L'AFRICA E L’AMERICA LATINA

 

IN VENEZUELA

 

22 nov.'05 (PL)

 

 

LA GUAIRA, Venezuela. – Tre giorni non bastano per cambiare il mondo. Ma almeno aiutano a capirlo in modo differente.

22/11/2005


PER UNA NUOVA GEOGRAFIA DELL’AMERICA LATINA



Esperti di 20 Paesi latinoamericani si sono incontrati a Caracas per discutere della ‘questione indigena’ e in particolare del “riconoscimento del territorio indigeno nell’emisfero occidentale”, in agenda nella XVIII Assemblea generale dell’Istituto panamericano di geografia e storia (Ipgh), ente iscritto all’Organizzazione degli stati americani (Osa). Con il contributo del governo venezuelano, le nazionalità indigene vogliono affrontare una serie di problemi: dal recupero delle terre avite al rispetto dei diritti umani delle comunità e dell’idea stessa di integrazione di cui ogni comunità è portatrice. Secondo l’Ipgh, questi obiettivi non sono solo politici ma vanno perseguiti anche in termini di cultura, a cominciare dal modo di spiegare la geografia ai ragazzi. Secondo gli esperti dell’Istituto e del governo venezuelano, dovrebbero essere investiti fondi per corsi di formazione e approfondimento dedicati ai professori delle scuole medie e superiori di tutti i paesi latinoamericani in cui vivono comunità indigene, in modo da “poter insegnare la geografia ai ragazzi secondo le realtà attuali, sia geografiche sia storiche”, legandola allo sviluppo sostenibile, la realizzazione di infrastrutture, la gestione del territorio e dei rischi connessi. Tra i prossimi progetti annunciati dall’Istituto, c’è anche la realizzazione di una ‘Mappa globale dell’America’ per non vedenti.

[MISNA]

 

È stato come guardarci, gli uni e gli altri, davanti a uno specchio che ci ha restituito certe immagini comuni che erano un debito con noi stessi. Questo è appena successo qui, in questa località del litorale venezuelano, durante l’incontro degli intellettuali d’Africa e America Latina, nell’ambito del 1º Festival della Cultura dei Popoli dell’Africa.

 

Non per caso è stata scelta La Guaira come scenario dell’incontro. Molto vicina al centro delle convenzioni di Puerto Viejo si trova Punta Mulato, un tratto di costa nel quale sbarcarono migliaia di schiavi africani, portati con la forza sulla terraferma e rinchiusi in degli stabili dove i superstiti delle penose traversate venivano alimentati affinchè i compratori dei "pezzi d’ebano" valutassero di più la merce umana.

 

Per i latinoamericani è vitale capire il passato e il presente dell’Africa perché si può intravedere un destino di minacce e sfide condivise, ma soprattutto per la possibilità di lottare per la conquista della speranza. Perciò scrittori, ricercatori e accademici di diverse discipline, provenienti da Porto Rico, Colombia, Ecuador, Perù, Bolivia, Repubblica Dominicana, Brasile e Cuba, insieme a un numeroso gruppo di venezuelani, hanno teso ponti d’intesa con i colleghi di Marocco, Egitto, Sahara Occidentale, Libia, Mali, Capo Verde, Ghana, Zambia, Zimbabwe, Guinea Ecuatoriale, Somalia, Sudafrica, Congo, Kenya, Namibia e Senegal.

 

Le basi per il dialogo sono state stabilite dal ministro dell’Educazione e dello Sport del Venezuela bolivariano, Aristobulo Isturiz, quando ha definito l’incontro "il cervello" del Festival Culturale. "Il Festival ha un corpo e questo dev’essere il cervello da dove si pensano e creano opzioni per un mondo migliore e diverso, che è possibile con il rapporto e la cooperazione sud-sud. Ci doveva essere uno spazio per gli intellettuali, i pensatori, per coloro che riflettono ed hanno un più sviluppato spirito critico per avere più forza e avanzare nella costruzione di un nuovo mondo, diverso da quello che è sotto i nostri occhi".

 

In uno dei gruppi di lavoro è stato discusso a lungo il tema della diaspora africana e dei suoi contributi alla formazione delle culture americane.

 

Lucido è stato il contributo dello scrittore cubano Miguel Barnet, presidente della Fondazione Fernando Ortiz, che si è soffermato sul ruolo degli schiavi fuggiaschi come uno dei pilastri principali della cultura afroamericana e dei Caraibi, presente in tutte le espressioni che, in un modo o nell’altro, si scontrano e trasgrediscono le norme coercitive dei sistemi discriminatori, che pretendono di perpetuare l’asimmetria dei rapporti sociali ereditati dai tempi dello schiavismo e del colonialismo.

 

Le esperienze cubane sulla registrazione, conservazione ed esaltazione dell’eredita africana (che ha uno dei punti culminanti nel programma di "La Rotta dello Schiavo") esposte qui da Barnet, hanno attratto l’attenzione degli intellettuali africani e latinoamericani.

 

 

Sono stati sottolineati anche i contributi di Rogelio Martínez Furé, fondatore del Complesso Folcloristico Nazionale e uno dei più rinomati africanisti, che ha illustrato come il movimento e la gestualità siano stati e continuino ad essere utilizzati dagli afrodiscendenti per opporsi ai modelli imposti con la forza. "Il corpo" – ha segnalato – "e la sua libera e gioiosa celebrazione attraverso il ballo, ha funzionato perchè la musica generata nelle nostre terre a partire dall’eredità africana e il suo incrocio di razze con quelle europee, non ha assoggettato l’ascoltatore e il ballerino alla rigidità di uno schema dominante. Il corpo stesso ha raggiunto una sensazione di realtà, bellezza, libertà e ribellione nel movimento."

 

Non pochi intellettuali africani si sono interessati al lavoro di Martínez Furé come traduttore e diffusore della poesia africana. Nello stesso modo hanno manifestato la propria ammirazione per la persistenza con la quale il Complesso Folkloristico Nazionale dell’Isola ha presentato il suo lavoro per più di 4 decenni negli scenari del mondo.

 

Da labbra africane abbiamo conosciuto la dimensione della tragedia che vivono molte popolazioni, alienate dal modello neocoloniale che emargina le loro culture. Abbiamo conosciuto anche importanti impegni per la riaffermazione delle loro identità.

 

"Abbiamo il dovere di riconoscere le nostre icone e situarle al centro dei processi creativi", ha affermato la sudafricana Peggie Kekeletso. Il viceministro della Cultura dello Zambia, Ferdinand Williams, ha sottolineato la necessità di fomentare studi interdisciplinari, su entrambe le sponde dell’Atlantico, come premessa per la reciproca conoscenza tra africani, latinoamericani e caraibici.

 

Molte e svariate sono state le proposte per progredire in questo senso. Ma sarebbe meglio commentarle nell’articolo di domani.