14/12/2005


Le polemiche sul

 

Che sono parte

 

della campagna

 

contro Cuba

 


Intervista esclusiva a Orlando Borrego

Intervista effettuata da Mario Baldassarri per Radio Città Aperta

www.radiocittaperta.it

 

 


“Stanno cercando di demolire la figura del Che tenendo conto che tra poco sarà il quarantesimo anniversario della morte… C’ è una campagna contro Cuba e contro il Che rappresentata dal tentativo maniacale di mettere il Che contro Fidel e Fidel contro il Che. Questa tesi, vorrebbe contrastare e negare la grande e strettissima relazione che c’era tra questi due esseri umani. Ultimamente ho saputo di una cosiddetta polemica che ritengo assai poco costruttiva, soprattutto perché innescata da persone che si definiscono progressiste… Mi piacerebbe che non si producessero questo tipo di diatribe perché con queste polemiche non facciamo altro che dare armi al nostro nemico”. La conversazione con Orlando Borrego demolisce molti dei tentativi di attaccare la Rivoluzione Cubana attraverso polemiche strumentali della destra ma anche della “sinistra”.


In Italia, ma non solo in Italia, si è scatenata una polemica sulle opere e il pensiero di Che Guevara. L’impressione che se ne ricava è che sia una polemica diretta in realtà contro Cuba. C’è una polemica “da destra”, messa in campo dai vari Vargas Llosa etc. che descrive un Che ed una Rivoluzione Cubana come un gruppo di assassini o quasi. Ma c’è anche una polemica “di sinistra” – per certi versi più pericolosa – che cerca di mettere in contraddizione il Che e Fidel Castro sostenendo che il primo era “bravo” e il secondo no. In realtà ci sentiamo di affermare che Ernesto Che Guevara e Fidel Castro erano in simbiosi tra loro, avevano discussioni su varie questioni come tutti, ma hanno rappresentato, insieme a tanti altri, il progetto rivoluzionario cubano. Cosa ne pensi di queste polemiche?


R: Negli ultimi mesi mi hanno riferito di una campagna di polemiche in corso in alcuni paesi latinoamericani, ma anche in Italia, che rientra nella campagna mediatica contro Cuba e che coinvolge anche la figura del Che. Questa campagna non è nuova. Stanno cercando di demolire la figura del Che tenendo conto che tra poco sarà il quarantesimo anniversario della morte. Nel caso dell’America Latina, questa campagna ha visto un articolo di Alvaro Vargas Llosa
(1). L’articolo in questione, prende spunto da un episodio avvenuto in un museo di New York dove Vargas Llosa ha incontrato un ragazzo che aveva una maglietta con l’effige del Che e il basco in testa. Vargas Llosa gli ha chiesto cos’è che ammirava nel Che e il ragazzo espose una decina di ragioni per cui ammirava il Che. A queste dieci motivazioni positive, Vargas Llosa ha replicato contestandole una per una e scatenando una vera e propria diffamazione del Che. E’ un articolo così infame che ho dovuto rispondere con un articolo uscito il 21 novembre su “Rebeliòn” con il titolo “Un bastardo allo scoperto” (2). In esso vengono documentate e demolire con prove convincenti tutte le infamie espresse da questo signore. Il suo è stato un articolo commissionato e pagato da qualcuna delle agenzie di intelligence statunitensi ed è parte della campagna in atto contro Cuba.

C’è poi un altro aspetto della campagna contro Cuba e contro il Che rappresentata dal tentativo maniacale di mettere il Che contro Fidel e Fidel contro il Che. Questa tesi, vorrebbe contrastare e negare la grande e strettissima relazione che c’era tra questi due esseri umani. Non si fa alcun riferimento all’enorme mole di prove scritte che dimostra la grande amicizia tra i due.

Uno dei personaggi che ha cercato sin dall’inizio di inventarsi un contrasto tra il Che e Fidel è Jorge Castaneda, ex ministro degli esteri messicano. A questo personaggio ho risposto in diverse occasioni. Scrissi un articolo su “Casa de las Americas” dove per la prima volta resi nota una lettera inedita del Che dopo che era andato via da Cuba e successiva alla famosa “Carta de espedida del Che” (la lettera di commiato del Che a Fidel, NdR) . In questa lettera il Che torna a sottolineare con forza la grande stima e amicizia per Fidel, una stima ideologica e politica. Con questo documento il sig. Castaneda fu smentito e azzittito pesantemente e decisamente.

Mi è accaduto poi in alcuni viaggi in vari paesi del mondo di incontrare persone con le idee molto confuse sulle relazioni tra il Che e Fidel. Per i casi della vita, io sono un testimone oculare di questa relazione tra Fidel e il Che e quindi mi sono visto obbligato a spiegare come stavano le cose e a smentire tutte le infamie che molte volte disorientano le persone oneste e in buona fede, infamie che vengono diffuse da giornalisti che definisco salariati dell’imperialismo.


