Intervista apparsa sul quotidiano Granma in data 5 e 6 agosto 2002 a firma F.V.Gonzàlez.


Il dottore Ignacio Ramonet, direttore del giornale "Le Monde Diplomatique", è ben conosciuto dai cubani. Basta menzionare la presentazione della sua opera "Propagande silenziose" nella cornice della passata Fiera del Libro, nel teatro Karl Marx affollato di avidi lettori. Il dottore Ramonet ha accettato gentilmente che Granma l'intervistasse
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Questo nuovo capitalismo sta creando nuove ingiustizie. L'abuso nella lotta contro il terrorismo va a detrimento della libertà individuale e dei diritti umani.

 

La prima questione affrontata è la globalizzazione neoliberale, che Ramonet chiama, semplicemente, globalizzazione, "dunque", precisa, "benché possa averne varie, l'attuale è la liberale". Gli dico che molto si è parlato delle caratteristiche di questa globalizzazione e dei suoi nefasti risultati; ma, in questo caso, quella che mi interessa è la valutazione di Ramonet circa un'alternativa alla globalizzazione neoliberale. Se non è la globalizzazione neoliberale, allora, che cosa è la società che vogliamo e come l'otteniamo? 

"È realmente una domanda difficile. È la domanda che oggigiorno più ci preoccupa. Il contesto geo-politico che si crea alla fine degli anni ottanta e ai principi degli anni novanta è marcato da tre grandi avvenimenti: la caduta del Muro di Berlino nel novembre '89; la Guerra del Golfo inizi '91; e la sparizione, l'implosione, dell'Unione Sovietica nel dicembre '91. A partire da quel momento si entra in un mondo nuovo e si mettono anche in moto meccanismi economici di altro tipo. Ma, in quel dato momento, non sapevamo ancora cosa fosse la globalizzazione. La parola "globalizzazione" non esisteva ancora. Incominciava ad essere proposta da alcuni critici. Era la tappa di definizione della globalizzazione. 
Una volta identificata la globalizzazione e i suoi meccanismi di funzionamento, sorge una seconda fase, di protesta contro la globalizzazione. E così sono sorti una serie di Organizzazioni Non Governative (ONGs); noi avevamo lanciato ATTAC (Associazione per una Tassa sulle Transazioni speculative per Aiutare i Cittadini), criticando le decisioni finanziarie della globalizzazione. Si era potuto mobilitare anche le nuove generazioni che protestavano contro la globalizzazione e che si manifestarono per la prima volta nel Vertice dell'OMC, in Seattle, nel dicembre del '99. Questa è una seconda fase. 

Prima fase: una fase di comprensione. Seconda fase: una fase di protesta. 

E la terza fase è quella di formulare controproposte alla globalizzazione; che è quello che lei mi domanda. Cioè, ora noi sappiamo già quello che è la globalizzazione. Abbiamo protestato per strada manifestando contro la globalizzazione; ma che cosa proponiamo? Questo è l'obiettivo del Foro Sociale Mondiale di Porto Alegre. Noi abbiamo proposto ai nostri amici brasiliani e dopo a tutte le ONG ed associazioni internazionali che criticavano la globalizzazione,  di creare un Foro Sociale Mondiale nello stesso momento in cui aveva luogo il Foro Economico Mondiale in Davos, alla fine di gennaio-principi di febbraio di ogni anno, e riunire lì tutta l'Umanità. Non i rappresentanti dei Governi, non i rappresentanti degli Stati, non i rappresentanti di organismi internazionali legati all'economia, bensì  associazioni rappresentative di quello che si chiama in generale "la società civile", delle società reali, dei popoli, dell'Umanità in definitiva. Porto Alegre ebbe luogo nel 2001 e nel 2002. E Porto Alegre è, un po', la risposta alla globalizzazione. Non è una risposta, diciamo, dello stesso tipo che il socialismo fu una risposta al capitalismo. 
"Quando appare il capitalismo, alla fine del secolo XVIII - principio del secolo XIX, suscita una serie di fascini. Ci sono da un lato tecnologie nuove, la macchina di vapore, e nuovi mezzi di comunicazioni: la ferrovia, con cui si suppone un' accelerazione dell'economia e degli scambi. Il capitalismo genera anche un fantastico arricchimento di coloro che si avvantaggiano di questi nuovi apporti tecnici. Questa rivoluzione fa sorgere una classe sociale nuova, gli operai, che necessita di una teoria per compensare il capitalismo. Questa teoria è il socialismo. 
Ed il socialismo, nella sua opposizione al capitalismo, è quello che ha caratterizzato questi due ultimi secoli: secolo XIX e  XX. In questo momento noi pensiamo che quella che chiamiamo globalizzazione è una seconda rivoluzione capitalista. Siamo davanti ad un altro tipo di capitalismo che è un capitalismo finanziario che evidentemente fa che la locomotiva di questo capitalismo non sia più la produzione industriale, non sia più la produzione di oggetti materiali e tangibili. Ora la locomotiva di questo capitalismo è la speculazione finanziaria. Siamo in una fase che si caratterizza anche per l'apparizione di quelle che chiamiamo "le nuove tecnologie", Internet, un nuovo settore della comunicazione. Internet ha permesso l'apparizione di un mezzo di comunicazione nuovo, come il primo capitalismo aveva permesso l'apparizione della ferrovia come un nuovo mezzo di comunicazione. E per Internet, che cosa circola? Non circolano oggetti materiali, quello che circola sono oggetti immateriali. Allora, questo nuovo capitalismo  sta creando una società nuova, alcune nuove accelerazioni, alcuni nuovi arricchimenti  e, d'altra parte, alcune nuove ingiustizie. Questo nuovo capitalismo suppone, evidentemente, l'elaborazione di un nuovo socialismo." 

La risposta è stata lunga, ma sostanziosa nel suo contenuto. Chiedo se il Foro Sociale Mondiale e quello che rappresenta, riuscisse a modificare la globalizzazione neoliberale, avremmo allora, che società? Un nuovo socialismo? Avremmo un capitalismo non neoliberale? 

"Nella mia opinione,  Porto Alegre non propone qualcosa come un pacchetto già fatto che si chiamerebbe il nuovo socialismo. Non lo propone. Dobbiamo tener conto  che elaborare una teoria richiede molto tempo. Per esempio, i sovietici pensavano di avere la teoria, conquistarono il potere, e l'applicazione di quella teoria è stato molto complicata, non solo lì, bensì in molti paesi, perché non è sempre facile passare della teoria alla pratica. Ma per lo meno esisteva un corpus teorico. Oggigiorno questo corpus teorico non esiste. In Porto Alegre, sinceramente, molti gruppi rappresentativi non vogliono tornare a ricreare l'esperienza sovietica che ha avuto evidentemente aspetti molto positivi; ma aspetti molto negativi. Allora, quello che sì è fatto a Porto Alegre è dire: ` la globalizzazione sta avanzando così... bisogna correggerla.' C'è una serie di correttivi da apportare e che sono di una tremenda urgenza." 

Quali sono questi correttivi? 

