Convegno e documentario per la liberazione del diplomatico Alex Saab

Geraldina Colotti

Ci sono figure che, in alcune circostanze storiche, finiscono per portare il peso, concreto e simbolico, delle contraddizioni espresse dal conflitto di classe a livello globale. È senz’altro il caso di Alex Saab, sequestrato e deportato negli Stati uniti in spregio alle convenzioni internazionali. Un caso senza precedenti, ha detto Laila Tajeldine, coordinatrice del movimento Free Alex Saab, nel corso di un convegno dal titolo esemplificativo: “Misure coercitive unilaterali come forma di estorsione mondiale, il caso del diplomatico Alex Saab”.

Non che, nella lunga sequela di arroganze e violazioni, l’imperialismo nordamericano non abbia compiuto analoghi abusi, però – ha ricordato Laila – “di solito vi pongono fine quando si diffonde la notizia che rende palesemente ingestibile la violazione”. E, dunque, la principale domanda da porsi è: “cosa possiamo fare per ottenere la liberazione del diplomatico venezuelano, ormai in carcere da 26 mesi? Cosa si può fare se questa forma di estorsione, che sottende il meccanismo delle cosiddette “sanzioni” continua a dilagare imponendo nei fatti l’illegalità internazionale?”

Mettendo al centro questa preoccupazione, il convegno ha dato la parola ai vari ospiti che l’hanno trattata nei suoi diversi aspetti. Perché si tratti di un meccanismo di estorsione, che è parte della guerra multiforme scatenata contro il Venezuela da almeno 8 anni, lo ha spiegato con chiarezza il ministro degli Esteri venezuelano, Carlos Faria: “Ognuna delle 900 misure coercitive unilaterali, ognuna delle oltre 773 decisioni prese dall’imperialismo Usa e dai suoi alleati contro il nostro paese – ha detto – presuppone una crudeltà criminale contro il nostro popolo, per creare disagio e spingerlo contro il governo legittimo di Nicolas Maduro”.

La “colpa” di Alex Saab, infatti, è stata quella di aver aiutato il governo bolivariano a garantire alimenti e medicine, rifornendo di prodotti di prima necessità le borse che i Comité Local de Abastecimiento y Producción (Clap), gli organismi ideati da Maduro nel 2016, portano direttamente nelle case dei cittadini per evitare speculazioni. Come provano i documenti e come gli Stati Uniti dimostrano di sapere perfettamente, Saab aveva ricevuto l’incarico diplomatico di inviato speciale nel 2018.

La sua attività era proseguita con discrezione finché – ha detto Faria – qualcuno ha deciso di tradire, permettendo agli Sati uniti di organizzare la propria trappola, con la complicità del governo succube di Capo Verde, in carica allora. A giugno del 2020, il diplomatico venezuelano venne così sequestrato illegalmente durante uno scalo tecnico sull’isola e condotto in carcere, senza ordine di detenzione.

Le misure coercitive unilaterali, imposte al di fuori dell’Onu, unico organismo deputato ad emettere “sanzioni”, agiscono contro chi contrasta il volere di Washington non da oggi. Faria ha ricordato il bloqueo contro Cuba, che dura da oltre sessant’anni, ma anche le misure imposte negli anni ’60, ’70, ’80 del secolo scorso a quei paesi che hanno cercato la propria autodeterminazione, e di cui l’imperialismo ha cercato di cancellare persino la memoria, assassinandone i leader, come il congolese Patrice Lumumba, di cui hanno fatto scomparire il corpo, perché non fosse ricordato.

I criteri sui quali si basa l’estorsione – ha spiegato ancora Faria – vengono modificati e rimodellati costantemente dai think tank imperialisti in base all’analisi delle reazioni suscitate. E qui, il ministro degli Esteri ha illustrato l’importanza della resistenza popolare in Venezuela e l’efficacia dell’azione di governo, che sono riuscite a rimettere in moto l’economia del paese, senza che vi sia stato alcun allentamento delle misure coercitive unilaterali.

 A dispetto della propaganda Usa, infatti, tutte le misure coercitive unilaterali imposte al Venezuela permangono intatte. Anzi, il blocco dell’aereo venezuelano in Argentina è un’ulteriore dimostrazione che, in modo diretto o indiretto, si continua a ricattare governi e imprese per dissuaderli dall’intrattenere rapporti commerciali con il Venezuela.

