La fame come arma politica contro Cuba

di William M Leogrande.

Mentre il Presidente Biden si interroga se e quando mantenere la promessa fatta in campagna elettorale di revocare le sanzioni economiche contro Cuba, la popolazione dell’isola soffre la fame. Cuba importa il 70% del cibo che consuma e le entrate del commercio estero sono crollate a causa del taglio delle rimesse imposto da Trump e della chiusura dell’industria del turismo causata dalle sanzioni. La carenza di cibo ha esacerbato una situazione già precaria, producendo gravi carenze e la minaccia di una crisi umanitaria.

La fame è stata un’arma nell’arsenale di Washington fin da quando Dwight D Eisenhower occupava la Casa Bianca. Nel gennaio 1960, Eisenhower suggerì di bloccare l’isola, sostenendo: “Se (i cubani) hanno fame, butteranno fuori Castro”. Nell’aprile 1960, il Sottosegretario di Stato per gli Affari Interamericani Lester D Mallory propose: “Ogni mezzo dovrebbe essere tentato immediatamente per indebolire l’economia di Cuba, produrre fame, disperazione e il rovesciamento del governo”.

L’ex presidente John F. Kennedy ha imposto a Cuba l’embargo economico più esteso che gli Stati Uniti abbiano mai imposto a una nazione, compreso il divieto di vendere cibo e medicine. Il nucleo dell’embargo è rimasto in vigore da allora.

Dal 1975 al 1992, Cuba ha potuto acquistare beni da società statunitensi controllate in Paesi terzi. Il 90% dei 700 milioni di dollari di beni che Cuba acquistava ogni anno erano alimenti e medicinali. George H. W. Bush, con il sostegno del candidato alla presidenza William Clinton, promulgò il Cuban Democracy Act, che eliminò questi acquisti proprio mentre l’economia cubana stava collassando a causa della perdita degli aiuti sovietici. Anche allora i cubani soffrirono la fame. “La carenza di cibo e i problemi di distribuzione hanno causato malnutrizione e malattie”, ha riferito la CIA nel 1993.

La campagna di “massima pressione” dell’amministrazione Trump mirava a bloccare le fonti di reddito estero per Cuba, limitando i viaggi dagli Stati Uniti, le rimesse e i guadagni derivanti dall’esportazione di servizi medici. L’obiettivo, ha dichiarato l’allora Segretario di Stato Mike Pompeo ai diplomatici europei, era quello di “affamare” l’isola per rovesciare il governo. Finora il Presidente Biden ha mantenuto le sanzioni.

Anche se gli Stati Uniti non vietano più la vendita di cibo a Cuba, intensificando le sanzioni economiche, Washington ostacola la capacità di Cuba di guadagnare un reddito sufficiente per acquistare scorte alimentari da qualsiasi luogo. Inoltre, esacerbando la carenza di cibo, costringendo i cubani a stare in fila per ore nel bel mezzo della pandemia, la politica statunitense ostacola anche la capacità di Cuba di controllare la diffusione della Covid.

La comunità internazionale considera l’uso del cibo come strumento di coercizione una violazione del diritto umanitario internazionale. Nel 2018, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato all’unanimità la risoluzione 2417, che condanna la privazione deliberata di cibo “in situazioni di conflitto” come una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale. La risoluzione si concentra sui conflitti armati, ma il principio di fondo non è meno applicabile ai conflitti in cui un Paese ha la capacità di imporre l’insicurezza alimentare a un altro, anche senza l’uso della forza armata.

La comunità internazionale ha detto chiaramente cosa pensa dell’embargo statunitense. Dal 1992, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato a stragrande maggioranza una risoluzione che chiede agli Stati Uniti di revocare l’embargo a causa dei suoi “effetti negativi sul popolo cubano”. Nel 2019, il voto è stato di 187 favorevoli e tre contrari (Stati Uniti, Israele e Brasile).

L’amministrazione Biden non ha ancora completato la revisione della sua politica su Cuba, ma i funzionari, quando gli viene chiesto, non mancano di rispondere che si concentrerà sulla democrazia, sui diritti umani e sul “rafforzamento del popolo cubano”. All’udienza di conferma, Brian Nichols, candidato di Biden come Assistente Segretario di Stato per gli Affari dell’Emisfero Occidentale, ha dichiarato: “Dobbiamo concentrare i nostri sforzi su ciò che è meglio per il popolo cubano”.

Nel giorno dell’indipendenza di Cuba, il Segretario di Stato Anthony Blinken si è rivolto al popolo cubano assicurando che “riconosciamo le sfide che molti di voi affrontano nella vita quotidiana” e ha promesso che “sosterremo coloro che migliorano la vita delle famiglie e dei lavoratori”.

Sentimenti nobili, ma la sua sincerità è smentita dalle sanzioni dell’era Trump che il governo Bi-den non ha fatto nulla per cambiare, sanzioni che rendono più pesante la vita quotidiana delle famiglie cubane. Inoltre, avere cibo a sufficienza è un diritto umano fondamentale, come affermò l’ex presidente Franklin D. Roosevelt quando incluse la “libertà dal bisogno” tra le sue “quattro libertà”. L’articolo 25 della Dichiarazione universale dei diritti umani, di cui gli Stati Uniti sono firmatari, include il diritto a un’alimentazione adeguata.

Se il Presidente Biden vuole sostenere i diritti umani a Cuba e dare potere al popolo cubano, può iniziare ad alleviare la crisi alimentare ponendo fine al divieto di Trump sulle rimesse e ripristinando il diritto di viaggiare per i residenti negli Stati Uniti. Le rimesse portano denaro direttamente nelle tasche delle famiglie cubane. Il ripristino del diritto di viaggiare aiuterà il settore privato cubano, in crisi, a riprendersi dopo la Covid. Il flusso di valuta estera che ne deriverà permetterà al governo di importare più cibo, soprattutto per le popolazioni emarginate – madri single, anziani e poveri – che non hanno accesso a valuta forte.

Non ci sono scuse per i ritardi. Non è necessaria una revisione politica approfondita per riconoscere che a Cuba c’è una crisi alimentare dovuta, in parte, alle politiche statunitensi e che aiutare a porvi rimedio è un obbligo morale, un’estensione della responsabilità di proteggere. Inoltre, si tratta di azioni che Biden ha promesso di intraprendere durante la sua campagna elettorale. Ogni giorno di ritardo è un altro giorno di fame per i cubani.

* William M LeoGrande è professore di governo presso l’American University di Washington e coautore, insieme a Peter Kornbluh, di Black Channel to Cuba: The History of Negotiations between Washington and Havana.

Fonte: La Jornada

Traduzione: italiacuba.it

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