Il fantasma della dollarizzazione

Fernando Arribas García | prensapcv.wordpress.com
Traduzione per Resistenze.org

DOLLARI500ANelle ultime settimane si è tornato a parlare della possibile dollarizzazione dell’economia nazionale, ossia, la sostituzione totale o parziale del bolivar con il dollaro come unità monetaria e riferimento per lo scambio commerciale nel nostro paese. L’Ufficio politico del Partito Comunista del Venezuela si è pronunciato energeticamente e immediatamente contro tale possibilità, e giorni dopo lo ha fatto anche il presidente Nicolás Maduro.

Già in altri momenti questo tema aveva aperto dibattiti, anche se mai prima con tanta forza come in questa occasione: alcuni media hanno anche parlato del possibile inizio delle trattative tra rappresentanti del governo nazionale e funzionari di una delle compagnie assemblatrici di veicoli che operano nel paese per legalizzare la compra-vendita in dollari di alcuni beni e servizi, in particolare dei veicoli a motore, cosa che rappresenterebbe un gravissimo primo passo nella preoccupante direzione verso la dollarizzazione.

La smentita del governo ha messo da parte per ora la possibilità della dollarizzazione, ma la realtà è che continuano ad esserci le condizioni oggettive propizie affinché certi settori insistano sul tema, adesso o nel futuro prossimo. Risulta opportuno, quindi, affrontare la questione con maggiore rigore.

Perché la dollarizzazione

La dollarizzazione, a prima vista, risulta tremendamente attrattiva per paesi che patiscono squilibri macroeconomici come quelli che attraversa il Venezuela.

Ricordiamo alcune delle tendenze che stiamo monitorando con preoccupazione dal 2009 e che annunciavano la situazione economica alla quale è giunto il paese: l’inflazione venezuelana è, da dieci anni, la più alta del continente e una delle più alte del mondo, con una media annualizzata di oltre il 35% dal 2008; le riserve internazionali della Repubblica sono crollate da oltre 43 miliardi di dollari alla fine del 2008 a meno di 18 miliardi a metà maggio; la bilancia dei pagamenti è risultata negativa in 7 degli ultimi 8 anni; il risultato di bilancio consolidato della Repubblica è passato da un avanzo significativo nel 2006 a un deficit di circa il 18% del PIL nel 2013 (ultima cifra disponibile); il debito pubblico consolidato nonostante appena un 20% del PIL nel 2008 è passato a oltre il 50% nel 2013; la massa monetaria (M2) è cresciuta di oltre il 1000% dal 2008 al 2014.

In tale contesto, non può sorprendere che la moneta nazionale abbia sofferto un marcatissimo deterioramento negli anni recenti, sia nel fronte interno come in relazione al suo cambio nei confronti con altre monete del mondo. Se a questo sommiamo la sempre maggiore carenza di dollari sia per le obbligazioni dello Stato sia per far fronte alla domanda privata di moneta, e che deriva in buona misura da queste stesse cause (aggravate nei mesi recenti dalla caduta dei prezzi del petrolio), si comprende che alcuni settori approfittano per esporre la possibilità della dollarizzazione totale o parziale, diretta o implicita, dell’economia nazionale come soluzione ai severi e crescenti disallineamenti che patiamo.

La dollarizzazione nel mondo

In situazioni simili, altri paesi hanno optato nel passato per misure simili, e vari, includendo alcuni di certa levatura, mantengono attualmente le loro economie totalmente o parzialmente dollarizzate.

In Argentina, dopo l’iperinflazione degli anni ’80-’90 e vari tentativi falliti di ristabilire l’equilibrio con l’introduzione di nuove monete nazionali, e in un panorama generale di debolezza e disordine delle finanze pubbliche, si optò, dal 1991 e fino al 2002, per la libera circolazione del dollaro in parità di condizioni con la moneta nazionale.

Anche in Perù, di fronte al fallimento della nuova moneta nazionale, precipitata per l’alta inflazione, l’eccessiva spesa pubblica e l’emissione monetaria inorganica, si è permesso dalla fine degli anni ’80 la libera circolazione del dollaro, che giunse ad essere nel 1991 quasi tanto usato come la stessa moneta nazionale.

In Ecuador, dopo vari anni di inflazione persistente, alta spesa pubblica, rapido indebitamento e caduta delle riserve internazionali, si prese nel 2000 la decisione di interrompere completamente la moneta nazionale e adottare il dollaro statunitense come unico mezzo di pagamento legale e obbligatorio.

In Zimbabwe, come misura estrema dopo il collasso completo dell’economia risultato del grave disordine finanziario dello Stato e i numerosi errori di politica economica commessi dal governo a partire dal 2000, si interruppe completamente la moneta nazionale nel 2009 e si adottò la libera circolazione di varie valute internazionali, tra esse il dollaro, l’euro e la lira sterlina.

