Governo Eisenhower: impedire trionfo Rivoluzione

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L’amministrazione repubblicana presieduta da Dwight D. Eisenhower, sin dal suo insediamento, affrontò in Cuba una nuova situazione. Il Presidente iniziò il suo mandato nel 1953, anno in cui, con i fatti del 26 luglio, una nuova avanguardia rivoluzionaria emergeva nella lotta contro la dittatura di Fulgencio Batista.

Quindi l’amministrazione Eisenhower dovette affrontare la sfida della situazione rivoluzionaria in Cuba, il trionfo di quelle forze e l’inizio delle trasformazioni rivoluzionarie. A sua volta, questa circostanza ebbe ripercussione nell’insieme dell’America Latina. Lo scenario cambiava in modo rapido e anche sorprendente.

Gli Stati Uniti dovevano definire la loro politica di fronte alla nuova situazione e comprensibile la logica della posizione assunta dall’amministrazione Eisenhower in quegli anni, soprattutto dal 1957.

Durante la cerimonia d’insediamento, Eisenhower aveva dichiarato che avrebbe seguito le linee politiche principali tracciate dai suoi predecessori democratici e, in conseguenza, formulò l’idea – che certamente non era nuova – che “il destino ha destinato al nostro paese la responsabilità del mondo libero” (1). Da questa posizione affrontò il problema cubano.

Il colpo di Stato del 10 marzo del 1952 a Cuba e le differenti reazioni, provocarono un cambio nella situazione politica dell’Isola che, insieme ad altri fattori d’ordine strutturale, avrebbe dato il passo, in breve tempo, ad una situazione rivoluzionaria; tuttavia, nelle alte sfere decisionali nordamericane i segnali d’allarme arrivarono solo a situazione inoltrata. Cuba non appare come una speciale preoccupazione fino al 1957, quando il tema cominciò ad occupare spazio nei dibattiti governativi. La persistenza della lotta insurrezionale cominciò a richiamare l’attenzione, ancora quando non si percepiva un imminente pericolo per il sistema.

Il 16 settembre di quell’anno, in un telegramma diretto al Dipartimento di Stato nordamericano, il consigliere dell’Ambasciata all’Avana, Daniel M. Bradock, riferiva che il governo cubano non sembrava essere capace di liquidare la ribellione nella Sierra Maestra (2).

Senz’altro, si cominciava a percepire la complessità della situazione anche se non al punto di prima priorità.

Alla fine dell’anno, si cominciò a prestare maggior attenzione al problema cubano e iniziò il disegno di alternative per trovare una soluzione a quel che chiamavano “il deterioramento della situazione”. L’ambasciatore Earl E. T. Smith inviò le sue “Raccomandazioni per restaurare la normalità a Cuba” il 7 dicembre, mentre il giorno 19 il direttore dell’Ufficio per gli Affari dell’America Centrale e Messico, William Wieland, inviava un primo memorandum al segretario e aiutante di Stato per gli Affari Interamericani, Roy Rubottom, sulle “Raccomandazioni politiche per la restaurazione della normalità a Cuba”, che contemplava quattro fasi relazionate tra loro.

Le raccomandazioni partivano da un’asse centrale: l’Ambasciatore doveva persuadere Fulgencio Batista ad adottare misure che potessero scalfire la moderazione dell’opposizione e creare un’atmosfera per un compromesso. Questo avrebbe dato luogo ad un clima propizio per svolgere le elezioni. Dall’esito delle due prime fasi dipendeva l’azione seguente: se l’opposizione era restia a partecipare a quegli avvicinamenti, se era intransigente di fronte ai passi del Governo, si doveva spiegare agli oppositori che la loro posizione non lasciava agli Stati Uniti altra alternativa che un completo ed aperto appoggio al regime; d’altra parte se Batista non accoglieva le raccomandazioni di creare un clima appropriato per le elezioni, si doveva accelerare la caduta del suo regime, incentivando “quegli elementi responsabili dell’opposizione ad adottare un programma che fornisse garanzie adeguate per la protezione della vita dei nordamericani, delle loro proprietà e dei loro investimenti in Cuba, quando il Governo provvisorio avrebbe preso il potere” (3).

Senz’altro, si cominciava a prestare attenzione alla crisi cubana, ma le soluzioni si muovevano all’interno dei percorsi storicamente noti delle relazioni tra i due paesi: le concezioni tradizionali del dominio neocoloniale. Non c’era un allarme particolare con Cuba.

In quell’anno, l’amministrazione statunitense era alle prese con problemi a cui dava maggior priorità. Il 15 gennaio, Eisenhower aveva inviato un messaggio al Congresso in cui chiedeva l’autorizzazione per usare le forze armate in Medio Oriente, nel caso l’esecutivo determinasse la necessità di fornire assistenza a qualsiasi nazione la richiedesse per affrontare un’aggressione armata procedente da qualsiasi paese controllato dal comunismo.

Questo contenuto, conosciuto come “dottrina Eisenhower”, fu ampliato, giorni dopo, quando affermò che “gli interessi vitali dell’America sono mondiali, abbracciano i due emisferi e tutti i continenti” (4).

L’anno 1958 già presentava un’altra situazione: l’argomento Cuba acquistò importanza come tema d’analisi e dibattito per chi doveva determinare la politica da intraprendere con la situazione cubana.

