TERRA TERRA

Il basurero ecologico

di isleta, Cuba

 

 

| 22 marzo 2006 | E.Giordana |

 

 

Alla signora Irania Martinez Garcia le sfide non fanno paura. E' una di quelle donne che forse amano misurarsi col mondo e che sono abbastanza testarde e determinate da arrivare a dimostrare che hanno ragione da vendere. Cinque anni fa Irania va a visitare il basurero (discarica) di Isleta, una zona periferica di Guantanamo, la capitale della provincia più orientale di Cuba. Nella discarica, uno degli immondezzai a cielo aperto che qui come nel resto del mondo accerchiano città e metropoli, la spazzatura veniva bruciata e seppellita. «Il paesaggio era desolante - dice - l'aria era ammorbata dai fumi e l'immondizia "camminava" per conto suo sotto terra, arrivando ormai a lambire le case del barrio». Irania,che ha un ruolo nell'amministrazione cittadina, si prende a cuore la situazione ma deve affrontare qualche resistenza: le innovazioni, si sa, costano sempre fatica. Alla fine, resistenze o meno, riesce a farsi attribuire un pezzo di terra. Vuole dimostrare alle autorità cittadine che una discarica, se ben maneggiata, può diventare un giardino. Qualcuno se la ride, qualcun'altro fa spallucce. Irania va avanti. Come il bulldozer che non ha. Vedere per credere. Cinque anni dopo il Cepru (Centro ecologico per l'agricoltura urbana) si presenta tanto per cominciare con una piccola foresta di Nim, una pianta tropicale nota come insetticida naturale. Tiene lontane le mosche che, meraviglia, dalla discarica sono praticamente scomparse. La piccola piantagione allarga la sua ombra sulla casa di questa improvvisata finca (fattoria) dove l'immondezzaio con uccellacci volteggianti è ormai un ricordo. Nei 10 anni di esistenza del basurero, cinque sono stati dedicati da Irania alla riconversione biologica della spazzatura. Grazie anche al sostegno del Gruppo di lavoro provinciale di Guantanamo, che con l'appoggio dell'Undp (Programma delle Nazioni unite per lo sviluppo) amministra tra l'altro il sostegno della comunità internazionale (inutile dire che il progetto piace molto ai donatori occidentali), Irania è riuscita a trovare le risorse per mettere in pratica la sua idea. Aveva però bisogno di braccia, fornite alla fine dall'amministrazione pubblica con una trentina di lavoranti in gran parte donne. Questi operai del biologico separano l'immondizia classificando le diverse componenti e ammonticchiando in lunghe file ordinate la materia organica che si trasformerà in composto. In sei ore lavorano i 150 metri cubi di immondizia che arrivano alla discarica giornalmente. «All'inizio avevo un pezzetto di terra e 7 persone. Adesso ho recuperato già quattro ettari e ne sto rinnovando altri 5». La discarica in quanto tale si è così ridotta a poco più di tre. Non c'era un albero e adesso c'è la piccola foresta di Nim, il vivaio e le ordinate concimaie che non esalano odore. Il materiale inorganico non riciclabile arriva forse al 10%. Si recupera il legno, l'alluminio, il ferro. La creatività di Irania si è applicata alle ossa e zoccoli provenienti delle macellerie e ora triturate per farne humus, a galline e capre (forniscono latte all'ospedale locale) che pasteggiano con frutte e verdure non ancora decomposte mentre i contenitori in alluminio diventano altrettanti recipienti di un enorme vivaio di specie nate dai semi... ovviamente selezionati dai rifiuti. L'oasi ecologica della discarica di Isleta diventa così anche una piccola azienda che, oltre a riciclare, produce beni e servizi per la cittadinanza: per chi si vuole comprare una pianta grassa, un fiore ornamentale, il composto per il giardino, l'alimento per gli animali da cortile. Siccome Irania è un vulcano la sua testa non smette mai di elaborare innovazioni. Persino sull'acqua della risciacquatura del riso: «Una cosa da insegnare ai tuoi amici europei», sorride: «Quando hai lavato il riso, prima di cuocerlo, lascia fermentare l'acqua utilizzata con un paio di cucchiaiate di zucchero. Diventa un ottimo aceto biologico».

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