L’arte non è e non sarà mai un atto neutrale. Si muovono assiomi dietro i gesti apparentemente più innocui e inoffensivi. C’è una falsa coscienza del mondo che si assimila quando consumiamo certe idee a partire da un tipo di industria culturale. In tal caso, i significati presenti in una certa opera sono diretti verso un obiettivo politico e sociale, e posseggono una carica semantica che riutilizza e riformula le funzioni dei simboli che originariamente avevano un’altra origine ideologica.
Nel suo documentario The pervert’s guide to ideology, Slavov Zizek ci enuncia una serie di modi che l’ideologia adotta come modo di pensare le cose del mondo da un filtro complesso e allo stesso tempo perverso, che non ci permette di dipanare l’essenza di i fenomeni… Il filosofo ritiene che nel pensiero occidentale esista una pulsione subconsciente che spinge le persone a cercare in una piacevole bugia il placebo per non sentire il dolore della realtà. Risvegliarsi fa male e a volte preferiamo il sonno e la cecità, pur coscienti del falso aspetto e della mancanza di sostegni concreti.
Il mondo della musica popolare, in particolare rap, reggaeton e trap, è un veicolo perfetto da cui muove l’ideologia. Possiede gli ingredienti necessari per introdursi nelle nostre vite e offrirci la sensazione di un’oasi in cui non è richiesto pensare o fare per ottenere certe piacevoli gratificazioni. Per questo l’universo di quelle canzoni è pieno di riferimenti epicurei in cui l’unico obiettivo è stare bene, trovare una sensazione di felicità. Zizek dice che, negli ultimi anni, c’è stata una valanga di persone ai consulti di psicoanalisi che chiedevano un rimedio per “essere più felici”. Il senso di colpa che affligge questi pazienti non è quello di aver trasgredito una certa norma morale, religiosa o sociale, bensì quella di non saper raggiungere quel Nirvana di piacevole gioia che viene venduto, quotidianamente, nei media e nelle reti. Cosa significa questo? Che nell’attuale postmodernità il mandato è essere felici a tutti i costi, indipendentemente dal fatto che questo presupponga un danno a medio e lungo termine. Il futuro è oggi, il domani non esiste. Strana massima che non possiede le potenti risonanze di un Sartre, ma che si inalbera a tutti i livelli di esposizione d’ idee dell’industria discografica e dei leader e influencer di oggi. Per questo l’evento che coinvolge il rapper messicano Tekashi a Cuba va oltre l’analisi morali e di semplici categorie che non riescono a definire l’intera dimensione del fenomeno e che restano alla superficialità di una condanna o di un ringraziamento. Filantropia e beneficenza o superbia e arroganza?
A livello individuale, è necessario comprendere il contesto altamente eroso in cui si muove Tekashi e che appare ritratto nel videoclip che ha girato a Cuba, quando racconta la rottura dei suoi genitori e ciò che questa ha generato materialmente. Nella sua personale assiologia, forse la carità e regalare denaro si classificano come un modo altruistico di bilanciare un universo che prima gli era avverso. Ma bisogna anche andare al contesto più ampio di un Paese che possiede altre implicazioni socio-classistiche e di eccezionalità che non consentono fare quell’unica lettura dell’evento. Nell’Isola esistono problematiche di indole complessa, dalla famiglia alla comunità e all’ambiente sociale, ma non hanno la stessa essenza di quello che potrebbe accadere in Messico. Per questo la lettura dei fatti cambia quando si colloca l’atto del donare nel contesto cubano. Sebbene si possa capire che c’è chi ci vede una buon opera, mai avrebbero dovuto includersi i bambini nelle riprese, poiché non hanno la capacità di giudizio per decidere da soli quale valore attribuirsi in questo caso. Tornando alla nostra analisi dell’ideologia dai criteri lacaniani e hegeliano-marxisti di Zizek, il gesto esprime la spinta al piacere e, in questo caso, al denaro facile che genera un clima di distensione e di placebo in mezzo a innegabili difficoltà. Ma è così che vogliamo uscire dai problemi, con la prosperità regalata?