La crescente capacità delle forze rivoluzionarie per sostenersi ed avanzare, e la loro reale potenzialità per rovesciare la dittatura di Fulgencio Batista diventò evidente, perciò fu imprescindibile prestare attenzione al caso cubano, cercare informazioni e tracciare la politica, prevenendo il possibile sviluppo degli avvenimenti.

Nei dibattiti sviluppatisi nelle alte sfere si apprezzavano alcuni temi di particolare interesse, come identificare la reale incapacità del governo Batista per affrontare con successo o meno l’insorgenza popolare, determinare le caratteristiche delle forze d’opposizione, stabilire la possibilità d’agire con alcune di queste forze e, in modo particolarmente ricorrente, definire la tendenza della dirigenza del Movimento Rivoluzionario 26 Luglio (MR-26-7).

Nei temi segnalati, l’enfasi fondamentale era attorno alla figura di Fidel Castro, ovvero, la ricerca della definizione ideologica di questo leader che, per l’insistenza che si nota nei documenti nordamericani, già nel 1958 era identificato come “decisivo” all’interno del conflitto cubano.

PERCEZIONI E DEFINIZIONI

Quanto segnalato sino ad ora, non implica un’unanimità dei criteri nelle distinte istanze; al contrario, di fronte a questa nuova situazione che si verificava in Cuba ci fu una disparità di criteri sulla stessa valutazione di quanto accadeva, le differenti forze implicate e la politica da seguire; nonostante, i temi fondamentali delle analisi si centravano in questi aspetti sebbene divergevano gli apprezzamenti ed anche le proposte di possibili azioni. Quello che sì appare evidente è che, nonostante il forte confronto che si produceva a Cuba, e l’intensità raggiunta dalla lotta popolare, il governo degli Stati Uniti, ancora nel 1958, non sembrava particolarmente allarmato di poter perdere le redini della situazione.

Quanto affermato in precedenza, si evidenzia nello stesso cambio d’ambasciatore alla metà del 1957. Il secondo periodo del mandato di Dwight D. Eisenhower cominciò in quell’anno e, come parte dei procedimenti abituali, l’ambasciatore all’Avana, Arthur Gardner, presentò la sua rinuncia all’incarico.

Non era nulla di strano, si lasciava libertà all’Amministrazione per adottare le modifiche considera necessarie. La rinuncia fu accettata e si nominò un nuovo ambasciatore, in questo caso Earl E. T. Smith, che non era un diplomatico di carriera ma un uomo d’affari.

Con la sostituzione dell’ambasciatore, si aspettavano certi cambiamenti nella stretta relazione pubblica che Gardner aveva sostenuto con Batista, tuttavia non era stato scelto un diplomatico per un luogo in conflitto, evidenziando che la situazione cubana non aveva ancora raggiunto un’importanza speciale nell’attenzione nordamericana.

Il nuovo ambasciatore ebbe un discusso inizio con una visita a Santiago di Cuba, giusto il giorno dopo l’omicidio di Frank Pais, che aveva emozionato la popolazione, e che lo obbligò ad assistere alla manifestazione delle donne della città, che vestite a lutto, scesero per strada a protestare, ed alla violenta repressione della Polizia.

Le sue dichiarazioni alla stampa non furono soddisfacenti per il regime, a tal punto che s’insinuò anche una possibile dichiarazione di “persona non grata”. La tensione fu risolta rapidamente con il pieno appoggio della Segreteria di Stato all’Ambasciatore e con la comunicazione diretta di questi con Batista.

Nonostante l’avventuroso inizio, Smith sviluppò uno stretto vincolo con il governo e con Batista in particolare, cosa che segnò notevolmente i suoi giudizi sulla situazione cubana inviati al suo governo e che si possono leggere chiaramente nel suo libro, scritto dopo il termine della sua missione in Cuba (5).

Il proposito disegnato dal Dipartimento di Stato e dal suo ambasciatore all’Avana per risolvere il conflitto interno in Cuba e migliorare il clima politico sino a raggiungere una soluzione soddisfacente, portava a potenziare le elezioni generali, previste nel giugno del 1958, come un passo importante.

L’ambasciatore Smith lavorò in questa direzione, invitando Batista a ristabilire le garanzie costituzionali. Com’è noto, le elezioni furono posposte fino al mese di novembre, quando nemmeno i più ottimisti negli Stati Uniti speravano potessero risolvere la crisi.

Non solo il Dipartimento di Stato stava analizzando e delineando la politica verso Cuba, anche altri lo stavano facendo e l’ispettore generale della CIA, Lyman B. Kirkpatrick, in quegli anni, realizzò tre visite a L’Avana. La prima nel 1956, la seconda nel 1957 e la terza nel settembre del 1958. La sua attenzione era concentrata sul funzionamento dei corpi repressivi, specialmente sul Burò Repressivo delle Attività Comuniste (BRAC), anche se prestò attenzione ad altri possibili contatti e canali d’informazione.

Nel suo libro “The Real CIA” egli si riferisce al dissenso dell’ambasciatore Smith per i contatti con figure dell’opposizione. Kirkpatrick rispose che avevano bisogno d’informazioni, com’era logico, per i servizi segreti, e fece anche un riferimento generico ad altri contatti presi all’estero (6).

