L'assedio informativo

La guerra dell'informazione è totale, sia sul piano interno che internazionale, dispiegata dall'Iraq alla Val di Susa sino al Venezuela come ultimo esempio.

Nessun media italiano mette in dubbio l'incontestabile schiacciante vittoria di Chavez ma tutti, senza alcuna eccezione, si affrettano e calcano la mano sull'astensione che é stata di poco meno del 75%.

Ma se si analizza il dato elettorale risulta un fatto curioso: il trend dell'affluenza elettorale dal '98 ad oggi é addirittura in crescita!

Infatti l'Alleanza Democratica vinse le elezioni del 98 con l'11% di affluenza alle urne e successivamente nel 2001 il MVR chavista vinse con un'affluenza del 17%, quindi il dato del 25% di questa tornata dimostra che l'affluenza é aumentata nonostante il boicottaggio elettorale di praticamente tutta l'opposizione (socialdemocratici e democristiani). A tale boicottaggio aggiungiamo i sabotaggi e i veri e propri attentati terroristici dinamitardi che si sono verificati persino all'interno dei seggi elettorali!...anche le piogge torrenziali di questi giorni hanno fatto la loro parte.

Sui media si tace naturalmente sul fatto che il boicottaggio dell'opposizione, a 4 giorni dalle elezioni, con sondaggi disastrosi che pronosticavano un dimezzamento della loro forza, sia stata una (buona) manovra diretta dagli USA in cui i leader dell'opposizione sono risultati essere ciò che in realtà sono sempre stati: pagliacci!

Qualche giornale ha citato affermazioni di leader oppositori, senza il senso del ridicolo, che sostanzialmente paragonavano l'astensione ad un voto per l'opposizione... stante così le cose potremmo tranquillamente affermare che gli astenuti negli USA sono tutti comunisti?

I media inoltre si son ben guardati dal mettere in risalto un dato che in America latina non é molto frequente; non vi sono stati brogli! gli osservatori internazionali hanno confermato la regolarità delle elezioni. Ripeto gli osservatori internazionali!

Morale della favola per ricostruire la realtà è necessario approfondire gli avvenimenti in maniera adeguata e non fidarsi, ripeto NON FIDARSI, dei media cosiddetti liberi a parole...appunto!

 

 

 

 

Suicidio dell´opposizione venezuelana
 

di Tito Pulsinelli* 8 dic.05
(*Analista e collaboratore di
www.selvas.org dal Venezuela)

 

L´opposizione venezuelana ha fatto un clamoroso autogol e scompare dalla scena parlamentare. Il ritiro delle candidature e l´appello all'astensionismo sono stati una manovra di corte respiro, un tentativo infantile di confondere le acque per camuffare il disastro preannunciato dai sondaggi.

Oggi, si consolano sbandierando a destra e a manca dagli schermi televisivi e delle prime pagine dei loro quotidiani, il 75% di astensionismo degli elettori. Cercano di ipotecare l´astensionismo, e con una appropriazione indebita danno ad intendere che è "cosa loro".

Ognuno si consola come può, però è utile ricordare alcuni dati statistici.


L´8/11/1998, nelle elezioni parlamentari dell'ultimo governo del vecchio regime, votarono 1235000 elettori, cioè l´11% degli aventi diritto al voto.
 

Nel 2000, nelle parlamentari vinte dalla coalizione bolivariana, votarono 1980 000 elettori, pari al 17% degli iscritti al registro elettorale.


Nelle elezioni di ieri, nonostante la massiccia e multimilionaria campagna per far disertare le urne, la partecipazione è aumentata: hanno votato il 25% degli elettori.

Quelli che oggi si appellano ad una presunta mancanza di legittimità del nuovo Parlamento - che decisero di disertare per scelta propria - sono esattamente gli stessi che nel 1998 furono eletti deputati con l´11%. Se era legittimo l´11% non si capisce perchè non lo sia il 25%.


Tralasciando le contraddizioni logiche del settore sconfitto, la riflessione pertinente è che nei paesi presidenzialisti, la partecipazione di votanti è alta soltanto nelle elezioni presidenziali, ristagna nelle regionali ed è ancora più scarsa nelle comunali.