“L’arte non è e non sarà mai un atto neutrale”.
Non si parla della stessa cosa quando si equilibrano concetti come carità e solidarietà. In uno c’è una posizione filantropica che -benché possa darsi il caso che non sia carica di orgoglio e antivalori- parte da un rapporto verticale con i beneficiari. Le persone sono guardate dall’alto, dal successo, dalla realizzazione e -parlando nei termini di Zizek- dall’ideologia o falsa coscienza dei vincitori. Nell’altro c’è un’orizzontalità che non richiede posizioni di potere e che punta ad abolire la disuguaglianza rafforzando il soggetto affinché agisca attivamente dentro la Storia, mutando le proprie circostanze e non restando prigioniero delle elargizioni di un terzo. Ma Tekashi non ha l’obbligo di saperlo né bisogna chiederglielo. A modo suo, lui crede in ciò che fa e si muove all’interno delle concezioni e valori appresi e assimilati durante il periodo traumatico della sua infanzia e che lo attraversano come relazioni socio-classiste che imprimono in lui un certo essere e una specifica idealità. Questo non è il momento di educare coloro che presumono di avere ragione, bensì di chiedersi, interiormente, se videoclip come questo trasmettono una coscienza alienata o reale di chi siamo e di ciò che vogliamo essere. È lì che la cultura assume il suo ruolo attivo e la critica assume i profili di un soggetto modificante che rilegge il fenomeno e lo interpreta responsabilmente. Se andiamo alla centralità del dibattito, vedremo che solidarietà e carità sono sullo stesso asse, ma rispondono a sistemi di valori diversi. Uno cerca fare tutto dall’io e dall’individualità. L’altro lo fa con noi come premessa e persegue l’inclusione. Ma in termini di mercato, l’adesione ai valori del neoliberalismo si fa evidente e con ciò non si vuole dire che il rapper sia cosciente del processo; bensì, come soggetto all’interno della corrente della cultura del suo ambiente, riproduce le logiche socio-classistiche già assunte e appropriate anche contro la sua volontà e come risultato di un’esperienza di persona oppressa che ha visto nell’arte una via di parziale fuga da quel giogo. La liberazione è incompleta e lo dimostra il modo in cui cerca di andare verso il piacere dal dolore. Zizek direbbe che il denaro è il placebo del presente, per diluire un passato che brucia e lacera, le cui ferite permangono intatte poiché il sistema che le genera sopravvive potentemente.
Il video, in questo modo, passa da essere uno strumento di emancipazione e diventa testimonianza dei drammi della persona che vi è protagonista, che inavvertitamente si tradisce. Il dolore inconscio viene sfruttato dall’industria e cerca di entrare in empatia con un altro dolore, quello delle comunità alle quali viene fatto un regalo facile e illusorio. Il piacere che non ci costa nulla, quello che si ottiene velocemente e facilmente, è un’utopia realizzabile e fugacemente raggiunta, sebbene il suo splendore svanisca con i primi raggi della realtà. Il video clip ci vende ciò, l’idea che si possa andare verso un mondo parallelo dove non c’è bisogno di rendersi coscienti di problematica alcuna, dal momento che non verrà risolto. È meglio lasciarle tranquille e accettare ciò che rapidamente ci faccia uscire dal dolore, senza interrogarci sul tipo di modificazione ontologica che questo ci imprime. L’essere è messo da parte di fronte alla felicità. E ancora una volta la postmodernità ci sorprende con quella ricerca infruttuosa di una gioia a tutti i costi e di una fuga dagli angoli oscuri della preoccupazione e dell’inquietudine. Non è che si debba vivere nello sconforto né nell’allarme costante, bensì che in termini di analisi ideologica questo caso si adatta molto bene alle funzioni anestetiche dell’ideologia come falsa coscienza del mondo e soprattutto come fenomeno attraversato dagli interessi di classe che impediscono di andare oltre le lenti che questo fatto impone. La metafora delle lenti scure è anche presa dal celebre documentario The pervert’s guide to ideology in cui Zizek ci parla di come la nostra visione sia mediata dai colori imposti da un potere terreno che ci precede. Questa compulsione distrugge la nostra volontà di agire ed il legittimo desiderio di una nostra felicità, con incluso il piacere. Quello che si cerca, allora, non è guardare, ma voltare la faccia o mettere dei parametri che limitino l’angolo visivo e lo condizionino verso un’unica forma (quella del potere). La costruzione di significati a partire da un senso ideologico si serve dell’ambito della cultura di massa e dell’uomo massa che Ortega y Gasset ha già descritto. Quel gregarismo, a volte legittimo ed ingenuo, è decostruito e influenzato da interessi di classe che promuovono il marketing dalla centralità del profitto assoluto. È come parlare di libertà dal fondo di un fosso e vedere nelle segrete un balsamo e un elemento scoraggiante. L’ideologia, anche quando ci viene inoculata come condizione sine qua non della felicità, conduce alle catene dell’oppressione e della dipendenza. Tenderemo a un livello di dipendenza che ci trasporterà negli abissi, essendo noi stessi quelli che ci vanno con i nostri piedi.