E delle polemiche sul Che in Italia cosa ne pensi?

Ho visitato l’Italia diverse volte ma sono alcuni anni che non vengo in Italia, per cui non dispongo di tutte le informazioni che ho su altri paesi che visito più frequentemente sia in America Latina che in Europa. Ho alcuni amici di fiducia in Italia che mi hanno riferito di alcune cose che accadono nel vostro paese. Ultimamente ho saputo di una cosiddetta polemica che ritengo assai poco costruttiva, soprattutto perché innescata da persone che si definiscono progressiste.

Mi piacerebbe che non si producessero questo tipo di diatribe perché con queste polemiche non facciamo altro che dare armi al nostro nemico. Non sono affatto positive per chi si batte per un altro mondo possibile ed una società diversa.

In questa polemica ho saputo che stata coinvolta anche la compagna Aleyda Guevara che per me è “Aleydita” perché a lei mi lega una relazione quasi familiare, praticamente la conosco da quando è nata. E’ una relazione che nasce dalla mia intima relazione con il Comandante Che Guevara e la sua famiglia. Per questa ragione mi ha dato molto fastidio il modo con cui è stata coinvolta in questa polemica.

Mi hanno riferito che le sono stati messi in bocca riferimenti alla mia persona e quando li ho visti mi sono convinto che non erano veritieri. Ho esaminato insieme a lei quello che riportavano alcuni giornali italiani. Lei si è indignata ed ha smentito di aver detto quello cose. Per questo ha immediatamente inviato una lettera di smentita direttamente alla giornalista che aveva scritto quelle cose
(3).


Si parla molto di una raccolta di libri (I sette tomi) del Che, i quali contengono lettere e documenti che Guevara ti chiedeva di far circolare tra i compagni cubani affinché ne discutessero. Di cosa si tratta?


Questa è una cosa che va spiegata molto bene. Quando il Che partì per il Congo, anche io come molti altri compagni – uomini e donne – desideravamo seguirlo in quel nuovo fronte di lotta. Ma in quel periodo ero stato appena nominato Ministro dell’Industria Zuccheriera
(4) , prima ero Vice Ministro con il Che al Ministero dell’Industria. Chi ha influito su quella nomina è stato proprio Che Guevara. Ho spiegato in un recente libro - “Che. El camino del fuego” – come avvenne questa mia designazione a ministro, che fu un bel po’ diversa da quelle usuali con cui si nomina un ministro. Fu molto “sui generis”, tipica del nostro socialismo tropicale. Il Che mi chiamò alle sei mattina e mi invitò a casa sua, mi aprì la porta di persona e disse “Buon giorno signor ministro!” rivelandomi di aver concluso a tarda notte un Consiglio dei Ministri. Pensavo che il Che dovesse recarsi all’estero per cui mi dovesse lasciare le sue incombenze di Ministro dell’Industria e invece mi disse che non doveva partire ma che nella notte mi avevano nominato Ministro dell’Industria Zuccheriera e mi invitò a fare colazione insieme.

Io mi risentii un po’ perché non mi avevano consultato prima “Non sono mica una sedia o un tavolo che mi spostate così!” replicai. Il Che mi rispose con una risata, mi invitò a sedermi e a parlare di lavoro affermando ironico che “un posto da ministro non dispiace a nessuno”. Così è andata la mia nomina a ministro e cominciammo a discutere del lavoro che mi attendeva come Ministro dell’Industria Zuccheriera.

Alcuni mesi dopo, nell’aprile del 1965, il Che partì per il Congo ed io volevo partire con lui, a causa di questo in quei mesi i nostri rapporti furono molto duri.

Immediatamente dopo che partì, pensai di mettere insieme i documenti, le lettere e gli articoli che il Che aveva scritto quando stava a Cuba. Per un anno, con l’aiuto di due compagni – Oltuski e Carrero che è deceduto – mi sono dedicato a recuperare tutto il materiale scritto e registrato. Dopo un anno di lavoro vennero fuori sette libri compilati in modo molto artigianale perché non avevamo esperienza editoriale, poi decidemmo di stamparli. Venne fuori una cosa molto interessante dal punto di vista storico ma anche per me.

Accadde una cosa strana. Un anno dopo la conclusione della campagna in Congo e mentre pensavo che il Che fosse ancora a Praga – ci eravamo scritti quando lui era là – venni informato che il Che era a Cuba. Mi mandò a prendere per portarmi nel posto dove stava. In quel momento il Che era a Cuba in forma del tutto clandestina ed era tornato su sollecitazione di Fidel. Questa – tra l’altro – è una prova in più della stretta relazione del Che con Fidel, il quale gli aveva mandato a dire che le condizioni di sicurezza migliori per preparare la campagna in Bolivia erano proprio a Cuba. Fidel ha sempre avuto una grande attenzione personale alle condizioni di sicurezza di Che Guevara.

