Il Nicaragua Sandinista oggi

Intervista all’Ambasciatrice Monica Robelo

lantidiplomatico.it

Il Nicaragua sandinista è da sempre stato il nemico giurato degli USA. Il fallito colpo di Stato del 2018 è stata un’operazione terroristica voluta dal governo USA con l’appoggio delle gerarchie ecclesiali, dagli ex-sandinisti diventati il riferimento esclusivo degli USA in Nicaragua. I cosiddetti “prigionieri politici” sono la manovalanza nicaraguense di un complotto internazionale preparato sin dal 2007 e innescatosi nel 2018″.

 Pubblichiamo con il consenso degli autori l’intervista di “Cumpanis” all’Ambasciatrice del Nicaragua, Sua Eccellenza Monica Robelo

  a cura di Laura Baldelli, Candida Caramanica e Fosco Giannini

Gentile compagna Monica Robelo, Ambasciatrice del Nicaragua a Roma, in seguito all’incontro in Ambasciata con “Cumpanis”, vorremmo approfondire i temi che abbiamo accennato nel nostro colloquio, iniziando proprio dalle elezioni presidenziali e per il rinnovo dell’Assemblea nazionale in Nicaragua dello scorso 7 novembre 2021, con la riconferma a Presidente del compagno Daniel Ortega, leader del Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale, con il 75,87% dei voti, e ti chiediamo su quali basi materiali è avvenuta una vittoria con un vastissimo consenso e quali conquiste sociali hanno convinto il popolo nicaraguense a riconfermare la fiducia ad Ortega. 

Il consenso ottenuto dal Presidente Daniel Ortega non è stato altro che la riconferma di una totale identificazione tra il Governo di Riconciliazione e Unità Nazionale con il popolo del Nicaragua, che ha abbracciato le sue politiche economiche e sociali inclusive e un progetto senza precedenti di modernizzazione del Paese che si riflette negli indici di crescita, sicurezza e stabilità sociale. Parlare del Nicaragua oggi significa riconoscere nei numeri e nei risultati la democratizzazione dell’economia. L’ampliamento dei diritti sociali si è misurato su una migliore qualità dei servizi e sulla loro erogazione gratuita. Si è concretizzato nei progressi del sistema di salute ed educazione, nella radicale trasformazione delle infrastrutture, oltre che nei molteplici programmi sociali che hanno restituito dignità e autorevolezza ad un popolo capace di produrre ricchezza e ridurre le iniquità sociali dopo 12 anni di governi e politiche neoliberiste.

Walter Espinosa del Partito Liberale Costituzionalista, ha ottenuto il 14,33% dei voti; Guillermo Osorno di Cammino Cristiano Nicaraguense, il 3,26% e Marcelo Montiel di Alleanza Liberale Nicaraguense, il 3,11%. Puoi chiarire ai nostri lettori e lettrici, qual è la natura politica e ideologica di questi tre partiti d’opposizione al Fronte Sandinista?

La natura politica e ideologica portata avanti da questi partiti è stata chiaramente di opposizione e di assoluta sottomissione all’egemonia statunitense. Una politica che si è sempre alimentata con fondi stranieri, capace di produrre più ONG che abitanti, di presentare calunnie più che programmi, di chiedere sanzioni dall’estero piuttosto che finanziamenti per programmi sociali a beneficio del popolo. Le divisioni interne e l’incapacità di ispirare una visione del futuro ha portato ad un’inevitabile deriva e disillusione da parte dell’elettorato conservatore e liberale. Ciò è avvenuto quando, davanti all’insuccesso e all’impossibilità da parte di un settore importante della destra di esprimere un programma di governo, è stata scelta la strada del caos, della destabilizzazione, delle menzogne. Ma l’elettorato ha dato un risultato contundente al Frente Sandinista e al suo massimo leader nelle elezioni presidenziali del 2021, replicato anche lo scorso 7 novembre in quelle municipali.

