Giorni storici, epoche storiche

F. M. Heredia ttps://lapupilainsomne.wordpress.com

fanaleLo scorso venerdì 14 non è stata una giornata storica, ed è necessario negare che lo sia stata. Chiamarlo così potrebbe essere un’iperbole perdonabile, se non fossero in gioco la sovranità nazionale e la società che abbiamo creato nell’ultimo mezzo secolo.


Cuba ha un buon numero di giorni storici da ricordare, punti di riferimento memorabili del cammino che questo popolo ha percorso. Il 10 ottobre è il primo giorno della patria cubana, la giornata in cui cominciò ad essere sconfitto l’impossibile che segna il freddo calcolo e il destino inesorabile che rende un essere inferiore al colonizzato. Quel giorno abbiamo cominciato ad imparare che la libertà e la giustizia devono camminare insieme, devono sposarsi. Il 24 febbraio è il giorno in cui ebbe inizio l’epopea popolare nazionale, in cui la gente fu in massa alla guerra rivoluzionaria, sfidò tutti i sacrifici e si guadagnò la palma dell’eroismo. Questo gesto creò le/i cubane/i, la nazione e la cultura nazionale, la repubblica cubana. Il 1 gennaio è il giorno della vittoria del popolo e l’inizio della liberazione da tutte le dominazioni e la creazione di una società e di una vita nuova. Segna la fine del dominio coloniale e neocoloniale nella storia di Cuba. Il 19 aprile il socialismo, bagnato di sangue, vinse in Giron il blocco dei nemici del popolo cubano: gli imperialisti e i borghesi.

Questi sì sono giorni storici!

Anche il 20 maggio fu una giornata storica, benché non sopravvivesse all’epoca che inaugurò. Giorno singolare e ambiguo come pochi, conciliava due realtà opposte. Da un lato, enorme gioia popolare, immensa  soddisfazione per  il fatto che sembrava realizzare le motivazioni e gli ideali per cui un popolo di caste, unificato da una coscienza politica, andò in massa alla grande guerra popolare e all’olocausto, e dopo esigette il ritiro dell’occupante straniero con tutte le sue energie e in tutti i modi possibili. D’altra parte, le angosce e disillusioni che portava con sé il nuovo Stato con una sovranità nazionale molto tagliata dalla potenza straniera, ed il fallimento del progetto rivoluzionario, perché dalla fine della guerra le classi dirigenti del paese diedero priorità al ritorno all’ordine e si rifiutarono di soddisfare gli aneliti di giustizia sociale.

Quello fu una giornata storica di post-rivoluzione, l’inizio di un’era che portò ad un compagno vicino a Antonio Maceo a scrivere, nel 1909:

La mente s’immerge al solo pensiero di ciò che sarebbe successo in questo paese, vivendo i due Maceo nel periodo del primo intervento americano e nel mezzo della grandi miserie che sono susseguite. Ma è una forzatura giungere a questo dilemma: o non hai mai prove di repubblica, e corrono fiumi di sangue, e la convulsione non è intermittente, ma costante, o la repubblica si fonda su basi ferme e durevoli con tutta la verità dei principi rivoluzionari . [1]

Quell’epoca dovette essere sconfitta da un’altra grande rivoluzione perché Cuba giungesse ad essere padrona di sé, veramente libera e sovrana. E la colossale trasformazione espulse il 20 maggio dal posto secondario che aveva nella galleria dei giorni storici della patria.

Dal dicembre dello scorso anno assistiamo ad una nuova congiuntura politica. Due Stati con una abissale differenza tra loro in quanto a forza materiale, e che hanno vissuto più di 56 anni in un virtuale stato di guerra -perché il più potente applicava in modo permanente misure di guerra all’altro- si sono seduti a negoziare la pace e sono riusciti a fare un primo passo, molto piccolo: ripristinare le relazioni diplomatiche. Il più potente le aveva rotte 54 anni fa, quando era sicuro che avrebbe rovesciato il governo dell’altro mediante un’invasione e la forza militare. Tutto il mondo conosce la storia della sua sistematica aggressione, trascorsa da allora fino ad oggi.

