28/12/2006 - R.S.Ramos www.granma.cubaweb.cu

 

Tragico finale di una

pericolosa avventura

 

 

 

Pinar Del Rio — Sono approssimativamente le otto del mattino di lunedì 25 dicembre, quando combattenti delle Truppe della guardia frontiera, di servizio nell'insenatura di Los Cocos, a circa 10 chilometri da Cabo Frances, scorgono un'imbarcazione che naviga da est ad ovest.

E' in evidente difficoltà, per questo comunicano quanto osservato al comando superiore e si dispone a prestare aiuto in tutto il possibile. La lancia, di circa sei metri di lunghezza per due di larghezza, con 11 uomini a bordo, s'infila direttamente verso il faraglione in mezzo ad una gran ondosità.

Alcuni dell'equipaggio chiedono il luogo più appropriato per sbarcare ma questo posto lì non esiste. Tentano di approfittare di un'alta onda che li porti su fino ad una specie di scalino, dove potrebbero calarsi sulla roccia ma solo uno ci riesce.

Gli altri cadono in acqua dopo che la malconcia imbarcazione si é rovesciata ed é affondata. Da terra, i combattenti iniziano il lavoro di salvataggio coi mezzi a disposizione. Tirano quanto possa servire per mantenersi a galla e danno loro orientazioni per la sopravvivenza.

Ma il mare é agitato, vari dei naufragi sono trascinati dalle correnti e dispersi per l'area. Arriva una lancia dei Guardia frontiere e più tardi un elicottero delle Forze Armate Rivoluzionarie che, anche in condizioni difficili, completano il riscatto di nove uomini. I due restanti saranno dati per despersi dopo ore di infruttuosa ricerca.
 


Vittime di una strampalata avventura
 


Ventiquattro ore dopo, nell'Unità Provinciale Operativa del Ministero dell'Interno, conosciamo il bilancio preliminare dell'investigazione in atto. Dei nove redenti, sei sono di Città di L'Avana e tre della Provincia di L'Avana.

Uno degli scomparsi è conosciuto per Adalberto, "el guajiro", di Camagüey e dell'altro si sa solo che si chiamava Alexei e risiedeva nella capitale.

Secondo le testimonianze disponibili, tutti ricevettero, in distinti modi, l'indicazione di situarsi in determinati posti, dove li avrebbero raccolti per intraprendere un'uscita illegale dal paese, che finalmente si materializzò giovedì 21, all'alba.

Così furono trasportati fino ad un punto situato tra la Playa Cajío e Batabanó, al sud della provincia di L'Avana, dove, dopo aver pagoat il prezzo pattuito, salirono su una lancia costruita con materiale plastico, equipaggiata con un motore Lombardini, simile a quelli che si usano in lavori di irrigazione.

Il proposito del gruppo era arrivare in territorio messicano e da lì negli Stati Uniti, approfittando delle bontà della chiamata Ley de Ajuste Cubano (Legge di Accomodamento Cubano).
 


Una pazzia
 


Jorge Luis Valdés Cardentey, di 29 anni, lavoratore per conto proprio, ed uno dei falliti emigranti illegali, afferma che nessuno aveva conoscenze di navigazione. Si alternavano al timone e consumavano alimenti ed acqua che gli avevano consegnato insieme all'estemporanea imbarcazione.

Egli ricevette le indicazioni mediante una chiamata telefonica dagli Stati Uniti e pagò 2500 dollari per il viaggio. Dice essere al suo primo tentativo e ultimo, perché quanto vissuto durante quattro giorni e notti è stato sufficiente.

"È una vera pazzia, solo chi non si è visto di notte nel mare, sprovvisto di sicurezza, può fare quello che abbiamo fatto. Nel momento che ci dirigemmo verso la costa, regnava la disperazione, perché l'acqua scarseggiava e le onde erano molto grandi. L'unica cosa che volevamo in quello momento era toccare terra ferma".

Ed aggiunge: "Arrivando stavano già lì i guarda frontiera, alcuni dei quali rischiarono perfino le loro vite per salvarci. Io stavo per svenire quando mi tirarono una tanica di plastica che mi permise di mantenermi a galla fino a che si presentò la lancia a riscattarmi. Vicino a me vidi affondare Alexei e pensavo che i morti fossero molti di più".

Secondo Jorge Luis, gente che era passata per avventure simili l'avevano avvertito, ma nessuno riflette su quanto si dice. "Uno pensa a quelli che arrivarono senza problema e non tiene conto di quelli che non arrivarono".

Reinaldo Rabeiro Almesana, per esempio, non si mostra pentito. Dice di avere negli Stati Uniti una parte della famiglia e confessa che se gli fossi data un'opportunità più sicura di andare là tenterebbe nuovamente.
 


E perché non emigrano in forma legale?
 


In questo i pareri di entrambi coincidono: "È per gusto, la Sezione di Interessi mette ogni tipo di intoppi per viaggiare; si spende molto denaro nelle pratiche ed alla fine non si ottiene niente".

Mentre c'é la tentazione di una legge, stabilita unicamente per i cubani, che offre ogni tipo di vantaggio se arrivano in territorio statunitense. Tutto un invito ad avventure come quella che abbiamo appena narrato, che costano vite, e non sono di più solo per l'alto senso di responsabilità e la gran quota di umanesimo di chi controlla le nostre coste.

I membri di questo gruppo sanno ora, e solo ora, perché è stata battezzata come la Legge Assassina.