Novembre 06, 2005

 

Bush, i fischi di

un continente

 

Per la prima volta nella storia delle assemblee che riuniscono i paesi dell'America Latina il documento finale accoglie due tesi, una contro l'altra. E per la prima volta i protagonisti se ne vanno, evitando di ascoltare la lettura di un testo che sbriciola promesse e speranze. Ma un punto d'incontro c'è: mai un presidente degli Stati Uniti ha riunito l'intero continente in un solo sentimento, il disprezzo popolare. Roboante, isterico, esagerato, inquinato da veleni pericolosi, eccessivo nell'improprietà, ma condiviso dalle folle argentine, brasiliane, di Caracas e di Città del Messico.

Gli stessi cartelli attraversano in un lampo 12 mila chilometri di malcontento. 220 milioni di emarginati in una regione tra le più ricche del mondo fanno pensare ad una sterminata periferia disposta a bruciare le strategie dei palazzi dove l'alchimia dei neo conservatori programma la loro infelicità.

Ricordava Pier Paolo Pasolini: «Il centro di ogni città è un padre autoritario, la periferia madre emarginata». Il viaggio di Bush ha fatto il miracolo del sincronizzare le rabbie di periferie lontane esaltando involontariamente portabandiera a volte impropri e non sempre adeguati a risolvere il dramma. Ma è più facile parlare con la pancia alle pance vuote che distillare ricette incomprensibili a chi paga ogni giorno i disastri del liberismo. Con lo sguardo malinconico Bush riparte ammettendo sobriamente la sconfitta nel congedo da un Kirchner, padrone di casa non riguardoso. «La ringrazio per l'accoglienza perché so com'è difficile accogliermi di questi tempi». Kennedy, Carter e Clinton, i tre presidenti democratici che nell'ultimo mezzo secolo avevano attraversato l'America Latina, erano tornati a Washington ripetendo altre parole: «Chiediamo perdono».

Il confronto di Mar del Plata si è lasciato trascinare nel balletto dei dispetti, piccoli e importanti. Fox, presidente messicano, spalla di Bush, dopo aver ascoltato il duro discorso di Kirchner, snobba il pranzo di gala. Anche la signora Bush non si fa vedere. «Sta poco bene?», curiosità ironica della signora Kirchner infastidita dallo sgarbo al protocollo, insopportabile per lei senatrice e moglie «che porta i pantaloni». No, risponde il Bush provato: «Oggi ricorre il ventottesimo anniversario del nostro matrimonio e vuol festeggiare». «Da sola?». «Con le amiche». Coriandoli marginali di un imbarazzo temuto e in fondo previsto anche se non in questa dimensione. Allora perché Bush ha sfidato il disastro?
 


SOVRANITÀ
 


L'ALCA è il contenitore chiave col quale gli Stati Uniti vorrebbero di difendere la lunga sovranità sul continente latino. Mercato di libero commercio che annulla le frontiere permettendo al primo paese del mondo di dominare, dall'Alaska alla Terra del Fuoco, mercati e popolazioni molto giovani, davvero il nuovo mondo, purtroppo disastrato. Paesi dalle risorse infinite: agricole, minerarie, energetiche, ambientali e il 23 % dell' acqua dolce del pianeta, bene ormai prezioso più del petrolio; paesi le cui esportazioni di grano, carne, soia e ogni altro cibo, con l'ALCA non potranno varcare la frontiera dell'altra America. Lo impediscono protezionismo e sovvenzioni di Washington ai propri produttori. «O si cambiano le regole o l'ALCA diventa la trappola che aumenta la distanza tra noi e il supermondo USA», sintesi del «no» del presidente argentino sostenuto da Brasile, Uruguay, Paraguay, Cile, per non parlare del Venezuela il quale sta ideologicamente inventando un mercato bolivariano.
 