Come in certi vizi, il consumatore inizia cercando una felicità fugace e, quando la vede svanire, ripete l’operazione all’infinito fino allo sfinimento. Questo vale per trovare significanti nell’atto di consegnare denaro. Sia per chi dona che per chi riceve, il piacere è fugace e la prosperità gioca un ruolo secondario. L’importante è quel paradiso momentaneo che ci viene regalato e che, perché facile, realizzabile e immediato, sembra un rimedio davanti alle cose complesse e irrisolte della realtà. Ma l’apparenza mostra presto che non si va oltre il miraggio e che i problemi richiedono un ruolo attivo trasformatore, ben lontano dalla passività di chi riceve l’atto caritativo. In altre parole, il gesto non basta a porre fine alla situazione di vulnerabilità materiale, né nobilita pienamente il beneficiario. Il bilancio finale è l’immagine nelle reti sociali con le migliaia di letture e il prevalere dei racconti e delle interpretazioni dei fatti. Le lotte tra le fazioni e le prese di posizione segnano la virulenza del materiale e la sua velocità sulle autostrade digitali. Cuba non è un paese qualsiasi e la sua eccezionalità è presente nei dibattiti che si generano.
Il rapper continua a muoversi nel suo universo assiologico e comprensibile, sussunto da un contesto più ampio e di marketing. Non ha motivo di maneggiare le categorie che si agitano all’interno dell’opera d’arte. Non gli viene nemmeno chiesto di compiere un atto lacaniano di autocoscienza e interiorizzare il proprio essere, quello che ha incarnato in un video. Zizek parlerebbe degli strati di coscienza sussunti nelle condizioni dell’ideologia della postmodernità e collocherebbe il rapper in una di queste stazioni; ma questo non significa che ci sia un implicito giudizio morale né una condanna. Perché vedere l’evento solo nell’ambito del bene o del male limita i nostri strumenti. È meglio che vengano presi in considerazione altri assi di valori e interessi per svelare la sequenza di ruoli dietro il significato di questa proposta audiovisiva. La critica ha come scopo il ruolo di portare alla sua giusta espressione le dimensioni nascoste e metamorfosate del fenomeno. La realtà, che è capace di confutare l’ideologia, deve essere svelata al pubblico con il fine bisturi dell’analisi.
L’etica è influenzata dal materiale e questo, almeno sul piano sociale, ha implicazioni che vanno oltre un mero esercizio di dissezione semantica e stilistica. Questo evento pratico e concreto dei bambini trascende le categorie estetiche e filosofiche gestite come parte di una decostruzione. Non è ammissibile a livelli elementari di comprensione e comporta un altro sguardo dal legale e dal pedagogico, dal consensuale e dai diversi patti che questo comporta. Ma ciò che sì è centrale è la questione del denaro come unico modo per vivere in modo prospero. Lì, il paradiso momentaneo, l’utopia istantanea, ci riflettono che i rapporti tra cose e non tra persone continuano a mediare l’umanità dell’uomo e che lo rendono altro da sé. Alienazione che si collega alle visioni di Zizek sull’ideologia come fenomeno con risonanze lacaniane. Quel regno del piacere verso il quale stiamo andando è il denaro come somma della vita e della morte, come misura di tutte le cose. E oltre non esiste nulla. Fuggiamo dal dolore della povertà e corriamo verso il denaro.