"Per esempio, il debito del Terzo Mondo, la soppressione dei ' paradisi fiscali ', introdurre etica e morale nel dominio economico. Anche Porto Alegre propone applicare la Tobin Tax per evitare la speculazione finanziaria e creare un fondo che sia reinvestito nei paesi poveri. 

Il secondo tema affrontato è il ruolo che giocano i mezzi di diffusione, il chiamato "potere mediatico." 

"La globalizzazione ha tre fronti. 

Il primo fronte è il fronte economico. La globalizzazione liberale è, essenzialmente, un fenomeno economico e finanziario. 

Il secondo fronte che si è aperto dopo il 11 di settembre è il fronte militare. Gli USA hanno assunto la funzione di essere il braccio armato della globalizzazione. Questo secondo fronte suppone che tutto quello che si oppone alla globalizzazione corre il rischio di essere accusato di terrorismo. 

Ma a questi due fronti si aggiunge un terzo che, secondo me, è il fronte centrale; il fronte ideologico. È il fronte che ha come obiettivo convincere ogni persona del mondo che la globalizzazione è la cosa migliore che può succedere al pianeta. Questa è l'idea. E chi lavora su questo fronte sono i mezzi di comunicazione. I mezzi di comunicazione di masse si sono trasformati nella nostra epoca, io direi, nel secondo potere. Si è parlato per molto tempo dei tre poteri. Oggigiorno il primo potere è il potere economico ed il secondo a potere è il potere mediatico. Il potere politico viene molto dopo. E, inoltre, il potere mediatico è anche potere economico. Perché il potere mediatico, oggi, è il potere di gruppi industriali mediatici, che sono attori centrali della vita economica internazionale. Perché? Perché quello che noi chiamiamo informazione, nel senso ampio della parola, non è solo la stampa, la radio e la televisione. La comunicazione è tutto quella che ha a che vedere col mondo dell'informatica, il mondo della telefonia, il mondo dell'elettricità, il mondo della comunicazione satellitare, etc. E quindi, la comunicazione è oggigiorno un'industria pesante. Ciò che in altra epoca fu la siderurgia, la costruzione di auto, l'estrazione di petrolio oggigiorno è la comunicazione. I grandi gruppi della comunicazione sono i grandi gruppi del potere economico. Il gruppo Time Warner, Vivendi, il Murdoch, sono attori centrali. Quindi, oggigiorno il potere mediatico combina potere economico e potere ideologico." 

Gli chiedo che mi interessa sapere come i potenti di questo Mondo utilizzano la forza mediatica. 

 

Oggi "i mezzi fanno un abuso della libertà di espressione nella misura in cui possono mettere tutta la loro forza ideologica e mediatica al servizio di alcuni obiettivi che sono puramente politici. Abbiamo davanti agli occhi quello che sta passando in Venezuela. I grandi mezzi venezuelani che appartengono al settore privato, stanno usurpando la funzione di opposizione politica, occupando la funzione di opposizione politica, e conducendo una campagna a base di manipolazioni, a base di bugie, a base di deformazioni, di disinformazioni, contro il governo legittimo e democratico del Venezuela. E hanno potuto già fare cosa rara nella storia politica internazionale: un colpo di Stato mediatico l' 11 aprile scorso. Cioè, in un contesto nel quale il governo democratico e legittimo rispetta totalmente la libertà di espressione, vediamo come i mezzi, con l'aiuto di molti organismi internazionali, hanno potuto fare un colpo di Stato mediatico. E in questo momento stanno lavorando nella preparazione di un prossimo colpo mediatico. In questo caso, il potere mediatico è un potere che non tollera le critiche contro la globalizzazione che censura quegli intellettuali, quegli universitari, quegli economisti, che sviluppano tesi ostili alla globalizzazione." 

È possibile utilizzare le nuove tecnologie, di Internet, etc. da parte di coloro che lottano contro la globalizzazione neoliberale? 

"Le nuove tecnologie, Internet soprattutto, possono trasformarsi in uno strumento di controinformazione. Tutto il movimento antiglobalizzazione sta utilizzando Internet per costituire reti, per diffondere informazione, per creare associazioni, per organizzare manifestazioni, etc., su scala planetaria, cosa che prima era più difficile da realizzare, costava molto più caro. Internet dimostra che è relativamente facile da utilizzare, non è molto caro ed è sempre su scala planetaria. Possono mobilitarsi decine di milioni di persone; in ogni caso, informare, inviare messaggi a gruppi, a reti, che essi possono ritrasmetterli. Non solo Internet permette un uso, diciamo, alternativo della comunicazione. È importante l'uso delle radio alternative, l'uso della stampa alternativa. È più difficile potere parlare di televisione alternativa, benché con Internet incominci ad esserci elementi di televisione leggera. Tutte le grandi associazioni internazionali, quelle che parteciparono a Porto Alegre in particolare hanno il  proprio sistema di informazione, hanno il loro sito  Internet, hanno relazioni con molte radio alternative, diffondono volantini, diffondono documenti, diffondono libri. Oggigiorno, da un lato stanno i grandi imperi mediatici con una capacità di intervento eccezionale; ma dall'altra parte, stanno tutte le ` zanzare mediatiche' che sono un vero sciame e che in definitiva hanno una capacità di intervento. Io penso che oggigiorno, dal punto di vista mediatico, c'è una capacità di resistenza che può utilizzarsi." 

Tuttavia, la situazione tecnologica e la diffusione di Internet che può utilizzare il movimento antiglobalización in Europa non è la stessa del Terzo Mondo. 


"Guardi, io stavo recentemente in San José del Costa Rica, al Congresso dei giornalisti di tutta l'America Latina che si occupano della radio. E la maggioranza dei giornalisti che stavano lavoravano lì in radio alternative, in radio di associazioni, in radio di gruppi locali, radio cristiane, radio legate a gruppi di quartieri, e tutti essi erano convinti che c'è una capacità eccezionale per mobilitare, in particolare, i settori popolari. La radio è un fenomeno straordinariamente popolare, relativamente a buon mercato. Ora la radio raggiunge tutte le popolazioni, benché non abbiano elettricità o che siano isolate in zone rurali. Quindi, la radio in sé è già un mondo che arriva all'universo della popolazione senza elettricità. Non dimentichiamo che ci sono due miliardi di persone senza elettricità nel Mondo e che, quindi, non hanno accesso alla televisione, sono isolate. Neppure hanno accesso alla stampa scritta. Nel Terzo Mondo la radio è infinitamente più efficace che i mezzi che noi conosciamo." 

Allora, il movimento antiglobalizzazione non può utilizzare Internet con efficacia nel Terzo Mondo? 

Non si può essere tanto assoluti. Per esempio, proprio in  America Latina Internet è molto diffuso, e basta che una persona abbia ricevuto un'informazione per Internet affinché la riporti ai suoi studenti, ai suoi alunni, al suo gruppo di azione, cioè,  un computer ha una capacità di diffusione di informazione molto più ampia." 

Passo ad un altro tema. E dentro questo contesto, che carta può giocare il Sistema delle Nazioni Unite? 