Una parte significativa dei media statunitensi e occidentali ha presentato le elezioni in Nicaragua, come “”elezioni farsa, svoltesi sotto la dittatura sandinista”. Le accuse contro Ortega hanno raggiunto punte di violenza e aggressività raramente riscontrate sul piano internazionale per altre elezioni. Emblematiche le posizioni assunte dal giornale italiano on-line “Osservatorio Diritti”, che si presenta come una testata “specializzata in inchieste, analisi e approfondimenti sul tema dei diritti umani in Italia e nel mondo”, il cui direttore Marco Ratti, già collaboratore a “L’Espresso” e a “Il Sole 24 Ore”, asseriva in un suo articolo da Panama City: “I primi dati relativi alle elezioni presidenziali tenutesi in Nicaragua il 7 novembre parlano chiaro: la vittoria di Daniel Ortega e della vice-presidente, sua moglie Rosario Murillo, è stata schiacciante. Dietro questo apparente plebiscito ci sono però molteplici violazioni dei diritti umani, una repressione senza precedenti, l’incarcerazione arbitraria da maggio scorso di 39 persone, identificate dal regime come oppositori, inclusi sette aspiranti alla presidenza e i numeri che non tornano”. In un altro articolo la stessa testata affermava che la vittoria di Ortega era dovuta alla “spaventosa dittatura sandinista”. Sappiamo invece, di una forte azione di tipo “golpista”, orchestrata dalla Cia, durante le ultime elezioni in Nicaragua, volta a destabilizzare il Paese e provocare la sconfitta di Ortega. Come spieghi tanta violenta critica da certa stampa occidentale al sandinismo, ad Ortega e alla vittoria elettorale del Fronte Sandinista?

Il Nicaragua sandinista è da sempre stato il nemico giurato degli Stati Uniti. Il fallito colpo di Stato del 2018 è stata un’operazione terroristica voluta dal governo USA con l’appoggio delle gerarchie ecclesiali, dagli ex-sandinisti diventati il riferimento esclusivo degli Stati Uniti in Nicaragua. I cosiddetti “prigionieri politici” sono la manovalanza nicaraguense di un complotto internazionale preparato sin dal 2007 e innescatosi nel 2018. Sono stati documentati i loro legami organizzativi e finanziari con gli Stati Uniti e alcuni paesi europei nell’intento di un colpo di Stato. Un’operazione costata circa 100 milioni di dollari a USAID, NED, IRI, IDI, Fondazione SOROS, e altre fondazioni europee che negli anni hanno appoggiato strutture mediatiche e costruito una rete paramilitare per il golpe che ha lasciato un’ipoteca di 1800 milioni di dollari di danni, circa 253 morti e oltre 2000 feriti. Si è provato a ottenere con la forza quello che non si riesce ad ottenere con il voto. Ma hanno perso anche su questo terreno.

Ci sembra di capire che anche una parte consistente del mondo cattolico del Nicaragua sia schierato contro Ortega. Ti chiediamo: è così alto lo scontro tra la rivoluzione sandinista e il mondo cattolico del Nicaragua? E quali sono i punti critici?