In realtà i problemi fanno male e la filantropia non li risolve, bensì piuttosto li promuove e li riutilizza, dando un nuovo significato ai traumi.
In questa sequenza di ruoli in cui la motivazione è l’utopia liberale della facile prosperità, il soggetto perde la prospettiva e da buon consumatore si lascia trascinare dalla dipendenza fino a rompersi come un giocattolo difettoso. Il videoclip rimane quindi come testimonianza del processo e come pezzo che – almeno tangenzialmente- ha l’utilità di essere un documento di come opera la falsa coscienza. Zizek ha avuto ragione e nell’essere umano c’è una tendenza perversa che rasenta il dolore e che trova in quel sottile limite un insolito piacere: quello degli estremi e la ricerca di vitalità. Solo che nei torti della postmodernità le lacerazioni sono reali ed i drammi vanno oltre la spettacolarità di uno schermo o di qualche milione di like sulle reti sociali. In realtà i problemi fanno male e la filantropia non li risolve, bensì li promuove e li riutilizza, dando un nuovo significato ai traumi.
In questa verticalità di potere è necessario capire quanto è successo, benché il materiale trasmetta il messaggio buonista e conciliante di un regalo. Anche le mele delle fiabe sembravano gustose. E se non fosse che lo dicano i personaggi che conoscono bene la sua sequenza di ruoli e che ora, nonostante le riletture e le storie postmoderne, non peccheranno per ingenuità. Per quanto Superman voli da un edificio all’altro, gli esseri umani cadranno a causa della forza di gravità. È così che la realtà agisce sulle vittime dell’inganno dell’ideologia del mercato. Perdere la nozione e sprofondare nelle visioni colorate da lenti scure porta un vero dolore. Questo e nessun altro destino attende coloro che proseguono la ricerca di un vello d’oro regalato.
LAS MANZANAS DE LOS CUENTOS DE HADAS TAMBIÉN PARECÍAN SABROSAS
Por: Mauricio Escuela
El arte no es ni será jamás un acto neutral. Se mueven axiomas detrás de los gestos en apariencia más inocuos e inofensivos. Hay una falsa conciencia del mundo que se aprehende cuando consumimos determinadas ideas a partir de un tipo de industria cultural. En tal caso, las significaciones presentes en una obra determinada van direccionadas hacia un objetivo político y social, y poseen una carga semántica que reutiliza y refunda las funciones de los símbolos que originariamente tuvieron otra procedencia ideológica. En su documental The pervert´s guide to ideology, Slavov Zizek nos enuncia una serie de formas que adopta la ideología como manera de pensar las cosas del mundo desde un tamiz complejo y a la vez perverso, que no nos permite desentrañar la esencia de los fenómenos. El filósofo cree que en el pensamiento occidental existe una pulsión subconsciente que hace que las personas busquen en una mentira placentera el placebo para no sentir el dolor de la realidad. Despertar duele y a veces preferimos el sueño y la ceguera, aunque estemos conscientes del cariz falso y de la carencia de sustentos concretos.
