Il sogno del

 

giudice Abbott

 

J.G. Allard - 5 ottobre 2005

 

Siamo nel giugno 2005. William L. Abbott, oscuro funzionario federale che lavora come giudice del Tribunale Migratorio di El Paso (Texas), riceve un documento di 300 pagine da parte dalla Procuratrice Gina Garret-Jackson, del Dipartimento della Sicurezza Nazionale (DHS) degli USA, che dimostra in modo irrefutabile che l’immigrante illegale Luis Posada Carriles, il cui caso deve studiare, è un noto terrorista internazionale.

 

Di fronte alla richiesta della stessa Procuratrice, il magistrato rifiuta il trasferimento del caso a un tribunale della Florida, come desiderato dal detenuto, dai suoi avvocati e dai suoi complici, che vogliono trasformare il processo in uno show. Il giudice indica che l’udienza di Posada si svolgerà ad El Paso.

 

 

SI ALZA IL SIPARIO

 

 

29 agosto. Sala delle udienze del Centro di Detenzione dell’ICE, l’autorità migratoria nordamericana. Posada indossa una divisa rossa con scarpe azzurre davanti alla Abbott.

 

Con la sicurezza di chi, senza esitare, ha inviato migliaia di immigranti illegali di ritorno al loro paese di origine, il giudice Abbott ha già designato il Venezuela come il paese dove va inviato il terrorista, in quanto suo cittadino.

 

Aggiunge che la richiesta del delinquente di ottenere la residenza negli USA non ha “merito” e che la sua richiesta di asilo politico è “frivola”.

 

Magistrale, la Procuratrice Garret Jackson attacca: Posada è “un pericolo” per gli USA, dice esigendo la sua immediata espulsione.

 

E precisa: “Siamo d’accordo sul fatto che l’ordine di deportazione non sia effettivo per Cuba, ma non è così nel caso del Venezuela”.

 

 

CALA IL SIPARIO

 

 

Passano le ore. La stampa già scrive che il verdetto potrebbe ritardare “settimane o perfino mesi”.

 

 

SI ALZA IL SIPARIO

 

 

30 agosto. Abbott ascolta l’unico testimone della Difesa: l’avvocato venezuelano Joaquín Chaffardet.

 

Il 64enne Chaffardet fu capo della Polizia Politica venezuelana negli anni ’60 e ’70 quando Posada, sotto il nome di Ispettore Basilio, agiva come torturatore in capo. Responsabile insieme a Posada di decine di sparizioni nel suo paese, l’avvocato adesso descrive le prigioni venezuelane come quelle “più pericolose del mondo”. È difficile immaginare un testimone più parziale.

 

Posada viene chiamato poi a testimoniare.

 

Risponde malvolentieri ad alcune domande mordaci della Procuratrice.

 

Confessa di aver utilizzato un passaporto falso nel 2000 per entrare negli USA, mesi prima del suo viaggio a Panama dove è stato detenuto per aver pianificato un attentato contro Fidel Castro, che avrebbe provocato più di 2000 morti.

 

Il giudice si mantiene fermo.

 

Quando Posada si rifiuta di rispondere alle domande, appellandosi al 5º Emendamento della Costituzione, Abbott lo avverte che questo comportamento potrebbe avere “un effetto negativo” sulla sentenza.

 

 

CALA IL SIPARIO

 

 

A Miami, confermando che il verdetto del processo si decide nei corridoi della Casa Bianca e non ad El Paso, l’avvocato Eduardo Soto afferma che è stato frustrato un accordo “negoziato con un alto funzionario a Washington” per porre un “punto finale” al caso, utilizzando la Convenzione Contro la Tortura (CAT in inglese).

 

Nulla è meno certo. In serata Russ Knoke, portavoce del DHS, preannuncia quello che accadrà: “Nutriamo serie e consistenti preoccupazioni per quanto riguarda l’estradizione in Venezuela”.

 

 

SI ALZA IL SIPARIO

 

 

1º settembre. Scena drammatica. Il giudice Abbott è irriconoscibile. Qualcosa è successo. Forse ha fatto un sogno, ha avuto una rivelazione celeste?

 

L’inizio della sessione è stato posticipato per una conferenza a porte chiuse tra la difesa e la procura.

 

Matthew Archambeault, avvocato del terrorista internazionale, annuncia improvvisamente che Posada ha deciso “ieri sera” di ritirare la sua richiesta di asilo per “non mettere il Governo degli USA in una situazione difficile”. Ieri sera. Che casualità!

 

In realtà è la seconda volta che “ritira” tale richiesta. Lo ha fatto settimane prima a Miami. Posada sa sin dall’inizio che non riceverà l’asilo negli USA perchè è un criminale riconosciuto.

 

Abbott, euforico, manifesta allora che Posada è riuscito a convincerlo: “Il caso di Posada permette di posticipare la sua deportazione in base al CAT”, afferma.

 

Riconoscendo che il DHS calpesta la sua toga, la Procuratrice Gina Garrett-Jackson è visibilmente arrabbiata mentre Abbott, con un’eloquenza inattesa, fa riferimento ad Adolfo Hitler. “Ma certamente non tentavo di paragonarlo con l’accusato”, dice.

 

“Perfino se fosse Hitler a chiedere protezione appellandosi al CAT, questo tribunale dovrebbe considerare la sospensione della sua deportazione”.

 

Già si sa che Posada non verrà estradato.

 

“Il Governo si riserva il diritto di obiettare alla richiesta relativa al Venezuela”, risponde Garret-Jackson in un ultimo momento di pudore. Poi chiede tempo al tribunale per giungere a una conclusione sul tema. Abbott fissa una nuova udienza per il 26 settembre.

 

 

CALA IL SIPARIO

 

 

Forse un giorno i documenti declassificati riveleranno quello che è successo nelle giornate successive quando Soto, l’avvocato mafioso, ha fatto le ultime pratiche per salvare il cliente assassino dalla sua sorte.

 

 

SI ALZA IL SIPARIO

 

 

26 settembre. La scena finale. Sbrigativa. 15 minuti. Già Garret-Jackson è stata eliminata. Non presenta testimoni da contrapporre alla testimonianza del torturatore Chaffardet. Abbott, raggiante, afferma di essere “incline” a permettere a Posada di restare in territorio nordamericano. Annuncia che emetterà il suo verdetto nel giro di due settimane.

 

Non è vero. Un paio d’ore dopo Abbott non solo è “incline”, ma consegna al DHS le sette pagine della sua decisione. Posada può respirare.

 

 

CALA IL SIPARIO

 

 

Martedì sera, nove giorni prima del 29º anniversario dell’attentato che ordinò contro un aereo della ‘Cubana’, costato la vita a 73 persone, Posada parla in diretta da Radio Mambí, a Miami.

 

“Sono molto soddisfatto della sentenza”, afferma allegro.

 

I suoi avvocati si propongono di chiedere la sua liberazione per ragioni umanitarie, 90 giorni dopo la sentenza giudiziaria.

 

La farsa continua.