CINA
 


Eppure era necessario sottoporsi alla gogna diplomatica e popolare di Mar del Plata per tentare l'improbabile rovesciamento d'opinione da parte di chi sta solo facendo i conti. «L'Argentina perderebbe 126 milioni di dollari l'anno restando dipendente e periferica sul piano industriale, quindi soggetta alle intemperie di Fondo Monetario, Banca Mondiale estensioni delle strategie USA»: Kirchner lo ripete pubblicamente davanti a Bush il quale sembra non capire ed ha un sussulto solo quando il padrone di casa cita un passo della Bibbia. Era necessario tentare perché, loro, i latini, per il momento restano un pericolo veniale mentre si annunciano tempeste più disastrose. La presenza cinese alimenta l'indipendenza ancora vaga nelle strategie economiche di una regione alla ricerca di aperture finora negate. Da sei anni, 1800 ricercatori analizzano a Pechino risorse e prospettive del continente latino, mentre migliaia di operatori lavorano sul campo. Le prime «collaborazioni» tra Cile, Argentina, Brasile, Venezuela e Cuba elencano investimenti cinesi in miniere, servizi, joint venture bancarie; permettono lo sviluppo di industrie sofisticate e la realizzazione di opere gigantesche: oleodotti e gasdotti che dal Venezuela, attraverso la Colombia, arriveranno al Pacifico per accorciare il viaggio delle petroliere verso i mercati cinesi.
 


BANDIERE ROSSE
 


In dicembre cominciano le elezioni che nel '06 ritoccheranno la geografia politica del continente. Il Cile sostituirà Lagos con la signora Bachelet, sempre socialista. Evo Morales, leader ultras dei cocaleros, è il probabile presidente della Bolivia dove sono sepolti i più importanti giacimenti di gas del mondo. Ecuador e Venezuela confermeranno il voto a sinistra ed anche nel Nicaragua degli scandali i notabili conservatori sembrano battuti. La partita importante si gioca in Messico: Fox non ha eredi dalle spalle robuste e il sindaco progressista di Città del Messico per il momento è favorito: un cambiamento traumatico alle porte degli Stati Uniti. Solo la Colombia di Uribe potrà consolare la strategia USA. Lula é un discorso a parte: se arriva alle elezioni non dovrebbe avere problemi. Ecco spiegata la fretta di Bush. Strappare l'accordo sull'ALCA voleva dire ipotecare l'impegno dei governi che arrivano, rispettosi ma sulla carta non proprio alleati al guinzaglio.



AMICI E NEMICI



L'analisi storica del disastro del vecchio modello reganiano è inquietata da una constatazione elementare: il liberismo funziona solo se tutelato da governi autoritari, meglio se militari. Era l'altra America, alte uniformi e colpi di stato, ad illudersi sull'eternità di una formula che fallimenti, instabilità, miseria e rivolte hanno lentamente cancellato. Il parallelo Cile -Argentina ne è la prova. Il Cile soffocato da Pinochet è stato il laboratorio ideale che per vent'anni ha illuso i Chicago's boys. Ma il disastro dell'Argentina di Menem dove il il liberismo è finito nelle mani di un mercante rapace, abile nel soffocare la giustizia, ma impossibilitato a ricorrere alle polizie di un paese vaccinato dagli orrori della dittatura appena tramontata; il disastro, ha messo a nudo l'impossibilità di far convivere l'economia delle Borse e delle banche con le necessità quotidiane delle persone. Le operazioni segrete di Negroponte appena autorizzato da Bush a rinverdire gli intrighi di ieri, possono andar bene nel caos iracheno, nella speranza eternamente rimandata in Medio Oriente, non in un'America Latina ormai appartata e lontana dagli incendi accesi da Bush attorno ai petroli del mondo. Sta scoprendo la noiosità della democrazia nei gironi ancora soffocanti della corruzione. Ma il Cile è un esempio diverso, socialismo finalmente concreto nella determinazione della modernità dei mercati; l'Argentina ci sta provando, anche il Brasile non nasconde i peccati e li affronta in una crisi pubblica come mai era successo. Bush vorrebbe subito spegnerla perché Lula e il paese-continente sono parte della strategia della stabilità indispensabile all'economia del Nord.
Ecco la curiosità del ritorno a casa di un presidente umiliato. Faccia faccia a Brasilia con l'oppositore più serio dell'ALCA. Lula non lo seppellisce come Chavez ma non accetta il mercato così come Washington lo ha confezionato. Non solo ha pianificato i rapporti con Cina, India e paesi arabi, ma usando l'autorità del paese più importante ha reso insormontabile l'opposizione light. Inutilmente gli Stati Uniti raggranellato 26 consensi fra i paesini dei Carabi, nazioni che sprofondano nei debiti e il Fox messicano al tramonto. Il «no» delle nazioni legate al MERCOSUR, grande tradizione e cultura seria, gli è stato fatale. Il risveglio dopo la notte a Brasilia deve avergli fatto capire com'è cambiata l'America-cortile-di-casa: si preparava a discorrere amabilmente col presidente Lula, mentre il PT partito di Lula e il sindacato inventato ed animato da Lula, riempivano le strade dei soliti cartelli: Bush fascista, Bush torna a casa. I contrasti tra potere e la folla restano il sale di ogni democrazia. Ancora più curiosa l'ultima tappa a Panama, ospite del presidente Torrijos, figlio del generale Torrijos il quale si è ripresa la sovranità sul Canale quando Carter era presidente, e del quale Reagan e Bush padre, vice direttore CIA, in campagna elettorale ne annunciavano la fine subito dopo la conquista della Casa Bianca. Hanno vinto e tre mesi dopo l'aereo di Torrijos salta in aria e il generale Noriega, agente CIA, e autore dell'attentato, viene riconosciuto presidente mettendo fuori legge il partito del presidente appena ucciso. Per Bush figlio ritorno senza gloria; la notte di Panama non sarà allegra. Chissà cosa dirà all'altro figlio. Ne riparleranno fra un mese ad Hong Kong, ancora tutti assieme, riunione sul commercio mondiale. Sempre l'ALCA sul piatto con la Cina padrona di casa