L'altra annotazione è che la dirigenza politica che è uscita definitivamente di scena, nel giro di due anni ha sperperato il capitale rappresentato dai 4 milioni di voti che nel Referendum si erano pronunciati contro la permanenza di Chavez.


Oggi, le numerose frazioni in cui è frammentata l'opposizione, non sfiora neppure il 10% della popolazione. Questa è la consistenza reale del "partito imperiale", della destra golpista e dei nostalgici che sognano il ritorno puro e semplice al passato.

Sul versante di Washington e di Miami, la prevedibilità più scontata: si stanno sfiatando per gridare alla mancanza di legittimità e alla poca rappresentatività del nuovo Parlamento venezuelano.


Come al solito, vedono la pagliuzza nell'occhio del vicino ma non la trave conficcata nelle loro pupille.


I deputati del Congresso degli Stati Uniti sono stati eletti con un astensionismo del... 63%. E nelle presidenziali vinte da Bush - frode a parte - gli astenuti sono stati il 44%.

Non hanno nessuna autorità morale per censurare chicchessia: è un pulpito da cui non si sono mai sognati - per esempio - di mettere in dubbio la legittimità del Parlamento del Canada, nonostante sia stato eletto da appena l´8% dell'elettorato. 


E´ del tutto evidente che a Washington guardano lontano, e cercano con una serie cumulativa di effetti destabilizzanti e negativi, intromissioni e satanizzazioni, di impedire ad ogni costo che nel prossimo mese di agosto, venga rieletto il Presidente Chavez.

Per il momento, hanno bruciato la parte residuale di una classe politica devota e incondizionale: ora devono trovare facce nuove, più fresche e, soprattutto, con maggiore credibilità. Una classe dirigente, però, non si inventa dal nulla e dal cappello del prestigiatore occulto possono uscire solo controfigure o proconsoli.

 

 

 

 

 

Rinascita 7 dicembre 2005

 

L'America Latina è più indipendente

 

 

Così, l’astensione dal voto per il rinnovo del Congresso decisa dai partiti d’opposizione venezuelani, Alianca Nacional e Copei (rispettivamente socialdemocratici e democristiani), ha dato infatti ai sostenitori di Hugo Chavez la totalità dei seggi.
Come è ormai prassi in quell’America latina che gli statunitensi, da Monroe in poi, dichiarano “proprio cortile di casa”, le elezioni si sono svolte in un clima di tensione che ha portato a scontri nel Nord-Ovest del Paese, dovuti all’ennesima interferenza americana.
Comunque, da un punto di vista economico, il potere “totalitario” del presidente venezuelano non dovrebbe - secondo un’analisi di velino.it - comportare nel breve periodo cambiamenti nei rapporti commerciali con gli Usa che continuano a importare circa 1,8 milioni di barili al giorno di greggio venezuelano. Anzi: le società petrolifere statunitensi operanti in Venezuela dovranno accettare le nuove imposte decise da Caracas sui cosiddetti “production sharing agreements” ai quali partecipano le società americane, mentre le società europee in Venezuela continueranno a operare come prima. Il governo non intende operare per ora nazionalizzazioni o espropri nei confronti delle multinazionali straniere. Tende tuttavia a diversificare i mercati per le esportazioni del greggio, cercando di incrementare le esportazioni verso l’Asia, l’Europa e il resto dell’America Latina e potrebbe cercare di cedere a terzi la Citgo, un importante raffinatore e distributore petrolifero già nordamericano il cui valore viene stimato intorno ai tre miliardi di dollari.
La decisione del Venezuela di acquistare navi da guerra e aerei dalla Francia per oltre tre miliardi di dollari, ha accentuato nelle ultime settimane i dissapori con gli Stati Uniti che hanno effettuato, senza successo, pressioni sulla Francia per ottenere la sospensione delle forniture militari. Politicamente ed economicamente Venezuela e Stati Uniti si sono per ora solo limitati a punzecchiarsi, ma nei prossimi mesi i rapporti tra i due governi sono destinati a peggiorare. Nel resto dell’America Latina, con l’eccezione forse del Cile e del Brasile che cercano di non “disturbare” l’alleato Usa, Chavez gode di un seguito importante e in crescita.
Tanto che anche il governo peronista del presidente argentino Nestor Kirchner, ha sostituito il ministro dell’Economia, Roberto Lavagna, gradito alla Banca Mondiale, con Felisa Miceli, già responsabile del Banco della Nacion, una istituzione finanziaria pubblica sopravvissuta all’assalto speculativo della grande finanza che aveva fino a tre anni fa messo in ginocchio l’Argentina.
La destituzione di Lavagna, troppo vicino al Fondo Monetario Internazionale e agli Stati Uniti, costituisce un passo verso un’ulteriore consolidamento della politica per un recupero della sovranità dell’Argentina nei confronti del giogo speculativo statunitense.
Tutto si muove nel sub-continente americano.
E verso il meglio.