Ognuno ha carte a suo favore. Gli USA, la necessità di Cuba di migliorare la sua posizione nelle relazioni economiche internazionali in un mondo in cui predomina, finora, il capitalismo imperialista. La possibilità di contrattare e ottenere concessioni da parte del governo cubano in cambio di andar gradualmente smantellando  il suo sistema di aggressione permanente. La speranza di dividerci tra i pratici e gli scaltri, quelli che capiscono, e i rabbiosi e ciechi, gli aggrappati e gli antiquati. Il sogno degli USA incarna l’ideale della “tecnologie” e consumi che può perseguire una sorta di classe media che si affaccia nello spettro nazionale cubano. Sembrerebbe la speranza di migliorare la loro situazione a settori meno coscienti della vasta fascia di povertà che esiste. Esercitare la sua capacità di farci una guerra che non è di pensiero, ma d’induzione a non pensare, ad una idiotizzazione di masse. E, sempre, qualcosa che hanno lasciato molto chiaro: il ricorso ad utilizzare tutte le forme di sovversione del regime sociale cubano che stanno in loro potere.

Cuba è molto forte e ha un molte carte a suo favore. La prima è l’immensa cultura socialista e di  liberazione nazionale antimperialista accumulata. E’ stata fondamentale per vincere le battaglie e guidare la resistenza negli ultimi decenni, e regge la coscienza politica e morale della maggioranza, che in nessun modo va  a consegnare la sovranità nazionale né la giustizia sociale. La legittimità del mandato di Raul ed il consenso per gli atti del governo che presiede assicurano la fiducia e il sostegno alla sua strategia, e gli permettono condurre i negoziati con assoluta aderenza ai principi e flessibilità tattica. La  solidità del sistema statale, politico e di governo cubano, la potenza e la qualità del suo sistema di difesa, il controllo degli elementi chiave dell’economia del paese, e le abitudini e le reazioni difensive, forniscono un insieme formidabile che sta alla base delle posizioni cubane.

La storia degli atteggiamenti USA contro l’indipendenza di Cuba nel XIX secolo, il crimine che commise contro la rivoluzione trionfante nel 1898 e la sua sfruttatrice e umiliante oppressione neocoloniale fino al 1958, e tutto ciò che ha fatto e fa contro il nostro popolo dal 1959, conformano una condizione colpevole e spregevole che lo squalifica come parte su cui basare una nuova negoziazione. Giungo ad ammirare che i funzionari USA ritengono che far visite amichevoli e sembrare simpatici sia sufficiente perché i cubani si sentano riconoscenti e gratificati, qualcosa solo spiegabile con la sottovalutazione di ciò che si sente imperiale e il disprezzo che già conosceva José Martí.

Che Cuba abbia dalla sua la ragione nei suoi reclami contro gli USA è stato quasi universalmente riconosciuto per decenni da governi, parlamenti, istituzioni internazionali, organizzazioni sociali e politiche e le più diverse personalità. I negoziati non progrediranno, realmente,  se gli Stati USA non facciano passi unilaterali per cambiare la situazione illegale e criminale creata dagli atti continuati ai danni di Cuba. Devolvere ai suoi cittadini parte dei loro diritti che gli hanno conculcato e facilitare certi suoi impresari a tener relazioni con Cuba non ha a che vedere con questi passaggi essenziali, né li può sostituire. Questa asimmetria favorisce Cuba. La compensazione in diritto per le nazionalizzazioni cubane, degli anni sessanta, avrebbe una somma  molto inferiore delle indennità che devono per la perdita di migliaia di vite e i danni causati a Cuba.

Eventi internazionali come quello del venerdì 14 sono molto rumorosi, e molto pubblicizzati. Ma il decisivo per la politica internazione di qualsiasi Stato sono sempre i dati fondamentali della sua situazione e la sua politica interna. La questione chiave è se davvero il contenuto dell’epoca cubana che si sta svolgendo in questi ultimi anni sarà o non sarà post-rivoluzionaria.

