GLI USA POTRANNO USARE LE PROVE

 OTTENUTE CON LA TORTURA

 

Washinghton 6 dic.2004

 

Le evidenze ottenute con l'uso della tortura potranno essere usate dai militari nel decidere se imprigionare indefinitivamente uno straniero nella Baia di Guantanamo, Cuba, in qualità di nemico combattente, come ha affermato il Governo per conto di un suo esponente. Le dichiarazioni prodotte sotto tortura sono state inammissibili nelle corti americane per circa 70 anni. Ma è stato ora permesso alle commissioni militari americane, che dovranno rivedere lo status di 550 'nemici combattenti' detenuti nella base navale americana di Cuba, di usare tali evidenze, come ha ammesso oggi il Primo Vice-Associato Procuratore Generale, Brian Boyle, dinanzi ad una corte distrettuale americana.

 

Alcuni dei prigionieri hanno infatti presentato esposti per denunciare la loro detenzione senza accuse da circa 3 anni a questa parte. In tribunale, Boyle ha richiesto al giudice distrettuale Richard J. Leon di non accettare le loro richieste. Gli avvocati difensori dei prigionieri affermano che alcuni sono stati detenuti solo sulla base di prove ottenute con l'uso della tortura, cosa che essi affermano viola la correttezza fondamentale e gli standard del giusto processo che rappresentano un cardine del diritto americano. Ma Boyle ha affermato ieri in un altra testimonianza simile che i detenuti "non hanno diritti costituzionali che possono essere protetti in questa corte".

 

Leon ha infatti chiesto se una detenzione basata solo sulle prove ottenute attraverso la tortura sia illegale, poiché "la tortura è illegale. Lo sappiamo tutti". Boyle ha replicato che se i tribunali militari che dovranno decidere sullo status di nemico combattente "determinano che le prove ottenute da discutibile provenienza siano affidabili, nulla nella clausola (della Costituzione) sul giusto processo, impedisce loro di tenerle in conto". Leon ha allora chiesto se ci fossero delle restrizioni sull'uso di prove indotte dalla tortura e Boyle ha replicato affermando che gli Stati Uniti non avrebbero mai adottato una politica che avrebbe impedito loro di agire sulla base di evidenze che avrebbero potuto prevenire gli attacchi dell'11 settembre 2001, anche se i dati fossero stati ottenuti con pratiche discutibili come la tortura da parte di potenze straniere.

 

Molti argomenti presentati nell'ambito del dibattimento hanno infatti sottolineato il divieto delle corti americani di tenere conto delle prove prodotte con l'uso della tortura. "Circa 70 anni fa, la Corte Suprema ha bloccato l'uso di prove prodotte da metodi investigativi di terzo grado sulla base della teoria che le ritiene completamente inaffidabili", ha affermato in un intervista il docente di Legge ad Harward, Philip B. Heymann, un ex Vice Procuratore Generale degli Stati Uniti d'America. Di conseguenza la decisione della Corte Suprema era basata sul rifiuto della "non correttezza e della brutalità della tortura e poi sull'idea che le confessioni dovessero essere spontanee e non costrette".

 

Leon ha quindi chiesto se una corte americana possa rivedere la detenzione sulla base delle prove ottenute dalla tortura condotta da personale americano. Boyle ha quindi risposto che la tortura non è concepita dalla politica americana e che qualsiasi persona accusata di questo sarebbe "sottoposta a disciplina militare attraverso i canali di comando", ed ha poi aggiunto "non penso neppure remotamente che qualcosa simile alla tortura sia successa a Guantanamo", ma ha notato anche come alcuni soldati americani siano stati sottoposti a misure di disciplina per condotte non adeguate, incluso una investigatrice donna che si è tolta la camicia durante l'interrogatorio.

 

Il Comitato Internazionale della Croce Rossa ha affermato martedì di aver fornito all'Amministrazione Bush un rapporto confidenziale contenenti critiche sostanziali sul trattamento da parte americana dei detenuti di Guantanamo. Il New York Times ha riportato che la Croce Rossa ha descritto le misure fisiche e psicologiche usate a Guantanamo come "equivalenti alla tortura".

 

I tribunali militari che dovranno rivedere le posizioni dei detenuti sono composti da tre colonnelli e da ufficiali di grado minore. Essi sono stati creati dopo che la Corte Suprema ha deciso a giugno che i detenuti potevano richiedere alle corte americane di poter procedere per verificare la correttezza della loro detenzione. Questi tribunali hanno rivisto i casi di 440 prigionieri sino ad ora, ma non ne hanno rilasciato neppure uno. I militari inoltre verificano annualmente con una procedura amministrativa se i detenuti presentino ancora un pericolo per gli Stati Uniti d'America, ma non rivedono lo status di nemico combattente. Le procedure amministrative di revisione sono state completate per 161 detenuti. Boyle afferma che queste procedure sono sufficienti per soddisfare le richieste della Corte Suprema.

 

Invece l'avvocato di uno dei prigionieri, Wes Powell, afferma, sulla base del fatto che i detenuti non possono avere avvocati che li rappresentino nel processo di revisione dello status di nemico combattente e non possono visionare alcuna evidenza segreta contro di loro, che "non c'è alcuna senso né opportunità nel procedere per denunciare le accuse del Governo". Leon ha inoltre suggerito che se i giudici federali iniziassero a rivedere le prove raccolte dai militari per la detenzione di cittadini stranieri, ci sarebbero "conseguenze pratiche e collaterali ... che sarebbe meglio evitare in tempo di guerra". Ed ha quindi suggerito che la sentenza della Corte Suprema potrebbe limitare l'attività dei giudici alla semplice verifica della correttezza degli ordini di detenzione e dell'attività dei tribunali militari di revisione.

 

Leon ed il giudice Joyce Hens Green, che ha tenuto una udienza simile ieri, affermano che a breve decideranno sulla richiesta presentata da 59 detenuti di procedure con le loro denunce.

 

 

Michael J. Sniffen

Fonte: Associated Press

Tradotto in italiano da Daniele John Angrisani