La storia dell’America Latina e

le invasioni di Washington

 

JOAQUIN ORAMAS 17 maggio 2005

 

Il recente viaggio in America Latina della Segretaria di Stato nordamericana Condoleeza Rice, ha suscitato sospetti nei popoli e nei Governi che difendono l’indipendenza e la sovranità nazionale. L’opinione generalizzata è stata che l’Amministrazione USA voglia proporre alla regione il rafforzamento del suo ruolo di cortile di casa del potente vicino del Nord.

 

E’ poco probabile che avvenga un avvicinamento amichevole tra gli USA e l’America Latina se costantemente si continuano a registrare pressioni, imposizioni, minacce di aggressione ai paesi indipendenti che respingono la politica di Washington, la cui condotta non differisce da quella degli anni della Guerra Fredda. La Cuba rivoluzionaria e la Repubblica Bolivariana del Venezuela sono due esempi.

 

La storia continua ad accusarli se passiamo in rassegna epoca per epoca il protagonismo (imposto) di Washington mediante aggressioni militari, occupazioni di territori e nazioni come conseguenza della diplomazia del "destino manifesto", del "frutto maturo", del "big stick" o dell’attuale lotta contro il terrorismo.

 

Gli interessi degli USA nel subcontinente sono rivolti ad assicurarsi alleati che sostengano i loro propositi militari, politici ed economici nel mondo e che fungano da fonti di materia prima per il loro benessere e da area di sicurezza geopolitica. In questo scenario, noi popoli latinoamericani ci sentiamo pedoni e strumenti del paese del Nord.

 

 

LA STORIA NON LI ASSOLVE

 

 

Dall’indipendenza delle 13 colonie nel 1776, alla successiva unione repubblicana e fino ai nostri giorni, nella storia degli Stati Uniti d’America troviamo la parallela successione del maggior espansionismo geopolitico, territoriale, economico e commerciale mai conosciuti dall’umanità.

 

Già nel 1809 il presidente statunitense Thomas Jefferson compì un tentativo di appropriarsi di Cuba, cercando di fare in modo che la Spagna cedesse agli USA il potere sull’Isola. Questo proposito si estese a tutta la regione quando, nel 1823, Washington proclamò la Dottrina Monroe, secondo la quale l’America Latina è da considerarsi un’area di influenza del Vicino del Nord.

 

L’intervento compiuto in Ecuador allo scopo di assicurare i loro interessi economici, venne definito dal professore ecuadoriano Jorge Núñez come un’esercitazione preliminare per successivi interventi nel Pacifico del sud. Era trascorso appena un anno dal ritiro statunitense da Guayaquil quando, nel 1835, con il pretesto di proteggere i loro interessi a El Callao e Lima, gli USA fecero sbarcare i marines in Perù, approfittando della guerra civile in corso in quel paese, che portò alla costituzione della Confederazione Peruviano-Boliviana nel 1836.

 

In quello stesso anno sbarcarono una seconda volta con pressioni commerciali, conformemente alla loro politica di diplomazia delle cannoniere, come punta di lancia della loro espansione commerciale e politica nel continente.

 

L’azione interventista del potente vicino del Nord si è concretizzata da allora anche a Panama, Haiti, Porto Rico, Nicaragua, Repubblica Dominicana, Uruguay, Cuba, Cile, Honduras, Colombia, Costa Rica, Messico, Ecuador e Perù (e non solo).

 

Mentre sviluppavano campagne di sterminio degli indiani, le 13 colonie originarie moltiplicarono per dieci la loro estensione territoriale in meno di un secolo, mediante un processo di spoliazione, ricatto e terrorismo di Stato, quest’ultimo praticato soprattutto con l’aggressione al Messico.

 

Con la loro strategia espansionistica, gli Stati Uniti tolsero al vicino del Sud il 51% del suo territorio, ossia più di due milioni di kmq.

 

I primi passi vennero compiuti nel 1819, quando il banchiere Moses Austin fu autorizzato dal Governo del Messico a stabilirsi in quel paese assieme a 300 famiglie. Nel 1835 i coloni nordamericani residenti nel ricco territorio texano superavano i 6.000. La frutta era matura e questi, incoraggiati da Washington, proclamarono l’indipendenza del Texas, pretesto per l’intervento di "volontari" nordamericani. Nel 1846 il Congresso Nordamericano approvò l’annessione mentre le sue truppe attaccavano e superavano il Rio Grande, occupavano Veracruz e poi Città del Messico. Lì morirono eroicamente in combattimento i cadetti della Scuola Militare nel castello di Chapultepec. L’aggressione, definita da José Martí come guerra umiliante, terminò con il trattato Guadalupe-Hidalgo, in virtù del quale il Messico venne definitivamente privato dei territori che oggi comprendono gli stati del Texas, della California (i due più grandi degli USA), Arizona, Nuovo Messico, Utah, Nevada, nonché parti di Colorado e Wyoming. Più di due milioni di kmq, equivalenti alle superfici congiunte di Inghilterra, Francia, Italia, Spagna, Portogallo, Olanda, Danimarca e Svezia.