El mundo de la música popular, sobre todo el rap, el reguetón y el trap, es un vehículo perfecto a partir del cual se mueve la ideología. Posee los ingredientes necesarios para introducirse en nuestras vidas y brindarnos la sensación de un oasis en el cual no es requerido pensar o hacer para que obtengamos determinada gratificación placentera. Por ello, el universo de esas canciones está lleno de referencias epicureístas en las cuales el único objetivo es sentirse bien, hallar una sensación de felicidad. Zizek dice que, en los últimos años, hubo una avalancha de gente a las consultas de psicoanálisis que pedía un remedio para “ser más feliz”. La culpa que aqueja a estos pacientes no es haber transgredido determinada norma moral, religiosa o social, sino la de no saber alcanzar ese Nirvana de la alegría placentera que se vende a diario en los medios y en las redes. ¿Qué quiere decir esto? Que en la posmodernidad actual el mandato es ser feliz a toda costa, sin que importe que ello presuponga un daño a mediano y largo plazo. El futuro es hoy, el mañana no existe. Extraña máxima que no posee las resonancias potentes de un Sartre, pero que se enarbola en todos los niveles de exposición de ideas de la industria disquera y de los líderes e influencers de hoy. Por ello, el acontecimiento que involucra al rapero mexicano Tekashi en Cuba va más allá de análisis morales y de categorías simples que no alcanzan a definir toda la dimensión del fenómeno y que se quedan en la superficialidad de una condena o de un agradecimiento. ¿Filantropía y caridad o soberbia y pretensión?
A nivel individual hay que entender el contexto sumamente erosionado en el cual se mueve Tekashi y que aparece retratado en el videoclip que filmara en Cuba, cuando narra la ruptura de sus padres y lo que ello generó materialmente. En su propia axiología personal, quizás la caridad y regalar dinero clasifican como una manera altruista de equilibrar un universo que a él mismo le fue antes adverso. Pero también hay que ir al contexto mayor de un país que posee otras implicaciones socioclasistas y de excepcionalidad que no permiten hacer esa única lectura del suceso. En la Isla existen problemáticas de índole compleja, desde la familia hasta la comunidad y el entorno social, pero no poseen la misma esencia que lo que pudiera ocurrir en México. Por ello la lectura de los hechos cambia cuando se sitúa el acto dadivoso en el contexto cubano. Si bien pudiera entenderse que haya quien vea en ello una buena obra, nunca debió incluirse a niños en la filmación, pues no poseen la capacidad de juicio para decidir por sí mismos a qué valor adscribirse en este caso. Volviendo a nuestro análisis de la ideología desde el criterio lacaniano y hegeliano-marxista de Zizek, el gesto expresa la pulsión de placer y, en este caso, de dinero fácil que genera un clima de distensión y de placebo en medio de dificultades innegables. Pero, ¿es así como queremos salir de los problemas, con prosperidad regalada?
“El arte no es ni será jamás un acto neutral”.
No se habla de lo mismo cuando se sitúan en una balanza conceptos como el de caridad y el de solidaridad. En uno hay una posición filantrópica que —aunque pueda darse el caso de que no esté henchida de orgullo y antivalores— parte de una relación verticalista con los beneficiados. Se mira a la gente desde arriba, desde el éxito, desde el logro y —hablando en los términos de Zizek— desde la ideología o falsa conciencia de los ganadores. En el otro, existe una horizontalidad que no requiere de posicionamientos de poder y que apuesta por abolir la desigualdad empoderando al sujeto para que actúe de manera activa dentro de la Historia, cambiando su circunstancia y no siendo preso de las dádivas de un tercero. Pero Tekashi no tiene por qué conocer esto ni hay que pedírselo. A su forma, él cree en lo que hace y se mueve dentro de las concepciones y valores aprendidos y aprehendidos durante el periodo traumático de su infancia y que lo atraviesan como relaciones socioclasistas que imprimen en él un determinado ser y una idealidad específica. No es el momento de educar a quien asume que está en lo correcto, sino de preguntar hacia adentro si videoclips como ese trasmiten una conciencia alienada o real del ser que somos y del que queremos ser. Allí es donde la cultura toma su rol activo y la crítica asume los ribetes de sujeto modificador que relee el fenómeno y lo interpreta responsablemente. Si se va a la centralidad del debate, veremos que solidaridad y caridad están en un mismo eje, pero responden a sistemas de valores diferentes. Uno pretende hacerlo todo desde el yo y la individualidad. Otro lo hace con el nosotros como premisa y persigue la inclusión. Pero en términos de mercado la apuesta por los valores del neoliberalismo se hace evidente y con ello no se quiere decir que el rapero esté consciente del proceso; sino que, como sujeto dentro de la corriente de la cultura de su medio, reproduce las lógicas socioclasistas ya asumidas y apropiadas aun en contra de su voluntad y como resultado de una experiencia como persona oprimida que vio en el arte una vía para zafarse parcialmente de ese yugo. La liberación es incompleta y lo demuestra la forma en que pretende ir hacia el placer desde el dolor. Zizek diría que el dinero es el placebo del presente, para diluir un pasado que quema y lacera, cuyas heridas permanecen intocadas pues el sistema que las genera pervive con potencia.