La Conferenza episcopale è stata l’anima ideologica del golpismo nel 2018, presentatasi ai tavoli come mediatrice, dimostratasi autoritaria mentre dirigeva il golpe, scopertasi ingannevole con la popolazione e il Governo promotore del dialogo. Da anni la Chiesa cattolica nicaraguense, sorda alle emergenze sociali e poco incline al ruolo pastorale, ha visto perdere consensi tra i fedeli, a dispetto di un popolo fortemente religioso. Ha perso prestigio e credibilità, indossando la tonaca da una parte e abbracciando l’interesse politico dall’altra. Non è un caso che Monsignor Báez, tristemente conosciuto per il suo ruolo chiave nella trama golpista del 2018 e per l’eccessiva e narcisistica esposizione politica, sia stato richiamato a Roma nel 2019 ad un “esilio forzato” e costretto – stante le sue dichiarazioni – “a dover rispettare a malincuore la decisione con amorevole obbedienza al Papa”. Ma anche dopo le indicazioni del Vaticano, una parte delle gerarchie ecclesiastiche hanno proseguito l’opera di sciacallaggio contro il governo. La missione pastorale si è trasforma in campagna contro il popolo, i pulpiti in regia per la propaganda, la radio e le TV di proprietà ecclesiastica sono diventati microfoni accesi per incitare all’odio e alla ribellione. Questo atteggiamento della CEN non è condiviso da Roma. Da ultimo, durante la recente visita del Cardinale Brenes a Roma, Papa Francesco ha invitato i pastori del Nicaragua ad essere messaggeri della riconciliazione, auspicando un dialogo con il governo. Difficile eludere il suo messaggio.

Il Nicaragua è un paese in crescita con il pil al 4,5%, il tasso di disoccupazione è sceso al 5%, grandi opere pubbliche hanno portato infrastrutture ed elettricità ed è stata potenziata l’attività economica più importante del Paese, l’agricoltura; come è stato possibile? Quali sono i futuri piani di sviluppo del Paese che è anche interessato dai violenti cambiamenti climatici e possiede tra le più interessanti aree ricche di biodiversità?

Negli ultimi quindici anni, il Nicaragua ha subìto un’incredibile trasformazione del tessuto socio-produttivo, con un impatto senza precedenti sulla qualità della vita dei propri cittadini. Abbiamo raggiunto non solamente l’autosufficienza alimentare, producendo il 90% degli alimenti che consumiamo, ma abbiamo triplicato le esportazioni. Il dato interessante, oltre alla crescita del PIL, è che il 56,4% del bilancio è destinato alle spese sociali, oltre alla costruzione di opere strutturali come strade, ponti, scuole, ospedali, ampliamento della rete elettrica ed energetica, che hanno reso dinamica l’economia proiettandola verso una crescita senza precedenti. Come giustamente indicavi, il Nicaragua possiede circa il 7% della biodiversità mondiale, con 68 tipi di ecosistemi e formazioni vegetali, che rappresentano il 60% del totale dell’America Centrale. Un polmone che cerchiamo di preservare nonostante siamo vittime del cambio climatico prodotto delle grandi economie capitaliste che hanno avvelenato sistematicamente la terra, l’aria e le persone. Oggi, il capitalismo mostra il drammatico fallimento delle promesse che non si arrendano davanti alla ricerca sfrenata del profitto. Il Presidente Daniel Ortega lo ha detto chiaramente: “I paesi capitalisti, i paesi ricchi, sono gli assassini dell’ambiente”. La Cop 27, dove stiamo partecipando, sarà l’ennesima farsa di un multilateralismo di facciata e della deriva storica.

Vorremmo porre l’attenzione sulla sanità pubblica, per informare sulla grande efficacia del sistema sanitario pubblico del governo sandinista, che ha fronteggiato la pandemia con la medicina di territorialità, segno di grande civiltà che l’Occidente invece trascura e smantella privatizzando.

Il Nicaragua ha risposto alla pandemia nell’unico modo in cui poteva. Seguendo il proprio modello che pone al centro le persone, la famiglia, la comunità, attuando politiche sanitarie gratuite e di qualità, con una campagna vaccinale massiva e territoriale, preventiva ed educativa. Non è un caso che nel contrasto al Covid -19 sia stato uno dei Paesi con maggiore risposta organizzativa e migliori statistiche a livello regionale. Non si parla, però, dei risultati positivi, perché costituiscono un pericoloso esempio da nascondere, tanto più eroico e indicativo in quanto condotto in simili condizioni. Nel vortice quotidiano delle notizie, delle statistiche e dei confronti, il Nicaragua viene timidamente citato e non certo sui grandi media. Oggi vanta il più grande e migliore sistema di salute pubblica del Centroamerica, con 73 ospedali perfettamente equipaggiati, 143 poliambulatori, 1343 presidi medici e 5806 case destinate all’accoglienza. Sono solo una parte di una decentralizzazione dei servizi medici che coprono l’intero territorio nazionale, con una rete comunitaria che assiste la popolazione con oltre cinquantamila partecipanti certificati e formati.