"Una delle vittime del 11 di settembre sono le Nazioni Unite. Forse una delle prime vittime. Perché le Nazioni Unite, già dalla sparizione dell'Unione Sovietica, erano entrati in crisi, in quanto organizzazione incaricata di mantenere la pace nel Mondo che è la funzione principale delle Nazioni Unite. Siamo passati da un mondo bilaterale, un mondo nel quale esisteva un certo equilibrio dove tutto non era possibile, né da parte di uno né da parte dell' altro, perché l'altro l'impediva, ad un mondo unilaterale nel quale la dominazione, in particolare militare, ma anche economica, politica, tecnologica, culturale dell'USA è schiacciante. Washington stima che nelle relazioni internazionali non si ha bisogno oramai di un arbitro; essi stessi sono l'arbitro. Dal1991 le Nazioni Unite erano un'organizzazione in crisi, incapace di far rispettare un certo numero di considerazioni; ma dal 11 settembre questa crisi si è acutizzata. Gli USA non rispettano praticamente neppure alcuni accordi internazionali da loro firmati, dai governi precedenti l'attuale. Come per esempio, gli accordi di Kyoto o il rifiuto USA del Tribunale Internazionale di Giustizia. Nel mondo attuale si produce il seguente paradosso : le Nazioni Unite non è sono mai state tanto necessarie come oggi, le società hanno bisogno di un'istituzione-giudice, di un'istituzione, diciamo, obiettiva, neutra, che dica, un po', la giustizia nel Mondo. Quando in realtà abbiamo come dominante  uno Stato, gli USA, che fortunatamente non è il Terzo Reich; ma è una nazione dominante, soprattutto con questa amministrazione repubblicana. Noi pensiamo che sia preferibile la forza della legge che la legge della forza. E questa deve essere applicata dalle Nazioni Unite." 

Dato il momento attuale, è tema obbligato conoscere l'opinione del dottore Ramonet circa la lotta contro il terrorismo su scala mondiale. 

"Io credo che dopo l' 11 settembre siamo entrati in una nuova fase strategica: Il fatto che l'amministrazione nordamericana, e molto concretamente il ministro della difesa Donald Rumsfeld, abbia dichiarato che si entrava praticamente in una guerra senza fine, senza limiti, che questa guerra durerà 10; 15; 20; 50 anni, e che il nemico principale era il terrorismo, ci fa temere che entriamo in una specie di nuova  'guerra fredda' che immediatamente implica l'idea di un nuovo maccartismo. Il terrorismo non ha una definizione unica, neanche gli organismi internazionali sono riusciti a mettersi di accordo su una definizione di terrorismo. Bisogna dire che gli attentati dell' 11settembre sono un crimine e che niente, nessuna causa, può giustificare simile crimine. Ma noi pensiamo che scatenare una lotta di lunga durata, di molto lunga durata, mezzo secolo, contro una nebulosa chiamata terrorismo, dà adito a molte irregolarità, perché chiunque può essere domani qualificato di terrorista, nella misura in cui  l'amministrazione nordamericana si riserva il diritto di identificare i terrorismi. Per esempio, noi che siamo molto coinvolti in questo movimento contro la globalizzazione, sentiamo che in questa cornice della lotta contro il terrorismo molti sarebbero interessati ad affermare che questo movimento antiglobalizzazione è già l'anticamera del terrorismo. Nella sua immensa maggioranza, il movimento contro la globalizzazione è un movimento non violento che condanna l'uso della violenza. Ma, abbiamo ascoltato dichiarazioni che assimilano il movimento antimondializzazione al terrorismo. Questo può dare luogo a molte situazioni di abuso dei diritti umani. Lo stiamo vedendo negli USA. Lo  stiamo vedendo con l'uso e l'abuso che si sta facendo nella base militare di Guantánamo, dove si è creato una specie di centro di detenzione 'off shore'. 

È la variante nel penale del "paradiso fiscale", gli chiedo. 


"Effettivamente, è una specie di  'paradiso penale ', perché non c'è lì nessuna legge che si applichi. Si applica la legge che essi decidano; ma ciò non può essere, ciò non esiste da nessuna parte. Perfino la giustizia militare ha le sue regole. Lì si è creato una specie di limbo giuridico ed, evidentemente, ciò crea problemi. L'abuso nella lotta contro il terrorismo va a detrimento della libertà individuale e dei diritti umani." 

Fino ad ora abbiamo parlato di aspetti globali del mondo, chiedo al dottore Ramonet. Vuole affrontare aspetti regionali. Che prospettiva vede lei nell'Unione Europea con l'incorporazione di nuove nazioni? 


"L'Unione Europea è alla vigilia di un' ampliamento colossale, perché i 15 paesi dell'Unione Europea assorbiranno, di qui al 2003, sette nuovi paesi e, in un secondo tempo, altri quattro, cioè, undici paesi in totale: Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, vari paesi baltici, Slovacchia, Romania, Bulgaria, Slovenia, Cipro e Malta. E per un'epoca posteriore, si pensa di integrare i paesi dell'ex Yugoslavia, già la Slovenia entra in questo primo pacchetto. Cioè, la frontiera dell'Unione Europea finirebbe in Bielorussia, Ucraina e Moldavia." 

Si fermerà lì l'Unione Europea? 

No, in un terzo tempo si pensa di integrare la Turchia e se si integra la Turchia, io penso che in quel caso si integrerebbero anche gli Stati di Transcaucasia, cioè, Georgia, Armena ed Azerbaiján, che si considerano come paesi europei nell'Europa politica. Stiamo a due anni da un insieme di 450 milioni di abitanti, cioè, da un insieme di  peso considerevole. L'Unione Europea ha attualmente 360 milioni di abitanti, cioè, sono già 100 milioni più che i nordamericani. Ma con 450 milioni, il peso demografico sarà considerevole. Bisogna tenere in conto che l'Unione Europea è già la prima potenza commerciale del Mondo, prima degli USA quindi, dal punto di vista demografico ed economico, costituisce un'entità politico economica considerevole." 

Esisteranno problemi con questo ampliamento? 