 

Le perdite economiche del Messico sono state incalcolabili. Un solo esempio: quello dell’oro. La California da sola produsse duemila volte più once del biondo metallo di tutte quelle prodotte dagli USA nei sessanta anni precedenti.

 

Nel 1914, l’arroganza di Washington bersagliò una volta di più coi suoi colpi il territorio messicano. Fu quando vari membri dell’equipaggio dell’incrociatore yankee ‘Dolphin’ vennero arrestati nel porto di Veracruz, incidente che era stato apparentemente appianato, quando il Presidente Woodrow Wilson ricevette dal Congresso l’autorizzazione ad occupare, per rappresaglia, senza previa dichiarazione di guerra, il porto della città, operazione che eseguì con seimila marines. Questo tipo di atto arrogante si era precedentemente verificato quando la marina statunitense bombardò il porto nicaraguense di San Juan del Norte, dopo che le autorità di quel paese avevano tentato di far pagare un’imposta allo yacht del milionario statunitense Cornelius Vanderbilt. Questo incidente aprì la strada all’avventuriero William Walter il quale, operando nell’interesse dei banchieri Morgan e Garrison, invase il Nicaragua e se ne proclamò presidente nel 1855.

 

Durante i suoi due anni di dominio attaccò anche El Salvador ed Honduras e si proclamò capo di Stato anche in queste due nazioni.

 

Il vicino del Nord sarebbe ugualmente intervenuto anche nella guerra combattuta dai cubani per la loro indipendenza dal colonialismo spagnolo, proclamando nel 1902 una repubblica cubana vassalla di Washington.

 

Il XX secolo è stata l’epoca del ‘Big Stick’, che vide la separazione di Panama dalla Colombia, grazie alla quale gli USA si impossessarono del canale interoceanico; l’occupazione militare di Cuba durante l’insurrezione provocata dalla rielezione del presidente Tomás Estrada Palma; lo sbarco del marines nella Repubblica Dominicana; altri quattro interventi a Panama; l’occupazione del Messico per sostenere il regime di Adolfo Díaz; l’invasione ed usurpazione del potere per più di 20 anni in Nicaragua dove, a causa della resistenza delle forze capeggiate da Augusto César Sandino, i nordamericani lasciarono il controllo del paese alla tirannia di Anastasio Somoza, che ordinò l’assassinio del leader nicaraguense; Haiti venne convertita in un protettorato fino al 1934 e l’Honduras fu invaso per garantire il dominio bananiero dell’United Fruit Company.

 

Con alcune eccezioni, negli anni seguenti gli USA appoggiarono le dittature in diversi paesi della regione: Colombia, Ecuador, Venezuela, Cuba, Haiti, Repubblica Dominicana, Perù, Uruguay, Argentina, Cile, El Salvador, Guatemala, Honduras, dove vennero instaurati regimi militari che causarono decine di migliaia di vittime. La repressione cercava di fermare l’azione dei movimenti rivoluzionari.

 

Non occultarono la teoria del Cortile di Casa degli USA quando armarono un esercito di mercenari per rovesciare il governo democratico di Jacobo Arbenz in Guatemala, dove la guerra civile e la spietata repressione causarono più di centomila vittime. Il golpe militare che provocò la morte del presidente costituzionale del Cile ed impose la tirannia fascista di Augusto Pinochet, rappresentò l’inizio del Piano Condor tramite il quale le dittature militari di Argentina, Uruguay, Cile e Brasile unirono i loro metodi ed azioni repressive per assassinare più di 50.000 persone in vent’anni.

 

Il trionfo della Rivoluzione cubana aprì una nuova fase nel processo rivoluzionario dell’America Latina. Più di 45 anni di blocco economico, attentati terroristici e piani per assassinare il Presidente Fidel Castro, sostenuti dalla CIA, non hanno potuto impedire che gli aneliti all’indipendenza fruttificassero in movimenti di grande spessore diretti ad una vera integrazione latinoamericana, come l’Alternativa Bolivariana per le Americhe, firmata recentemente dal presidente cubano Fidel Castro e da quello venezuelano Hugo Chávez Frias.