INTERVISTA AD

 

 

HUGO CHAVEZ
 

E. Gosman - Brasilia 8/10/2005

Il Venezuela e il petrolio

 

 

Il presidente Hugo Chavez è solito lasciare una scia di polemiche ovunque vada. E questa volta a Brasilia, dove ha preso parte ai lavori del summit della Comunidad Sudamericana, non ha fatto eccezione. Ai suo colleghi presidenti ha detto che non avrebbe firmato accordi senza un dibattito politico sull'integrazione regionale e su come realizzarla perché "si corre il rischio di uccidere il bambino prima ancora che nasca". La mediazione di Lula da Silva e del suo ministro Celso Amorim hanno convinto il Venezuelano a firmare le dichiarazioni finali della riunione.  

 
In una intervista esclusiva per “Clarin”, in un hotel di Brasilia, Chavez ha insistito con l’immagine di una unione sudamericana ancora in fasce. Ha affermato di voler giocare la "carta petrolifera" come fattore di unità. A suo avviso, gli accordi energetici sono tanto forti che possono resistere agli uragani. A questo tipo di accordo appartiene quello che ha firmato lo scorso giovedì con il presidente Néstor Kirchner. Alcune ora prima lo aveva siglato con Lula.

 

Lei è solito ripetere che i presidenti vanno di summit in summit e i popoli vanno di abisso in abisso. Vale anche per questa riunione?

Non è possibile estrarre la frase dal suo contesto. Questo vertice sudamericano registra passi in avanti dal momento in cui è stato fondato, 11 mesi fa, a Cuzco. Io direi che nella Comunidad Sudamericana l'idea d'integrazione è in gestazione, ma il bambino ancora non è nato. In ogni caso si è fatto il miglior uso possibile del tempo: firmiamo accordi di grande interesse con il Brasile, tra Petrobras e PDVSA, e anche con il presidente Kirchner e settori privati del suo paese.

 

Usa il petrolio per conquistare alleanze nella regione?

Le alleanze hanno anche altri contenuti, ideologici e politici. Brasile e Venezuela hanno modi diversi di vedere le cose, ma le posso assicurare che il presidente Lula ed io concordiamo profondamente sull'idea che è necessario trasformare l'attuale modello sociale fondato sull'esclusione totale. Abbiamo toni e stili diversi, ma puntiamo nella stessa direzione. Sono certo che lo stesso accade con il presidente Kirchner. Credo sia il momento di riprendere le idee di grandi maestri sudamericani come Celso Furtado, Theotonio dos Santos (brasiliani) e Raúl Prebisch (argentino). Abbiamo proposto di discutere il socialismo e, per giunta, di discutere il modello che Prebisch e la CEPAL annunciavano negli anni sessanta, demonizzato dall'arrivo del neoliberismo.

 

Il Venezuela ha intenzione di giocare la carta del petrolio contro gli Stati Uniti?

E' una carta che abbiamo intenzione di giocare duro contro i più rudi del mondo, gli Stati Uniti. Ma vogliamo usarla con trasparenza e rispetto. Noi crediamo che gli accordi energetici abbiano una forza intrinseca che li rende resistenti a qualsiasi uragano. Nel caso del Sudamerica questi accordi incidono sul recupero economico regionale. La nostra proposta, la Petroamerica, ha tre piattaforme geopolitiche: Petrocaribe, Petroandina e Petrosur, con Mercosur e Cile. Con i paesi caraibici avanziamo più speditamente; abbiamo appena firmato con loro una convenzione, da governo a governo, con la quale il Venezuela garantisce petrolio. Ciò è di enorme importanza, perché le multinazionali compravano petrolio in Venezuela, lo portavano ad un paese CARICOM e per una sola giornata di navigazione aumentavano il prezzo del 20 per cento. Oggi consegniamo 200.000 barili al giorno, cioè 2.000 milioni di dollari all'anno. Pagano il 60 per cento del valore a tre mesi, e il resto a 25 anni, con una tassa dell'1 per cento l'anno.

 

Ma allora PDVSA sta perdendo denaro.