Quando incontrai il Che a Cuba, ebbi una sorpresa perché si presentò truccato e quasi irriconoscibile. Allora anche io gli feci una sorpresa e tirai fuori i sette libri che avevo stampato. La cosa gli piacque molto, vide i sette libri ma non sapeva ancora di cosa si trattasse. “Questa è la sua opera completa sulla Rivoluzione Cubana” gli dissi, lui fu molto contento e mi disse che “forse avevo fatto un buon pout pourrì”.

Poi si è letto tutti e sette i libri e nel secondo incontro mi disse che pareva un lavoro ottimo per tutti i rivoluzionari dell’America Latina per valutare le cose buone e le cose cattive fatte della Rivoluzione Cubana. Fra gli altri segnalò che poteva essere utile a Lucio Lima, il leader rivoluzionario guatemalteco che poi morì. Questa in sintesi è la storia dei sette libri con tutte le opere del Che prima che partisse per il Congo.


Alla luce del discorso tenuto da Fidel Castro all’università dell’Avana lo scorso 17 novembre (5) e dei processi in corso in America Latina - in modo particolare in Venezuela - sarebbe importante che la sinistra italiana potesse confrontarsi con te che hai vissuto tutto il processo della Rivoluzione Cubana. E’ possibile pensare ad una tua prossima visita in Italia?

Ne sarei onorato. Sono un “vecchio” che ancora lavora molto. Al momento sono molto impegnato, potrei dire che sono “monopolizzato” da una una cosa che mi interessa molto e che è la Rivoluzione Bolivariana in Venezuela. Ho provato una grandissima soddisfazione per il trionfo del Presidente Chavez. Sono stato in Venezuela lo scorso anno per presentare il mio libro “Il Che: el camino del fuego” ed ho conosciuto personalmente Chavez. Dedico molto tempo al mio lavoro con il Venezuela perché la straordinaria relazione che esiste tra la Rivoluzione Bolivariana e quella Cubana e il prestigio di cui gode il Che in Venezuela, fanno sì che i compagni bolivariani diano un enorme valore al nostro mezzo secolo di indipendenza. Come tutti sanno, l’idea di Fidel non è mai stata quella di esportare la nostra esperienza in altri paesi né di suggerire quello che si deve fare in Venezuela o in un altro paese. Ma i venezuelani mi hanno chiesto di aiutarli fraternamente e lo sto facendo con molto piacere. Sono andato a tenere conferenze e seminari, soprattutto nel campo della gestione delle imprese attraverso lo stile del Che ed ho degli impegni con loro per il prossimo anno, ma sono totalmente disponibile a venire in Italia per spiegare l’esperienza del Che.

 

NOTE:

Orlando Borrego è uno degli storici cubani più attendibile sulla vita, l’esperienza e le opere del Che essendone stato compagno di guerriglia e poi di lavoro al Ministero dell’Industria. Attualmente è il titolare della cattedra “Ernesto Che Guevara” all’università. Ha curato diversi libri sul Che ma in Italia, al momento….non sono stati pubblicati d alcun editore, né borghese né “di sinistra”.

(1) Figlio del più noto scrittore peruviano Mario Vargas Llosa, transitato come tanti altri dal campo progressista a quello reazionario e filo USA. L’articolo in questione è stato pubblicato in Italia dal Corriere della Sera

(2) L’articolo di Orlando Borrego è reperibile su giornale online www.rebelion.org

(3) Si tratta di Marina Zenobio, autrice di un articolo sul Manifesto nel quale mette in bocca ad Aleyda Guevara una frase secondo cui Orlando Borreco avrebbe manipolato i testi del Che. L’8 novembre Aleyda Guevara ha inviato questa lettera di smentita al Manifesto l’ha pubblicata venerdi 2 dicembre

(4) Siamo a metà degli anni Sessanta e l’industria zuccheriera a Cuba era strategica

(5) Il 17 novembre 2005, Fidel Castro ha tenuto un importante discorso all’università dell’Avana in cui ha rilanciato l’offensiva politica contro “i nuovi ricchi” e i rischi che ciò comportano per la Rivoluzione e la società cubana.

 

 

 


 

 

Polemiche sul

 

“Che” o campagna

 

contro Cuba

 

socialista?

 


 Sergio Cararo
 

 

 

 

Ha perfettamente ragione Orlando Borrego, uno dei maggiori storici del Che, quando sostiene che molte polemiche sulle opere e le esperienze di Ernesto Che Guevara siano in realtà parte integrante della campagna contro Cuba (1).

 

Come è noto, in America Latina ma anche nel nostro paese, è in corso l’ennesimo tentativo strumentale di aggiungere alla consueta campagna politico-mediatica contro Rivoluzione Cubana nuovi argomenti che – meglio di altri – possano disorientare, confondere, inibire le persone che guardano a Cuba con solidarietà, amicizia o rispetto, cercando così di cooptarli dentro la demonizzazione di una delle più importanti e durature esperienze rivoluzionarie del nostro tempo.