"Sì, questo ampliamento crea enormi problemi poiché presuppone l'integrazione di economie molto poco sviluppate. La polacca, in particolare, in questo primo tempo, la slovacca, sono economie che hanno bisogno di aiuti colossali. Pensi che l'unico paese dell'Europa dell'est che è stato assorbito, fino ad ora, è la RDA, che era il paese più sviluppato dell'Europa dell'est. Ma l'assorbimento e l'allineamento della RDA è costato a tutti gli europei uno sforzo colossale ed ha avuto conseguenze sull'indice d'inflazione, sull'indice di sviluppo dell'insieme dell'Unione Europea. Ed era un piccolo paese. Ora si tenta di assorbire, per esempio, la Polonia, che è un paese di 30 milioni di abitanti; l'Ungheria, quasi 10 milioni. Allora, io penso che i soprassalti saranno difficili. Le agricolture avranno difficoltà. D'altra parte, la gestione dell'Unione Europea sarà molto più difficile. È già difficile con 15 membri; ma è molto più difficile con 22. Perché ognuno ha diritto di veto, secondo i regolamenti. A sua volta, l'ampliamento non risolve uno dei principali problemi che ha l'Unione Europea che è un'entità economica, ma non è un'entità in materia di politica estera. Io credo che l'arrivo dei paesi nuovi complichi ancora più l'omogeneità della politica estera dell'Unione Europea. E, evidentemente, chi dice politica estera, dice politica militare. L'Unione Europea non ha una politica unica sul piano militare; e finché non l' ha, non può essere una potenza in materia di politica estera. Questo vuole dire che l'Europa continuerà ad essere un gigante economico coi piedi di argilla dal punto di vista militare ed in materia di politica estera. L'Europa continuerà a pesare poco di fronte al peso che possono avere gli USA. Nelle crisi internazionali, nella misura in cui l'Europa non disponga di un strumento militare che sia all'altezza della sua politica estera, a condizione che questa sia omogenea, neanche potrà essere un contrappeso sufficiente per gli USA. Io credo che i prossimi lavori  stiano nell'ottenere una maggiore coesione in materia di politica estera, che l'Europa s'imponga come  attore. D'altra parte, nell'ultimo secolo e mezzo, la tragedia dell'Europa è stata che la forza politica dominante in Europa, in  una maniera o nell'altra, sono stati i nazionalismi. Ed io credo che la costituzione dell'Europa riduca i nazionalismi e le prospettive dei nazionalismi che hanno tendenza alla partizione, alla divisione, allo scontro. 


"Allora, il fatto che nel contesto internazionale potesse esistere un'entità come l'Unione Europea, con paesi profondamente democratici, molto sensibile all'Africa che è il principale dramma del Mondo, sarebbe qualcosa di positivo; ma sarà molto difficile."

 

Cambiando regione, dottore, che cosa può dirci dell'America Latina e dell'Alca? Come possono i paesi latinoamericani difendersi dalla minaccia costituita dall'Alca? 

"L'Alca è l'applicazione dogmatica della globalizzazione liberale all'America Latina. Creare un'ampia zona di libero commercio è un modo per essere invasi dai prodotti nordamericani. È un mercato di consumo dei prodotti nordamericani. Oggi la realtà dell'America Latina  è da spavento. Abbiamo la situazione della Colombia della quale non si vede soluzione. La situazione in Perù, dove ci dicevano che il signore Toledo avrebbe risolto tutti i problemi con l'appoggio totale dell'amministrazione nordamericana. La popolarità di Toledo è caduta a picco, è un uomo che ha oggi non meno del 70 % della popolazione contro. La situazione del Paraguay è in questi giorni di stato d'emergenza . La situazione dell'Uruguay è una situazione disperata. La situazione dell'Ecuador, praticamente d'insurrezione permanente. La situazione del Brasile, in questo momento, è che  tutto il capitale, le imprese, stanno speculando contro la vittoria di Lula; e la vittoria di Lula è il desiderio popolare. In Venezuela abbiamo la borghesia ed i mezzi informativi che lottano contro un governo che sta tentando  una riforma importante della situazione generale. E finalmente abbiamo all'Argentina, in una situazione di disastro totale. L'unico paese dell'America del Sud che sta uscendo, più o meno,  dalla situazione, anche se ancora in crisi, è il Cile. Ed in Messico, dove ci dicevano che con la sparizione del PRI si risolvevano quasi tutti i problemi e che il signore Fox  avrebbe risolto i restanti  abbiamo una situazione di impazienza generale; non si vedono  quelle riforme che il signore Fox pretendeva avviare. Il Messico è il paese che più appoggia l'Alca e che sta già nel Trattato Nordamericano di Libero Commercio con Canada ed USA. Abbiamo visto come come conseguenza di ciò che una gran parte dell'agricoltura messicana è andata in rovina senza alcuna via di uscita. L'Alca, che soluzione apporterebbe? Né l'Alca, né il Piano Puebla - Panama che è unicamente un piano per spingere a sud la frontiera meridionale degli USA e portarla verso la frontiera di Panama e fare così in modo che l'immigrazione non arrivi negli USA, che  è l'unica preoccupazione nordamericana. Io non credo che l'Alca possa apportare soluzioni. L'America Latina ha appena passato 15 anni applicando le leggi neoliberali nella maggioranza dei suoi paesi. Il disastro sta davanti agli occhi, con una popolazione più povera di 15 anni fa; con alcune industrie ridotte peggio, nella maggioranza dei paesi, che prima; con alcune agricolture ridotte peggio di prima; con alcuni debiti esteri più massicci di prima. Il bilancio di 15 anni di neoliberalismo è disastroso. E il peggio  è che non si conosce la soluzione per questi paesi? Il ritorno dei militari? Il ritorno delle dittature? Nell'ultimo anno, ci sono stati 6 presidenti latinoamericani abbattuti da insurrezioni popolari. Abbiamo situazioni come Haiti, dove i nordamericani hanno voluto applicare la loro politica ed ora non hanno neppure relazioni col signor Aristide, una situazione catastrofica. Cioè, la situazione del continente latinoamericano è eccessivamente difficile, senza prospettive. E l'Alca viene ad acutizzarla. L'Alca viene a dire che  quello che si è fatto in questi 15 anni e che ha dato questo risultato catastrofico, sarà rifatto con maggiore energia. Il disastro sarà ancora maggiore." 

Lei non vede nessuna prospettiva positiva? 

"Bene, le cose potrebbero cambiare se il candidato del Partito dei Lavoratori in Brasile vincesse l'elezione presidenziale. Quello sarebbe un cambiamento interessante perché significherebbe che una serie di riforme si metterebbero in moto. Ma quando vediamo quello che sta succedendo al presidente Chávez in Venezuela, possiamo temere di tutto, su ciò che può accadere in Brasile. Quello che è successo in Venezuela è molto esemplare perché gli USA non appoggiavano un colpo di Stato militare in America Latina dal'91. Precisamente l'ultimo Presidente abbattuto dai militari in America Latina fu  il presidente Aristide nel'91. Abbattuto dal colonnello Cedrás. In quel periodo ('94) si produsse, cosa insolita nell'ambito dei Caraibi ed America Centrale, un intervento militare nordamericana per ristabilire la democrazia e non per  instaurare una dittatura. Essi riportarono di nuovo Aristide al potere. È la prima volta che io ricordi, dalla  fine del secolo XIX in cui gli USA intervengono militarmente per realmente instaurare una democrazia. 
"Nel colpo di Stato contro Chávez l'11 aprile passato, sappiamo che gli USA erano implicati, il signor Otto Reich era implicato, era informato, l' ha ammesso, i golpisti lo videro nel suo ufficio a Washington. Ci sono stati rappresentanti nordamericani in Miraflores,  proprio nel  Palazzo Presidenziale, durante le 48 ore  del colpo di Stato. Non siamo in condizioni, perché non disponiamo dell'informazione, di dire che gli USA pilotarono questo golpe; ma erano  informati, lo seguirono passo dopo passo. Ciò è una novità. Che cosa significa ? Significa che domani a Lula  fanno la stessa cosa? È un avviso ai brasiliani affinché non votino per Lula? Tutto è possibile. Guardi il ruolo che ha avuto l'Ambasciatore USA in Nicaragua. Lei ricorda che l'elezione presidenziale in Nicaragua ebbe luogo alcuni giorni dopo l'11settembre. E di conseguenza l'Ambasciatore USA ebbe un'influenza considerevole sull'opinione pubblica, dicendo che se si votava per Daniel Ortega era una maniera di votare praticamente per quelli che avevano messo le bombe in Manhattan, cosa strampalata. Voglio dire che, non solo l'Alca è preoccupante; è anche preoccupante vedere come l'amministrazione nordamericana può reagire contro qualunque tentativo di riforma politica e sociale che tenti di modificare o contenere un po' la globalizzazione liberale e correggere la situazione di disperazione che ci sono in questi paesi. 

