America Latina: populismo o

 

confederazione d'identità?

 

 

27.2.06 - PL -

 

 

Una decade fa, non più, Eduardo Galeano si lamentava amaramente che l'America Latina aveva smesso di essere una minaccia. “Abbiamo smesso di esistere. Raramente le fabbriche universali di opinione pubblica si degnano di gettarci alcuna occhiata”.

Ed era la verità. Il continente occupava titoli di stampa solo quando era distrutto da uragani o dittatori, da terremoti o maremoti, da narcotrafficanti o “squadroni della morte”, da raffinati torturatore o da mafie che sequestrano ed assassinano bambini per vendere i loro organi. La catastrofe era stata fino ad ora la nostra unica lettera di presentazione.

Tuttavia, controcorrente della maledizione dei mezzi che continuano a prenotarci lo spazio del clima e la cronaca nera, negli ultimi tempi l'America Latina incomincia ad accodarsi con altri titoli davvero inquietanti.

“Il Venezuela consegna petrolio ai poveri degli Stati Uniti”, “Bush e l'ALCA soffrirono un duro scivolone a Mar del Plata”, “Cuba manda medici in Haiti; gli Stati Uniti mandano più soldati”, “Bachelet congela in Cile legge di Punto Finale”, “Di successo viaggio internazionale di Evo Morales”…

Che cosa sta passando nel Nuovo Mondo? Perché camminano affrettati il Bush e le Condoleezze imperiali, intrigando e minacciando la regione, mentre sempre di più la guerra perpetua contro il terrorismo si complica in Iraq?

Perché Aznar fa un viaggio contro il populismo latinoamericano? Che cosa significa questa emergenza insolita della sinistra latinoamericana al potere? In questo momento poco a poco i nostri paesi sono giunti alla conclusione che la rotta politica dovranno risolverla da loro stessi. Che le offerte neoliberali e la promessa dell'ALCA sono vicoli ciechi. O meglio, vicoli con un'unica uscita: la rivoluzionaria. Con voti o senza voti, ma rivoluzionaria.

I colpi insegnano. Le attuazioni degli Stati Uniti sono state, attraverso gli anni, noti fattori di irritazione nel mondo, e specialmente nel continente, tradizionale patio interno dove si provarono tutte le tattiche criminali delle amministrazioni nordamericane.

Non c'è maniera di occultare che l'Operazione Condor si somiglia, come una goccia d’acqua ad un'altra, ai traslochi massicci di prigionieri a carceri segrete di tutto il mondo; che le torture in Guantánamo e Abu Ghraib furono progettate nella vecchia Scuola delle Americhe, e che la punizione contro la popolazione civile in Faluya, per esempio, ha come antecedente il genocidio in Salvador ed in Guatemala.

Sebbene gli Stati Uniti seguano in possesso della massima forza militare, è ovvio che non godono di una parallela egemonia economica. L'America Latina incomincia ad assimilare che deve dipendere per prima cosa da sé stessa. L'ALCA è un sovrano fallimento. L'Europa è demoralizzata. Gli aiuti e gli accordi equi, senza interessi leonini e senza offesa alle nostre sovranità, sembrano che solo possono riuscire nella regione.

Il nostro è uno dei continenti più ricchi, con materiale umano migliore, con tratti culturali propri, con suoli fertili e sottosuoli nobili, con spazi verdi e patrimoni ecologici, grazie ai quali l'umanità respira (ancora). Perché consegnare tutta questa fortuna materiale all'avidità dei moderni conquistatori?

È straordinario che quando appena cominciamo ad uscire dall'eterno catastrofismo americano, al blocco di governi che sfidano le politiche di Washington è dato loro il titolo di populista, come se la parola futile fosse nuova al sud del Rio Grande e non avremmo sofferto fino alla scorpacciata a governi nazionalisti che, nelle decadi neoliberali degli anni 80 e degli 90, a nome della democrazia ed il libero mercato appianarono tutto verso la perpetua ingiustizia.

Questo non esclude che la retorica populista possa confondersi con vere proposte di cambiamento in paesi marcati a fuoco da crisi di ogni tipo. Tuttavia, non è stato mai più evidente questo giudizio sociologico del Che Guevara: “Le borghesie autoctone hanno perso tutta la loro capacità di opposizione all'imperialismo -se qualche volta l'ebbero-e formano solo il suo fanalino di coda. Non ci sono più cambiamenti da fare; o rivoluzione socialista o caricatura di rivoluzione.” (“Messaggio ai paesi del mondo attraverso la Tricontinentale”. Aprile del 1967)

Ma ci sono altri elementi della realtà da usare come esempio per i nuovi politici latinoamericani. Il Nuovo Disordine Internazionale e le sue guerre assassine stanno provocando che mentre alcune nazioni si disintegrano, altre camminano verso l'integrazione per puro istinto di conservazione.

Di fronte alla crescita galoppante della morte, le torture e le xenofobie, ancora l'America Latina può presentare, al margine di questi pantani, relazioni commerciali vantaggiose (l'ALBA), programmi per restituire la visione a decine di migliaia di ciechi (Operazione Miracolo), un fronte politico comune di contrasto agli Stati Uniti (il Forum dei Capi di Stato in Mar del Plata), il riscatto delle sue ricchezze naturali (la nazionalizzazione del gas in Bolivia) ed altre irriverenze che assaltano i titoli e provano che l'America Latina esiste oltre le catastrofi.

Ora sì che è una minaccia, per quanto ancora la principale notizia non si è vista sui giornali. Il cambiamento di rotta che si sta producendo nel continente e nei Caraibi non farà un'altra cosa che affermare la sua identità, o piuttosto le sue identità. Più che una sola nazione, come concepirono i romantici, l'America Latina incomincia ad essere una confederazione di identità coi Chávez, i Lula, i Tabaré, i Kirchner, i Preval, gli Evo e tutti quelli che continuano a salire al carro dell'indipendenza del Nord, al margine del manto di sinistra di ognuno e della singolarità politica di ogni paese.

Il gran titolo che ancora fugge è che questa confederazione di identità, quanto più sfumate, maggiori possibilità ha di unità; e quanto più unite, più possibilità ha di esistere. E, ovviamente, non solo nelle notizie.

 


 Rosa Miriam Elizalde- preso da Cubadebate