El video, de esta forma, pasa de ser una vía para el empoderamiento y se revierte en un testimonio de los dramas de la persona que lo protagoniza, quien sin querer se delata. El dolor subconsciente es explotado por la industria e intenta empatizar con un dolor otro, el de colectividades a las cuales se les entrega una dádiva fácil e ilusoria. El placer que nada nos cuesta, el que se obtiene rápido y fácil, es una utopía alcanzable y alcanzada fugazmente, si bien su brillo se diluye con los primeros rayos de la realidad. El videoclip nos vende eso, la idea de que se puede ir hacia un mundo paralelo donde no hay que concienciar problemática alguna, ya que estas no se van a resolver. Es mejor dejarlas quietas y aceptar aquello que de forma rápida nos saque del dolor, sin cuestionarnos el tipo de modificación ontológica que ello nos imprime. El ser queda de lado ante la felicidad. Y una vez más la posmodernidad nos sorprende con esa búsqueda sin hallazgo de una alegría a toda costa y de una huida de los oscuros rincones de la preocupación y el desasosiego. No es que haya que vivir incómodos ni en constante alarma, sino que en términos de análisis ideológico este caso se amolda muy bien a las funciones anestésicas de la ideología como falsa conciencia del mundo y sobre todo como fenómeno atravesado por intereses de clase que impiden ir más allá de las gafas que impone este asunto. La metáfora de los lentes oscuros es tomada también del famoso documental The pervert´s guide to ideology en el cual Zizek nos habla de cómo nuestra visión está mediada por los colores impuestos por un poder terrenal que nos precede. Esta compulsión nos destruye la voluntad de actuar y el deseo legítimo de una felicidad propia con placer incluido. Lo que se intenta, entonces, no es mirar, sino virar el rostro o ponerle unos parámetros que limiten el ángulo visual y lo condicionen hacia una sola forma (la del poder). La construcción de significaciones desde un sentido ideológico se sirve del alcance de la cultura de masas y del hombre masa que ya describiera Ortega y Gasset. Ese gregarismo, en ocasiones legítimo e ingenuo, es deconstruido e impactado por intereses de clase que impulsan una mercadotecnia desde la centralidad de la renta absoluta. Esto es como hablar de libertad desde el fondo de un foso y ver en las mazmorras un bálsamo y un elemento desalienador. La ideología, aun cuando se nos inocule como condición sine qua non de la felicidad, conduce a las cadenas de la opresión y la dependencia. Tenderemos a un nivel adictivo que nos transportará a los abismos, siendo nosotros mismos quienes vamos por nuestros pies.
Como en determinados hábitos, el que consume comienza buscando una felicidad fugaz y, cuando la ve diluirse, repite la operación infinitamente hasta el degaste. Ello aplica para hallar significantes en el acto de entregar dinero. Tanto para quien da, como para quien recibe, el placer es efímero y la prosperidad juega un rol secundario. Lo importante es ese paraíso momentáneo que se nos regala y que, por ser fácil, alcanzable e inmediato, pareciera un remedio ante las cosas complejas e irresueltas de la realidad. Pero la apariencia pronto demuestra que no va a llegar más allá del espejismo y que los problemas requieren de un papel activo transformador muy distante de la pasividad de quien recibe el acto caritativo. Dicho en otras palabras, el gesto no alcanza ni a terminar con la situación de vulnerabilidad material, ni dignifica totalmente al beneficiado. El saldo final es la imagen en redes sociales con los miles de lecturas y la prevalencia de los relatos y las interpretaciones sobre los hechos. Las pugnas entre partidismos y las tomas de posición marcan la virulencia del material y su rapidez en las autopistas digitales. Cuba no es cualquier país y su excepcionalidad está presente en los debates que se generen.