 

 

 

Liberazione 7 dicembre 2005

 

Venezuela, osservatori giudicano regolare il voto

 

Gli osservatori dell’Unione Europea e dell’Organizzazione degli Stati americani (Osa) hanno giudicato  regolari le elezioni parlamentari di domenica scorsa, che - boicottate dall’opposizione - hanno assegnato tutti i 167 dell’Assemblea nazionale, 12 del Parlamento latinoamericano e 5 del Parlamento andino al “Movimiento V República” del presidente Chávez.

 

 

 

Liberazione 6 dicembre 2005

 

Polemiche per la forte astensione che però non costituisce un record né una novità per il Paese Venezuela, a Chavez l’intero Parlamento.

L’opposizione boicotta per non perdere.

di Angela Nocioni - Buenos Aires [nostra inviata]

 

 

Boicottare le elezioni piuttosto che perderle. Lasciare il Parlamento interamente in mano al governo piuttosto che ritrovarsi con metà dei seggi.

Con questa strategia l’opposizione venezuelana ha chiamato a non andare a votare per le legislative. L’astensione c’è stata: il 73% degli aventi diritto non si è presentato ai seggi. Alle ultime legislative, quelle del 2000, gli astenuti furono il 44%.

In quel caso, però, si votava anche per le presidenziali (appuntamento elettorale con un’affluenza tradizionalmente più alta di tutti gli altri). Il 73% di astensioni non è un record (in Venezuela si è superato anche l’80% in epoca preChavez, quando il Paese era retto dall’alternanza tra i due grandi partiti della élite, Copei e Azione democratica) ma rimane una cifra molto alta.

Dentro quel numero vanno considerati quelli che si sarebbero astenuti comunque, quelli che hanno aderito davvero al boicottaggio e quelli (sempre di più) che pur detestando Hugo Chavez non avrebbero mai dato il loro voto all’opposizione. La mossa degli antichavisti é violenta ma efficace: con un parlamento monocolore e i partiti antigovernativi fuori dal Palazzo, sarà più semplice gridare alla «democrazia in pericolo in Venezuela ». Mostrare che «Chavez é come Castro», che Caracas é una capitale a partito unico come l’Avana, questo é lo scopo dell’opposizione parlamentare antichavista che non si preoccupa minimamente della delegittazione delle regole democratiche per la semplice ragione che democratica non é mai stata.

I sondaggi davano fino alla settimana scorsa lo schieramento antichavista in caduta libera. Perderanno almeno la metà dei loro 79 seggi (nel parlamento venezuelano ce ne sono 167, da quest’anno 169),prevedevano le inchieste, anche quelle statunitensi.

La decisione del boicottaggio elettorale permette all’opposizione di non confrontarsi con una sconfitta annunciata, di sottrarre al presidente l’argomento migliore: la sua leadership è stata confermata da 7 elezioni negli ultimi sei anni, ogni votazione è stata monitorata da un esercito di osservatori internazionali e tutte le organizzazioni chiamate a vigilare sul voto, dalla Organizzazione degli Stati americani, all’Unione europea, al centro Carter (presieduto dall’ex presidente Usa) hanno ogni volta confermato la correttezza delle procedure di voto e di spoglio. Anche quando si trattò di verificare la validità del referendum revocatorio del mandato presidenziale,voluto dall’opposizione che quando si vide sconfitta gridò ai brogli.

Costretto a misurarsi con un risultato bulgaro a Chavez non resta che accusare l’ambasciata Usa di aver orchestrato il boicottaggio.