 


Maurizio Chierici
mchierci2@libero.it
Fonte: www.unita.it
6.11.05

 

November 06, 2005

 

Mar del Plata: l’America Latina non è più il cortile di casa. Il Fallimento di Bush al vertice del 33 capi di stato del centro e sudamerica.Il vertice di Mar del Plata, che ha riunito 33 capi di stato del continente americano meno uno, Fidel Castro, non invitato per imposizione di uno degli ospiti, si è concluso con il pieno fallimento del progetto di unione neoliberale del continente americano, l’ALCA (Area di Libero Commercio delle Americhe). Non solo: si è concluso con l'ennesima dimostrazione che almeno l’America Latina atlantica, quella che si riconosce nel Mercosur e che comprende i due giganti, Argentina e Brasile, più il Venezuela, più Cuba, non risponde più al volere della Casa Bianca, quello che per decenni si è chiamato "Washington Consensus". di Gennaro Carotenuto

da http://www.gennarocarotenuto.it  http://www.peacelink.it/mailing_admin.html




Mar del Plata:

l’America Latina non è

più il cortile di casa.

 


Va fatta subito chiarezza su di un punto: tra i 33 convitati dall’anfitrione argentino Nestor Kirchner, il meno liberale di tutti era proprio lo statunitense George W. Bush. Questi ha provato per l’ennesima volta ad imporre un trattato di libero commercio, l’ALCA, che liberale lo è solo a senso unico.

I paesi dell’America Latina, nell’ultimo quarto di secolo, prostrati da debito estero e dittature militari filostatunitensi, hanno già concesso tutto il concedibile. Le loro economie sono già aperte e privatizzate e sono da decenni terreno di caccia delle multinazionali straniere. I rapporti di produzione e sindacali sono regrediti ad un medioevo selvaggio che ha moltiplicato il numero dei poveri e degli indigenti. Sono dati sotto gli occhi di tutti. Nonostante ciò per l’America Latina tante concessioni sarebbero giustificate in cambio dell’apertura dell’enorme mercato statunitense per i propri prodotti.