Oltre questi ultimi paesi, oggi si mantiene la dollarizzazione completa in El Salvador, tra le altre piccole economie; ci sono nel mondo anche vari casi di dollarizzazione parziale informale o ufficiosa.

Effetti della dollarizzazione

L’adozione di una moneta straniera forte come mezzo di pagamento e unità monetaria di riferimento per il mercato interno, ha portato, in generale, risultati eccellenti nella riduzione dell’inflazione.

Caso dopo caso, questo ricorso ha condotto, in tempi sorprendentemente brevi, a una riduzione brusca del tasso d’inflazione fino praticamente a eguagliarlo con quello esistente nel paese emittente della moneta adottata. Se la moneta in questione è il dollaro statunitense, bisogna tener in conto che il tasso annuale dell’inflazione negli USA non ha raggiunto il 10% dal 1981, e si è mantenuto da 25 anni sotto il 4%.

Il caso ecuadoriano illustra sufficientemente bene questo effetto: nel 1999, ultimo anno in cui circolò il sucre, il tasso d’inflazione superò il 53%, ma nonostante le difficoltà immediate che generò il processo di dollarizzazione, già nel 2001 era caduto a circa il 20%, e dal 2002 non ha mai superato il 7%.

Più marcato è stato il caso dello Zimbabwe, che, dopo aver raggiunto nel 2008 una inflazione annuale stimata (il governo sospese i rapporti ufficiali sull’inflazione nell’ottobre di quell’anno) in bilioni per cento, raggiunse appena un anno dopo dell’abbandono della moneta nazionale un tasso d’inflazione di solo il 5%.

Le ragioni per la quale avviene questo drammatico risultato sono molto semplici ed evidenti, ma allo stesso tempo ci danno il primo allarme circa l’elevatissimo costo che la dollarizzazione ha per il paese in certi aspetti molto sensibili: adottando una moneta straniera, lo Stato rinuncia a qualsiasi forma di controllo sulla politica monetaria, e si conforma a quello che decide l’ente che emette la moneta adottata (nel caso del dollaro statunitense, il Consiglio della Federal Reserve).

Posto che non c’è altra emissione di moneta che quella autorizzata e effettuata da questo ente straniero, la massa monetaria circolante nel paese risulta strangolata da fuori, e il suo taglio rimane fissato e determinato senza possibilità di variazione. E con la massa monetaria così vincolata, i prezzi dovranno necessariamente conformarsi a essa: la somma dei prezzi di tutti i beni e servizi offerti nel paese tende automaticamente a corrispondere alle dimensioni della massa monetaria esistente, e visto che questa non può crescere se non lo autorizza l’ente emittente straniero, nemmeno i prezzi possono aumentare, in modo che l’inflazione rimane soffocata di colpo.

Attenzione: perché no alla dollarizzazione

Ma prima che qualsiasi lettore si entusiasmi con l’idea, passiamo in rassegna quello che il paese consegnerà, insieme con le competenze di emissione del denaro, in cambio della stabilità dei prezzi: niente di meno che il diritto sovrano di stabilire e amministrare la politica monetaria della Repubblica, risolvere le politiche del credito e dei tassi di interesse e supervisionare il sistema dei pagamenti e la stabilità del sistema finanziario nazionale, tutte funzioni che sarebbero del tutto o parzialmente sottomesse alle decisioni delle autorità del paese che emette la valuta straniera che si adotta.

Cioè, riguarderebbe tutte le principali funzioni che costituzionalmente corrispondono all’ente regolatore del sistema monetario e co-responsabile della stabilità macro-economica nazionale, la Banca Centrale del Venezuela (BCV), oltre ad altre attribuzioni che, anche se non corrispondono esclusivamente all’autorità monetaria, verrebbero ugualmente compromesse, come quella dell’emissione autonoma di debito pubblico.

Ciò equivale in pratica al fatto che lo Stato riconosce che non è in grado di regolare e disciplinare se stesso, in modo da consegnarsi alla disciplina “paternale” che gli impone l’ente emittente straniero.

La BCV è quella che decide sui tassi di interesse vigenti per la banca commerciale del paese, e che secondo i criteri e le politiche di espansione o restrizione monetaria che si stabilisce in coordinamento con l’Esecutivo. E’ inoltre la BCV quella che stabilisce e regola le politiche di credito, i suoi stop, distribuzione per portafogli e altri dettagli, con l’obiettivo di uno sviluppo equilibrato dell’economia nazionale. Ed è la BCV, allo stesso, l’ente che supervisiona e garantisce il funzionamento del sistema di pagamento, la compensazione, il sistema di riserve bancarie, le riserve bancarie obbligatorie, e in generale il buon funzionamento del sistema finanziario nazionale.

