Un giorno qualunque

Harold Cardenas Lema,   https://eltoque.com

kerry vs elpidio. valdesLe prime luci sorprendono la Tribuna Antimperialista con un’immagine insolita: non ci sono 147 bandiere nere con una stella bianca. La promessa fatta da Hassan Perez, nel 2006, che queste “non saranno ammainate” è inutile. Le aste permangono vuote ma non tutte, nel cuore del luogo una invia il messaggio necessario, con una enorme bandiera cubana.

Il simbolismo della scena non ha paragoni, da presto la bandiera della stella  solitaria aspetta che i suoi vicini della nuova Ambasciata USA inaugurino la propria. La Tribuna che fu concepita per una battaglia di idee ancora svolge la sua funzione, solo si è sostituito il confronto diretto con la sottigliezza da entrambi i lati.


La mattina inizia bene, è l’anniversario del personaggio infantile più popolare di Cuba e la tv trasmette un cartone animato di Elpidio Valdes presentato dal suo creatore Juan Padrón. Non sono uscito di casa e già si nota che non è un giorno normale, le notizie parlano di molte strade chiuse per questioni di sicurezza e deviazioni del traffico. John Kerry arriva per la seconda volta a Cuba, ma questa visita non ha nulla di normale, è la prima volta in molti anni che un Segretario di Stato del nostro vicino settentrionale cammina per l’isola. La sua vita è stata una costante superamento personale.

Nacque mentre suo padre era convalescente di tubercolosi e nell’entrare a Yale fu eletto dalla confraternita universitaria più famosa del suo paese: Skull and Bones. Da qualche parte nella sua abitazione tiene conservate una Stella d’Argento, un’altra di bronzo, tre Purple Hearts che si guadagnò in Vietnam. E’ un gigante vicino ad un cubano medio con il suo 1,93 di statura, ma non sa che la nostra mancanza di statura da primo mondo la compensiamo con l’autostima.

‘Kerry ora può camminare per l’Avana vantando qualcosa che nessun suo predecessore ha ottenuto: un migliore rapporto con Cuba’.

Vedo in tv la cerimonia della bandiera a stelle e strisce tentando di sventolare in un Malecon (lungomare) dove stranamente non vuole soffiare l’aria nel momento che viene catturata dalle telecamere di tutto il mondo. Lì ci sono i marines che ammainarono l’ultima bandiera prima di questa, un poeta cubano americano e un mucchio di persone sconosciute nel cortile reticolato della nuova ambasciata. Poi c’è una conferenza stampa che non è un letto di rose, se i nostri diplomatici non fossero addestrati nel linguaggio corporale, le loro facce direbbero tutto.

Kerry dice che il nostro destino deve essere deciso dai cubani stessi e poi si contraddice affermando che Cuba ha bisogno di una “vera democrazia”. Il suo discorso politico è molto ampio e per molti pubblici, sa che inevitabilmente sarà criticato dica ciò che dica perché sono molto diversi gli interessi coinvolti. Pochi avvertono che quel giorno l’ambasciatore cubano a Washington ha concesso un’intervista alla stampa USA mentre il suo omologo a l’Avana rifiutò parlare con la stampa nazionale.

E’ evidente che queste nuove relazioni saranno presentate come una vittoria da entrambe le parti che le sostengono.

‘Là molti diranno che è il cammino più veloce verso la distruzione del socialismo cubano e di qua si presenta come un modo per cercare una certa normalità diplomatica che ci permetta concentrarci in ciò che rafforza il sistema politico nazionale’.

Guardo questo e penso alla mia famiglia, alla generazione dei miei genitori e dei miei nonni. Questa è la vittoria dei loro sacrifici per così tanto tempo. Vale anche la pena di aggiungere il merito che ha avuto l’attuale amministrazione USA d’coinvolgersi in questa complessa questione, così come ringraziare i molti cubani e statunitensi che dal paese del nord hanno affrontato l’intolleranza politica di estremisti e fanatici  politici che cercano di sabotare il riavvicinamento.

Sto tornando a casa in una vecchia macchina americana e il ragazzo accanto a me domanda se quello che è arrivato era Obama, il taxista gli spiega che è Kerry e anche la nonna che ci accompagna elogia la bellezza dell’aereo, tutto rimane sul generico della questione. Penso a questi nuovi tempi di sottigliezza e se realmente il nostro popolo avrà la cultura necessaria che il discorso politico ufficiale ha sempre propagandato. Al semaforo di Linea e Paseo vedo una Moskvich verde e alla guida c’è Juan Padron, mi viene voglia di ringraziarlo per averci regalato Elpidio Valdes ma la sua auto si allontana rapidamente.

Nella mia strada le persone parlano del tema con leggerezza, come se si trattasse di una telenovela  mentre il matto del quartiere s’intrattiene dicendo una ritornello orecchiabile: se non fosse per il pane, il pisello e la pizza / il Cimitero di Colon starebbe  arrivando La Lisa.

Mi toglie un sorriso con dolore.

Senza dubbio questo è molto meglio rispetto alla distanza precedente, ma riusciremo ad ottenere quello che ci manca senza perdere quelle virtù nazionali che ancora diamo per scontato? Avranno lasciato alle spalle gli yankee la loro politica di bullismo con Cuba? Il tempo ce lo dirà, qualcosa mi dice che giornate come questa ci sembreranno, a partire da oggi, un giorno qualsiasi.