Durante il nostro incontro hai anche parlato dell’eguaglianza di genere che, nel corso di questi anni di governo sandinista, ha portato le donne a ricoprire importanti cariche decisionali: quali politiche sono state intraprese per emancipare e liberare le donne?

Il Nicaragua ha avuto una crescita poderosa nelle politiche destinate all’uguaglianza di genere, unico Paese del continente ad aver creato una struttura specifica nella sua Polizia Nazionale, composta da nuclei di agenti specializzati nella violenza di genere, con protocolli di attuazione e formazione attenta alla cultura di genere. Sono diverse le leggi a protezione delle donne, dalla legge di uguaglianza di genere fino a quelle contro ogni genere di violenza che possono subire, fisica o psicologica. Allo stesso tempo, è stata data concretezza all’“empowerment” femminile attraverso diverse leggi e disposizioni che favoriscono il credito per le donne, indicate come capo-famiglia.

Parlando di America Latina, qual è il tuo giudizio sui processi rivoluzionari del Centro e Sud America? 

Non so a quali processi rivoluzionari vi riferite. Fino a questo momento le due rivoluzioni vittoriose, distanti esattamente venti anni l’una dall’altra, sono la Rivoluzione Cubana e quella Sandinista in Nicaragua. C’è, poi, il processo rivoluzionario del Venezuela iniziato con la prima vittoria elettorale del Comandante Chávez. Le tre rivoluzioni, con molte similitudini pur con tratti genetici diversi, sono le opere di trasformazione generale che vivono nel continente. Il giudizio non può che essere ottimo, viste anche le condizioni nelle quali si sviluppano, ovvero con l’ostilità manifesta degli Stati Uniti che bloccano, applicano l’embargo e sanzionano i tre Paesi anche per impedire che il loro esempio di sovranità nazionale e indipendenza, insieme a quello del buongoverno, indichi a tutti gli altri paesi come l’affrancamento dagli USA sia fondamentale per cercare un modello di crescita alternativo e percorribile per il subcontinente.

Qual è il rapporto tra il Nicaragua e la Repubblica Popolare Cinese?

Il Governo del Nicaragua riconosce che nel mondo esiste una sola Cina e il FSLN da sempre ha avuto solidi rapporti politici e di amicizia con Il Partito Comunista Cinese. La decisione di Managua di riconoscere la Cina è stata una evoluzione diplomatica naturale delle relazioni sempre più strette tra i due Paesi, e proprio in questi giorni si celebra un anno della ripresa delle relazioni diplomatiche. La decisione è ispirata ai principi del Diritto Internazionale e al contempo comporta l’apertura ad un nuovo orizzonte economico, schivo dalla dipendenza e dalle minacce di sanzioni statunitensi ed europee che tentano di ipotecare la sovranità nazionale in cambio di concessioni. L’adesione al progetto della Nuova Via della Seta e i progetti in campo politico, economico, sociale e culturale, dimostrano che il sabotaggio economico degli stati Uniti è secondario rispetto agli interessi di cooperazione e ai principi genuini di solidarietà del nostro Paese.

Che rapporti ci sono stati fino ad ora con i governi italiani?

Con ogni paese europeo i rapporti bilaterali sono attraversati in misura variabile dall’esistenza di quelli comunitari. Ma, storicamente, i rapporti tra Roma e Managua sono stati buoni, improntati alla reciproca comprensione e alla collaborazione su diversi ambiti. È nostra intenzione lavorare ad elevare il livello di comprensione reciproca e costruire le condizioni per un incremento della cooperazione e degli scambi.

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