Nelle post-rivoluzioni si retrocede, inevitabilmente, molto più che i giudiziosi coinvolti avessero ritenuto necessario all’inizio. Gli abbandoni, le concessioni, le divisioni e la rottura dei patti con le maggioranze preludono una nuova epoca in cui si organizza e si appoggia una nuova denominazione, benché si vede costretta a riconoscere una parte delle conquiste del periodo precedente. Le rivoluzioni, invece, combinano iniziative coraggiose e salti in avanti con uscite laterali, eroica pazienza e abnegazione con eroismi senza pari, astuzie tattiche  con offensiva incontenibile che scatenano le qualità e le capacità della gente comune e creare nuove realtà e nuovi progetti. Sono l’imperio della volontà cosciente che si trasforma in azione e sconfigge le strutture che imprigionano gli esseri umani e le conoscenze date. E quando hanno le dimensioni di un popolo sono invincibili.

Presto saremo nel bel mezzo di una grande lotta di simbolo. La tranquilla e spudorata esposizione di automobili “americane” durante la cerimonia di venerdì scorso ha cercato di cancellare tutte la grandezza cubana e ridurre il paese alla nostalgia “dei bei vecchi tempi”, prima che imperassero le masse e i castristi. [2] La strategia attuale USA contro Cuba ci porterà un buon numero di risorse ‘morbide e ‘intelligenti’, moderni “cerca stupidi” della guerra del secolo XXI. E’ stata molto positiva la dichiarazione che siamo disposti ad avere rapporti diplomatici anche se sono parte di una nuova fase della politica diretta a sconfiggere e dominare Cuba. Oltre a prescindere dell’ipocrisia che spesso ornano alcune uscite diplomatiche, è più rivolta al nostro popolo che all’altra parte. Distruggere confusioni  e sgonfiare speranze infantili è uno dei compiti necessari. Nella misura in cui la maggior parte della popolazione partecipa alla politica, sempre più attivamente, essa stessa produrrà iniziative e genererà formule che sbaraglino  le pretese USA e i suoi mercanteggi materiali e spirituali. Nelle rivoluzioni, il popolo sempre è decisivo.

[1] José Miró Argenter: Cuba: crónicas de la guerra. Las campañas de Invasión y de Occidente, 1895-1896, Editorial Ciencias Sociales, La Habana, 1968, p.544.
[2] Ver “Símbolos”, el magnífico artículo que publicó el domingo 18 Rosa Miriam Elizalde en Cubadebate.

Días históricos, épocas históricas

 Fernando Martínez Heredia
 
 El pasado viernes 14 no fue un día histórico, y resulta necesario negar que lo haya sido. Llamarlo así podría ser una hipérbole perdonable, si no estuvieran en juego la soberanía nacional y la sociedad que hemos creado en el último medio siglo.
 
 Cuba tiene un buen número de días históricos que recordar, hitos memorables del ca­mino que este pueblo ha recorrido. El 10 de oc­tubre es el primer día de la patria cubana, el día en que comenzaron a ser derrotados el im­posible que marca el cálculo frío y el destino ine­xorable que hace un ser inferior al colonizado. Ese día comenzamos a aprender que la libertad y la justicia tienen que andar muy juntas, tienen que casarse. El 24 de febrero es el día en que empezó la epopeya popular nacional, en la que la gente se fue en masa a la guerra revolucionaria, arrostró todos los sacrificios y se ganó la palma del heroísmo. Esa gesta creó a las cubanas y los cubanos, a la nación y la cultura nacional, a la república cubana. El 1ro. de enero es el día de la victoria del pueblo y el inicio de la liberación de todas las dominaciones y la creación de una sociedad y una vida nuevas. Marca el fin del dominio colonial y neocolonial en la historia de Cuba. El 19 de abril el so­cialismo, bañado en sangre, venció en Gir­ón al bloque de los enemigos del pueblo cubano: los imperialistas y los burgueses.
 
 ¡Esos sí son días históricos!
 
 También el 20 de mayo fue un día histórico, aunque no sobreviviera a la época que inauguró. Día singular y ambiguo como pocos, con­ciliaba dos realidades opuestas. Por un lado, tremenda alegría popular, goce inmenso por el hecho que parecía realizar las motivaciones e ideales por los cuales un pueblo de castas, uni­ficado por una conciencia política, se fue en masa a la gran guerra popular y al holocausto, y exigió después la retirada del ocupante extranjero con todas sus energías y de todas las formas posibles. Por otro, las angustias y desilusiones que traía consigo el nuevo Estado con una soberanía nacional muy re­cortada por la potencia extranjera, y la quiebra del proyecto revolucionario, porque desde el final de la guerra las clases rectoras del país priorizaron el retorno al orden y se negaron a satisfacer los anhelos de justicia social.
 