L'opinione di Ramonet circa la strategia di lotta da seguire in America Latina di fronte all'Alca si riassume nell'ultima risposta data  nell'intervista. 
Bene e che cosa fare in queste circostanze dottore? 


Resistere, resistere. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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La primera cuestión abordada es la globalización neoliberal, a la cual Ramonet le llama, simplemente, globalización, "pues", precisa, "aunque puede haber varias, la real actual es la liberal". Le digo que mucho se ha hablado de las características de esta globalización y de sus nefastos resultados; pero, en este caso, lo que procuro es la valoración de Ramonet acerca de una alternativa a la globalización neoliberal. Si no es la globalización neoliberal, entonces, ¿qué es la sociedad que queremos y cómo la logramos?

 

"Es realmente una pregunta difícil. Es la pregunta que hoy día a nosotros nos preocupa bastante. El contexto geopolítico que se da a finales de los años ochenta y principios de los años noventa está marcado por tres grandes acontecimientos: la caída del Muro de Berlín en noviembre de 1989; la Guerra del Golfo a principios de 1991; y la desaparición, la implosión, de la Unión Soviética en diciembre de 1991. A partir de ese momento se entra en un mundo nuevo y se ponen en marcha también mecanismos económicos de otro tipo. Pero, en ese momento, aún no sabemos lo que es la globalización. La palabra "globalización" aún no existía. Empezaba a ser propuesta por algunos críticos. Era la etapa de definición de la globalización.

Una vez que se había identificado a la globalización y ya sabíamos cómo estaba funcionando, surge una segunda etapa, que ha sido de protesta contra la globalización. Y así han surgido una serie de Organizaciones No Gubernamentales (ONGs); nosotros habíamos lanzado ATTAC (Asociación por una Tasa sobre las Transacciones especulativas para Ayuda a los Ciudadanos), criticando las decisiones financieras de la globalización. Se había podido también movilizar a nuevas generaciones que protestaban contra la globalización y que se manifiestan por primera vez en la Cumbre de la OMC, en Seattle, en diciembre del '99. Esta es una segunda fase.

Primera fase: una fase de comprensión. Segunda fase: una fase de protesta.

Y la tercera fase es la de formular contrapropuestas a la globalización; que es lo que usted pregunta. Es decir, nosotros ahora ya sabemos lo que es la globalización. Hemos protestado en la calle manifestándonos contra la globalización; pero ¿qué proponemos nosotros? Este es el objetivo del Foro Social Mundial de Porto Alegre. Nosotros hemos propuesto a nuestros amigos brasileños y luego a todas las ONG y asociaciones internacionales que criticaban la globalización, crear un Foro Social Mundial en el mismo momento en que tenía lugar el Foro Económico Mundial en Davos, es decir, a fines de enero-principios de febrero de cada año, y reunir allí a toda la Humanidad. No a representantes de Gobiernos, no a representantes de Estados, no a representantes de organismos internacionales ligados a la economía, sino a asociaciones representativas de lo que se llama en general "la sociedad civil", de las sociedades reales, de los pueblos, de la Humanidad en definitiva. Porto Alegre tuvo lugar en el 2001 y en el 2002. Y Porto Alegre es, un poco, la respuesta a la globalización. No es una respuesta, digamos, del mismo tipo que el socialismo fue una respuesta al capitalismo.

"Cuando aparece el capitalismo, en el final del siglo XVIII-principio del siglo XIX, suscita una serie de fascinaciones. Por una parte hay tecnologías nuevas, la máquina de vapor, y nuevos medios de comunicaciones: el ferrocarril, con lo que eso supone de aceleración de la economía y de los intercambios. El capitalismo también genera un desarrollo fantástico del enriquecimiento de aquellos que se benefician de estos aportes técnicos. Esta revolución hace surgir una clase social nueva, los obreros, y que necesita de una teoría para compensar al capitalismo. Esa teoría es el socialismo.

Y el socialismo, en su oposición al capitalismo, es lo que ha caracterizado estos dos últimos siglos: siglo XIX y siglo XX. En este momento nosotros pensamos que lo que llamamos globalización es una segunda revolución capitalista. Estamos ante otro tipo de capitalismo, que es un capitalismo financiero, que evidentemente hace que la locomotora de ese capitalismo ya no es la producción fabril, ya no es la producción de objetos materiales y tangibles. Ahora la locomotora de ese capitalismo es la especulación financiera. Estamos en una fase que se caracteriza también por la aparición de lo que llamamos "las nuevas tecnologías", es decir, Internet, un nuevo sector de comunicación. Internet ha permitido la aparición de un medio de comunicación nuevo, igual que el capitalismo primero había permitido la aparición del ferrocarril como un medio de comunicación nuevo. Y por Internet, ¿qué es lo que circula? No circulan objetos materiales, lo que circulan son objetos inmateriales. Entonces, este capitalismo nuevo está creando una sociedad nueva, unas aceleraciones nuevas, unos enriquecimientos nuevos y, por otra parte, unas injusticias nuevas. Este nuevo capitalismo supone, evidentemente, la elaboración de un nuevo socialismo."  

La respuesta ha sido larga, pero sustanciosa en su contenido. Le pregunto que si el Foro Social Mundial y lo que él representa, logra modificar la globalización neoliberal, tendríamos entonces, ¿qué sociedad? ¿Un nuevo socialismo? ¿Tendríamos un capitalismo no neoliberal?

"En mi opinión, Porto Alegre no propone algo así como un paquete ya hecho que se llamaría el nuevo socialismo. No lo propone. Tengamos en cuenta que elaborar una teoría requiere mucho tiempo. Por ejemplo, los soviéticos pensaban tener la teoría, conquistaron el poder, y la aplicación de esa teoría ha sido muy complicada, no solo ahí, sino en muchos países, porque no siempre es fácil pasar de la teoría a la práctica. Pero por lo menos existía un corpus teórico. Hoy día ese corpus teórico no existe. En Porto Alegre, sinceramente, muchos grupos representativos no quieren volver a recrear la experiencia soviética, que ha tenido evidentemente aspectos muy positivos; pero aspectos muy negativos. Entonces, lo que sí ha hecho Porto Alegre es decir: `la globalización está avanzando así... hay que corregirla.' Hay una serie de correctivos que aportar y que son de una tremenda urgencia."

¿Cuáles son estos correctivos?

