Lo sfruttamento infantile

 

in America Latina

 

 

di Silvia * 13.3.06 - PL -

 

 

La povertà e lo sfruttamento fanno vittime tra coloro che dovrebbero essere i privilegiati del mondo. Nell’America Latina ed i Caraibi sommano 17 milioni i minori di 17 anni che lavorano. Ricevono fino ad un 80% meno dello stipendio che gli adulti, sebbene molte volte sono sfruttati senza percepire remunerazione alcuna. Molti realizzano compiti pericolosi senza condizioni elementari di sicurezza e con frequenza devono compiere giornale di 12 ore di lavoro.

Le convenzioni internazionali condannano l’attività lavorativa di bambini minori di 15 anni quando il loro compito minaccia la salute o l’educazione, però i testi dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) e dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIT) non considerano illegale che nei paesi poveri i bambini da 12 a 14 anni sviluppino compiti leggeri con un massimo di 14 ore settimanali.

Una delle forme più aberranti che s’inquadra dentro il lavoro infantile, è lo sfruttamento sessuale dell’infanzia. Due milioni di bambini dai 5 ai 17 anni sono sfruttati sessualmente, secondo l’OIT, sebbene gli esperti sospettavano che questa statistica solo rappresenta la punta dell’iceberg. In uguale senso i minorenni sono vittime della schiavitù, il traffico, la servitù per debiti contratti dagli adulti, il reclutamento forzato nei conflitti armati, la pornografia e il narcotraffico.

Nonostante a questo, ventisei paesi dell’America Latina ratificarono la Convenzione dell’OIT del 1999 per la sradicazione delle peggiori forme di lavoro infantile. Nel 2004, la situazione nella regione era disastrosa, secondo valutazioni di Bruce Harris, direttore per Latino america dell’organizzazione non governativa Casa Alleanza, dedita alla difesa dell’infanzia. Per ciò, è chiaro che molti paesi violarono le norme della Convenzione del 1999.

I dati ufficiali del Prodotto Interno Lordo (PIL) del Guatemala includono la mano d’opera di bambini a partire dai 12 anni. In Perù, circa 50 mila bambini lavorano in attività relazionate con lo sfruttamento dell’oro e manovrano mercurio tutti i giorni senza protezione alcuna.

“La mortalità lì è significativa”, assicurò Carmen Moreno, coordinatrice regionale del Programma di Sradicazione del Lavoro Infantile (IPEC) dell’OIT. I bambini minatori lavorano sotto le condizioni più insalubri inimmaginabili. Prodotto del loro sfruttamento, muoiono per asfissia, schiacciati in crolli o per l’avanzamento inesorabile della silicosi, una malattia che corrode i loro polmoni per l’inalazione della silice.

In Bolivia, 120 mila bambini lavorano in miniere e la maggior parte di loro sono indigeni (quechuas e aymaras). Hanno tra i 7 e i 17 anni e si li utilizza soprattutto in compiti all’interno della miniera, manovrano dinamite e separano stagno attraverso prodotti chimici d’alta pericolosità. Sono tristemente famosi i “bambini della polvere da sparo” a San Juan Sacatepéquez, (Guatemala); si incaricano d’armare le piccole bombe per essere utilizzati nelle feste popolari.

“Mi è toccato essere lì quando un bambino d’otto anni perse la mano in un incidente e soffrì serie bruciature sulla faccia per un’esplosione”, raccontò Cecilio Martínez, dalla Sede Guatemalteca dell’Organizzazione Non governativa (ONG) World Vision International. Nonostante la legge di quel paese proibisce il lavoro dei minori di 14 anni, l’OIT assicura che quasi il 24 percento dei bambini tra i 10 e i 14 anni lavorano e ciò lo trasforma nella cifra più alta della regione dopo l’Ecuador.