Dall’alba di ieri la presidenza della Repubblica sforna dati comparati sulle elezioni in Venezuela e negli Stati Uniti. «Nelle presidenziali americane del 2000 Bush vinse con una percentuale che corrisponde al 23% dei cittadini

aventi diritto al voto - fanno notare dal Palazzo di Miraflores - il partito repubblicano è partito di maggioranza con il 18,9 delle preferenze dei cittadini aventi diritto». Ma lo schiaffo resta pesante soprattutto perché, fuori dal paese,poco caso si fa alla sostanza eversiva della destra venezuelana.

Lo schiaramento antichavista è una nebulosa in costante lite con se stessa, tenuta insieme dall’odio per il presidente, un fronte disperso dall’ideologia indistinta alla ricerca di una faccia presentabile da candidare alle prossime elezioni.

Classista, razzista, gonfio di dollari, l’antichavismo ha le sue menti pensanti nei quartieri generali delle tv private.

Ossia tutte le reti del paese con la sola eccezione di Canal 8, rete governativa, e della “no global” Telesur.

Il re dell’etere si chiama Cisnerios.

Un impero in dollari messo da tempo al sicuro ben lontano dai confini nazionali. Amico della famiglia Bush. E’ lui il vero capo della destra. Cisnerios è il proprietario di Venevision, colosso della tv venezuelana, oltre che di un importante pacchetto in Cnn, di Univision (prima rete in lingua spagnola degli Stati Uniti), di tv Azteca in Messico, di America tv in Perù, e della compagnia telefonica Telcell.

Di fatto non esistono veri partiti di destra in Venezuela.

Ma esiste l’ultradestra da strada, il paramilitarismo che i signori delle tv usano come manovalanza del terrore, qualche attempato intellettuale in cerca di gloria e ciò che rimane dei due vecchi partiti che governarono

insieme l’era pre-Chavez: Azione democratica (una sorta di Dc tropicale, unico grande partito popolare degli anni 60-70) e Copei. Le due nuove sigle della destra sono invece Primero Justicia e Alianza Bravo Pueblo, sorte sulle ceneri di Azione democratica, prodotti squisitamente mediatici, costituiti da soli leader senza base.

Primero Justicia riempie gli spazi televisivi e gioca tutto sul look new yuppie dei suoi portavoce, giovani sindaci di municipi capitolini molto rampanti e fedeli all'estetica dei ricchi e famosi.

Il nome di spicco è Leopoldo Lopez, sindaco di Chacao, quartiere (tempio dell'antichavismo a Caracas) volto immagine della nuova destra che avanza, retorica fascisteggiante e faccia da copertina.

Il numero due è Julio Borges, meno fotogenico ma politicamente più abile, ex avvocato ed ex giornalista, ha fatto fortuna grazie a un reality show di successo in cui faceva la parte del giudice.

 

 

 

 

Il Manifesto 6 dicembre 2005

 

Vittoria dimezzata per Chávez
Elezioni senza opposizione in Venezuela. Ma l'affluenza è bassa (25%)
Gli anti-chavisti che avevano invitato al boicotaggio, cantano vittoria e dicono che il Parlamento è delegittimato

STEFANO LIBERTI

 


Non è il risultato - 100 per cento dei suffragi e la totalità dei 167 seggi dell'Assemblea nazionale a favore del Movimiento V República (Mvr) di Hugo Chávez e di partiti alleati - il dato significativo delle elezioni legislative tenutesi domenica in Venezuela. Il boicottaggio di gran parte dell'opposizione, che si è ritirata dalla competizione adducendo l'inconsistente pretesto di «inaffidabilità» delle macchine conta-voti, aveva reso inevitabile una vittoria bulgara. Ma questa volta il focoso presidente venezuelano, trionfatore di nove competizioni elettorali democratiche dal 1998 a oggi, è inciampato: la scarsa affluenza alle urne (appena il 25 per cento degli aventi diritto) rende la sua vittoria dimezzata; inorgoglisce quell'opposizione sfibrata che ancora non era riuscita a riprendersi dalla botta del referendum revocatorio del 15 agosto 2004 ed espone il «leader bolivariano» a qualche ragionevole critica, tanto più che il nuovo parlamento dovrà affrontare la questione della revisione costituzionale e la possibilità di eliminare il limite dei due mandati presidenziali.