 

Separare e contrapporre un Che “bravo” a un Fidel Castro “cattivo” è un aspetto non recentissimo ma persistente di questa campagna.

 

Jean Paul Sartre portò questo schema al parossismo dicendo a Saverio Tutino che secondo lui il “Che era stato ucciso come Ben Bella”. Come è noto, invece, entrambi erano vivi, anche se il primo impegnato in una operazione coperta all’estero e il secondo in carcere.

 

Che questa campagna sia condotta “da destra” (vedi l’ultimo articolo di Alvaro Vargas Llosa sul Corriere della Sera in cui accusa il Che e i rivoluzionari cubani come un gruppo di fucilatori) non desta sorpresa, sia per la sua faziosa inconsistenza, sia per la sua stretta relazione con i finanziamenti distribuiti dalla NED statunitense (2) e da altre agenzie a “uomini di penna” veri o presunti tali affinché partecipino attivamente alla demonizzazione di Cuba.

 

Ma che questa campagna trovi disponibilità e penne disponibili anche “a sinistra”, se non è una novità, è un terreno su cui occorre imporre elementi di verità storica ed a cui occorre contrapporre analisi rigorose che non consentano a questi semi di discordia di germogliare anche nelle file della sinistra.

 

 

 Continuità tra Fidel Castro e Che Guevara

 

 

Il 18 novembre scorso, Fidel Castro ha tenuto all’università dell’Avana un discorso particolarmente importante. In esso ha rilanciato l’offensiva politica e culturale contro quelli che vengono definiti “i nuovi ricchi” ed ha ripreso molti temi che furono al centro della “Campagna de rectificaciòn de errores” del 1986.

 

Oggi come allora Fidel Castro, rilanciando in tutto il paese la “battaglia delle idee” ha sottolineato “il grande errore di coloro che hanno creduto che con metodi capitalisti si può costruire il socialismo” (3). Nel 1986 Fidel Castro avviò la rectificaciòn attaccando direttamente “alcuni nostri direttori di imprese che si sono trasformati in impresari da strapazzo, del tipo capitalista”.

 

Gli stessi rischi e gli stessi problemi, furono al centro della battaglia politica e culturale condotta nei primi anni Sessanta da Ernesto Guevara, detto “El Che” e Ministro dell’Industria della Rivoluzione Cubana.

 

Che Guevara sosteneva infatti – diversamente dall’URSS kruscioviana – che le imprese cubane dovevano funzionare come un insieme e non separatamente, con una destinazione comune e non differenziata, sulla base di una economia centralizzata basata sul finanziamento delle imprese tramite il bilancio dello Stato e non sulla base del cosiddetto calcolo economico e dell’autonomia delle imprese (4).

 

Anche a occhio nudo è possibile vedere la continuità e la simbiosi tra il pensiero del Che e quello di Fidel Castro soprattutto sui passaggi più spinosi di tenuta e sviluppo di un sistema economico e sociale alternativo al capitalismo e ai rischi – sempre presenti – che anche nel socialismo vengano introdotti “elementi di capitalismo” che ne travolgono l’essenza e le possibilità. La diversità di Cuba e la sua tenuta rispetto al crollo e alla dissoluzione del socialismo reale in Europa, sta anche in questa continuità di linea strategica tesa a mantenere vivo il carattere socialista del processo rivoluzionario, prevedendo e gestendo dunque la “prosecuzione della lotta di classe all’interno della società anche dopo la presa del potere”.

 

Pochi si sono domandati perché quasi ogni venti anni a Cuba si apra l’offensiva contro “i nuovi ricchi” o i settori sociali che si fanno prendere la mano dai parametri o dagli stili di vita del capitalismo.

 

Siamo dunque in presenza di fattori rilevanti e ripetuti di vitalità e di lotta politica dentro un sistema tutt’altro che immobile o stagnante. Ci saranno infatti sempre settori sociali (e tendenzialmente una loro rappresentanza politica dentro il partito al potere o tramite la richiesta di “nuovi partiti”) che tenderanno a differenziare i propri interessi individuali da quelli “generali” del paese o meglio, gli interessi “sociali” nel loro complesso.

 

Lo stesso problema si pose nell’Unione Sovietica nell’epoca di Stalin. Dopo poco più di un decennio dal sanguinoso scontro e l’eliminazione di Bucharin e le sue tesi, lo stesso Stalin si trovò di fronte agli stessi problemi e alle stesse spinte che lo portarono nei primi anni ’50 ad aprire lo scontro con gli “economisti” (5) . L’esito di quello scontro – anche a seguito della morte e in parte dell’isolamento di Stalin nel comitato centrale del PCUS - fu la liquidazione delle sue posizioni e l’avvento al potere di Krusciov che fece proprie le tesi sul calcolo economico, l’autonomia delle imprese e l’introduzione di meccanismi di mercato nel sistema economico sovietico.