Nell’America Latina, d’un totale di 2 milioni di bambini che lavorano nel servizio domestico, il 90 percento sono bambine. Molte famiglie povere consegnano i propri figli ad altre famiglie in modo che a cambio di compiti domestici gli sia offerto loro educazione, alimentazione e affetto. Però contrariamente alle intenzioni, questi bambini sono vittime del maltrattamento fisico, punizioni corporali e umiliazioni e di solito perdono qualsiasi contatto con il gruppo famigliare. In Perù ci sono circa 110 mila bambini tra i 6 e i 17 anni impiegati in questo settore, 64 mila in Colombia e 21 mila in Honduras.

Così, l’unico paese con aperta partecipazione di bambini nei conflitti armati è Colombia. Sebbene non sempre impugnano un’arma e uccidono, sono utilizzati in compiti di campagna come messaggeri, sentinelle, cuochi e ancora come “schiavi sessuali” d’altri soldati. Secondo uno studio condotto dall’UNICEF e la Difensoria del Pueblo colombiano che coinvolse 100 bambini combattenti, un 28 percento di loro disse che aveva ucciso alcune volte, un 13 percento partecipò in sequestri, il 40 percento sparò armi e il 78 ammise di aver visto dei cadaveri mutilati.

L’elenco di violazioni ai diritti del bambino è innumerevole. Si sa che tanto negli accampamenti minerari del Brasile, nelle vicinanze dei porti di Costa Rica, sulle spiagge di Repubblica Dominicana, come nella turistica città di Cusco in Perù, centinaia di bambini e bambine tra i 10 e i 17 anni, vendono il proprio corpo per sopravvivere o portare alcun alimento alla famiglia.

In questo senso, un informe del Dipartimento di Stato nordamericano divulgato nel giugno del 2004, rivelò che “le principali vittime del traffico per prostituzione sono bambine di zone rurali sequestrate da trafficanti per pervertirle nei centri notturni del Nicaragua, Messico e altri paesi del Centroamerica”. D’altra parte, le cifre presentate dal I Congresso Mondiale sullo Sfruttamento Sessuale Infantile svoltosi a Stoccolma (Svezia), concluse che circa il 20% dei viaggi internazionali si realizzano con fini sessuali e il 3% di loro sono protagonizzati da pedofili.

Alla ricerca d’una soluzione al flagello dello sfruttamento infantile, l’OIT presentò in giugno di quest’anno la relazione “Costi e Benefizi della Sradicazione del Lavoro Infantile in Iberoamerica”. Lì si rivela che con l’eliminazione del lavoro infantile in Latinoamerica, in 20 anni si potrebbero generare benefizi economici di 235 mila milioni di dollari, dovuto all’accesso di questi minorenni all’educazione.

Non solo si eliminerebbe il problema, costituirebbe anche in sé stesso un beneficio per i minori vittime dello sfruttamento economico e avrebbe ripercussioni positive nella società al raggiungere una maggiore educazione e una migliore salute nella popolazione.

Si prevede portare avanti il programma di sradicamento per due decadi (dal 2006 al 2025), proiezione che si realizza a partire dai dati ottenuti in Argentina, Belize, Bolivia, Brasile, Cile, Colombia, Costa Rica, Ecuador, Salvador, Guatemala, Honduras, Messico, Nicaragua, Panama, Paraguay, Perù, Repubblica Dominicana, Uruguay e Venezuela. I 235 mila milioni di dollari che si pensavano ottenere di differenza positiva, risultano dalla differenza dei 340 mila milioni di dollari che incasserebbero allora in contrapposizione con i 105 mila milioni che si guadagnerebbe con il lavoro infantile d’adesso al 2025.

L’analisi del costo d’eliminare il lavoro infantile in latino america fu un richiamo della sesta Conferenza Iberoamericana dei ministri a carico dei giovani e i bambini svoltasi a San José, Costa Rica. Il Programma per l’Eliminazione del Lavoro Infantile fu iniziato nel 1992 e mantenne attualmente operazioni in 80 paesi a parte di ricevere fondi da 30 stati donanti.

*Crónica Digital