Le immagini dei seggi a Caracas domenica rispecchiavano ancora una volta quella frattura sociale, economica e geografica che divide in due la società venezuelana: ad est, nei quartieri bene della ricca borghesia, gli edifici adibiti al voto sono rimasti deserti. Ad ovest, tra i miseri ranchitos sulle colline dove vivono le migliaia di diseredati che formano la base sociale del chavismo, si sono avute file anche lunghe. Ma il dato finale indica che Chávez questa volta ha raccolto consensi solo nella sua base immediata, e che i ceti medi hanno scelto di non scomodarsi per un'elezione dal risultato scontato.

Varie figure dell'opposizione hanno immediatamente cantato vittoria. Julio Borges, leader di Primero Justicia - partito di destra liberale - ha detto che « il Venezuela ha parlato con il suo silenzio». Teodoro Petkoff, ex guerrigliero e tra i più lucidi oppositori del chavismo, ha titolato il quotidiano Tal Cual di cui è direttore in modo significativo: «10 milioni non hanno votato».

Chávez ha condannato il boicottaggio, individuandovi la longa manus di Washington. E ha aggiunto, con la sua usuale retorica colorita: «Questi vecchi partiti sono già morti, ma stanno ancora cercando di resistere».

La verità è che l'opposizione, condannata da tutti i sondaggi pre-elettorali a una sconfitta certa, ha colto nel segno con la strategia del boicottaggio. E che il presidente bolivariano - che evidentemente puntava su una partecipazione più cospicua - ha preso il primo abbaglio dopo una lunga seria di successi elettorali indiscutibili, culminati con la vittoria schiacciante del referendum del 2004.

Per oggi, si attende il responso sul voto degli osservatori dell'Unione europea e dell'Organizzazione degli stati americani (Osa). Nonostante i proclami di Súmate - una Ong finanziata dagli Usa ormai specializzata nella denuncia di brogli inesistenti -, non sembra si siano riscontrate irregolarità. Da un punto di vista formale (e Chávez ci tiene al rispetto delle formalità democratiche) la vittoria è incontestabile. Ma un parlamento monocolore eletto solo da un quarto dagli aventi diritto rischia di essere più una grana che un vantaggio per l'inquilino di Palazzo Miraflores.
 

 

 

 

Rinascita 6 Dicembre 2005

 

Una vittoria annunciata

Cristiano Tinazzi

 