 

Dunque l’URSS con cui il Che, Fidel Castro e la Rivoluzione Cubana dovettero fare i conti – in negativo o in positivo -  era una Unione Sovietica già “destalinizzata” e in forte discontinuità con il periodo sovietico precedente.

 

 

 Le polemiche sul Che sbagliano bersaglio

 

 

Di tutti questi elementi (vitalità e continuità del dibattito a Cuba sul socialismo anche dopo la morte del Che, la presenza e la ricomparsa delle contraddizioni e del conflitto di classe anche dentro società socialiste consolidate, diversità dei parametri strategici del modello sovietico esistente prima e dopo la Rivoluzione Cubana del 1959) sono tutti elementi decisivi di riflessione, analisi, indagine che sono del tutto assenti dalla lunga elaborazione di Antonio Moscato sulle pagine di Liberazione dedicate al “Che sconosciuto” e al suo contributo alla lotta per il socialismo. Non si tratta di un dettaglio.

 

Commentando il discorso di un suo compagno, Mao Tse Tung disse che il compagno aveva detto “dieci cose: nove giuste e una sbagliata…quella fondamentale”.

 

Leggendo i saggi di Moscato usciti su in più puntate su Liberazione (quindi con una possibilità ampia, esclusiva e negata a moltissimi di poter trattare in modo approfondito le cose), è fortissima la tentazione di essere assai meno indulgenti del “timoniere”. In quegli articoli ci sono anche cose interessanti ma sono le illazioni e le conclusioni soggettive a compromettere un lavoro che per alcuni aspetti segnala questioni importanti della costruzione e delle esperienze di edificazione reale del socialismo a Cuba e nel resto del mondo.

 

Affermare che sono state tenuti segreti per 28 anni gli scritti del Che Guevara sulla spedizione in Congo non è vero. Ne parlava già diffusamente Fidel Castro nell’intervista Gianni Minà a metà degli anni Ottanta e tutta la parte relativa all’elaborazione politica (e non i dettagli operativi di una missione politicamente delicata) erano già disponibili a Cuba attraverso i “Siete tomos” curati da Orlando Borrego.

 

Non si può dire che sono introvabili le annate del “Granma” della seconda metà degli anni Sessanta (di cui ricordiamo che il primo numero è uscito nel 1965) come se fossero state occultate perché contenevano un dibattito vivace. E a cosa servono le illazioni per dire che tra il premio Casa de las Americas consegnato al libro di William Galvez e la sua pubblicazione passano due anni? E come si fa a omettere che alla Tricontinental già nel 1965 era venuta a mancare di personalità decisive come Ben Barka e Sukarno uccisi dalle potenze imperialiste e che rendevano quella esperienza eccezionale una esperienza ormai indebolita?

 

Quei passaggi polemici infilati qui e lì insieme a tante illazioni gratuite, si rivelano funzionali solo a confermare uno schema desueto e smentito dai fatti (vedi l’intervista a Borrego già richiamata) secondo cui: “Il Che era un bravo rivoluzionario e Fidel Castro lo ha tradito; Il Che voleva differenziare il sistema economico socialista cubano da quello sovietico mentre Fidel Castro portò Cuba ad adeguarvisi totalmente; Il Che aveva le idee chiare sulla rivoluzione mondiale mentre Fidel vi aveva rinunciato per chiudersi nella difesa di Cuba tout court”. C’è infine un “non detto” che conforma tutta la linea degli articoli di Moscato e cioè che in fondo in fondo…”Il Che era anche lui un trotskista” e che per questo fu abbandonato alla sua sorte.

 

Su questo potremmo fornire a Moscato anche qualche notizia in più come quella che nello zaino del Che in Bolivia c’era anche il testo di Trotski, ma cercare di piegare il tutto ad uno schema ideologico distorsivo, ad una sorta di vendetta postuma contro l’URSS e preventiva contro una Cuba che smentisce ogni giorno le tesi di Antonio Moscato, è una operazione che non può passare inosservata e sotto silenzio.

 

 

 Mettiamo le cose al loro posto

 

 

Nel primo dei suoi articoli, Moscato rammenta e rimprovera l’aspra discussione avvenuta alla libreria Feltrinelli di Roma in occasione del pessimo numero monografico di Limes dedicato a Cuba (6) e accusa i compagni che contestarono Limes di essere dei “bigotti”. Moscato anche in questo omette alcuni dettagli:

 

1)     La contestazione era diretta a Limes e non ad personam verso Moscato che pure si era prestato consapevolmente o meno ad una pessima operazione politica ed editoriale

 

2)     Gli interventi critici verso Moscato avevano posto problemi e domande concrete sul fatto che Cuba veniva criticata a prescindere dalle sue scelte concrete, perché era filosovietica se adottava l’economia pianificata e diventava filocapitalista se apriva agli investimenti esteri

 

3)     Infine ma non importanza, Moscato prima o poi dovrebbe spiegare se esiste un paese al mondo che almeno nell’ultimo secolo abbia sperimentato concretamente un modello corrispondente alle sue tesi e non sia incorso negli errori in cui incorrono i processi reali. Fino ad oggi non si è andati oltre il “bilancio partecipativo” di Porto Alegre (di cui nessuno parla più) o la partecipazione al governo di Lula in Brasile. Un po’ poco per avanzare critiche rivoluzionarie a Cuba o a qualsiasi altro paese socialista.