El rapero se sigue moviendo en su universo axiológico y entendible, subsumido por un contexto mayor y más mercadotécnico. No tiene por qué manejar las categorías que se agitan dentro de la obra de arte. Ni siquiera se le pide que haga un acto lacaniano de autoconciencia e interiorice su propio ser, ese que ha plasmado en un video. Zizek hablaría de las capas de la conciencia subsumida en las condiciones de la ideología de la posmodernidad y situaría al rapero en una de estas estaciones; pero ello no quiere decir que haya implícitamente un juicio moral ni una condenación. Porque ver el suceso solo dentro del marco de lo bueno o lo malo nos limita las herramientas. Es mejor que se tengan en cuenta otros ejes de valores y de intereses para desentrañar la secuencia de roles que hay detrás de la significación de esta propuesta audiovisual. La crítica posee como finalidad el papel de llevar a su justa expresión las dimensiones escondidas y metamorfoseadas del fenómeno. La realidad, que es capaz de refutar la ideología, debe ser develada ante el público con el fino escalpelo del análisis.
La ética es impactada por el material y ello, al menos en el plano de lo social, posee implicaciones que van más allá de un mero ejercicio de disección semántica y estilística. Ese suceso práctico y concreto de los niños trasciende las categorías estéticas y filosóficas manejadas como parte de una deconstrucción. No es admisible a niveles elementales de entendimiento y conlleva otra mirada desde lo legal y lo pedagógico, lo consensuado y los diferentes pactos que ello entraña. Pero lo que sí está en la centralidad es la cuestión del dinero como única vía para un vivir próspero. Allí, el paraíso momentáneo, la utopía instantánea, nos reflejan que las relaciones entre cosas y no entre personas siguen mediando la humanidad del hombre y que lo convierten en otra cosa diferente de sí. Alienación que entronca con las visiones de Zizek sobre la ideología como fenómeno de resonancias lacanianas. Ese reino del placer hacia el cual vamos es el dinero como sumun de la vida y de la muerte, como medida de todas las cosas. Y más allá no existe nada. Huimos del dolor de la pobreza y corremos hacia el dinero.
En la realidad los problemas duelen y el filantropismo no los soluciona, sino que los promociona y los reutiliza, resignificando los traumas.
En esa secuencia de roles en la cual la motivación es la utopía liberal de la prosperidad fácil, el sujeto pierde la perspectiva y como buen consumidor se deja llevar por lo adictivo hasta romperse como un juguete defectuoso. Queda entonces el videoclip como testimonio del proceso y como pieza que —al menos tangencialmente— posee la utilidad de ser un documento de cómo opera la falsa conciencia. Zizek ha estado en lo cierto y en el ser humano hay una tendencia perversa que roza el dolor y que halla en ese delgado límite un placer inusitado: el de los extremos y la búsqueda de vitalidad. Solo que en los entuertos de la posmodernidad las laceraciones son reales y los dramas van más allá de la espectacularidad de una pantalla o de unos millones de likes en las redes sociales.
En la realidad los problemas duelen y el filantropismo no los soluciona, sino que los promociona y los reutiliza, resignificando los traumas.
En esta verticalidad de poder hay que entender lo acontecido, aunque el material transmita el mensaje buenista y conciliador de un regalo. Las manzanas de los cuentos de hadas también parecían sabrosas. Y si no que lo digan los personajes que conocen bien su secuencia de roles y que ahora, a pesar de las relecturas y los relatos posmodernos, no van a pecar de ingenuos. Por mucho que Superman vuele de un edificio a otro, los seres humanos caeremos producto de la fuerza de gravedad. Así actúa la realidad sobre las víctimas del engaño de la ideología de mercado. Perder la noción y hundirse en las visiones coloreadas por unos lentes oscuros conlleva dolor real. Ese y no otro destino les espera a quienes prosigan la búsqueda de un vellocino de oro regalado.