Plebiscito, come previsto, per il ‘Movimento V Repubblica’ del presidente venezuelano Hugo Chávez alle elezioni parlamentari di domenica. Con l’80% dei seggi scrutinati, il partito del leader bolivariano ha ottenuto l’89,9% delle preferenze. Bassissima l’affluenza alle urne, dopo il boicottaggio del voto per rinnovare i 167 parlamentari dell’Assemblea nazionale da parte di cinque partiti dell’opposizione: secondo il Consiglio elettorale nazionale, ha votato solo il 25% degli aventi diritto. Forte di un Parlamento monocolore, Chávez potrà adesso cambiare la Costituzione, abolendo il divieto di un terzo mandato presidenziale. Secondo l’ultimo dato diffuso dal Consiglio Nazionale Elettorale nella notte, l’astensione alle elezioni legislative in Venezuela è stata del 75% quando sono state scrutinate il 79,1% delle sezioni. Erano chiamati alle urne 14,5 milioni di venezuelani. Nonostante la proroga di un’ora dell’apertura dei seggi a causa della forte pioggia che è caduta domenica sul Paese, la percentuale dei votanti non avrebbe dunque superato il 25%. Un dato su cui il governo “dovrebbe riflettere”, secondo il partito di opposizione Sumate. Insomma, un’altissima astensione e una vittoria non schiacciante del movimento ‘V Repubblica’, la coalizione che sostiene il presidente Hugo Chávez. Il MVR dichiara di aver ottenuto 114 seggi sui 167 dell’Assemblea nazionale che i cittadini erano chiamati a rinnovare.
“Il Venezuela avrà un’Assemblea nazionale totalmente controllata dall’officialismo chavista. Il presidente avrà sicuramente più dei due terzi necessari anche per cambiamenti costituzionali”. L’ex ministro venezuelano Teodoro Petkoff, direttore del quotidiano ‘Tal Cual’, forse la voce più autorevole dell’opposizione nel suo paese, commenta in un’intervista a ‘Il Messaggero’ le elezioni parlamentari di ieri. “Già ora vi è una crisi politica gravissima - aggiunge Petkoff - anche questo regime non può non considerare un fatto da poco che quasi tutta l’opposizione si sia ritirata dalle elezioni. Né potrà non riflettere sull’enorme astensione che ha contraddistinto il voto”. Una soluzione, sostiene l’ex ministro, poteva essere quella di “posporre le elezioni e tentare un dialogo tra le parti per ridare dignità al processo elettorale”. Chávez, insomma, “avrebbe potuto fare in modo che nell’assemblea nazionale vi fosse almeno una presenza organizzata dell’opposizione”. Molte le colpe dell’opposizione, ammette infine Petkoff, “a partire dalla scelta golpista del 2002, a quella del patto petrolifero, al referendum revocatorio della presidenza: una serie impressionante di sconfitte e autogol”. Ma non solo. La scelta di ritirarsi dalle elezioni è stata studiata a tavolino: in questo modo le stesse elezioni vengono svuotate, perdono di credibilità. E sempre in questo modo si potrà battere sempre di più sulla mancanza di trasparenza della politica in Venezuela. E sempre di più le organizzazioni non governative americane come il Ned, uno dei principali finanziatori del Sumate, si adopreranno per la battaglia della ‘trasparenza democratica’ e faranno pressioni sui governi per arrivare alla conclusione che in Venezuela non c’è democrazia. A quel punto, tolto il patentino di democraticità al governo di Chávez, si potrà metterlo sullo stesso piano di Cuba, con le eventuali sanzioni economiche e politiche del caso.
Il prossimo passo dell’opposizione, quindi, sarà quello di delegittimare le elezioni presidenziali del 2006 evitando anche in questo caso, di presentare un proprio candidato.
Secondo il controllore generale della repubblica Clodosvaldo Russian, l’opposizione non vuole riconoscere il livello di popolarità che detiene il presidente della repubblica. “Penso che questi settori della politica stiano sbagliando nel ritirarsi dalla competizione elettorale. In Venezuela abbiamo il diritto di eleggere democraticamente e universalmente tutte le cariche”, ha ribadito Russian. L’astensione non è una novità nel Paese, e non è neanche una novità che diversi media venezuelani abbiano invitato la popolazione a non recarsi alle urne.

 

 

 

 

l'Unità 05.12.2005

 

Venezuela, agli alleati di Chavez tutti i seggi del Parlamento
di red

La coalizione al potere in Venezuela, guidata dal presidente Hugo Chavez, ha conquistato tutti i 167 seggi del parlamento nazionale al termine delle elezioni di ieri, ampiamente boicottate dall'opposizione. Il risultato è stato annunciato dal presidente del Movimento della Quinta Repubblica, il partito di maggioranza, William Lara. «Secondo i dati di cui disponiamo, i 167 eletti al parlamento nazionale sono tutti sostenitori del presidente Hugo Chavez» ha dichiarato Lara nel corso di una conferenza stampa.

 

Il partito di Chavez, Mvr, ottiene 114 seggi. Gli altri sono ripartiti tra le altre formazioni politiche che l'hanno sostenuto. L'opposizione controllava finora 79 seggi su 165. Circa 14,4 milioni di elettori erano chiamati alle urne per scegliere i 167 deputati (due in più in conseguenza della crescita demografica) per un mandato di cinque anni in 23 stati del paese oltre a Caracas, la capitale. Centinaia di osservatori dell'Unione europea e dell'Organizzazione degli stati americani hanno controllato la regolarità della consultazione.