L’Ispettore Generale non menziona, specificatamente, l’incontro sostenuto con Luis Buch, coordinatore del Comitato nell’Esilio del M-26-7, stabilito in Venezuela, con la copertura di membro del Consiglio di Sicurezza Nazionale in visita nei Caraibi.

Il 18 agosto del 1958, si svolse l’incontro presso l’Hotel Tamanaco, a Caracas; Fidel Castro fu informato con un messaggio cifrato. Oltre all’esposizione fatta da Buch sulle posizioni del Movimento 26 Luglio e la richiesta della fine dell’appoggio militare statunitense a Batista, va rilevato che Kirkpatrick centrò le sue domande sulla composizione dell’opposizione, sulla sua unità e leadership, sulla disposizione di accettare una mediazione di un governo amico e sulla percezione che aveva del comunismo, sull’influenza e il settore in cui era più forte (7). La CIA si avvaleva di mezzi propri per ottenere informazioni e stabilire i contatti.

Dai documenti consultati, si evince l’immagine che le distinte proposte ebbero rispettive prospettive, non sempre coincidenti, sebbene si può osservare che nel 1958 si cominciò ad adottare una certa cautela circa alcuni aspetti delle relazioni con il governo di Batista, nel tema della vendita d’armi degli Stati Uniti a Cuba e l’insistenza nella necessità di migliorare il clima politico dell’Isola come argomento principale.

L’opinione pubblica, in alcun modo, era un fattore da tenere in considerazione. Alcuni interventi di congressisti e le denuncie dell’opposizione cubana sull’uso improprio delle armi consegnate al governo di Cuba nell’ambito del Programma d’Assistenza per la Mutua Difesa e destinate alla difesa continentale, creavano situazioni imbarazzanti. In particolare, la direzione del Movimento 26 Luglio ed i suoi rappresentanti all’estero rendevano pubblico l’uso di queste armi, delle truppe addestrate da questo programma e anche dell’appoggio ricevuto dal governo di Batista, nella guerra che si combatteva in Cuba, dalla Base Navale di Guantanamo e denunciava anche le brutalità della repressione governativa.

La situazione, nel trascorso dell’anno, avrebbe obbligato a realizzare nuove analisi e varianti di soluzioni.

Il memorandum di Wieland a Rubottom, del 17 gennaio 1958, può semplificare la posizione prevalente agli inizi dell’anno.

Wieland informò di una sua conversazione con l’ambasciatore Smith sulla situazione cubana. Si parlò della necessità d’influire su Batista per svolgere elezioni “accettabili” il 1º giugno e dell’importanza di migliorare il clima politico, con la restaurazione delle garanzie costituzionali, di rimuovere alcuni dei più brutali ufficiali dell’Esercito e della Polizia, e che “sarebbe desiderabile un’amnistia generale, includendo i prigionieri politici e possibilmente la maggioranza delle forze che lottano con Fidel Castro nelle montagne della Sierra Maestra”, misure a cui l’opposizione avrebbe dovuto rispondere con “un alto grado di responsabilità”, giacché anche le forze rivoluzionarie “sono parzialmente responsabili della violenza che sconvolge il paese”. Si aspirava ad una “transizione ordinata” che tuttavia si credeva possibile (8). E’ da evidenziare che solo si specificava: “le forze che lottano con Fidel Castro nelle montagne della Sierra Maestra”, dimostrando l’importanza che s’assegnava a questo gruppo all’interno dell’opposizione.

Il 13 febbraio, Wieland comunicava a Smith che “era ancora fiducioso che si potesse incontrare una strada effettiva per mostrare l’altra faccia della storia di Castro alla stampa nordamericana e al Congresso”, riferendosi alle informazioni di Herbert Mathews (9). Evidentemente, la scelta di Fidel Castro non era la migliore per chi tracciava la politica regionale degli Stati Uniti, anche se le note dell’ambasciatore Smith costruivano un’immagine debole di Fidel e del Movimento 26 Luglio tra i cubani, oltre alla disorganizzazione dell’opposizione, e quindi non trasmettevano sintomi allarmanti.

Man mano che le azioni rivoluzionarie conquistavano terreno ed il Governo perdeva possibilità, si utilizzò, con enfasi crescente, l’argomento dell’appoggio comunista a Fidel Castro.

Va notato che l’attenzione si centrò in ogni momento nella figura di Fidel Castro e nel movimento che dirigeva, confermando l’importanza che guadagnava nella percezione nordamericana della crisi cubana.

La documentazione disponibile lo dimostra, così come l’intenzionalità di legare la leadership rivoluzionaria di Fidel all’influenza comunista. Secondo Smith, Batista gli aveva riferito dell’appoggio comunista a Fidel Castro e che i suoi sostenitori distribuivano letterature di tal genere, per cui l’Ambasciatore chiese prove per screditare il movimento tra i simpatizzanti relazionati alla sua valutazione che il Movimento 26 Luglio era il gruppo dell’opposizione con maggior numero di seguaci in Cuba.

L’insistenza di Batista sull’influenza comunista all’interno del movimento rivoluzionario fu ricorrente e servì per giustificare le sue azioni, come avvenne con il rinvio delle elezioni per il mese di novembre.