Tutto questo sarebbe gravemente compromesso, con grave danno per la sovranità economica e l’indipendenza in generale della Repubblica, adottando una valuta estera come corso legale nel paese, indipendentemente dalla valuta e del paese che la emette.

Ma se si tratta del dollaro USA, dobbiamo aggiungere a questo saldo negativo il danno politico che rappresenterebbe la nostra sottomissione all’ente regolatore della valuta di un paese con i cui governi abbiamo frequenti e giustificati scontri.

E non abbiamo nemmeno menzionato i danni “collaterali” alla dignità nazionale e al patrimonio culturale e storico del paese, che verrebbe anch’esso lesionato dall’abbandono di quello che è stato dal 1879 uno dei simboli dello Stato nazionale venezuelano.

Che fare allora?

La risposta inizia con un’altra domanda: perché ci troviamo oggi in una situazione economica così spinosa da esser giunti a sollevare la possibilità della dollarizzazione?

Rivediamo i casi internazionali di dollarizzazione a cui ci siamo riferiti prima e traiamo alcuni elementi comuni tra essi e simili al caso venezuelano attuale: in tutti c’è un netto peggioramento degli indicatori macroeconomici fondamentali, con indebolimento della situazione finanziaria dello Stato, indisciplina fiscale e disordine nella spesa pubblica e nella gestione del bilancio della Repubblica, l’emissione di moneta senza il sostegno organico e la crescita accelerata della massa monetaria, l’eccessiva interferenza del governo nel funzionamento dell’ente emittente, caduta delle riserve internazionali, crescita rapida dell’indebitamento pubblico, inflazione sostenuta.

Insomma, il Venezuela ha seguito negli ultimi dieci anni, quasi senza deviazione, una rotta che conduce inesorabilmente al declino economico della Repubblica – che è stato denunciato da anni dal PCV – e che in passato ha condotto più di un paese alla dollarizzazione. E in conseguenza, la risposta alla domanda iniziale passa dall’invertire tutte queste tendenze che si sono aggravate a partire dal 2007-2008.

E’ necessario impedire che la moneta nazionale continui a deteriorarsi cosa che avvicina il paese sempre più all’odiosa possibilità della dollarizzazione. Per fare questo, devono stabilirsi meccanismi che, per esempio, regolano più strettamente la gestione della riserva internazionale e garantiscano che siano mantenute al livello più alto possibile; inoltre, è necessario rispettare i meccanismi già esistenti, come la disposizione costituzionale che vieta alla BCV di “convalidare o finanziare politiche fiscali deficitarie”, o che richiedono il mantenimento di un fondo di stabilizzazione macroeconomica capace di “garantire la stabilità delle spese dello Stato”.

L’inflazione

Per quanto riguarda l’inflazione, anche se questa si deve in ultima analisi a deficienze strutturali profonde nell’economia reale che generano uno squilibrio tra l’offerta e la domanda di beni e servizi nel mercato nazionale, e non a squilibri monetari, è da notare che le misure del governo, avallate dalla BCV, hanno sovra-stimolato la domanda e aggravato la crescita della massa monetaria, che ha contribuito all’aggravamento dell’inflazione. Il governo, da molti anni, è ricorso numerose volte all’aumento della spesa pubblica senza contare su condizioni economiche che garantiscono la sostenibilità di tali spese; e la BCV, soprattutto negli ultimi sette o otto anni, ha accettato di finanziare il deficit fiscale emettendo nuova moneta senza contare sul sostegno organico dovuto.

Si tenga in chiaro che né la crescita della massa monetaria è la principale causa dell’inflazione, né la sua riduzione conduce alla cura definitiva di questa malattia (tesi fondamentale dell’antipopolare dottrina economica denominata “monetarista”); ma, nelle nostre condizioni attuali, in cui la liquidità effettivamente è cresciuta a velocità molto superiori rispetto all’economia reale, una politica di stretto controllo in questo senso certamente ci porterebbe un po’ di sollievo.

In breve, se le nostre autorità, sia governative che monetarie, imparano a autoregolarsi e a pianificare e organizzare meglio il funzionamento del sistema economico nazionale in generale – oltre allo sviluppo indipendente, industrializzazione con sovranità e una economia diversificata – scomparirebbe dalla scena, una volta per tutte, l’abominevole possibilità della dollarizzazione dell’economia, che in fondo non è altro che rinunciare a uno degli elementi costitutivi della sovranità nazionale, e sottoporre il paese alla disciplina che, in assenza di una auto-imposta, ci impone a sua discrezione l’autorità monetaria di un paese straniero.

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