Interviste a Tony Guerrero un Eroe cubano

Luca V. Calcagno | articolotre.com

Tony-GuerreroAntonio Guerrero Rodriguéz è uno dei cinque agenti cubani detenuti a Miami con l’accusa, mai provata, di ‘cospirazione’ contro gli Stati Uniti, liberati il 17 dicembre scorso nel solco del disgelo. Il suo impegno contro i gruppi terroristici anti-Cuba, prima, e i 16 anni di prigionia, poi, gli hanno permesso, tornato in Patria, di essere decorato Eroe Nazionale.

Ho letto che si è laureato all’Università di Kiev in Unione Sovietica, come mai quella scelta?

Negli anni ’80 tra Cuba e l’Unione Sovietica esisteva un rapporto di collaborazione, anche sul lato dell’istruzione. Perciò, come molti altri cubani, sono andato a studiare in Ucraina, dal’78 all’83, con una borsa di studio ottenuta per i miei successi scolastici. Ero molto interessato alla costruzione di edifici e sopratutto aeroporti.

Quali erano le differenze tra i due Stati?

Prima di tutto Unione Sovietica e Cuba sono due paesi diversi con due storie diverse. All’epoca noi cubani entravamo in contatto con un Paese diverso dal livello di vita accettabile, dove eravamo accolti con lo stesso affetto e rispetto che avevamo per il popolo sovietico.

Negli anni ’90 quel popolo ha scelto di compiere un cambiamento, anche di stampo economico, ma proprio in virtù delle due storie diverse di Cuba e dell’URSS non per forza abbiamo dovuto intraprenderlo a nostra volta. E dopo 25 anni dalla disintegrazione dell’Unione sovietica, noi siamo ancora sulla nostra strada, pur mantenendo buoni rapporti con la Russia e gli ex Stati sovietici.

Ci spieghi le circostanze dell’arresto suo e dei suoi compagni, davvero non c’erano prove a carico contro di voi?

Negli Stati Uniti, se un cittadino di qualsiasi Stato compie un lavoro per un altro Stato, deve registrarsi. Noi, negli anni ’90, abbiamo violato quella legge, perché non esistevano relazioni tra gli Usa e Cuba. Siamo stati mandati in missione segreta, perché non sapevamo cosa facessero i gruppi terroristici di Miami, contro il cui terrorismo Cuba doveva difendersi.

La violazione in cui siamo incorsi corrispondeva a una condanna molto bassa che, nella maggior parte delle volte, portava all’espulsione dagli Stati Uniti. Abbiamo riconosciuto di aver violato la legge sulla registrazione, ma gli Stati Uniti volevano punire Cuba. All’inizio siamo stati incolpati di cospirazione, ma non c’era alcun documento classificato che potesse provarlo. Dopo 8 mesi dall’inizio del processo hanno inventato un altro capo di imputazione. Quello era l’unico modo per far sì che il processo prendesse la direzione corrispondente agli interessi della mafia controrivoluzionaria.

16 anni di un’ingiusta reclusione, cosa le ha permesso di resistere?

Per prima cosa l’innocenza: non ho danneggiato nessuno né ho apportato danni alla sicurezza degli Stati Uniti. Secondo, i miei principi. Stavo facendo qualcosa che era necessario, stavo difendendo la vita del mio popolo e di qualsiasi cittadino del mondo. Diceva José Martí: “Un principio giusto, in fondo a una grotta, è più forte di un esercito”, ed era quello che succedeva. Ci tenevano dentro dei ‘buchi’, isolati, ma noi là avevamo comunque i nostri principi. Terzo motivo, l’amore e la solidarietà: sapevamo che la nostra famiglia, i nostri amici, il nostro popolo erano con noi dal primo giorno con il loro appoggio. Sono stati supportato dai tanti amici che avevo, e ho, negli Stati Uniti e poi è arrivata la solidarietà mondiale. Infine, la creazione artistica: la poesia e la pittura; ma anche l’insegnamento, che ci facevano sentire liberi e utili.

Perché in carcere ha scritto proprio poesie?

La poesia non ha spiegazioni, neanch’io saprei dire perché. Ero al secondo giorno di prigionia e non avevo mai scritto nulla di poetico, non avevo nemmeno con che cosa scrivere. Ma ho scritto in modo naturale, senza intenzione, come intrattenimento. Poi sono seguite anche molte lettere a mano e un diario. Questa era la mia prosa, usata per comunicare, non per narrare.

In carcere avete subito violenze fisiche o psicologiche?