Noi non abbiamo l'egoistico punto di vista dei capitalisti. Questi duemila milioni di dollari che stiamo finanziando nel Petrocaribe li recuperiamo in altri modi. Le multinazionali pagavano una mancia del 16 per cento al Venezuela quando si portavano via il nostro petrolio per l'1 per cento. Dunque guadagniamo più di duemila milioni di dollari di differenza. E' un meccanismo di redistribuzione, si toglie ha chi ha troppo e si distribuisce a chi non ha abbastanza.

 

E lei consegue vantaggi politici.

Noi siamo gli eredi autentici di un pensiero e di un'azione. Bolivar non fece calcoli contabili quando attraversò le Ande: si unì al popolo granadino e aiutò a liberare l'Equador. Né lo fece quando andò in Perù e si unì a San Martin. Nessuno si mise a fare i calcoli dei capitalisti. Noi siamo fatti così.

 

Se lei parla di uso geopolitico del petrolio è perché fa calcoli politici.

Anche l'impulso che portò Bolivar ad unirsi con San Martin fu geopolitico. Ma tornando al tema degli accordi petroliferi, noi vendiamo combustibili fossili all'Argentina che ci paga con bestiame e acceleratori lineari per combattere il cancro. Cuba estingue una parte del suo debito con medicine. Abbiamo ventimila medici cubani che lavorano nei quartieri poveri del Venezuela. All'Uruguay diamo petrolio in cambio di cemento. Si tratta di una parte delle nostre entrate che rinunciamo ad incassare nel breve periodo, ma in cambio di altri benefici.

 

E' una decisione politica acquistare buoni del tesoro argentino?

I buoni di Kirchner offrono un migliore rendimento dei buoni di Bush. Così guadagniamo denaro. Ed è anche un modo di aiutarci tra di noi. Se domani abbiamo problemi e l'Argentina ha disponibilità, ci può aiutare.

 

Alcuni esperti, come l'ex presidente Fernando Henrique Cardoso, sostengono che il suo governo farebbe meglio ad usare le risorse del petrolio per creare una base industriale.

Ho un enorme rispetto ed affetto per Cardoso. Noi stiamo dando impulso agli investimenti nel sociale delle rendite petrolifere. Tutto dipende da come si intende lo sviluppo. Sono più importanti le industrie o gli esseri umani? D'altro canto, cos'è il petrolio venezuelano se non una delle più grandi industrie del mondo? L'impresa prima non dava nulla al fisco ed ora produce risorse per la spesa sociale. Abbiamo triplicato il bilancio della sanità ed abbiamo un sistema scolastico che permette a metà della popolazione venezuelana di studiare. In più c'è un piano di 800 milioni di dollari per dotare gli ospedali delle tecnologie più avanzate; destiniamo mille milioni di dollari per un impianto siderurgico; investiamo in miniere d'oro e diamanti e destiniamo mille milioni a strade, ferrovie e metropolitane. In totale sono più di 5000 milioni di dollari che investiamo in questo tipo di programmi. Io sono d'accordo con Cardoso, non si può separare il sociale dall'economico. Ne ho parlato anche con Lula nell'ultima cena. Che non era quella di Cristo.

 

Cosa?!

Beh, sembra che ci siano alcuni che vogliono crocifiggere il presidente brasiliano. Ma attenzione, Lula è vivo e vegeto. E ora lo vedo all'offensiva.

 

Quali sono i prossimi passi della sua riforma agraria?

Per noi non è una riforma, ma una rivoluzione agraria. Il primo è riscattare le terre del latifondo. Siamo qui, alla occupazione di terre e alla competenza dei contadini. Le istruzioni sono chiare: la terra recuperata passa a cooperative che hanno competenze, un processo elaborato, e con finanziamenti per cominciare a produrre.

 

Se lo stato venezuelano possiede grandi quantità di terra che senso ha espropriare terre produttive?

In primo luogo non abbiamo espropriato neanche un ettaro di terra privata. Stiamo recuperando terre dello stato che furono occupate dai latifondisti in forma illegale, senza titoli. Alcuni latifondisti dicono che il primo latifondista è il governo, ma le terre in nostro possesso sono soggette ad inondazione, sono parchi naturali protetti, zone semidesertiche. Ecco perché dobbiamo distribuire terre produttive.

 

Redistribuirà anche quelle che ora sono sfruttate in modo redditizio?

No. Siamo stati molto precisi al riguardo.

 

da zmag.org/italy, traduzione di Gianluca Bifolchi