 Aquel fue un día histórico de posrevolución, el inicio de una época que llevó a un com­pañero cercano de Antonio Maceo a es­cribir, en 1909:
 
 La mente se abisma al solo pensamiento de lo que hubiera acaecido en este país, viviendo los dos Maceo en el período de la primera intervención americana y en medio de las grandes miserias que han venido después. Pero es forzoso llegar a este dilema: o no hay ensayos de re­pública jamás, y corren ríos de sangre, y la convulsión no es intermitente, sino continua, o la república se establece sobre bases firmes y perdurables con toda la verdad de los principios revolucionarios.[1]
 
 Esa época tuvo que ser derrotada por otra gran revolución para que Cuba llegara a ser dueña de sí, realmente libre y soberana. Y la co­losal transformación expulsó al 20 de mayo del lugar secundario que tenía en la galería de días históricos de la patria.
 
 Desde diciembre del año pasado asistimos a una nueva coyuntura política. Dos Estados que tienen una diferencia abismal entre sí en cuanto a poder material, y que han vivido más de 56 años en virtual estado de gue­rra —porque el más poderoso le aplica per­ma­nen­te­mente medidas de guerra al otro—, se han sentado a negociar la paz y han logrado dar un primer paso, muy pequeño: restablecer relaciones diplomáticas. El más poderoso las ha­bía roto hace 54, cuando e­s­taba se­guro de que derrocaría el gobierno del otro me­diante una invasión y la fuerza militar. El planeta entero conoce la historia de su agresión sistemática, transcurrida desde entonces hasta hoy.
 
 Cada uno tiene cartas a su favor. Estados Unidos, la necesidad de Cuba de mejorar su posición en las relaciones económicas internacionales en un mundo en el que predomina hasta ahora el capitalismo imperialista. La po­sibilidad de regatear y obtener concesiones del gobierno cubano a cambio de ir desmontando paulatinamente su sistema de agresión permanente. La esperanza de dividirnos entre los prácticos y sagaces, los que comprenden, y los rabiosos y ciegos, los aferrados y anticuados. El sueño de que Estados Unidos encarne el ideal de “tecnologías” y consumos que pueda perseguir una suerte de clase media que se asoma en el espectro nacional cubano. Pa­re­cerle la esperanza de mejorar su situación a los sectores me­nos conscientes de la amplia franja de pobreza que existe. Ejer­cer su ca­pacidad de hacernos una guerra que no es de pensamiento, sino de inducción a no pensar, a una idiotización de masas. Y, siempre, algo que ha dejado muy claro: el recurso a utilizar todas las formas de subversión del régimen social cubano que estén a su alcance.
 
 Cuba es muy fuerte y tiene muchas cartas a su favor. La primera es la inmensa cultura socialista de liberación nacional y antimperialista acumulada. Ella ha sido decisiva para ga­nar las batallas y guiar la resistencia en las últimas décadas, y ella rige la conciencia política y moral de la mayoría, que de ningún modo va a entregar la soberanía nacional ni la ju­s­ticia social. La legitimidad del mandato de Raúl y el consenso con los actos del gobierno que preside aseguran la confianza y el apoyo a su estrategia, y le permiten conducir las ne­go­ciaciones con apego absoluto a los principios y flexibilidad táctica. La solidez del sis­te­ma estatal, político y de gobierno cubanos, la potencia y calidad de su sistema de defensa, el control de los elementos fundamentales de la economía del país, y los hábitos y reacciones defensivas, proveen un conjunto formidable que está en la base de las posiciones cu­banas.
 