Le note dei funzionari statunitensi, che cercavano di caratterizzare il movimento ed il suo leader, si ripetono durante tutto quell’anno decisivo. Il 21 febbraio, il Consolato di Santiago di Cuba emise un dispaccio, il cui tema era “Fidel Castro, Movimento 26 di Luglio”, in cui si affermava che gli avvenimenti del paese erano dominati da due cubani: Fulgencio Batista e Fidel Castro e che definiva quest’ultimo come “il più amato, il più odiato e la persona più controversa nella scena politica cubana (…)”.

Dopo un riferimento alla sua famiglia, Fidel era segnalato come una persona nota per “le sue idee rustiche, che era passato da radicale a liberale nella sua filosofia politica”, che era considerato come un Robin Hood e si affermava che : “Mentre si converte in un simbolo di resistenza al Governo di Batista, si trasforma in un eroe per adolescenti e giovani cubani”.

Si caratterizzava anche il Movimento guidato da Fidel, per la sua insolita attrazione verso tutti i settori della società cubana. Alla fine del dispaccio si affermava che quegli uomini riunivano le condizioni pe permettere un’infiltrazione comunista e che potevano ricevere agenti russi (10).

Il tema dell’influenza comunista nel Movimento 26 di Luglio e sul suo principale dirigente, mostra le differenze d’opinione tra chi seguiva la situazione cubana. Una nota dell’Intelligence del 1º aprile, segnala che non c’erano prove che confermassero l’accusa di comunismo di Fidel Castro fatta dal governo cubano, ma sì diceva che: “È un immaturo ed un irresponsabile” (11).

Nella riunione 362 del Consiglio di Sicurezza Nazionale, il direttore della CIA, Allen W Dulles, si riferì agli avvenimenti più recenti di Cuba, alludendo al fallimento d’un tentativo di sciopero organizzato dalle “forze di Castro”, ovvero lo sciopero del 9 aprile.

Dulles considerava che quello avrebbe obbligato la guerriglia a retrocedere verso le sue piazzeforti nella provincia d’Oriente, dove era difficile sconfiggerla; lui calcolava almeno 1.200 membri e pensava che vincere quelle forze era scontato perché “l’Esercito cubano è leale a Batista”. Nello stesso tempo affermava che non c’erano prove d’ispirazione comunista diretta o appoggi di questo tipo alla “rivolta di Castro”. In questo momento la sua percezione sulla posizione del Governo era ottimista (12).

L’ottimismo derivato dai fatti del 9 aprile motivò nuove riflessioni. All’interno del Dipartimento di Stato alcuni proposero la possibilità di creare un altro avvicinamento al di fuori del contesto di Batista e Fidel Castro e delle screditate figure dell’opposizione, come i leaders autentici Carlos Prio, Manuel Antonio (Tony) Varona, Ramón Grau. Questo apriva un nuovo aspetto con uno sviluppo posteriore: la ricerca d’una terza forza da promuovere per porre fine alla crisi cubana.

Il tema dell’influenza o dell’appoggio comunista al Movimento 26 di Luglio e al suo leader continuò ad essere ricorrente per alcuni dei funzionari implicati nel dibattito su Cuba, trai quali si evidenziava l’ambasciatore Smith.

L’argomento della sospensione della vendita d’armi al governo cubano provocò una prolungata discussione tra le parti: Smith diceva, a metà anno (il 16 giugno), che alla fine gli unici beneficiari di quella politica potevano essere i comunisti.

Naturalmente, la cattura di cittadini nordamericani nel Secondo Fronte Orientale “Frank Pais” potenziò ancora di più l’attenzione di quelle forze e la necessità di classificarli ideologicamente, ma in quel momento la cosa più importante era la forma di negoziare l’argomento, senza che ciò implicasse un riconoscimento ufficiale, né concessioni. In quelle circostanze, l’Ambasciatore ritornava nuovamente sulle sue indicazioni d’una presenza comunista tra i “ribelli”.

In senso generale, nel Dipartimento di Stato si apprezzava una tendenza maggiore nel riconoscere l’influenza comunista, anche se non in modo unanime, mentre i servizi segreti ribadivano la mancanza di prove, anche se nelle note conosciute delle due organizzazioni appaiono altre due figure di quel movimento che sono seguite da vicino: Ernesto Guevara e Raúl Castro, che sono relazionati maggiormente con influenze marxiste e posizioni “antinordamericane”. In alcuni casi si sostiene che “Castro sta ricevendo cattive influenze”, senz’altro, Fidel era il più difficile da catalogare ideologicamente, anche se gli avevano dedicato più attenzione che al resto degli oppositori di Batista.

UNA DEFINIZIONE: L’OPPOSIZIONE A FIDEL CASTRO

Man mano che l’Esercito Ribelle dimostrava la sua capacità di sconfiggere le truppe nemiche, il problema delle definizioni si faceva più urgente. Il memorandum del capo della Divisione d’Indagine e Analisi per le Repubbliche Americane, del 25 settembre, aveva un titolo molto significativo: “Necessità d’informazioni sul carattere della leadership del movimento cubano 26 di Luglio”.

In quel memorandum si sosteneva la preoccupazione che il Governo degli Stati Uniti accertasse che il Movimento non fosse dominato dai comunisti, e poi aggiungeva, secondo le informazioni allora in possesso, che “Fidel Castro non è comunista ed i comunisti non hanno un ruolo dominante nella direzione del Movimento 26 di luglio (sic), ma questo non è conclusivo”, e per questa ragione necessitavano di altre informazioni su Fidel ed il Movimento 26 di Luglio completo, e di sapere se prevalevano gli antinordamericani e i pro marxista o d’altre tendenze (13).

