INCONTRI RAVVICINATI COI CICLONI TROPICALI

di

Marzio Castagnedi

giornalista italiano residente a La Habana

19 ottobre 2005

  

 

 

Qualche anno fa amici cubani me lo avevano detto: “cuando llega el ciclòn es terrible “. Nella migliore delle ipotesi come minimo per dodici ore filate ti devi tappare in casa, sperando che sia di mura robuste. E prima bisogna procurarsi bottiglie d’acqua, biscotti e gallette perché il gas e la luce se ne vanno, ed è meglio avere batterie per torce e lampade d’emergenza e magari una radiolina. E quando esci non sai cosa trovi. Vidi qualcosa del genere nel ferragosto 2004 quando “il piccolo Charlie”colpì la parte ovest della provincia Habana. Dico piccolo, perché Charlie era un categoria 3 con venti inferiori ai 200 km/ora e investì da sud a nord una striscia relativamente piccola di territorio cubano larga una quarantina di chilometri devastando campagne e piccoli centri agricoli della pianura habanera che va verso la provincia di Pinar del Rio. Anche la zona ovest dell’Avana (i municipi Playa, Marianao, Rancho Boyero) risentì per qualche ora delle raffiche laterali di Charlie superiori ai 100 all’ora e se ne volarono, assieme a innumerevoli pezzi d’albero, alcuni tetti di casette e le tensostrutture di pizzerie e ristorantini di avenida tercera, e anche un hotel recente come il “Panorama” subì qualche danno. Charlie fece tre morti a Cuba ad agosto dell’anno scorso, ma la grande paura arrivò nemmeno un mese dopo col profilarsi all’orizzonte del mar Caribe di Ivàn. Subito soprannominato “il terribile”, Ivàn era un categoria 5, la massima, dalle dimensioni e potenze spaventose: diametro totale oltre 300 chilometri, diametro dell’occhio 40, altezza 12, venti interni a 300 orari, spostamento del mostruoso cilindro ciclonico 25 orari. Come quasi tutti i cicloni della stagione tropicale caraibica (che va dal 1 giugno al 30 novembre), Ivàn si formò nel centro Atlantico e prese direzione diagonale  sud-est/nord-ovest percorrendo l’intero mar dei Caraibi fino al Golfo del Messico. Ivàn fece 35 vittime nell’isola di Grenada, 22 in Jamaica, 4 ai due bordi estremi (a sud in Venezuela, a nord a Santo Domingo), nessuna a Cuba e nello Yucatan messicano ma poi colpì duramente con 65 vittime la Florida in due passaggi ovest-est-ovest prima di dissiparsi dopo tre settimane di tragica esistenza  con quasi 130 morti e danni incalcolabili. Riconsiderato con gli occhi di oggi, Ivàn costituì nel settembre 2004 un pericolo più che potenziale anche per New Orleans e le coste degli Stati Uniti a occidente della Florida. Se non colpì fin là, fu perché aveva viaggiato per più di tremila chilometri e dopo il secondo passaggio sulla Florida si esaurì. Ma puntava anch’esso verso ovest, cioè verso la costa di New Orleans. Ciò significa che la attuale tragedia provocata dal ciclone Katrina che ha devastato orrendamente la “Big Easy” appoggiata sul Missisipi, era stata già largamente annunciata proprio da Ivàn un anno fa, anche se Katrina ha colpito così forte perché proveniente sugli USA in modo diretto dalla relativamente vicina regione atlantica delle isole Bahamas. Tornando al precedente di Ivàn, ricordo che era sabato 11 settembre dell’anno scorso, quando al mattino ero in fila al supermercato del Focsa, nel quartiere habanero del Vedado, a far scorte di viveri e pile. E poi a casa a inchiodare listelli di legno sulle fessure di porte e finestre con ansia e timore. Un forza 5, lo avevo visto forse solo al cinema o in tv, e Ivàn era dato per certo sopra L’Avana nella notte tra domenica e lunedì 13 settembre 2004. Nel corso del lungo speciale in tv, il direttore della della meteoreologia cubana, Josè Rubiera (che divide con Armando Lima le previsioni del tempo nel tg delle otto) aveva risposto così a una precisa domanda di Fidel Castro. “E’ praticamente inevitabile, cioè al 99 per cento, che Ivan colpirà in pieno Cuba e