"Por ejemplo, la deuda del Tercer Mundo, la supresión de los 'paraísos fiscales', introducir ética y moral en el dominio económico. También Porto Alegre propone aplicar la Tasa Tobin para evitar la especulación financiera y crear un fondo que sea revertido a los países pobres.

El segundo tema abordado es el papel que juegan los medios de difusión, el llamado "poder mediático".

"La globalización tiene tres frentes.

El primer frente es el frente económico. La globalización liberal es, esencialmente, un fenómeno económico y financiero.

El segundo frente que se ha abierto después del 11 de septiembre es el frente militar. Los EE.UU. han asumido la función de ser el brazo armado de la globalización. Este segundo frente supone que todo aquel que se opone a la globalización corre el riesgo de ser acusado de terrorismo.

Pero a estos dos frentes se añade un tercer frente, que en mi opinión es un frente central, y que es el frente ideológico. Es el frente de tratar de convencer a cada persona del planeta de que la globalización es lo mejor que le puede ocurrir al planeta. Esa es la idea. Y quien trabaja sobre ese frente son los medios de comunicación. Los medios de comunicación de masas se han transformado en nuestra época en, yo diría, el segundo poder. Se ha hablado durante mucho tiempo de los tres poderes. Hoy día el primer poder es el poder económico y el segundo poder es el poder mediático. El poder político viene mucho después. Y, además, el poder mediático es también poder económico. Porque el poder mediático, hoy, es el poder de grupos industriales mediáticos, que son actores centrales de la vida económica internacional. ¿Por qué? Porque lo que nosotros llamamos información, en el sentido amplio de la palabra, no es solo la prensa, la radio y la televisión. La comunicación es todo lo que tiene que ver con el mundo de la informática, el mundo de la telefonía, el mundo de la electricidad, el mundo de la comunicación satelital, etc. Y por consiguiente, la comunicación es hoy día una industria pesada. Lo que en otra época fue la siderurgia, la construcción automóvil, la extracción de petróleo, hoy día es la comunicación. Los grandes grupos de la comunicación son grandes grupos del poder económico. El grupo Time Warner, Vivendi, el Murdoch, son actores centrales. Por consiguiente, el poder mediático hoy día combina poder económico y poder ideológico."

Le digo que me interesa saber cómo los poderosos de este Mundo utilizan la fuerza mediática.

"Los medios hoy hacen un abuso de la libertad de expresión en la medida en que pueden poner toda su fuerza ideológica y mediática al servicio de unos objetivos que son puramente políticos. Tenemos ante los ojos lo que está pasando en Venezuela. Los grandes medios venezolanos, que pertenecen al sector privado, están usurpando la función de oposición política, ocupando la función de oposición política, y conduciendo una campaña a base de manipulaciones, a base de mentiras, a base de deformaciones, de desinformaciones, contra el gobierno legítimo y democrático de Venezuela. Y ya han podido hacer cosa rarísima en la historia política internacional: un golpe de Estado mediático el 11 de abril pasado. Es decir, en un contexto en el que el gobierno democrático y legítimo respeta totalmente la libertad de expresión, vemos cómo los medios, con la ayuda de muchos organismos internacionales, han podido hacer un golpe de Estado mediático. Y ahora mismo están trabajando en la preparación de un próximo golpe mediático. En este caso, el poder mediático es un poder que no tolera las críticas contra la globalización, que censura a aquellos intelectuales, aquellos universitarios, aquellos economistas, que desarrollan tesis hostiles a la globalización."

¿Es posible utilizar las nuevas tecnologías, de Internet, etc. por parte de los que luchan contra la globalización neoliberal?

"Las nuevas tecnologías, Internet sobre todo, pueden también transformarse en un instrumento de contrainformación. Es decir, que todo el movimiento antiglobalización está utilizando Internet para constituir redes, difundir información, para crear asociaciones, organizar manifestaciones, etc., a escala planetaria, cosa que antes era más difícil de realizar, costaba mucho más caro. Internet demuestra que es relativamente fácil de utilizar, no es muy caro y es siempre planetario. Se pueden movilizar decenas de millones de personas; en todo caso, informar, enviar mensajes a grupos, a redes, que ellos pueden retransmitirlos. No solo Internet permite un uso, digamos, alternativo de la comunicación. Es importante el uso de las radios alternativas, el uso de la prensa alternativa. Es más difícil poder hablar de televisión alternativa, aunque con Internet empieza a haber elementos de televisión ligera. Todas las grandes asociaciones internacionales, aquellas que participan en Porto Alegre en particular, tienen su propio sistema de información, tienen su sitio Internet, tienen relaciones con muchas radios alternativas, difunden octavillas, difunden documentos, difunden libros. Hoy día, por una parte están los grandes imperios mediáticos con un capacidad de intervención excepcional; pero por otra parte, están todos los `mosquitos mediáticos', que son un verdadero enjambre y que en definitiva tienen una capacidad de intervención. Yo pienso que hoy día, desde el punto de vista mediático, hay una capacidad de resistencia que se puede utilizar."

Sin embargo, la situación tecnológica y la difusión de Internet que puede utilizar el movimiento antiglobalización en Europa no es la misma que la del Tercer Mundo.

"Mire, yo estaba recientemente en San José de Costa Rica, en un Congreso de periodistas de toda América Latina que se ocupan de la radio. Y la mayoría de los periodistas que estaban allí trabajaban en radios alternativas, en radios de asociaciones, en radios de grupos locales, radios cristianas, radios ligadas a grupos de barrios, y todos ellos estaban convencidos de que hay una capacidad excepcional para movilizar, en particular, a los sectores populares. La radio es un fenómeno extraordinariamente popular, relativamente barato. La radio ahora alcanza a todas las poblaciones, aunque no tengan electricidad o que se encuentren aislados en el campo. Por consiguiente, la radio en sí ya es un mundo que llega al universo de la población sin electricidad. No olvidemos que hay dos mil millones de personas sin electricidad en el Mundo y que, por consiguiente, no tienen acceso a la televisión, están aisladas. Tampoco tienen acceso a la prensa escrita. En el Tercer Mundo la radio es infinitamente más eficaz que los medios que nosotros conocemos."

Entonces, ¿el movimiento antiglobalización no puede utilizar Internet con eficacia en el Tercer Mundo?

"No se puede ser tan absoluto. Por ejemplo, en la propia América Latina Internet está muy difundida, y basta que una persona haya recibido una información por Internet para que la repercuta con sus estudiantes, con sus alumnos, con su grupo de acción, es decir, que un ordenador tiene una capacidad de difusión de información mucho más amplia."

Paso a otro tema. Y dentro de este contexto, ¿qué papel puede jugar el Sistema de las Naciones Unidas?