Il ricatto e l’estorsione si rivolgono anche contro famigliari e amici di chi è stato scelto come esempio per dire a tutti: non ci provate se non volete finire come lui. La testimonianza di Camilla Fabri, moglie del diplomatico e presidente del movimento Free Alex Saab, ha messo in evidenza le varie tappe di questa persecuzione condotta mediante gli organismi statunitensi che, all’apparenza, sono deputati al controllo del riciclaggio e del narcotraffico primariamente negli Stati uniti. In realtà, minacciano l’attività commerciale e finanziaria di chi intenda intrattenere relazioni con i paesi “sanzionati”, condizionandone pesantemente le scelte e portando al fallimento chi persiste.

Di grande impatto l’intervento di Luis Britto Garcia, a nome della Rete degli intellettuali e artisti in difesa dell’umanità (Redh). Britto ha formulato alcune proposte derivanti dai punti di interesse generale messi in luce dal caso Alex Saab e dal mix di illegalità e disumanità che caratterizza il meccanismo di estorsioni, sia sul piano giuridico interno che internazionale.

L’articolo 1 della Carta delle Nazioni Unite – ha premesso Britto – dice che nessun paese può cercare di imporre le proprie decisioni politiche a un altro governo sul suo territorio, violandone la sovranità. Se così fosse, non esisterebbe un ordine internazionale e sarebbe la guerra di tutti contro tutti. Persino l’Osa – ha detto l’intellettuale – contiene un principio simile, “solo che si è specializzata nel non applicarlo, come ha dimostrato provocando il golpe in Bolivia”.

Britto ha poi ricordato che, a dicembre del 2004, l’Assemblea generale dell’Onu ha votato la Convenzione delle Nazioni Unite sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni, approvata a gennaio del 2005, e a oggi non ancora ratificata da tutti i paesi firmatari. Una convenzione che si può però violare solo con l’esplicito consenso di uno stato: una decisione – ha avvertito Britto – che creerebbe un pericoloso precedente.

Questo significa che non si possono incamerare i beni di uno Stato, in quanto di interesse pubblico, come invece vorrebbero fare le decisioni dei Tribunali arbitrali, di solito basati negli Stati Uniti, a scapito dei paesi del sud. Su 335 contenziosi aperti, oltre 300 sono stati risolti a favore delle multinazionali. Per questo – ha affermato Britto –

“ci siamo ritirati dal Ciadi, un organismo che dipende dalla Banca Mondiale. Solo che erano rimasti in sospeso alcuni procedimenti, come quello che ha recentemente portato a una sentenza a favore della ConocoPhillis, che pretende di far pagare al Venezuela 8.750 milioni di dollari”. Un altro punto affrontato dall’intellettuale è stato quello relativo ai crimini di lesa umanità, in base allo Statuto di Roma, una convenzione unanimemente approvata dagli Stati, che nel suo articolo 1 condanna quegli stati o paesi che impieghino misure distruttive per far soffrire la popolazione.

Le “sanzioni”, ha detto Britto, sono crimini di guerra in tempo di pace, commessi nei confronti di una popolazione non belligerante, come quelle insite nella dichiarazione del “democratico” Obama quando asseriva che occorresse torcere il braccio al Venezuela.

Un’altra proposta ha riguardato la tutela delle risorse all’estero che, secondo l’intellettuale, dovrebbero approfondire il cammino intrapreso da Chavez quando decise di rimpatriare gran parte dell’oro per evitare che accadesse come alla Libia di Gheddafi. Il furto dell’oro venezuelano da parte della banca d’Inghilterra – ha detto Britto – dovrebbe spingerci a una campagna diplomatica internazionale per il rimpatrio delle riserve o per custodirle in paesi non ostili.

Bisognerebbe anche – ha aggiunto – essere attenti a non sottoscrivere trattati che includano clausole di sottomissione, diretta o indiretta, ai tribunali internazionali, per evitare di spianare la strada al bloqueo dell’imperialismo. E per questo – ha detto ancora Britto – occorre metter mano con fermezza al principio di reciprocità, sequestrando a nostra volta i beni di quei funzionari che, nei loro paesi, blocchino o sequestrino i nostri attivi, mentre “le multinazionali pretendono di avere nei nostri paesi privilegi osceni”.