 La historia de las actitudes de Estados Uni­dos contra la independencia de Cuba en el si­glo XIX, el crimen que cometió contra la revolución triunfante en 1898 y su explotadora y humillante opresión neocolonial hasta 1958, y todo lo que ha hecho y hace contra nuestro pueblo desde 1959, conforman una condición culpable y deleznable que lo descalifica como parte en la cual confiar en una negociación. Me llega a admirar que funcionarios norteamericanos crean que hacer visitas y parecer simpático sea suficiente para que los cubanos se sientan reconocidos y gratificados, algo so­lamente explicable por la subvaloración del que se siente imperial y el desprecio que ya les conocía José Martí.
 
 Que a Cuba le asiste la razón en sus reclamaciones contra Estados Unidos ha sido casi universalmente reconocido du­rante décadas, por gobiernos, parlamentos, instituciones in­ternacionales, organizaciones sociales y políticas y las más variadas personalidades. Las ne­gociaciones no avanzarán realmente mientras Estados Unidos no dé pasos unilaterales que cambien la situación ilegal y criminal creada por sus actos continuados en perjuicio de Cuba. Devolverles a sus ciudadanos parte de los derechos que les ha conculcado y facilitarles a ciertos empresarios suyos tener relaciones con Cuba no tiene que ver con esos pasos imprescindibles, ni puede sustituirlos. Esa asimetría favorece a Cuba. La compensación en derecho por las nacionalizaciones cubanas de los años sesenta tendría un monto muy inferior al de las indemnizaciones que deben por la pérdida de varios miles de vidas y los daños y perjuicios ocasionados a Cuba.
 
 Eventos internacionales como el del viernes 14 son muy ruidosos, y sumamente publicitados. Pero lo decisivo para la política internacional de todo Estado son siempre los datos fundamentales de su situación y su política internas. La cuestión realmente principal es si el contenido de la época cubana que se está desplegando en los últimos años será o no será posrevolucionario.
 
 En las posrevoluciones se retrocede, sin re­medio, mucho más de lo que los juiciosos in­volucrados habían considerado necesario al inicio. Los abandonos, las concesiones, las di­visiones y la ruptura de los pactos con las ma­yorías preludian una nueva época en la que se organiza y se afinca una nueva dominación, aunque ella se ve obligada a reconocer una parte de las conquistas de la época anterior. Las revoluciones, por el contrario, combinan iniciativas audaces y saltos hacia adelante con sa­lidas laterales, paciencia y abnegación con he­roísmos sin par, astucias tácticas con ofensivas incontenibles que desatan las cualidades y las capacidades de la gente común y crean nuevas realidades y nuevos proyectos. Son el imperio de la voluntad consciente que se vuelve acción y derrota a las estructuras que encarcelan a los seres humanos y a los saberes establecidos. Y cuando logran tener el tamaño de un pueblo son invencibles.
 
 Pronto estaremos en medio de una gran pe­lea de símbolos. La tranquila y desvergonzada exposición de carros “americanos” du­rante el acto del viernes pasado pretendió bo­rrar toda la grandeza cubana y reducir al país a la nostalgia de “los buenos tiempos”, antes de que imperaran la chusma y los castristas.[2] La estrategia actual de Estados Unidos contra Cuba nos deparará un buen número de recursos “suaves” e “inteligentes”, modernos “cazabobos” de la guerra del siglo XXI. Ha sido muy positiva la declaración de que estamos dispuestos a tener relaciones diplomáticas aunque ellas formen parte de una nueva fase de la política dirigida a derrotar y dominar a Cuba. Además de prescindir de la hipocresía que suele adornar ciertas salidas diplomáticas, está más dirigida a nuestro pueblo que a la otra parte. Desbaratar confusiones y desinflar esperanzas pueriles es una de las tareas necesarias. En la medida en que la mayoría de la población participe en la política, cada vez más activamente, ella misma producirá iniciativas y generará fórmulas que desbaraten la pretensión norteamericana y sus mercaderías materiales y espirituales. En las revoluciones, el pueblo siempre es decisivo.

 [1] José Miró Argenter: Cuba: crónicas de la guerra. Las campañas de Invasión y de Occidente, 1895-1896, Editorial Ciencias Sociales, La Habana, 1968, p.544.
 [2] Ver “Símbolos”, el magnífico artículo que publicó el domingo 18 Rosa Miriam Elizalde en Cubadebate.

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