Al margine delle opinioni opportunistiche di alcuni interlocutori cubani, come i rappresentanti del Governo e lo stesso Batista, o rappresentanti dell’opposizione come Manuel Antonio (Tony) Varona o Carlos Márquez Sterling, dare una catalogazione ideologia al Movimento 26 di Luglio diventava sempre più imprescindibile, senza che riuscissero ad avere consenso, né disporre d’informazioni sufficienti e veritiere. Opinioni come quella che i militanti del Partito Socialista Popolare esercitavano la direzione del Movimento ribelle ed altri similari, non possono considerarsi seri criteri, ma una parte dell’interesse per creare un’atmosfera d’ostilità nel contesto della Guerra Fredda. Tuttavia si può affermare che ci fu un crescente interesse – e necessità – d’ottenere quegli elementi che permettessero l’imprescindibile catalogazione, anche se ci riuscirono solo in modo frammentato. Ci fu consenso invece, nel rifiuto della vittoria delle forze dirette da Fidel Castro e della loro presa di potere.

D’altronde, è molto significativo che già dal mese di febbraio si cominciarono a considerare possibili soluzioni pacifiche con l’inclusione dei rappresentanti del Movimento 26 di Luglio.

La stessa Ambasciata nordamericana faceva notare che nell’appello pubblico dell’Episcopato della Chiesa Cattolica a Cuba, per creare un Governo d’Unità Nazionale, si pensava ai rappresentanti dei partiti dell’opposizione e s’includeva il Movimento di Fidel Castro o che, almeno desse la sua approvazione al nuovo governo.

La continuità delle gestioni della Chiesa Cattolica fu resa nota dall’Ambasciata e nel telegramma del 10 marzo, e si diceva che il Nunzio Apostolico aveva informato sulla disposizione di creare un comitato di Vescovi, tenendo in considerazione che l’Arcivescovo d’Oriente, Pérez Serantes, “aveva salvato la vita di Fidel Castro anni prima” (sic) e che avrebbe fatto pressioni su di lui per fargli accettare una soluzione pacifica. In quella nota s’affermava che “l’influenza del Movimento 26 di Luglio sembra essersi incrementata in modo allarmante nelle ultime settimane” (14).

Quei riferimenti al Movimento 26 di Luglio e a Fidel Castro crebbero nei documenti degli Stati Uniti. Il 12 marzo lo stesso Rubottom si riferiva alle difficoltà che si osservavano per una soluzione pacifica e faceva notare come “particolarmente importante” il ruolo di Castro in qualsiasi cambio della situazione politica, domandando se aveva raggiunto sufficiente prestigio personale per “essere un fattore dominate nella scena politica cubana, se Batista andava via” (15). Smith rispose che lo considerava importante, però non dominante, perché se Batista lasciava il potere, il Movimento 26 di Luglio avrebbe perso coesione. E’ evidente che le note di Smith erano molto condizionate dalle sue relazioni politiche in Cuba.

Un interessante memorandum del mese di marzo a proposito d’una lettera di Carlos Piad, un membro dell’opposizione del gruppo di Carlos Prio, in cui s’inviavano i nomi di possibili membri di una giunta civico-militare, seguendo le istruzioni di Tony Varona, commenta il punto di vista dell’Ufficio degli Affari Centro Americani sulla soluzione più conveniente, che era quella elettorale, che non era stata possibile e con Batista rovesciato: il metodo meno eccepibile era un colpo militare seguito da una giunta civile o civico-militare che, successivamente, avrebbe nominato un presidente provvisorio.

Ma questo era possibile se “Castro non trionfava nell’imporre il suo piano d’istaurare un governo controllato interamente dalle sue forze” (16). Era apparsa nelle strutture del Dipartimento di Stato la preoccupazione dell’influenza del Movimento 26 di Luglio e del suo leader Fidel Castro sugli avvenimenti futuri e, quindi la ricerca di soluzioni che lo escludessero.

Nel mese di novembre il panorama era più chiaro circa il corso futuro degli avvenimenti. Una nota speciale dell’Intelligence Nazionale del 24 era titolata “La situazione a Cuba” e, nelle conclusioni, stimava che Fidel Castro, in combinazione con altri gruppi ribelli, non poteva rovesciare il Governo in pochi mesi, ma che nemmeno il governo poteva sconfiggere la guerriglia, e vedeva la soluzione in un’azione delle forze armate per deporre il regime, nello stabilire una giunta e convincere l’opposizione rivoluzionaria che avrebbe avuto una significativa influenza all’interno del governo provvisorio.

LE OPZIONI DI FRONTE ALLA CRISI

Il fallimento delle elezioni di novembre non permetteva d’aspettare il cambio di comando del 24 febbraio dell’anno successivo, pertanto si adottarono decisioni d’urgenza. Secondo Philip W Bonsal, che sarebbe stato nominato ambasciatore a Cuba nel gennaio 1959, si chiamò Smith per le consultazioni a Washington affinché, in sua assenza, un emissario non ufficiale potesse parlare con Batista e dirgli che doveva lasciare il paese in mano ad una giunta militare per raggiungere una transizione ordinata (17). Nei documenti di politica estera citati, appare solo una nota sul tema che riproduce il frammento del libro di Smith, dove narra la sua conversazione del 10 dicembre nel Dipartimento di Stato, ovvero, quando fu informato dell’invio di un contatto non ufficiale per conversare con Batista (18). La scarna informazione pubblicata nei documenti ufficiali, pertanto, mostra il carattere segreto che fu dato a quella missione.