Inoltre, va promossa una campagna “per modificare la dottrina internazionale riguardo il riconoscimento di un governo da parte degli Stati uniti e dei loro alleati, per evitare che ripetano la farsa del riconoscimento di un finto governo per rubarci le risorse”. E qui, Britto ha lodato l’atteggiamento fermo del governo Maduro nel sottrarsi all’estorsione, chiedendo agli Usa la revoca delle “sanzioni” come base per ristabilire relazioni da pari a pari.

Infine, Luis Britto ha proposto una campagna internazionale contro le misure coercitive unilaterali che coinvolga gli oltre 80 paesi colpiti o minacciati: per ripristinare il diritto internazionale e condizionare il voto negli organismi di decisione, compattando grandi organizzazioni come il Movimento dei Paesi non Allineati (la più grande organizzazione per grandezza dopo l’Onu), il Wto, l’Alba, i Brics, eccetera. “Per questo – ha concluso – non ci servono sedi fisiche, basta internet per coordinarci”.

Il viceministro per le Politiche anti-bloqueo, William Castillo, ha analizzato il caso Saab partendo dai dati dell’Osservatorio che dirige, ove si monitorano, in termini di cifre e in prospettiva storica, cause, conseguenze e implicazioni delle misure coercitive unilaterali, per strappare la cortina di fumo eretta dai media internazionali sulla natura estorsiva delle “sanzioni”.

Le “sanzioni sono bombe silenziose e invisibili lanciate sulla vita delle persone per indurle a modificare il proprio comportamento in cambio di minor sofferenza – ha detto Castillo riprendendo un’espressione della vicepresidenta Delcy Rodriguez -. L’imperialismo non vuole solo un cambio di governo, che comunque è disposto a ottenere con ogni mezzo, ma un cambio di modello, di paradigma, come si evince dalle dichiarazioni dei suoi funzionari. Le sanzioni sono uno strumento di politica estera. In 8 anni, in un tempo concentrato, al Venezuela ne è stato imposto un numero proporzionalmente più alto che a tutti gli altri paesi, fatta eccezione adesso per la Russia e la Bielorussia”.

L’avvocato Larry Davoe, che opera presso il Consiglio nazionale per i diritti umani, ha trattato il tema dal punto di vista del linguaggio: “Definirle sanzioni – ha detto – è un errore perché implica la pena imposta a una persona per aver infranto una norma, mentre qui sta avvenendo il contrario, giacché chi impone il castigo non ha nessuna legittimità per farlo. Definirle estorsioni, è invece appropriato. Questo stanno facendo con il sequestro di Alex Saab. Questo continuano a fare con le loro squadre di valutazione dei risultati”.

Il presidente Maduro istituisce il Petro? E loro sanzionano il Petro. Il messaggio di estorsione è chiaro: ti tengo sotto minaccia finché non mi porti quel che ti ho chiesto. Non bisogna dimenticare – ha detto l’avvocato – “un documento emesso dal Dipartimento Usa il 31 marzo del 2020, nel quale questa logica è espressa chiaramente in 14 punti per arrivare alla cosiddetta transizione democratica in Venezuela: si dice, in pratica, che se il Venezuela rinuncia alle proprie istituzioni, le sanzioni verranno abolite”.

Davoe ha proposto a sua volta di promuovere una campagna per appoggiare a livello internazionale la denuncia presentata dal Venezuela presso la Corte Penale Internazionale: contro i crimini di lesa umanità commessi dal governo degli Stati Uniti. Alla Cpi sono state presentate dati, testimonianze e prove certe in base allo Statuto di Roma, ma senza alcuna illusione, considerando l’indirizzo prevalente esistente nell’organismo internazionale.

Ha concluso gli interventi Ilenia Medina, deputata e dirigente del partito Patria Para Todos. Diplomatica di formazione, Medina ha raccontato la sua esperienza per situare in prospettiva storica il crescendo della politica di estorsione contro il Venezuela, nel quadro della campagna dell’imperialismo “per caotizzare il mondo che loro stessi hanno creato. Hanno paura della chiarezza dei popoli determinati a essere liberi”, ha concluso invitando a rinnovare l’impegno per la liberazione di Alex Saab.

E nello stesso senso è andato il saluto conclusivo del viceministro Carlos Ron: “Siamo decisi a essere liberi – ha affermato – questo spazio ne è il riflesso”. Per finire, il trailer del documentario “Alex Saab, un diplomatico secuestrado”, della giornalista venezuelana di Sputnik in Spagna, Karen Méndez, che verrà diffuso a partire dal 16 settembre.

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