L’Avana - rispose Rubiera al Comandante en Jefe – e anche gli esperti di tutto il mondo prevedono che salirà verso nord-nord ovest”. Invece non andò così un anno fa per fortuna di Cuba. Il ciclone Ivàn percorse l’intero mar Caribe al centro, da Grenada a Cancùn, per un’ intera settimana senza mutare di un solo grado la sua rotta sud-est/nord-ovest. Sfiorò l’intera costa sud cubana, dopo la Giamaica colpì le piccole isole Cayman e poi la Isla de la Juventud e la punta estrema di Cuba a Cabo San Antonio, provincia di Pinar del Rio.Venti a 200, forti danni sulle coste ma nemmeno un ferito: l’intera popolazione della zona, almeno duecentomila persone, evacuata dalla protezione civile e Fidel Castro sul posto in mezzo alla gente a dirigere le operazioni. Poi Ivàn, come detto, cambiò direzione nel Golfo del Messico andando a colpire duramente negli Usa la Florida. E’ andata meno bene a Cuba quest’anno, tra il 7 e il 9 luglio scorsi, quando il ciclone Dennis (di categoria 3 - 4 ),dopo aver fatto 22 vittime ad Haiti, ha investito ben undici province cubane su quindici “arando” terribilmente il territorio della Mayor de las Antillas: 16 morti, quindicimila case distrutte in campagna e centoquarantamila lesionate, danni enormi ad agricoltura, impianti e infrastrutture. Comunque in questa triste lista di tragedie, Cuba mantiene il bilancio meno negativo e fino al precoce passaggio di Dennis quest’anno aveva registrato meno di trenta vittime in dodici cicloni negli ultimi otto anni. La motivazione sta nel monitoraggio continuo della direzione dei cicloni e nella evacuazione totale della popolazione minacciata verso le province limitrofe sfuggite al ciclone. Come è stato gia detto e pubblicato in questi giorni, la tragedia di New Orleans è dipesa non solo dalla furia a forza 5 di Katrina in sé, quanto dalla posizione pericolosissima della città due metri sotto il livello del mare con argini insufficienti e protezioni trascurate e costruita nei pressi del delta del Missisipi. In più gli USA hanno dimostrato di non avere ombra di un “sistema di protezione civile”. Il che li costringe invece a inviare poi la Guardia nazionale contro migliaia di disperati lasciati senza soccorsi, acqua e cibo, non pochi dei quali assaltano case, negozi e magazzini. E Bush che sorvola la catastrofe col suo jumbo quattro giorni dopo! Gli errori di superbia e stupidità miope si pagano cari.”I nostri migliori giovani sono a combattere in Iraq “- ha detto pochi giorni fa il maldestro George WW  in uno dei suoi tanti infelici discorsi. Invece di uccidere e di morire in Iraq, i soldati americani sarebbero certo piu utili a organizzare soccorsi degni di questo nome a New Orleans e nei vicini stati del Sud colpiti da Katrina che con l’alto numero di vittime, la catastrofe materiale e il conflitto sociale si rivelerà ben più pericolosa di un ciclone tropicale in quanto tale.

I cicloni e gli uragani tropicali (che sono sempre esistiti ) sono raddoppiati per numero e potenza negli ultimi trent’anni nei Caraibi e nel Golfo del Messico. Ai primi di luglio erano rarissimi e invece è arrivato Dennis, e pensare che il mese più pericoloso è statisticamente ottobre! La causa è l’aumento  del calore dell’acqua dell’oceano che in estate è a 30 gradi e che dà l’energia che sviluppa i cicloni: Calore che è figlio di quel riscaldamento globale che, guarda caso, proprio gli USA sottovalutano e negano. Loro, l’impero più potente ( o prepotente) del mondo non firmano il protocollo di Kyoto. E così succede poi che dopo le sottovalutate e minacciose distruzioni di Katrina si vedono offrire milioni di dollari di aiuti e petrolio…da Hugo Chavez, il loro “ba-bau” venezuelano che tanto odiano. E lezioni di protezione civile e attenzione alla popolazione le potrebbero prendere dalla Cuba di Fidel Castro! Mi ricordo un film canadese di qualche anno fa intitolato “Il declino dell’impero americano”.