Tuttavia, Thomas G. Paterson è più esplicito nel suo libro nel trattare la vicenda, grazie alle fonte consultate (19). A partire da quest’autore si può avere maggior precisione sulla “Missione Pawley” del dicembre 1958.

Alla fine di novembre, funzionari del Dipartimento di Stato, tra cui R. Rubottom e J.C. King, capo della Divisione dell’Emisfero Occidentale della CIA della Direzione Piani, si riunirono a Miami con William D. Pawley, per affidargli una missione decisa al più alto livello.

Era un uomo d’affari che era stato a Cuba con suo padre quando era giovane, che organizzò e fu presidente della Compagnia Nazionale Cubana de Aviación, poi venduta alla Pan American Airways e che, dopo aver fatto affari in altre parti del mondo, nel 1949 organizzò una società d’autobus a L’Avana, conosciuta come “Autobuses Modernos”. Aveva vecchie relazioni con Cuba, parlava fluentemente lo spagnolo, era stato ambasciatore in Perù ed in Brasile, e manteneva una relazione con Eisenhower, con cui sembra aver tenuto delle riunioni precedenti a quella di Miami, per avvisarlo della “minaccia comunista” a Cuba. Senz’altro, era impregnato dello spirito della Guerra Fredda.

Pawley doveva convincere Batista a rinunciare e ad andare con la sua famiglia nella sua casa di Daytona Beach, con la garanzia che i suoi seguaci non sarebbero stati oggetto di rappresaglie. Gli Stati Uniti avrebbero consegnato le armi pendenti al nuovo governo, che avrebbe organizzato le elezioni durante i suoi 18 mesi di provvisorietà. Sebbene, secondo Pawley, Eisenhower l’aveva autorizzato a parlare a suo nome con Batista, Rubottom gli comunicò la modifica: non poteva dire a nessuno che parlava per il Presidente. Smith partì da Cuba il 4 dicembre e il 7 Pawley e sua moglie viaggiarono a L’Avana, dove dapprima si riunì con il primo ministro Gonzalo Güel, che comunicò a Batista il proposito della visita.

Il Presidente lo ricevette il giorno 9 dopo un rifiuto iniziale. Nelle raccomandazioni per la composizione del governo provvisorio, l’emissario segnalò il colonnello Ramón Barquín, il generale Martín Díaz Tamayo, il maggiore Enrique Barbonet e José “Pepín” Bosh, dell’impresa Bacardí (20).

Il rifiuto di Batista ad accettare il piano, determinò l’azione immediata degli Stati Uniti.

Nel mese di dicembre del 1958, negli Stati Uniti si produsse una maggior convergenza tra le diverse posizioni circa la necessità di prescindere da Batista per raggiungere una soluzione.

Nella riunione 391 del Consiglio di Sicurezza Nazionale, del 18 dicembre, Allen Dulles fu molto chiaro: “La Comunità dell’Intelligence credeva che Batista sarebbe stato capace di riunire forze sufficienti per salvarsi e che Castro probabilmente sarà vittorioso in quella che si è convertita in una guerra civile”. Considerava che la situazione era “critica”. Di fronte all’osservazione del Presidente che “era difficile intendere come le forze ribelli avevano guadagnato tanta forza così rapidamente”, fu commentato che si diceva che il 95% del popolo appoggiava Castro (21).

Nei criteri di Dulles si rifletteva la relazione speciale dell’Intelligence Nazionale di due giorni prima, in cui si affermava che, per via del dominio ribelle in Oriente e l’incremento delle sue attività a Camaguey, Las Villas e Pinar del Rio, “Castro presto prenderà il potere con conseguenze disastrose per Cuba” (22).

Il giorno dopo, l’ambasciatore Smith informava sull’interesse nuovamente esposto dal Nunzio Apostolico per ottenere una soluzione pacifica, e sollecitava l’autorizzazione per fare suggerimenti, nei quali includeva un piano che doveva essere presentato dal Cardinale, in cui si proponeva un governo provvisorio che chiamasse alle elezioni, sotto la supervisione dell’OEA e con l’appoggio evidente degli Stati Uniti. Con questo, diceva, il trionfo di Castro sarebbe stato più difficile (23). Mentre l’ambasciatore continuava ad essere impegnato nell’elaborare piani da Cuba per una “transazione pacifica”, quando l’avanzata rivoluzionaria era già incontenibile, il Dipartimento di Stato e la CIA avvicinavano le loro posizioni per sviluppare azioni coordinate di fronte all’imminente caduta di Batista. Tutte le varianti in questa direzione coincidevano nell’impedire il trionfo di Fidel Castro e delle sue forze.

Il memorandum di Herder al Presidente, del 23 dicembre, è categorico: pur considerando che non c’erano sufficienti prove per accusare che tra i ribelli esisteva un’influenza comunista, egli affermava che “il Dipartimento non desidera vedere Castro conseguire la leadership del Governo”(24).

