J.C.Gambina 19 maggio 2006 tratto da www.perlumanita.it

 

L’América Latina nell’

 

integrazione regionale
 

 

In tutto il continente c’è un grande movimento in ambito di integrazione. Da quando si sono pronunciati contro l’ALCA, gli Stati Uniti hanno inizato un processo di attrazione di gruppi di paesi e di sottoscrizione di accordi bilaterali per ottenere i Trattati di Libero scambio (TLC). Così hanno fatto con l’America Centrale, la Colombia e il Perù, proprio come all’inizio aveva fatto con il Cile e ancor prima con il Canada e il Messico. Gli Usa non sono riusciti a riunire tutti nello statuto dell’ALCA e cercano di farlo singolarmente attraverso la strategia di riduzione delle tasse doganali e la liberalizzazione dell’economia. E’ una strategia sviluppata per favorire la circolazione di capitali, mercanzie, servizi, la richiesta di capitali più concentrati, transnazionali statunitensi, che cercano di chiudere i mercati regionali ai capitali europei, giapponesi o di qualsiasi altro mercato che non provenga dai territori governati da Bush.

E’ vero che ci sono anche altri attori con dei progetti riguardo al sud del continente e a Vienna vi è stato il summit dei presidenti dell’Europa e dell’America Latina. L’obiettivo era procedere nella liberalizzazione economica sostenuta dalle multinazionali, in questo caso, di origine europea, e facilitare il loro ingresso regionale nella disputa per l’appropriazione della ricchezza. Il tema non è meno rilevante se si pensa che negli ultimi dieci anni gli investimenti europei hanno superato quelli statunitensi. Gli europei hanno sfruttato in modo maggiore l’onda di privatizzazioni provocata dalla politica neoliberale egemonica nel paese. I popoli hanno manifestato il loro rifiuto a questo tipo di politica e i nuovi governatori, che emergono da queste proteste, si dividono tra la prosecuzione di quel tipo di politica, che implica l’affermazione di istituzioni e legge, e la rottura di questa maglia strutturale. (...)
 


Esiste anche il sud


Riconosco che il movimento per l’integrazione ha delle caratteristiche specifiche in America Latina, specialmente nel sud. E’ dal Brasile infatti che è nata l’iniziativa della Comunità Sudamericana delle Nazioni (CSN) sulla base della Comunità Andina delle Nazioni (CAN) e il MERCOSUR. Oltre ai propositi di fondo, pochi passi avanti sono stati fatti in questo senso. Tuttavia, un nuovo attore politico irrompe sulla scena latinoamericana e interviene con un’iniziativa forte per dare un nuovo orientamento al percorso verso l’integrazione in America Latina e nei Caraibi: il Venezuela. Data la sua posizione di socio del MERCOSUR, il paese produce non pochi dibattiti a proposito del destino dell’economia e della politica regionali. Contemporaneamente, la richiesta del Venezuela di ritiro dalla CAN indebolisce questa istanza di integrazione e riapre la discussione sul contenuto dell’articolazione economica, oltre allo scambio commerciale sostenuto dagli statunitensi e dagli europei. Ed è a Caracas che è nata l’Alternativa Bolivariana dei Popoli (ALBA), concretizzata con accordi ratificati nel dicembre del 2004 con Cuba e che ora comprende anche la Bolivia; trasformando così l’ALBA attraverso la strategia dei Trattati Commerciali dei Popoli (TPC) sostenuti da La Paz.

Da Caracas ha preso vita un’iniziativa differenziata per favorire l’integrazione tra il Sud America, Cuba e i Caraibi. Una delle basi su cui si fonda questa integrazione è la questione energetica, e nessuno dubita, ovviamente, dei vantaggi che il governo Chávez ottiene grazie al costante aumento del prezzo del petrolio. Con questi prezzi, il Venezuela si trasforma nella principale riserva di petrolio ed è chiara l’importanza strategica dell’attuale situazione. L’idea di produrre gasdotti che percorrano l’intera regione, ha fatto scaturire una serie di dibattiti riguardo alla mappatura delle tubazioni, ma anche riguardo alla tecnologia e alla forza lavoro coinvolta. Alcune società multinazionali attive nella regione già si sono messe in lista per entrare a far parte dell’impresa: Repsol, Techint o Roggio, tra le altre aziende, che fanno parte delle classi dominanti del paese.
 


Le varie possibilità


Tutto questo ci mostra una dinamica in movimento per l’integrazione economica. Ma di quale strategia fanno parte i diversi attori? Che strategia scelgono i governi? E le classi dominanti? Qual è la scommessa politica delle classi più basse? Il conflitto tra l’Uruguay e l’Argentina, presentato come una questione ambientale, mentre il vero motivo sono gli accordi preesistenti tra gli Stati nazionali e le aziende multinazionali per preservare la sicurezza giuridica dagli investimenti esteri. I Trattati Bilaterali per gli Investimenti (TBI) servono ad assicurare alle aziende la tassa di guadagno sui loro investimenti di fronte ai limiti imposti nei loro paesi di origine. La rilocalizzazione territoriale degli investimenti è vincolata alla necessità di aumentare la rentabilità del capitale. Non si tratta solo di Botnia ed Ence con lo stato uruguayano, ma dell’insieme dei TBI ratificati negli anni ’90 in tutti i paesi del Sud America e soprattutto in Argentina, paese in testa nella lista degli stati con il maggior numero di accordi ratificati e con il più alto livello di internazionalizzazione raggiunto dalla sua economia.

La resistenza popolare alla liberalizzazione economica si concretizza nelle molteplici mobilitazioni, sia con il No all’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) a Seattle nel 1999 e nelle successive manifestazioni, come l’ultima avuta luogo ad Hong Kong, sia con il No all’ALCA e ai TLC ratificati dai governi del paese con gli Usa. In queste manifestazioni, il popolo ha espresso il desiderio di un ordine alternativo a quello sostenuto dalle multinazionali. Ecco un componente essenziale nella discussione sull’integrazione, ma non è con i “no” che si raggiunge l’obiettivo: è necessario discutere nuovi progetti di costruzione di quest’altro mondo possibile chiesto dal popolo nelle proprie lotte. E’ importante ricordare l’ipotesi contraddittoria di progetti sostenuti dal paese come per esempio la dichiarazione del Presidente dell’Argentina secondo cui la “ricostruzione del capitalismo nazionale” e ciò che ha dichiarato il Presidente del Venezuela secondo cui “il capitalismo non porta soluzioni per l’America Latina e bisogna lottare per il socialismo del XXI secolo”.

E’ evidente che si percorrono strade diverse e anche in contraddizione. La risposta per definire l’una o l’altra strada arriverà, come sempre, dalla dinamica sociale espressa per costruire un’altra società. Non si tratta solamente di analizzare quello che succede nei Summit tra i Presidenti, ma anche avere la capacità di osservare quello che succede nelle manifestazioni di protesta della società resa invisibile dai mezzi di comunicazione, ma che costruisce e accumula una forza sociale e politica per un altro mondo possibile.

Traduzione perlumanita.it (copyleft) di Silvia Gernini