Fisica no, psicologica sì. Sono stato, ma così anche i miei compagni, in cella d’isolamento per 17 mesi, mentre ai prigionieri molto gravi quella punizione arriva massimo a 60 giorni, come da regolamento. Ci sono stati anche altri momenti più critici di cui, però, preferisco non raccontare. In 16 anni sono stato a contatto con prigionieri comuni, alcuni con problemi psicologici o soltanto violenti, ma ho dovuto conviverci e averceli come compagni di cella. A volte ho avuto con loro dei problemi seri e le autorità sapevano, ma sembrava che quella forma di violenza psicologica appartenesse a un disegno.

Con gli altri prigionieri ci siamo sempre rapportati nel segno del rispetto e dell’aiuto reciproco: prestavamo la carta a chi avesse bisogno di scrivere; abbiamo insegnato la matematica, a dipingere, trattando sempre tutti con rispetto e lealtà. Ho avuto 16 anni di prigionia senza alcun incidente disciplinare, nonostante avessi passato situazioni molto serie.

Gli attentati contro Cuba avevano lo scopo di destabilizzare la Rivoluzione?

Negli anni subito dopo la caduta del comunismo, Cuba si è trovata isolata e in una crisi economia. Ha perciò dovuto investire molto nel turismo. Un’enorme quantità di bombe ha investito alberghi, luoghi turistici, aeroporti, e bus di Cuba per danneggiare il settore turistico. La vita era davvero difficile. È capita, per esempio, una mitragliata contro una costa cubana. O ancora, una persona è stata pagata per mettere sette bombe, ricevendo 4 mila dollari a bomba. Questo dev’essere chiaro anche in Italia, perché per quella serie di attentati è morto anche un cittadino italiano, Fabio Di Celmo, con sogni e idee. Questi attacchi sono dimostrati e documentati negli Usa. Il loro obiettivo era scoraggiare il turismo verso Cuba e creare scontento nel popolo per la Rivoluzione.

Oggi qual è il maggiore pericolo per la Rivoluzione cubana?

I terroristi di cui stiamo parlando continuano a camminare per le strade di Miami, pensando di annichilire la Rivoluzione. Finché saranno là non ci sarà modo di neutralizzarli. Ma gli Stati Uniti di recente hanno fatto dei passi per cambiare le loro relazioni con Cuba. Noi cubani abbiamo molti punti da sviluppare e come tutti gli Stati abbiamo i nostri problemi. Il futuro di Cuba dipenderà da ciò che saremo capaci di fare. Ma vogliamo farlo in pace e senza il blocco, con relazioni economiche giuste e in un clima di solidarietà con gli altri paesi del mondo, specialmente quelli dell’America latina e dei Caraibi. Siamo sicuri che nonostante tutto quello che si dirà di Cuba, la nostra gioventù continuerà l’opera della Rivoluzione cominciata il primo gennaio 1959 sotto la guida di Fidel Castro. Chi volesse convincersi di questa realtà, è invitato a visitare Cuba.

Il riavvicinamento tra Stati Uniti e Cuba è un bene?

Il dialogo tra Cuba e Stati Uniti sta avvenendo passo dopo passo e la parte cubana ha chiesto che la si tratti con rispetto, mostrandosi aperta al dialogo in tutti i campi. Sono gli Usa che devono cambiare politica verso Cuba. Aspettiamo che si possa giungere, infine, a un miglioramento di queste relazioni.

Perché il comunismo è sopravvissuto a Cuba, mentre in molti altri Stati è stato marginalizzato?

È una domanda molto estesa. Nessun Paese è stato comunista, perché quel che viene definito teoricamente comunismo non si è realizzato in nessun Stato. Nell’Unione Sovietica e nei paesi del campo socialista la trasformazione inaugurata con la Rivoluzione d’ottobre ha portato a un nuovo sistema economico di stampo socialista e poi i loro problemi interni e storici hanno portato questo sistema a diventare capitalista.

Il capitalismo ha già molti anni e quello che ha dimostrato fino a oggi è che non è la soluzione ai problemi dell’umanità: non è in grado di di combattere la disuguaglianza e gli altri mali che affliggono l’Uomo. Non può essere che le ricchezze siano concentrate nelle mani di pochi e questo rimanga così eternamente. La società capitalista col suo essere consumista, arriverà a esaurire tutte le risorse della Terra, procurando altri problemi, come il cambiamento climatico e il pericolo di guerre. Il socialismo, invece, è un sistema nuovo rispetto al capitalismo, ed è un processo in divenire.

Occorre sedersi e riflettere, ma tralasciando le etichette, sul mondo complesso e convulso in cui viviamo, cercando di capire come possiamo vivere in pace e distribuendo al meglio le risorse del pianeta. Un mondo migliore è possibile e penso che debba essere meta principale di tutti i popoli e di tutti gli Stati.

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