Quello stesso giorno si tenne la riunione 392 del Consiglio di Sicurezza Nazionale, in cui il Direttore della CIA disse che “se Castro prende il potere in Cuba, potrà avvenire che gli elementi comunisti partecipino al Governo”.

Furono espresse idee come “Castro è il maggiore dei due mali rappresentati da Castro e Batista”; “Castro è sostenuto dagli elementi radicali estremisti”; “Sembra unanime che un regime di Castro è indesiderabile” e, alla fine, il Presidente espresse la sua speranza nella crescita, la forza e l’influenza d’una “terza forza” (25).

Nel frattempo, era stato posto in marcia il piano per l’eliminazione fisica del leader della Rivoluzione. Il 28 dicembre 1958 fu scoperto e detenuto dalle forze ribelli nella Sierra Maestra, il nordamericano Aller Robert Nye, al quale fu sequestrato un fucile Remington calibro 30.06 dotato di teleobiettivo: con quell’arma voleva uccidere il Comandante in Capo.

Nye era un agente dell’FBI ed il Governo degli Stati Uniti lo mise a disposizione di Batista e della sua cupola militare, perché lo contrattassero per quella missione.

La storia fu rivelata nel gennaio del 1959 dalla rivista Carteles. Sono disponibili alcune note diplomatiche che l’Ambasciata degli Stati Uniti all’Avana inviò alle autorità rivoluzionarie, intercedendo per detto agente.

Tuttavia il 31 dicembre, in una conferenza nell’ufficio di Herter, alle quattro del pomeriggio, si stava discutendo della partecipazione dell’OEA in un intervento pacifico a Cuba, dei precedenti di Raúl Castro e di Ernesto Guevara, della possibilità di definire il Movimento di Fidel Castro come comunista, dell’affermazione presidenziale che il Governo era unito contro Castro e della necessità d’una terza forza per sconfiggere politicamente Castro (26).

Quella stessa notte, Herter inviava un telegramma alla sua ambasciata in Cuba, riconoscendo gli sforzi che stava realizzando e affermando che “il Movimento 26 Luglio ha mostrato poco senso di responsabilità o abilità necessaria per governare Cuba soddisfacentemente e la sua linea nazionalista è un cavallo che i comunisti sanno bene come cavalcare” (27).

Gli avvenimenti che si sarebbero susseguiti nelle ore seguenti, inclusa la fuga del tiranno Batista ed il tentativo di colpo di Stato, erano parte della soluzione immediata alla crisi che aveva di fronte il governo d’Eisenhower.

DI FRONTE AL POTERE RIVOLUZIONARIO

I fatti del 1 gennaio 1959 imposero una virata totale alla situazione cubana e già il giorno 5 si discusse e si riconobbe la situazione dell’ambasciatore Smith e di Philip W Bonsal.

Il 7 gennaio si riconobbe il nuovo governo cubano, ma cominciò allora un altro momento nelle relazioni bilaterali che gli Stati Uniti affrontarono nell’ambito delle loro concezioni tradizionali: si propose nell’immediato un negoziato per spingere il Movimento 26 di Luglio contro “gli elementi radicali e contro la possibile crescita della forza dei comunisti”, a partire dal riconoscimento che Castro era “indiscutibilmente il capo a Cuba” (28).

Per questo s’inviava un nuovo ambasciatore che sì era un diplomatico di carriera, con esperienza negli affari dell’America Latina e che era stato nel servizio diplomatico all’Avana tra il 1938 ed il 1939.

Philip Bonsal viaggiò a L’Avana il 19 febbraio ed il 3 marzo presentava le carte credenziali al nuovo presidente, Manuel Urrutia.

Anche il nuovo ambasciatore concepì la sua missione partendo dalle tradizionali posizioni di dominio. A suo giudizio, il sistema, con i nuovi politici che si erano opposti a Batista, i “capitalisti”, la “classe media emergente” ed i sindacati, avrebbero avuto il ruolo principale e potevano confinare il nuovo governo ed i leaders della Sierra Maestra all’interno dei tradizionali “modelli democratici” di condotta.

Confidava nel fatto che “Washington era il leader non solo degli attivisti direttamente responsabili della caduta del dittatore, ma di molte delle forze potenzialmente dinamiche nella vita cubana”.

In modo che, indipendentemente dalla “filosofia di Castro”, il nuovo governo doveva attuare a partire da questi modelli (29).

Nelle nuove circostanze però divenne ancora più urgente la classificazione ideologica di Castro e la necessità di rafforzare il predominio dei gruppi “moderati” su quelli che definivano “estremisti”.

Nel corso del 1959 diventò evidente che la rotta rivoluzionaria del nuovo potere era irreversibile, e con quello si chiarì anche l’impossibilità di aspettare il predominio d’una linea “moderata”, così come avevano aspirato.

Le tensioni crebbero rapidamente, durante il primo anno di potere rivoluzionario a Cuba, ed il governo statunitense definì presto la sua posizione ostile. Le azioni nemiche cominciarono dai primi momenti del potere rivoluzionario ma, alla fine dell’anno, un memorandum di Rubottom al sottosegretario di Stato, Dillon, può servire per comprendere la logica della definizione della politica verso Cuba.