 

L'opposizione contesta la regolarità del voto, al quale ha partecipato solo il 25 per cento dell'elettorato. In Venezuela la partecipazione alle elezioni non è obbligatoria, e poco prima della consultazione elettorale i partiti di opposizione hanno quasi tutti ritirato i loro candidati. Denunciando la «forte astensione», Henry Ramos Allup, segretario del partito socialdemocratico Azione Democratica, ha detto che il nuovo Parlamento è «legale» ma non «legittimo» perché non «rappresenta tutta la popolazione venezuelana e ancor meno la popolazione elettorale». Gerardo Blyde, segretario del partito di centrodestra Prima Giustizia, dice che «nessuno può essere contento di fronte al terremoto politico che abbiamo vissuto con queste elezioni parlamentari che danno un'immagine diversa da quella che è la realtà sociale».

 

Il presidente Chavez si era scagliato alla vigilia delle lezioni contro le manovre della opposizione che, di fronte ad una probabile sconfitta politica elettorale, aveva scelto l'arma della delegittimazione. Chavez, bestia nera degli americani per la sua politica petrolifera (il Venezuela è uno dei più grandi produttori di petrolio del mondo) e per la sua vicinanza politica a Fidel Castro, aveva accusato Washington di aver organizzato questo «colpo di stato elettorale». Per Chavez i partiti astensionisti sono «già morti» e che il loro comportamento li mette fuori della legge.

 

 

 

 

la Repubblica 5 dicembre 2005

 

Sono state scrutinate quasi l'80% delle schede. Il risultato
accentua le polemiche tra maggioranza di governo e opposizione

Venezuela, Chavez all'89% ma l'astensione raggiunge il 75%

Efficace il boicottaggio. Il presidente della Commissione elettorale minimizza: "Diserzione motivata da piogge torrenziali"
 

Caracas - La coalizione politica che appoggia il presidente Hugo Chavez ha stravinto le elezioni legislative che si sono tenute ieri in Venezuela, grazie anche al ritiro dei candidati dell'opposizione, che contestano la trasparenza delle operazioni di voto. Con lo scrutinio più o meno all'80% il Consiglio nazionale elettorale (Cne) ha reso noto che Blocco del cambiamento, che appoggia il governo, ha ottenuto quasi l'89% dei voti. Ma il dato più rilevante è quello dell'astensione: circa tre quarti degli aventi diritto al voto hanno disertato le urne.

Il boicottaggio dell'opposizione sembra quindi aver avuto successo. E la conseguenza è che la nuova Assemblea nazionale di 167 membri sarà composta praticamente solo dall'alleanza che sostiene Chavez.

Il primo bollettino reso noto dal presidente del Consiglio nazionale elettorale (Cne), Horge Rodriguez, sulla base del 79,1% dei voti, indicava da un lato una astensione del 75% e dall'altro l'89% di consensi per il Movimento Quinta Repubblica Mvr, principale formazione del Blocco per il Cambiamento che appoggia Chavez.

Uno dei responsabili dell'Mvr, William Lara, ha poi precisato che il suo partito ha conquistato da solo ben 114 seggi dell'Assemblea.

Il sistema di votazione elettronico, che è stato duramente criticato dall'opposizione, ha comunque funzionato, e permesso una rapidissima affluenza dei dati a Caracas. Il segretario della socialdemocratica Azione democratica (Ad), Henry Ramos, ha definito "ridicolo" il risultato, osservando che "il governo, si è posto come obiettivo di portare alle urne 10 milioni di persone (su 14,4 di aventi diritto) e alla fine ne ha portate solo 2,5 milioni".

Lara ha ribattuto che, alla fine, l'astensione non sarà del 75 ma del 67%, sostenendo che la bassa affluenza è stata determinata da una campagna di attentati, dal boicottaggio e dalle avverse condizioni atmosferiche (secondo il presidente della Commissione elettorale "soltanto le piogge torrenziali" hanno tenuto a casa gli elettori). Ed il ministro dell'Interno, Jesse Chacon, ha aggiunto che Ad nel 1998 vinse le legislative con un'affluenza dell'11% e che nel successivo voto del 2000 l'Mvr vinse con una partecipazione del 17% degli aventi diritto.

Ora con la nuova configurazione dell'Assemblea nazionale, il governo dispone ampiamente dei due terzi necessari per apportare le modifiche alla costituzione che il capo dello Stato ha da tempo nel cassetto. Ore prima dell'inizio delle operazioni di voto, esplosioni hanno danneggiato in due punti un tratto dell'oleodotto Amuay-Cardon, in quello che il vicepresidente Josè Vicente Rangel ha definito "un miserabile attentato terroristico".

