel suo diario, pochi giorni prima di morire «che le mie ossa riposino a lato di quelle dei miei genitori in questa terra amata di Cuba, dopo aver servito la mia Patria sino all’ultimo giorno della mia vita».

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