 

 Resta comunque il problema che il dibattito e l’approfondimento sulle esperienze storiche e vigenti del socialismo, sui loro problemi irrisolti e sulle loro sconfitte, necessita di essere affrontato ora, subito, adesso. Era questa una delle tante aspettative disattese di un movimento e di un partito che nascevano con l’auspicio di avviare una “rifondazione comunista” e che invece ha liquidato il bambino insieme all’acqua sporca. Se le reazioni agli articoli di Luigi Moscato serviranno ad avviare questo dibattito, questi avranno avuto almeno una loro utilità (7).

                                                                                 

  

NOTE.

 

(1)      Vedi l’intervista a Orlando Borrego, a cura di Mario Baldassarri su Contropiano nr.4/2005 e su questo sito.

(2)      La NED (National Endowment for Democracy) è una fondazione del Congresso USA finanziata dalla CIA per la promozione dell’ingerenza nei vari paesi del mondo. A tale scopo finanzia pubblicamente giornali, giornalisti o campagna funzionali agli interessi della politica estera USA. Tra i beneficiari del NED ci sono- tra gli altri - i Reporter Sans Frontieres e i radicali italiani da sempre impegnati nelle campagne contro Cuba.

(3)      Al momento non è ancora disponibile il testo integrale del discorso di Fidel Castro. Alcuni stralci sono reperibili sul sito www.radiocittaperta.it

(4)      Il dibattito è avvenuto soprattutto sulle pagine della rivista “Nuestra Industria Economica” nella prima metà degli anni Sessanta.

(5)      Si tratta del dibattito che portò alla pubblicazione dei “Problemi economici del socialismo” da parte di Stalin e ad un durissimo scontro anche dentro il XIX Congresso del PCUS nel 1951.

(6)      E’ impressionante come anche una rivista autorevole come Limes, che ha fatto numeri importanti e documentati su molte realtà internazionali (dai Balcani al Medio Oriente), riesca poi a dare il peggio di sé quando parla di Cuba

(7)      Segnalo, in tal senso, il saggio certamente “ruvido” ma ottimamente documentato di Adriana Chiaia (“Polemiche sul Che. L’obiettivo è Cuba”) disponibile al momento su Internet.

 

 

 


26/09/2005

 

 

PERCHE’ OGGI SI

 

ATTACCA A FONDO

 

CHE GUEVARA

 

 


di M.Castagnedi
 

 

 

La risposta al quesito del titolo credo di averla abbastanza precisa in mente, e la dirò un poco più avanti. Perché prima sono ineludibili, ancora una volta, alcune parole e qualche ricordo su ciò che accadde 38 anni fa in un angolo della selva boliviana.

 

Era l’una del pomeriggio di domenica  9 ottobre 1967, quando veniva assassinato a freddo il Comandante Ernesto Che Guevara nella piccola scuola del villaggio de La Higuera. Il Che era stato catturato nel pomeriggio del giorno precedente dopo tre ore di combattimenti tra il suo piccolo gruppo di 17 guerriglieri e un centinaio di ranger boliviani armati anche di mitragliatrici e mortai. Magro e provato come tutti i suoi pochi uomini da quasi un anno di vita alla macchia nelle montagne della Bolivia, e rimasto leggermente ferito nell’ultimo scontro, Ernesto Guevara era prigioniero da venti ore quando il sergente Mario Teràn entrò nella piccola aula per fulminarlo con due brevi raffiche di mitra. Ma non prima che il Che lo apostrofasse di codardo e lo invitasse, dunque, a sparare su un uomo ferito e legato. Venti ore di prigionia fu il tempo perché giungesse, ai vertici politici e militari boliviani dopo frenetici contatti, l’ordine dei comandi della CIA da Washington di uccidere il Che. Poi il trasporto del cadavere legato ai pattini dell’elicottero nella città di Vallegrande dove il giorno 10 il corpo del Che fu esposto a giornalisti, fotografi e cineoperatori. Ma non era ancora finita. Poco dopo la CIA ordinò il taglio delle mani (per un definitivo esame delle impronte digitali) e infine il corpo di Guevara fu segretamente disperso.