Quel documento, del 28 dicembre, aveva come oggetto “Programma d’azione su Cuba” e, tra gli argomenti, segnalava che “sebbene il nostro atteggiamento di pazienza e tolleranza nella conduzione delle nostre relazioni con Cuba si è guadagnato, in modo generale, l’approvazione dell’America Latina e della stampa negli Stati Uniti, si crede che nel confronto di queste continue provocazioni sia giunto il momento in cui il Governo degli Stati Uniti deve assumere una posizione più apertamente critica” ed aggiungeva che “questo comportamento non può essere considerato un segno di debolezza e di stimolo degli elementi comunisti-nazionalisti che in tutte le parti dell’America latina stanno trattando di promuovere programmi similari a quelli di Castro”.

Per Rubottom, questi programmi potevano “erodere il prestigio degli Stati Uniti” ed esporre i proprietari nordamericani ad un uguale trattamento.

Partendo da quelle considerazioni proponeva un programma d’azione da eseguire immediatamente, che contemplava diverse misure di pressione diplomatica ed economica, iniziando con la quota saccarifera di Cuba nel mercato degli Stati Uniti, e poi con le azioni continentali dai paesi latinoamericani, ed altre (30).

Il 30 dicembre Dillon approvò il programma con leggere modifiche. Senz’altro, il conflitto bilaterale andava oltre l’inizio dell’impatto della Rivoluzione cubana nel continente, che rappresentava un indebolimento della posizione egemonica nordamericana, che non se lo poteva permettere.

Per quello si doveva evitare la vittoria di quelle forze e, quando già fu impossibile, della necessità di neutralizzare il carattere rivoluzionario della nuova direzione.

Visto che l’obiettivo non si poteva realizzare, si cominciò a definire una politica d’ostilità in difesa degli interessi globali dell’impero.

Fu un’opposizione alle forze rivoluzionarie ancor prima che arrivassero al potere, che ebbe continuità con l’inizio delle trasformazioni rivoluzionarie in Cuba.

Gli Stati Uniti non potevano tollerare un’incrinatura nel loro domino e il fallimento della loro egemonia.

(*Dott.sa in Scienze Storiche)

1. Citato in Foster Rhea Dulles, America Rise to World Power 1898, 1954, Harper & Row Publishers, The University Library, New York, 1963, p. 271. (Tutte le citazioni dai testi in inglese sono state tradotte dall’autrice.)

2. Foreign Relatians of the United States, 1955-1957. Vol. VI American Republics: Multilaterale; Mexico, Caribbean, United States Government Printing Office, Washington, 1987, p. 847.

3. Ibidem, pp. 870-876.

4. Riprodotto da Roberto González Gómez, Stati Uniti: dottrine della Guerra Fredda 1947-1991, Centro Studi Martiani, L’Avana, 2003, pp. 48-49.

5. Earl E. T. Smith, The Pburth Floor: An Account 01 the Castro Communist Revolution, Random House, Nueva York, 1962. Smith offre una visione influenzata dalla sua posizione allineata con Batista e all’interno della retorica anticomunista della Guerra Fredda, ma mostra anche le contraddizioni che ebbe con altri organismi, includendo il Dipartimento di Stato.

6. Lyman B. Kirkpatrick, Jr., Thc Real CIA, 2a. ed., The J \fcJ\lillan Company, Nueva York, 1968. Tra le pagine 166 e 177 descrive la sua terza visita e le contraddizioni con l’ambasciatore, e fa riferimento a contatti con l’opposizione, in modo generale.

7. Ver Luis Buch: Oltre codici, Editorial de Ciencias Sociales, L’Avana, 1995, pp. 112-118.

8. Foreign Relations 01 the United States, 1958-1960,.vol VI. Cuba, United States Government Printing Office, Washington, 1991, pp. 10-12.

9. Ibidem, pp. 6-18.

10. Ibidem, p. 36.

11. Ibidem, pp. 77- 78.

12. Ibidem, pp. 84-85.

13. Ibidem, pp. 216-217.

14 Ibidem, pp. 52-53.

15 Ibidem, pp. 55-56.

16 Ibidem, pp. 68-70.

17. Philip W Bonsal, Cuba, Castro, and the United States, 2a. ed.,

18. University of Pittsburgh Press, 1972, p. 22. 1~ Foreign relations… 1958-1960, p. 284.

19. Paterson consultò il libro di memorie inedito “William D. Pawley’s Book” e controllò i documenti del Senato, ” Communist Threat: Testimony of WilliamD. Pawley “, settembre 1960, tra le altri fonte.

20. Thomas G. Paterson, Contesting Castro. The United States and the Triumph 01 the Cuban Revolution, Oxford University Press, NewYork, 1994, pp. 207-209.

21. Foreign… 1958-1960, p. 300.

22. Ibidem, p. 295.

23 Ibidem, p. 301

24. Ibidem, pp. 304-307.

25. Ibidem, pp. 302-303.

26. Ibidem, pp. 323.329.

27. Ibidem, pp. 330-331.

28. Telegramma dell’Ambasciata al Dipartimento di Stato, 6 gennaio, in Foreign… 1958-1960, pp. 345-346.

29. P.w, Bonsal, op. cit., pp. 5 E 28-29.

30. Foreign… 1958-1960, pp. 716-720.

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