Spazzatura americana |
da Il Manifesto -
M.MATTEUZZI 6 nov.2005
Forse George W. Bush è abituato a sentirsi chiamare criminale, assassino,
genocida, imperialista. Ma «spazzatura vivente», come l'ha definito ieri
Maradona guidando le manifestazioni di ripudio contro di lui in occasione
dell'apertura del Vertice delle Americhe nella città argentina di Mar del
Plata, forse non glielo aveva mai detto nessuno. Non proprio politically
correct ma efficace e spontaneo (d'altra parte il redivivo Diego non è un
politico). Fatta eccezione per Israele e gli infelici paesi dell'est europeo
ex-socialista, che con qualche buona ragione lo considerano un idolo, il
crociato della guerra contro il terrorismo (e per il petrolio) non gode in
generale di buona fama. Ma se c'è un posto al mondo dove lo detestano quasi
quanto nell'universo arabo-islamico, quello è l'America latina. Dove da più di
un secolo sono abituati alle attenzioni che gli USA stanno riservando in anni
più recenti in Palestina e Iraq, in Afghanistan e Iran: l'esportazione,
sovente manu militari, di dittature proto-fasciste o di democrazie
pseudo-liberali (ma sempre liberiste) a seconda della fase e della bisogna, e
di modelli economici di puro saccheggio che imponevano (impongono) il libero
mercato e il libero scambio solo in direzione d'andata e mai in ritorno.
Liberare i mercati e gli scambi dell'America latina per i prodotti e i servizi
made in USA, per poter fare man bassa di risorse naturali, chiudere o
proteggere i loro con sostanziosi sussidi di sbarramento.
Non è un caso che agli albori del secolo XXI, senza più lo spettro della
«sovversione comunista» come giustificazione, mentre l'America latina grazie
alle politiche di austerità e di privatizzazione è cresciuta (nel 2004) nel
suo complesso del 5.5%, dei suoi quasi 500 milioni di abitanti 222 siano
poveri e quasi 100 sopravvivano con il fatidico «meno di un dollaro al
giorno».
Ora l'America latina, dopo essere stata il laboratorio sperimentale del
neo-liberismo più selvatico e distruttivo, sembra avere ripreso a muoversi.
Con la cacciata di presidenti neo-liberisti e filo-americani sull'onda di
rivolte popolari ma soprattutto con l'avvento di Lula in Brasile, nonostante
la sua politica economica ultra-ortodossa; Kirchner in Argentina, contro i
dettami dell'FMI e del Dipartimento al tesoro USA; il fiammeggiante Chavez in
Venezuela, che fa pesare e usa il mare di petrolio su cui galleggia; forse
Vazquez in Uruguay, l'ultimo arrivato. Per il momento. Perché di qui al 2007 è
attesa una raffica di rischiose elezioni: Cile, Bolivia, Messico, Perù,
Colombia, Ecuador, Venezuela, Nicaragua...
Il ribollire dell'America latina, che ha portato a quella che Chavez ha
definito ieri a Mar del Plata «la sepoltura definitiva» dell'ALCA, è una
strada ancora confusa ma al tempo stesso chiarissima, che va oltre i suoi
confini, così come «l'intifada india» va ben oltre i confini dei paesi andini.
Forse il treno che ieri ha portato il popolo di Maradona da Buenos Aires a Mar
del Plata non è «il treno della rivoluzione» di cui ha parlato Emir Kosturica.
Certo però che è qualcosa di più di un semplice «sogno romantico».
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/05-Novembre-2005/art6.html