 

I suoi resti sono stati ritrovati (in una fossa comune ai lati dell’aeroporto di Vallegrande) assieme a quelli di altri cinque compagni di lotta, trent’anni dopo nel luglio del ’97. Ero all’Avana in quell’estate e vidi i giovani cadetti cubani portar giù dall’aereo le piccole urne avvolte nella bandiera. Dal 9 di ottobre di quel ’97 i resti del Che sono tumulati nel museo a lui dedicato nella grande Plaza de la Revoluciòn di Santa Clara e alcuni milioni di persone, e non solo cubane, gli hanno reso omaggio.

 

Tornando al quesito del titolo, va detto che la figura e la memoria di Ernesto Guevara sono state per diverso tempo rispettate da molti dei suoi avversari. Basti per tutte una frase di Indro Montanelli di non molti anni fa laddove il famoso giornalista e scrittore, per certo contrario ad ogni politica e ideologia del Che, gli riconosceva  il coraggio, l’idealismo e la coerenza morale del combattente che ha sempre pagato in prima persona ogni prezzo delle sue scelte. Ma non era poi tanto difficile mantenere questa opinione rispettosa sul Che, il quale era morto da un pezzo, non costituiva più un incubo per i servizi segreti yankee e rimaneva il più famoso degli emblemi idealistici, rivoluzionari e ribelli  resistendo a ogni manipolazione e mercificazione e conservando nel tempo un variegato e grande popolo internazionale di sostenitori.  Icona, la celeberrima foto che Alberto Korda scattò un mattino di marzo del 1960 all’Avana, col volto del Che dalla mitica espressione tra sofferenza, orgoglio e sfida. Espressione non dovuta a una crisi d’asma, come ha scritto qualche giornale, ma perché Ernesto assisteva ai funerali delle novanta vittime del mercantile belga “La Coubre”, fatto esplodere da un attentato sulla banchina durante lo scarico (e di cui rimane tutt’oggi un pezzo esposto in un’aiuola dell’avenida del puerto della capitale cubana).

 

Ecco dunque, da parte di molti avversari, il rispetto per il Che, il lontano combattente scomparso di un’altra epoca.

 

Nello stesso tempo, invece, i vivi Fidel Castro e Cuba erano (e sono) sottoposti a una delle campagne mediatiche mondiali di accuse, ingiurie e menzogne tra le più massicce e continue che si conoscano. Soprattutto a partire dagli anni Novanta, quando Cuba avrebbe dovuto già cadere dopo l’abbandono e poi la fine dell’URSS.

 

Oggi, primi anni Duemila, ecco il fatto nuovo: Che Guevara viene a sua volta sempre di più attaccato con articoli su giornali e riviste che aprono nuove polemiche. Certo è dura per i suoi nemici scalfirne il gigantesco mito, ma sempre più numerosi ci provano. Perché?

Prima di dare la nostra risposta vediamo ancora chi e quando ha cominciato. Il primo, non molto tempo fa, con interviste e articoli, fu nientedimeno che quel Regis Debray che del Che fu entusiasta seguitore (e forse anche traditore, proprio in quel 1967 tra i monti boliviani. Si veda il bel documentario pluripremiato della tv svedese di Erik Gandini e Tewfik Saleh “Sacrificio. Chi tradì Che Guevara?“, che indaga se fu il francese Debray o l’argentino Ciro Bustos a segnalare i guerriglieri del Che all’esercito boliviano e alla CIA). Debray sorprese tutti quando scrisse per il Corriere della Sera sostenendo che Guevara era un sadico perverso. Proprio così, e curiosamente, quando è storia provata che Ernesto Guevara, medico, soccorse anche soldati batistiani feriti negli scontri sulla Sierra Maestra cubana.

 

Quest’anno, il 15 luglio, ha fatto scalpore un altro articolo pubblicato dal “Corriere” a firma di Alvaro Vargas Llosa, figlio del celebre scrittore sudamericano Mario, entrambi molto fedeli alla destra USA. Il giovane Vargas Llosa (tutto università e giornali statunitensi) da una parte irrideva l’immagine del Che commercializzata, dall’altra tentava di demolirla e criminalizzarla. Uscirono generiche accuse di  fucilatore quando nel gennaio del ’59, nel primo mese della vittoria della rivoluzione, vi furono all’Avana inevitabili processi a feroci torturatori e noti pluriassassini batistiani che vennero giustiziati. Ci sono i filmati con i testimoni e famigliari delle vittime che accusano e si trattò di poco più di un centinaio di casi, non gli oltre mille come si insinua. E si trattò di processi pubblici col tribunale al completo, non vendette private tanto meno del Che, argentino, a Cuba da poco più di due anni passati quasi tutti sulle montagne.