Tutti i latinoamericani (Argentina post-default compresa), continuano diligentemente a pagare un debito estero iniquo ed asfissiante. Di nuovo: basta studiare i dati macroeconomici per convincersi dell’inefficienza del neoliberismo che non solo produce miseria, ma anche retrocessioni nello sviluppo visto che i prodotti latinoamericani a maggiore valore aggiunto e tecnologicamente avanzati, sono proprio quelli che soffrono di più. Tutti i latinoamericani hanno già concesso agli Stati Uniti molto oltre il logico, l’utile, l’equo, l’umano. Lo hanno fatto nella speranza di vedere aprirsi almeno una porticina sullo sterminato mercato statunitense per i prodotti latinoamericani. Ma George Bush e i suoi ad aprire non ci pensano per niente. Sacerdoti della fede neoliberale non sono così ingenui da applicarla pedissequamente per loro stessi.

Così non è Hugo Chávez per estremismo o Nestor Kirchner per freddezza a far saltare il tavolo di un accordo che se fosse minimamente equo porterebbe effettivi benefici anche all’economia latinoamericana. È George Bush a far saltare quel tavolo marcando il proprio stesso fallimento, nella convinzione imperiale che tutto gli sia dovuto e nulla debba concedere in cambio. È George Bush l’estremista. Sono gli altri a dovere eliminare completamente le barriere doganali, ma gli Stati Uniti non sono disposti in cambio a ridurre i loro dazi. Sono gli altri a dovere distruggere e privatizzare ma gli Stati Uniti in cambio non sono disposti a diminuire neanche di un centesimo lo spropositato assistenzialismo con il quale drogano il mercato in settori come l’agricoltura e l’industria. Contadini boliviani che guadagnano 30 dollari al mese producono un grano o un riso o un mais più caro e fuori mercato rispetto agli ultra-assistiti omologhi statunitensi che ne guadagnano 3.000. È qui che salta il tavolo. Gli Stati Uniti continuano a pretendere di imporre leggi a paesi stranieri, ma non sono disposti a nulla concedere. Ne ha pagato le spese perfino il Canada, stritolato dall’accordo di libero scambio non meno del Messico. L'ALCA quindi è saltato per l'incapacità culturale degli Stati Uniti di raggiungere un accordo che fosse conveniente per entrambi i contraenti.

Per George W. Bush quello di Mar del Plata è dunque un fallimento di portata storica, e non importa se la stampa italiana tergiversa sull'appoggio degli ascari Fox o Uribe, messicano e colombiano rispettivamente. Fallisce per la prima volta la strategia imperiale dell’imposizione. La dura realtà per Bush non sta solo nel disprezzo unanime della società civile mondiale manifestatosi con rigogliosa bellezza anche a Mar del Plata. La dura realtà per Bush è che oggi ci sono in America molti dirigenti politici che non sono disposti a firmare qualunque cosa in cambio dell’opportunità di una foto con l’inquilino della Casa Bianca e qualche piatto di lenticchie sotto forma di tangenti.

Oggi in America Latina non c’è più un isolato idealista facilmente isolabile o assassinabile. Oggi ci sono molti dirigenti latinoamericanisti e progressisti che hanno ben chiaro non soltanto il mandato popolare ma anche il concetto d’interesse nazionale. Oggi per la prima volta si profilano nel continente dei solidi portatori di interesse –stakeholders direbbero gli anglofili- che possono far valere la non convergenza di questi rispetto a quelli della potenza imperiale. Questi portatori di interesse coincidono almeno in parte con la società civile, i movimenti sociali, e le classi popolari.

Non è credibile che George W. torni a quel tavolo domani con la testa cosparsa di cenere. Ma qualcuno dovrà farlo per lui e accettare di trattare da pari a pari almeno con il blocco regionale del MERCOSUR che con il Venezuela ed una Cuba mai così poco isolata, insieme valgono i due terzi dell’economia latinoamericana. Oppure Washington (come fa da 200 anni) sceglierà ancora una volta la via dell’abuso, degli omicidi mirati, della delegittimazione, del gioco sporco, delle invasioni militari, del compromesso con le aristocrazie sulle quali si sono appoggiati per imporre al continente le dittature militari che sono costate quasi un milione di morti. È un cammino che diventa difficile, come il fallimento del colpo di stato dell’11 aprile 2002 a Caracas ha dimostrato. Nonostante tale evidenza, a Washington qualcuno sta organizzando non soltanto gli omicidi di Fidel Castro o di Hugo Chávez, ma anche quelli di Kirchner, Lula e perfino di Tabaré Vázquez o Nicanor Duarte se fosse necessario. Allo stesso modo è nel mirino da sempre Evo Morales, che il quattro dicembre, se non lo ammazzeranno e non ci saranno brogli, diventerà il primo presidente socialista e non bianco della storia della Bolivia, e il messicano López Obrador, solido candidato delle sinistre nelle elezioni del prossimo anno.