 

 

 

Il Corriere 5 dicembre 2005

 

Boicottaggio contro Chávez per far vincere l’astensione

Scontato il successo alle legislative del presidente. Ma l’opposizione punta sulla scarsa affluenza per screditare le elezioni

 

Rocco Cotroneo fonte: www.corriere.it
 

Hugo Chávez si prepara a festeggiare l'ennesimo successo elettorale e a rafforzare il suo potere in Venezuela, ma stavolta è l'opposizione a dare il maggiore contributo. Non c'è attesa per i risultati delle elezioni legislative che si sono svolte ieri: il boicottaggio deciso dai partiti che si oppongono al leader bolivariano spiana la strada a un risultato plebiscitario. Secondo le proiezioni, il movimento di Chávez dovrebbe conquistare tra il 70 e l'80 per cento dei 167 seggi dell'Assemblea Nazionale, la camera unica. Più incerto è il dato che preme di più all'opposizione, quello sull'affluenza alle urne, con l'obiettivo di svuotare la vittoria chavista di significato. Ma nella pratica poco cambia. Hugo Chávez, che già controlla tutte le istituzioni del Paese, dovrebbe trovarsi in mano nelle prossime ore i due terzi del Parlamento e la possibilità di incidere ancora di più sul futuro del Venezuela. Magari cambiando la Costituzione per prorogare all'infinito la sua permanenza al potere, che già dura da sette anni.

Cinque partiti dell'opposizione hanno annunciato nei giorni scorsi che non avrebbero partecipato al voto, accusando l'authority elettorale di non fornire garanzie adeguate sulla segretezza del voto.
Tra loro gli storici partiti Copei e Ad e il movimento emergente Primero Justicia, che esprime in questo momento il leader più popolare tra gli oppositori a Chávez, Julio Borges. Come in passato, i sospetti sono puntati sulle macchine elettroniche per il voto. Negli ultimi giorni il governo ha accettato alcune delle richieste, ma non è stato sufficiente. A sua volta l'opposizione poco si fida degli osservatori internazionali, arrivati numerosi in Venezuela dall'OSA e dall'Unione europea. Si ripete la situazione del referendum revocativo, che si svolse nell'agosto dello scorso anno e vide la netta vittoria di Chávez. In quella occasione, l'opposizione denunciò brogli dopo la sconfitta, nonostante l'approvazione degli osservatori e la mancanza di prove evidenti.

Per Hugo Chávez la mossa dell'opposizione è un tentativo disperato di evitare una disfatta. Gli effetti del boicottaggio sono limitati, dice, in quanto solo 322 candidati sui 5.500 registrati hanno deciso di rinunciare. Vero è che la popolarità del presidente è ancora molto alta e difficilmente il suo movimento sarebbe finito in minoranza in Parlamento. È arrivato puntuale anche l'attacco agli Stati Uniti, accusati di essere i burattinai dell'operazione boicottaggio.

Il movimento bolivariano ha fatto grandi pressioni negli ultimi giorni, soprattutto tra le classi popolari, per spingere la gente ad andare a votare. Secondo molti analisti, se l'astensione dovesse superare l'80 per cento l'opposizione vedrebbe premiata in parte la sua strategia e potrà usare la disaffezione dei venezuelani per la politica nella campagna elettorale del prossimo anno (le presidenziali sono nel dicembre 2006). Se invece il non voto si fermasse al 50 per cento l'Aventino venezuelano consegnerebbe su un piatto d'argento a Chávez l'occasione per «approfondire la rivoluzione», come ama dire, in direzione «socialista». «Ho fatto un giro per i seggi, ed è un deserto, oggi è un giorno triste per il Venezuela - ha detto ieri l'oppositore Julio Borges -. Speriamo di tornare presto a vivere in un Paese dove ci sia fiducia nelle istituzioni democratiche». Durante la giornata elettorale tre esplosioni hanno scosso la capitale Caracas, ferendo altrettante persone. Per il vicepresidente Josè Vicente Rangel, la responsabilità è di «settori irrazionali dell'opposizione».
 

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