"Una de las víctimas del 11 de septiembre son las Naciones Unidas. Quizás una de las primeras víctimas. Porque, ya las Naciones Unidas, desde la desaparición de la Unión Soviética, habían entrado en crisis, en tanto que organización encargada de mantener la paz en el Mundo, que es la función principal de Naciones Unidas. Hemos pasado de un mundo bilateral, de un mundo en el que existía cierto equilibrio donde todo no era posible, ni por parte de uno ni por parte de otro, porque el otro lo impedía, a un mundo unilateral en el que la dominación, en particular militar, pero también económica, política, tecnológica, cultural de los EE.UU. es aplastante. Washington estima que en las relaciones internacionales ya no se necesita un árbitro; el árbitro son ellos. Desde 1991 Naciones Unidas era una organización en crisis, incapaz de hacer respetar cierto número de consideraciones; pero desde el 11 de septiembre esta crisis se ha agudizado. Los EE.UU. ya prácticamente no respetan ni siquiera algunos acuerdos internacionales firmados por ellos, por gobiernos precedentes del actual. Como por ejemplo, los acuerdos de Kyoto o el rechazo de EE.UU. al Tribunal Internacional de Justicia. En el mundo actual se produce la paradoja siguiente: nunca Naciones Unidas ha sido tan necesaria como hoy, las sociedades necesitan de una institución-juez, de una institución, digamos, objetiva, neutra, que diga, un poco, la justicia en el Mundo. Cuando en realidad tenemos como dominante a un Estado, los EE.UU., que afortunadamente no es el Tercer Reich; pero es una nación dominante, sobre todo con esta administración republicana. Nosotros pensamos que es preferible la fuerza de la ley que la ley de la fuerza. Y eso debe aplicarlo Naciones Unidas."

Debido al momento actual, es tema obligado conocer la opinión del doctor Ramonet acerca de la lucha contra el terrorismo a escala mundial.

"Yo creo que después del 11 de septiembre hemos entrado en una nueva fase estratégica: El hecho de que la administración norteamericana, y muy concretamente el ministro de defensa Donald Rumsfeld, haya declarado que se entraba en una guerra prácticamente sin fin, sin límites, que esta guerra duraría 10; 15; 20; 50 años, y que el enemigo principal era el terrorismo, nos hace temer de que entremos en una especie de nueva `guerra fría' que inmediatamente conlleva la idea de un nuevo macartismo. El terrorismo no tiene una definición única, ni siquiera los organismos internacionales han conseguido ponerse de acuerdo sobre una definición del terrorismo. Hay que decir que los atentados del 11 de septiembre son un crimen y que nada, ninguna causa, puede justificar semejante crimen. Pero nosotros pensamos que desencadenar una lucha de larga duración, de muy larga duración, medio siglo, contra una nebulosa llamada terrorismo, da pie a muchas irregularidades, porque cualquiera puede ser mañana calificado de terrorista, en la medida que la administración norteamericana se reserva el derecho de identificar a los terrorismos. Por ejemplo, nosotros que estamos muy envueltos en este movimiento contra la globalización, sentimos que en este marco de la lucha contra el terrorismo muchos estarían interesados en decir que este movimiento antiglobalización ya es la antesala del terrorismo. En su inmensa mayoría, el movimiento contra la globalización es un movimiento no violento que condena el uso de la violencia. Pero, hemos escuchado declaraciones asimilando el movimiento antimundialización a los prolegómenos del terrorismo. Esto puede dar lugar a muchas situaciones de abuso de derechos humanos. Lo estamos viendo en EE.UU. Lo estamos viendo con el uso y el abuso que se está haciendo en la base militar de Guantánamo, donde se ha creado allí una especie de centro de detención `off shore'."

Es la variante en lo penal del "paraíso fiscal", le digo.

"Efectivamente, es una especie de `paraíso penal', porque ahí no hay ley ninguna que se aplique. Se aplica la ley que decidan ellos; pero eso no puede ser, eso no existe en ninguna parte. Hasta la justicia militar tiene reglas. Ahí se ha creado una especie de limbo jurídico y, evidentemente, eso plantea problemas. El abuso en la lucha contra el terrorismo va en detrimento de la libertad individual y de los derechos humanos."

Hasta ahora hemos estado hablando de aspectos globales del mundo, le digo al doctor Ramonet. Quisiera abordar aspectos regionales. ¿Qué perspectiva usted ve en la Unión Europea con la incorporación de nuevas naciones?

"La Unión Europea está a la víspera de una ampliación colosal, porque los 15 países de la Unión Europea van a absorber, de aquí al 2003, siete nuevos países y, en un segundo tiempo, cuatro más, o sea, once países en total: Polonia, Hungría, Chequia, varios países bálticos, Eslovaquia, Rumania, Bulgaria, Eslovenia, Chipre y Malta. Y para una época posterior, se piensa integrar los países de la ex Yugoeslavia, ya Eslovenia entra en este primer paquete. Es decir, la frontera de la Unión Europea terminaría en Bielorrusia, Ucrania y Moldavia."

¿Se detendrá ahí la Unión Europea?

No, en un tercer tiempo se piensa integrar a Turquía y si se integra Turquía, yo pienso que en ese caso se integrarían también los Estados de Transcaucasia, es decir, Georgia, Armenia y Azerbaiján, que se consideran como países europeos en la Europa política. Estamos a dos años de un conjunto de 450 millones de habitantes, o sea, de un conjunto de un peso considerable. La Unión Europea tiene actualmente 360 millones de habitantes, es decir, ya son 100 millones más que los norteamericanos. Pero con 450 millones, el peso demográfico será considerable. Hay que tener en cuenta que la Unión Europea ya es la primera potencia comercial del Mundo, antes que los EE.UU. Por consiguiente, desde el punto de vista demográfico y económico, constituye una entidad político-económica considerable."

¿Existirán problemas con esta ampliación?

"Sí, esta ampliación plantea enormes problemas. La ampliación supone la integración de economías muy poco desarrolladas. La polaca, en particular, en este primer tiempo, la eslovaca, son economías que van a necesitar ayudas colosales. Piense, que el único país de Europa del Este que se ha absorbido, hasta ahora, es la RDA, que era el país más desarrollado de Europa del Este. Pero la absorción y la puesta a nivel de la RDA ha costado a todos los europeos un esfuerzo colosal y ha tenido consecuencias en el índice de inflación, en el índice de desarrollo del conjunto de la Unión Europea. Y era un pequeño país. Ahora se trata de absorber, por ejemplo, a Polonia, que es un país de 30 millones de habitantes; Hungría, casi 10 millones. Entonces, yo pienso que los sobresaltos van a ser difíciles. Las agriculturas en particular van a tener dificultades. Por otra parte, la gestión de la Unión Europea va a ser mucho más difícil. Ya es difícil con 15 miembros; pero va a ser mucho más difícil con 22. Porque cada uno tiene derecho de veto, según los reglamentos. A su vez, la ampliación no resuelve uno de los principales problemas que tiene la Unión Europea, que es una entidad económica, pero no es una entidad en materia de política exterior. Yo creo que la llegada de los países nuevos va a complicar aún más la homogeneidad de la política exterior de la Unión Europea. Y, evidentemente, quien dice política exterior, dice política militar. La Unión Europea no tiene una política única en el plano militar; y mientras no la tenga, no puede ser una potencia en materia de política exterior. Esto quiere decir que Europa seguirá siendo un gigante económico con los pies de arcilla desde el punto de vista militar y en materia de política exterior. Europa seguirá pesando poco frente al peso que pueden tener los EE.UU. En las crisis internacionales, en la medida en que Europa no disponga de un instrumento militar que esté a la altura de su política exterior, a condición de que esta sea homogénea, tampoco podrá ser un contrapeso suficiente para los EE.UU. Yo creo que los trabajos por venir están en conseguir mayor cohesión en materia de política exterior, que Europa se imponga como un actor. Por otra parte, en el último siglo y medio, la tragedia de Europa ha sido que la fuerza política dominante en Europa, de una manera o de otra, han sido los nacionalismos. Y yo creo que la constitución de Europa reduce los nacionalismos y las perspectivas de los nacionalismos, que tienen tendencia a la partición, a la división, al enfrentamiento.