Di fronte a un trionfo così importante sulla strada della costruzione dell’Unità Latinoamericana –che o sarà antimperialista o non sarà- passa in secondo piano perfino la straordinaria mobilitazione popolare del controvertice. Gli europei accettano con difficoltà di non avere il monopolio della coscienza politica nel pianeta. Ma forse la primavera di Mar del Plata segna davvero un passaggio di consegne. Come afferma da sempre Hugo Chávez, non può non essere il Sud del mondo a prendere per mano il pianeta nel cammino verso la liberazione. E il Sud, per prendere in mano il proprio destino, rifiuta l’ALCA e cammina verso l’ALBA (Alternativa Bolivariana per le Americhe), il primo accordo che si basa sulla solidarietà e la cooperazione e non sulla competizione sleale e i patti leonini.

La grande stampa italiana si è distinta come sempre per disinformazione, occultando il valore della sconfitta storica statunitense scegliendo l’aspetto da questa considerato folcloristico della presenza di Diego Armando Maradona. Quotidiani come la Repubblica vi si accaniscono. Per l’ineffabile Omero Ciai, che normalmente scrive di America Latina dalla sua casa di Miami, Maradona avrebbe grugnito ripetutamente solo due parole: “assassino”, “monnezza”, quest’ultima chissà perché in napoletano e non in castigliano. Per fortuna via Internet sono disponibili le registrazioni degli interventi di Maradona a smentire la pessima stampa finto -progressista italiana.

Questa, come non ha perdonato a Maradona di aver rotto il monopolio storico del Nord nel calcio, vincendo da uomo del Sud con la maglia del Napoli, così non gli ha perdonato di essere sopravvissuto al pozzo della droga nella quale aveva contribuito a gettarlo. Cocainome, gravemente obeso, plurinfartuato, Maradona doveva morire ma è stato salvato dalla medicina cubana, altra colpa imperdonabile.

Non solo non è morto il ragazzo di Villa Fiorito, una delle più tristi Villa Miseria del Gran Buenos Aires, ma è uscito fuori dal tunnel, è rinato ed è cosciente di sé e del suo posto nel mondo come uomo e come latinoamericano. La sua militanza politica lo testimonia. Come non perdona Maradona, così la stampa italiana continua a non perdonare Hugo Chávez. E qui dovrebbero essere i lettori italiani a non perdonare una stampa che da sette anni rifiuta di spiegare ai propri lettori la realtà venezuelana per rifugiarsi nel dileggio e nell’offesa verso quello che è oramai un grande dirigente popolare e mondiale.

Quest’informazione indecente non spiega e non perdona Chávez, perché non vuole spiegare né perdonare questo universo latinoamericano, contadino, operaio, indigeno, cittadino, che viene da lontano e si organizza pacificamente come un esercito di formiche, e che non sussurra più ma oramai grida consegne sulle quali l’Europa sorride sprezzante senza mai capire. Consegne come Unità Latinoamericana e Socialismo.



Gennaro Carotenuto

 

06/11/2005 - MAR DEL PLATA


Vertice Americhe: non c'è accordo

 sull'ALCA. Fallisce il vertice
 


Brutta conclusione per il IV Vertice delle Americhe che, dopo avere riunito per due giorni 34 capi di stato e di governo per discutere su come creare sul continente "occupazione decente", si è trasformato ieri in una bagarre fra favorevoli e contrari all'ALCA (in inglese FTAA), l'area di libero commercio propugnata dagli Stati Uniti.