 

In un altro recente articolo, questa volta sul “Foglio“ di Giuliano Ferrara, Maurizio Stefanini smitizza il Che definendolo più che altro “fotogenico e grafomane“. Ma hanno almeno mai letto, questi tuttologi dell’ultima ora, qualche pagina sulla rivoluzione cubana? Sanno, per esempio, che il Che e Camilo Cienfuegos dopo un anno e mezzo di guerriglia tra le foreste della Sierra Maestra scesero in pianura nel settembre ‘58 con soli duecento uomini  e fecero a piedi in due mesi 450 chilometri tra combattimenti e sotto bombardamenti aerei fino alla Sierra dell’Escambray? Hanno mai letto le imprese del plotone suicida comandato dal ventenne Roberto Rodriguez detto “El vaquerito“ che morì nella battaglia finale di Santa Clara? Sanno che Guevara venne ferito due volte in combattimento a Cuba? Io dico che non sanno quasi nulla, hanno, forse, leggiucchiato qualcosa. Figuriamoci se hanno mai fatto un viaggio in quei luoghi, proprio nei posti delle battaglie. E ne scrivono a iosa!

 

E così si arriva ad altri articoli di botta e risposta, alle recenti polemiche con tanto di discussioni e diatribe su pubblicazioni, diritti, diari, memorie. La Mondadori berlusconiana pubblicherà numerosi  e “ nuovi “ libri sul Che. Staremo a vederne l’uso e i fini. Rimane il fatto che la dignitosa tregua sul Che sacrale è finita. Ma ecco, infine, il vero perché della nuova offensiva mediatica.

 

Si attacca Ernesto Che Guevara per attaccare Fidel Castro e  Cuba. Perché Cuba non è caduta dopo la fine dell’URSS, perché è sopravvissuta ai terribili anni ’90 – ’95 quando l’economia dell’isola perse l’85% dei suoi commerci, perché poi ha cominciato a crescere da nove anni in qua. Perché  nonostante attentati terroristici dall’esterno, ha quadruplicato il turismo in 10 anni, percentuale unica al mondo. Perché a Cuba  la vita media di 76 anni e mezzo è la più alta delle trenta nazioni latinoamericane. Sono apparse sulla stampa statistiche ufficiali non manipolabili che dimostrano che i cubani vivono 25 anni più degli haitiani, 13 più dei messicani e dei dominicani che stanno lì sui bordi dello stesso Mar dei Caraibi. Cosa sarà, l’effetto di qualche sconosciuta brezza tropicale o l’avanzato modello di stato sociale che Cuba si è data 46 anni fa? Se anche gli uragani fanno molte meno vittime a Cuba (46 morti in diciotto cicloni in otto anni) che in qualsiasi altro paese caraibico e del Golfo del Messico, non è mica per una grazia speciale della Santa Virgen del Cobre, ma il risultato di un esemplare sistema di protezione civile. Cuba ha cancellato da una vita l’analfabetismo e manda 25mila medici in aiuto di aree miserabili in America latina e Africa. Cuba è quindi un “cattivo esempio“, secondo l’ottica distorta dei reazionari mondiali e anche quella miope dei socialdemocratici tiepidi. Ma tutte le provocazioni, gli attentati, le minacce, le sanzioni, i blocchi economici coi grandi sacrifici e le tante pesanti difficoltà imposte, non hanno fatto cadere Cuba e Fidel.

 

Ispiratori, invece, del nuovo Venezuela bolivariano di Hugo Chàvez in un continente in cui i tempi del dominio e controllo assoluto dell’impero USA appaiono già abbastanza  lontani. Permangono in molti paesi latinoamericani cronache di vere mattanze e terribili violenze con migliaia di morti tra i quali ogni anno centinaia di desaparecidos tra giornalisti, sindacalisti, leader contadini, operai, studenteschi. Ad esempio, in Colombia, Perù, Bolivia, Salvadòr, Guatemala, Nicaragua la violenza è molto alta. Anche in un’isola “glamour“ come Santo Domingo (dove si girano “ reality show “ di varie tv europee), nel febbraio 2004 in due giornate di sciopero la polizia uccise quindici manifestanti, fatto ovviamente grave ma che fa poca notizia. “Il libro nero” dunque i “ giornalisti democratici“ occidentali lo fanno per molto, moltissimo meno, solo su Cuba dove non è mai accaduto nulla di simile, e gli USA spendono decine di milioni di dollari per campagne di stampa solo contro Cuba. Isola povera del povero latinoamerica, l’isola “anomala” e ribelle non disposta a cedere nulla della propria indipendenza e sovranità per tornare a essere una periferia servile del potente “Imperio del Norte “.

 

Ecco dunque la “ nuova carta “ propagandistica contro Castro e Cuba che continuano a resistere. Continuare la grande pressione e ora attaccare anche l’icona del Che Guevara, lasciata per molto tempo fuori dalla mischia. Perché Cuba è davvero ribelle. Sulle sue 4 reti televisive passa uno spot che, sulle immagini di guerra e tortura di eserciti invasori, dice: “No al quarto Reich “.