"Entonces, el hecho de que en el contexto internacional pudiera existir una entidad como la Unión Europea, con países profundamente democráticos, muy sensible a África, que es el drama primero de lo que ocurre en el Mundo, sería algo positivo; pero va a ser muy difícil."

Cambiando de región, doctor, ¿qué nos puede decir de América Latina y del ALCA? ¿Cómo pueden los países latinoamericanos defenderse de la amenaza que constituye el ALCA?

"El ALCA es la aplicación dogmática de la globalización liberal a América Latina. Crear una amplia zona de libre comercio es una manera de ser invadido por los productos norteamericanos. Va a ser un mercado de consumo de los productos norteamericanos. Cuando vemos la realidad de América Latina de hoy, es de espanto. Tenemos la situación en Colombia, a la que no se le ve solución. La situación en Perú, donde nos decían que el señor Toledo iba a solucionar todos los problemas, que tenía el apoyo total de la administración norteamericana. La popularidad de Toledo ha caído en picada, es un hombre que tiene hoy día no menos del 70% de la población en contra de él. La situación de Paraguay, hay estado de emergencia desde estos días. La situación de Uruguay es una situación desesperada. La situación de Ecuador, prácticamente de insurrección permanente. La situación de Brasil, en este momento, todo el capital, las empresas, están especulando contra la victoria de Lula; y la victoria de Lula es el deseo popular. En Venezuela, tenemos a la burguesía y a los medios acomodados luchando contra un gobierno que está tratando de impulsar una reforma importante de la situación general. Y por fin tenemos a Argentina, en una situación de desastre total. El único país, más o menos, de América del Sur, que está saliéndose de la situación, aún con crisis, es Chile. Y en México, donde también nos decían que con la desaparición del PRI ya se habían resuelto todos los problemas y que el señor Fox iba a solucionar los problemas, ahora tenemos una situación de impaciencia general, no se ven venir estas reformas que el señor Fox pretendía impulsar. México es el país que más apoya al ALCA, que ya está en el Tratado Norteamericano de Libre Comercio con Canadá y EE.UU. Hemos visto cómo una gran parte de la agricultura mexicana se arruinó como consecuencia de esto y no consigue salir. El ALCA, ¿qué solución aportaría? Ni el ALCA, ni el Plan Puebla-Panamá, que es únicamente un plan para rechazar la frontera sur de los EE.UU. y llevarla hacia la frontera de Panamá y hacer que la inmigración no llegue a EE.UU., esta es la única preocupación norteamericana. Yo no creo que el ALCA pueda aportar soluciones. América Latina acaba de pasar 15 años aplicando las leyes neoliberales en la mayoría de sus países. Ahí está el desastre ante los ojos, con una población más pobre que hace 15 años; con unas industrias más desmanteladas, en la mayoría de los países, que antes; con unas agriculturas más desmanteladas que antes; con unas deudas externas más importantes que antes. El balance de 15 años de neoliberalismo es desastroso. Y lo peor es que ¿cuál es la solución para estos países? ¿El regreso de los militares? ¿El regreso de las dictaduras? En el último año, ha habido 6 presidentes latinoamericanos derrocados por insurrecciones populares. Tenemos situaciones como Haití, donde los norteamericanos han querido aplicar su política y ahora no tienen ni siquiera relaciones con el señor Aristide, una situación catastrófica. Es decir, la situación del continente latinoamericano es extremadamente difícil, sin perspectivas. Y el ALCA viene a agudizarlo todo. El ALCA viene a decir que lo que se ha hecho desde hace 15 años, que ha dado este resultado catastrófico, ahora se va a realizar con mayor energía. El desastre será mayor aún".

¿No ve usted ninguna perspectiva positiva?

"Bueno, las cosas podrían cambiar si el candidato del Partido de los Trabajadores en Brasil gana la elección presidencial. Eso sería un cambio interesante, porque significaría que una serie de reformas se pondrían en marcha. Pero cuando vemos lo que le está ocurriendo al presidente Chávez en Venezuela, podemos temerlo todo, de lo que pueda pasar en Brasil. Lo que ha ocurrido en Venezuela es muy ejemplar, porque los EE.UU. no apoyaban un golpe de Estado militar en América Latina desde 1991. El último Presidente derrocado por los militares en América Latina fue precisamente el presidente Aristide en el 91. Derrocado por el coronel Cedrás. En ese período se produjo, cosa insólita en el ámbito del Caribe y América Central, una intervención militar norteamericana para restablecer la democracia, no para instaurar una dictadura, que fue en el 94 en Haití. Ellos trajeron de nuevo a Aristide y lo pusieron en el poder. Es la primera vez, que yo recuerde, desde finales del siglo XIX, en que los EE.UU. intervienen militarmente para realmente instaurar una democracia.

"En el golpe de Estado contra Chávez el 11 de abril pasado, nosotros sabemos que los EE.UU. estaban implicados, el señor Otto Reich estaba implicado, estaba informado, lo ha reconocido, los golpistas vinieron a verlo a su despacho a Washington. Ha habido representantes norteamericanos en Miraflores, en el propio Palacio Presidencial, durante las 48 horas que duró ese golpe de Estado. No estamos en condiciones, porque no disponemos de la información, de decir que los EE.UU. pilotearon ese golpe; pero estaban informados, acompañaron a ese golpe. Eso es nuevo. ¿Qué significa eso? ¿Significa que mañana a Lula le van a hacer lo mismo? ¿Es un aviso a los brasileños para que no voten por Lula? Todo es posible. Mire el papel que ha tenido el Embajador de EE.UU. en Nicaragua. Usted recuerda que la elección presidencial en Nicaragua tuvo lugar unos días después del 11 de septiembre. Y que por consiguiente, el Embajador de EE.UU. tuvo una influencia considerable frente a la opinión pública, diciendo que si se votaba por Daniel Ortega era una manera de votar prácticamente por los que habían puesto las bombas en Manhattan, cosa descabellada. Quiero decir que, no solo el ALCA es preocupante; también es preocupante ver ahora cómo la administración norteamericana puede reaccionar contra cualquier tentativa de reforma política y social que trate de modificar o contener un poco la globalización liberal y corregir la situación de desesperanza que hay en estos países.

La opinión de Ramonet acerca de la estrategia de lucha a seguir en América Latina frente al ALCA se resume en el último diálogo sostenido en la entrevista.

Bueno, y¿qué hacer en esas circunstancias doctor?

Resistir, resistir.