In extremis, e dopo che numerosi capi di stato avevano già abbandonato Mar del Plata, sede del Vertice, è stato raggiunto un accordo su tutto il documento risolvendo in modo pilatesco la delicata questione dell'ALCA.


In una conferenza stampa, il ministro degli esteri argentino Rafael Bielsa ha spiegato che "per quanto riguarda l'Area di libero commercio delle Americhe sono stati inclusi due paragrafi che rispecchiano diverse posizioni del dibattito".


Una prima posizione, ha aggiunto, è quella di 29 paesi che ritengono che "il negoziato per l'ALCA può continuare così come è stato avviato", mentre un secondo gruppo di paesi (il MERCOSUR - ossia Brasile, Argentina, Paraguay e Uruguay - più il Venezuela) sostiene che "attualmente non ci sono le condizioni per andare avanti in questa trattativa".


Infine, nel capitolo dell'Alca è stata menzionata anche una proposta della Colombia di ospitare una riunione a livello di negoziatori senior per valutare lo stato della situazione del progetto ALCA e fare proposte ai rispettivi governi.


I protagonisti del braccio di ferro sono stati da una parte i paesi (fra cui Messico, Cile e Perù) favorevoli alla proposta della Casa Bianca di stimolare un negoziato continentale sull'ALCA, dall'altra il Venezuela e i quattro membri del MERCOSUR determinati a non parlarne, o almeno a rinviare di molto il problema. Ed alla fine è stata recepita l'ipotesi del presidente argentino Nestor Kirchner di inserire nel documento entrambe le posizioni esistenti. È questa forte frizione che ha portato praticamente a congelare la chiusura del vertice.

 

 

06/11/2005 Reuters Mar Del Plata (ARGENTINA)

 

Leader delle Americhe non superano

 stallo su libero commercio

 

 

 I leader dei paesi delle Americhe non sono riusciti ieri a ricomporre le differenza su come creare nel continente un'unica zona di libero mercato in un summit che è stato oscurato dalle violente proteste anti-Bush

 

I negoziati per creare l'Area di libero commercio delle Americhe, o Ftaa, si sono arenati da due anni e l'amministrazione Bush aveva sperato di dare nuovo slancio alla discussione per creare la più popolosa zona di libero scambio al mondo.

 

Ma il presidente cileno Ricardo Lagos ha detto che nei due giorni del Summit delle Americhe nella stazione balneare argentina l'impasse non è stata sbloccata.

 

"L'argomento del contendere è se esistono per noi le condizioni per negoziare. Una vasta maggioranza ha detto 'sì', ma altri hanno detto "Aspettiamo'", ha dichiarato Lagos.

 

Stati Uniti, Messico e altri paesi avevano sperato di fissare una data ad aprile per far avanzare le trattative, in una mossa cui Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay e Venezuela hanno fatto resistenza.

 

L'amministrazione Bush sostiene che un accordo di libero scambio regionale dal Canada all'Argentina darebbe nuovi mercati alle imprese americane, aiuterebbe a creare nuovi posti di lavoro e porterebbe maggiore prosperità in America Latina.

 

Secondo funzionari USA 29 dei 34 paesi rappresentati ai colloqui hanno sostenuto la proposta.

 

Ma il presidente venezuelano Hugo Chavez, il più accanito oppositore al libero commercio, ha criticato il piano, affermando che andrebbe a detrimento dei lavoratori latinoamericani. Chavez è arrivato all'incontro promettendo di "affossare" gli sforzi per far avanzare la Ftaa e ha portato in piazza 25.000 dimostranti venerdì scorso.

 

La calma è ritornata ieri per le strade di Mar del Plata, dove una altra dimostrazione anti-Usa ha avuto un epilogo violento a pochi caseggiati di distanza da dove Bush e gli altri 33 capi di stato erano riuniti.

 

Circa 200 dimostranti si sono scontrati con la polizia dando fuoco ad una banca e rompendo vetrine nel viale principale di Mar del Plata. La polizia ha detto di aver arrestato 64 persone, ma non ci sono stati feriti gravi.