Un día cualquiera

Las primeras luces sorprenden la Tribuna Antimperialista con una imagen atípica: no hay 147 banderas negras con una estrella blanca. La promesa que hiciera Hassan Pérez en el año 2006 de que estas “no serán arriadas” es innecesaria. Las astas permanecen vacías pero no todas, en el corazón del lugar una envía el mensaje necesario con una enorme bandera cubana.

Por Harold Cárdenas Lema

El simbolismo de la escena no tiene paralelo, desde temprano la bandera de la estrella solitaria espera que sus vecinos de la nueva Embajada de Estados Unidos estrenen la suya propia. La Tribuna que fue concebida para una batalla de ideas todavía cumple su función, solo se ha sustituido la confrontación directa por la sutileza en ambas partes.

La mañana empieza bien, es el aniversario del personaje infantil más popular de Cuba y en la televisión ponen un dibujo animado de Elpidio Valdés presentado por su creador Juan Padrón. No he salido de casa y ya se nota que no es un día normal, en las noticias hablan de numerosas calles cerradas por cuestiones de seguridad y desvíos del tráfico. John Kerry llega por segunda vez a Cuba pero esta visita no tiene nada de normal, es la primera vez en muchos años que un Secretario de Estado de nuestro vecino al norte camina por la Isla. Su vida ha sido una constante superación personal.

Nació mientras su padre convalecía de tuberculosis y al ingresar en Yale fue elegido para la fraternidad universitaria más famosa de su país: Skull and Bones. En algún lugar de su casa tiene guardadas una Estrella de Plata, otra de Bronce y tres Corazones Púrpura que ganó en Vietnam. Es un gigante al lado del cubano promedio con su 1.93 de estatura pero no sabe que nuestra carencia de estatura primermundista la compensamos con autoestima.

Kerry puede caminar ahora en la Habana presumiendo de algo que ningún antecesor suyo ha logrado: una mejor relación con Cuba.

Veo en un televisor la ceremonia de la bandera de barras y estrellas intentando ondear en un Malecón donde extrañamente no quiere soplar el aire en el momento que es captada por las cámaras del mundo. Ahí están los marines que arriaron la última bandera antes que esta, un poeta cubanoamericano y un montón de personas desconocidas, en el patio enrejado de la nueva embajada. Luego hay una conferencia de prensa que no es un lecho de rosas, si nuestros diplomáticos no estuvieran entrenados en el lenguaje corporal, sus rostros lo dirían todo.

Kerry expresa que nuestro destino debe ser decidido por los propios cubanos y luego se contradice al afirmar que Cuba necesita una “verdadera democracia”. Su discurso político es muy amplio y para muchos públicos, sabe que inevitablemente será criticado diga lo que diga porque son muy distintos los intereses en cuestión. Pocos advierten que ese día el embajador cubano en Washington ha concedido entrevistas a la prensa estadounidense mientras su homólogo en La Habana rehusó hablar con la prensa nacional.

Es evidente que estas nuevas relaciones serán presentadas como una victoria propia por ambas partes que la apoyan.

Allá muchos dirán que es el camino más rápido hacia la destrucción del socialismo cubano y por acá se presenta como una manera de buscar cierta normalidad diplomática que nos permita concentrarnos en aquello que fortalezca el sistema político nacional.

Miro eso y pienso en mi familia, en la generación de mis padres y mis abuelos. Esta es la victoria de su sacrificio durante tanto tiempo. Vale también agregar el mérito que ha tenido la actual administración estadounidense de implicarse en este complejo asunto, así como agradecer a muchos cubanos y estadounidenses que desde el país norteño han enfrentado la intolerancia política de extremistas y fanáticos políticos que intentan sabotear el acercamiento.

Voy de regreso a casa en un viejo auto americano y el muchacho que está al lado pregunta si el que llegó fue Obama, el taxista la explica que Kerry y la abuela que también nos acompaña elogia la belleza del avión, todo queda en la superficie del asunto. Pienso en estos nuevos tiempos de sutileza y si realmente nuestro pueblo tendrá la cultura necesaria que el discurso político oficial ha pregonado siempre. En el semáforo de Línea y Paseo veo un Moskvich verde y al timón está Juan Padrón, me dan ganas de agradecerle por habernos regalado a Elpidio Valdés pero su auto se aleja con rapidez.

En mi calle las personas hablan sobre el tema con desenfado, como si se tratara de una telenovela mientras el loco del barrio se entretiene diciendo un pegajoso estribillo: si no fuera por el pan, el chícharo y la pizza / el Cementerio de Colón estaría llegando a La Lisa.

Me saca una sonrisa con dolor.

Indiscutiblemente esto es mucho mejor que la distancia anterior pero ¿lograremos alcanzar lo que nos falta sin perder aquellas virtudes nacionales que todavía damos por sentado? ¿Habrán dejado atrás los yanquis su política de bullying con Cuba? El tiempo dirá, algo me dice que jornadas como esta nos parecerán a partir de ahora un día cualquiera.

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